“Io ti prego Dio del cielo da dietro queste sbarre”
una bella riflessione sulla preghiera di Vito Mancuso in presentazione del libro Preghiere dal carcere a cura di Silvana Ceruti (La vita felice)
Gli esseri umani fanno molte cose nella loro esistenza e tra queste, in ogni parte del mondo (carceri comprese), pregano. La preghiera è un fenomeno universale. Si può anche giungere al paradosso di uomini che non credono in Dio ma che pregano, che cioè almeno qualche volta nella vita si ritrovano a formulare parole o pensieri in forme non usuali rivolgendoli al mistero che avvolge la vita – esattamente nel senso richiamato da Norberto Bobbio quando diceva: «Come uomo di ragione, non di fede, so di essere immerso nel mistero». Gli esseri umani pregano perché avvertono il bisogno di rivolgersi alla potenza superiore che sovrasta le loro vite. E in qualche modo conoscerla, placarla, ingraziarla, a prescindere poi se tale potenza venga da loro intesa come personale (il Dio della Bibbia) o impersonale (il Fato degli antichi) o al di là delle categorie di personale-impersonale (il Nirvana del buddismo). La ragione può giungere a non riconoscere nulla di superiore a se stessa, ciononostante il sentimento complessivo dell’esistenza sente in certi momenti il bisogno di rivolgersi alla potenza imponderabile della vita che ci sovrasta dicendo “tu”, da spirito libero a spirito libero. Le molteplici preghiere degli uomini si possono distinguere in base al contenuto secondo quattro tipologie fondamentali: invocazione di aiuto per sé o per altri, richiesta di perdono, ringraziamento, lode gratuita. Tale quadruplice contenuto si esplica in molteplici forme di preghiere, le principali delle quali sono: il dialogo personale con Dio tramite parole proprie, la ripetizione di testi composti da altri come per esempio il Padre Nostro, le pratiche di devozione personale o comunitaria come per esempio il rosario, e infine il silenzio del corpo e della mente in ciò che i mistici chiamano “preghiera pura”. Nei testi delle preghiere che provengono dal Carcere di Opera è sorprendente ritrovare quasi tutte queste tipologie, sia a livello di forma, sia a livello di contenuto. Vi sono anzitutto numerose richieste di aiuto, ora rivolte a Cristo («Cristo, dammi la fede nella vera libertà che è dentro di noi e che nessuno può strapparci »), ora a Dio Padre («Caro Padre Nostro»), ora a Dio inteso come Madre (…), ora a Gesù perché interceda presso sua madre ribaltando curiosamente la prospettiva tradizionale che fa di Maria colei che intercede (…). Vi sono espressioni di pura lode: «So che mi regali la purezza luminosa/ di questa vita che scorre in un’unica melodia…». Vi sono richieste di perdono che invocano Dio «perché ci perdoni e ci salvi dalla sua ira», e altre che si rivolgono ad altre entità: «Scusaci Madre Terra» (…). Non mancano pagine problematizzanti che mettono in forse l’utilità della preghiera dicendo che «forse è umano pregare, anche se inutile», e che constatano empiricamente l’inefficacia delle richieste di intervento divino (…). Anche queste contestazioni però, che peraltro rimandano ad alcune celebri pagine bibliche di Giobbe e di Qohelet, sono indice di un bisogno di senso dell’anima umana che non si rassegna al non — senso e all’assurdo proprio nell’atto stesso di dichiararne amaramente la presenza. Perché forse tutto nasce da qui: dal contrasto tra la sete del cuore di bene, di giustizia e di calore, e la realtà di un mondo che consegna spesso il contrario (…). La preghiera è il grido, o la supplica, o il lamento, o il sospiro di un pezzo di materia (di un pugno di polvere, direbbe la Bibbia) che si scopre abitato da una strana esigenza di senso, di giustizia, di infinito, e che per questo prega, trasformando la sua intelligenza in speranza e in desiderio di bontà (…). Se Dio c’è, Egli (Ella — Esso) non abita al di fuori dell’essere umano ma al suo interno, in quella disposizione particolare dell’energia che chiamiamo spirito, perché “Dio è spirito”. Dio abita nell’uomo interiore diceva Agostino: in interiore homine habitat veritas . Giovanni della Croce nella Salita al monte Carmelo riesprime tale prospettiva con parole preziose: «È necessario ricordare che il Signore dimora sostanzialmente ed è presente in qualsiasi anima, anche in quella del più grande peccatore della terra (…). La preghiera quindi si può definire come rapporto consapevole con la sorgente e la meta dell’essere, alla quale da sempre siamo inevitabilmente e fisicamente uniti. La preghiera è figura di un rapporto, è relazione. E il vertice della preghiera è compiutezza della relazione, è cioè comunione (unione — con), unione con la sorgente da cui veniamo e con la meta verso cui andiamo. Se solo ci rendessimo conto di questo immenso valore che è in gioco nella preghiera, di quale realtà noi possiamo entrare in possesso o perdere per sempre, probabilmente non faremmo altro, avendo capito che qui veramente è in gioco il destino eterno dell’anima: «Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la sua anima?» (Marco 8, 36). Ne viene che la preghiera autenticamente concepita non è una pratica accanto ad altre. La preghiera autentica è vita, è la vita liberata dalla vanità delle convenzioni sociali, dalle sciocchezze che il mondo ritiene importanti. La preghiera è vita nel tempo che attinge l’eterno, tempo abitato e illuminato da un’altra luce, dall’unica vera luce che è la verità. E la preghiera per gli altri, la preghiera di intercessione? C’è una forma falsa di essa, quella che suppone un Dio lontano o addirittura maldisposto e pensa di ricorrere a qualcuno che interceda presso di lui commuovendolo e disponendolo al bene. Ma c’è anche una forma vera, che è anzi il vertice del lavoro spirituale, il fiore dello spirito. La preghiera è pensiero, e pregare per un altro significa regalargli pensiero puro, un pensiero senza pensieri e tutto solo calore. Quando chi prega non trattiene per sé il frutto del suo silente pensare senza pensieri ma lo dona a beneficio di qualche persona, si ha la preghiera di intercessione. Concentrarsi, tirare fuori da sé le energie spirituali più preziose e più pure, svuotarsene e consegnarle a un’anima in stato di purificazione perché mediante di esse si possa ripulire: questa può essere preghiera per i morti, per coloro che la tradizione chiama “anime del Purgatorio”, e può essere anche preghiera per i vivi, perché riacquistino le forze spirituali. A questo punto penso appaia chiara l’importanza delle persone che dedicano tutta la vita alla preghiera, l’importanza dei monasteri, siano essi monasteri cristiani, buddisti, taoisti o altri. Forse tutto il senso della religione consiste nel rendere gli uomini capaci di pregare, giungendo a fare della propria preghiera un dono per gli altri (…). Comunemente si pensa che il verbo fondamentale legato alla preghiera sia dire : dire le preghiere. Ma non è così. Il verbo fondamentale, per la preghiera come per ogni altra attività umana, è essere: essere preghiera. Non si tratta di dire le preghiere, si tratta di essere preghiera, di essere cioè con la vita concreta (anche quando essa per un periodo venga trascorsa dietro le sbarre di un carcere) una richiesta di aiuto e di perdono, e insieme una parola di ringraziamento e di lode.
IL LIBRO
Preghiere dal carcere a cura di Silvana Ceruti, (La vita felice, pagg. 82, euro12)
(parte della prefazione di Vito Mancuso)