a volte anche i cardinali si lasciano convertire … quando si mettono alla scuola dei poveri e degli ultimi
il cardinale Tagle
gli ultimi sono stati i miei insegnanti
intervista a Luis Tagle, a cura di Monica Mondo
in “Avvenire” del 4 dicembre 2016
è un giovane cardinale, guida la diocesi più grande dell’Asia, cucina benissimo, ama i libri gialli e il canto, ha una voce da tenore. Luis Antonio Gokim Tagle, arcivescovo di Manila, è un raffinato teologo, presidente di Caritas internationalis. Abbiamo imparato a conoscere il suo sorriso, spesso accanto a papa Francesco, che gli è amico
Sorride perché è felice, sorridere e far sorridere è missione del cristiano?
La felicità non è solo un’emozione, ma una condizione spirituale: la gioia che la fede porta a noi. E la gioia è una missione che dobbiamo condividere: la Chiesa ha ricevuto la missione di annunciare una bella notizia, cioè che il Signore ha trionfato sul peccato e la morte.
In questi giorni è in libreria in Italia un libro di cui è autore, “Ho imparato dagli ultimi”, edito dalla Emi.
Che cosa significa concretamente?
Ho imparato dagli ultimi in senso ampio, per avere non solo una sapienza mondana, ma anche una saggezza spirituale. Mi ricordo un Natale di quando ero seminarista, ho celebrato con una comunità di poveri. Il giorno prima avevano ricevuto l’ordine di lasciare il terreno perché non era loro. Durante la preghiera del Padre Nostro una donna mi ha detto: «È facile dire Padre Nostro per voi, perché quando voi tornate a casa siete sicuri che c’è pane, riso e cibo. Per noi poveri, la preghiera è una fatica e una lotta contro l’incredulità. È un atto di fede dire “Padre Nostro”». Un esempio semplice per cui mi chiedo chi sia stato l’insegnante, il professore di fede, e chi l’allievo. Questa donna per me è stata il mio insegnante.
Lei è presidente della Caritas, spesso definita erroneamente un ente benefico. Perché si resta ancorati a una visione più assistenziale o emergenziale?
La Caritas è la portavoce della Chiesa e con parole attive dell’amore del Signore. È ben conosciuta come agenzia di aiuto umanitaria, ma c’è una campagna contro le radici della povertà e della sofferenza. La parola “avvocato” Gesù la usa per sé e pure per lo Spirito Santo paraclito, qualcuno che parla per gli altri, qualcuno che è accanto degli altri e che sapendo la condizione alza la voce per farla sentire. La Caritas è un’ambasciatrice di giustizia e di pace. Una metropoli, tanto più in Asia, è luogo di forti contraddizioni. La globalizzazione pone modelli di vita irraggiungibili, ma aiuta anche ad appianare le differenze.
Lei ha detto però che «con la globalizzazione c’è il rischio di escludere Dio dall’orizzonte della società, e svilire l’identità della Chiesa».
Il tipo di globalizzazione che abbiamo sperimentato in questi decenni non è solo finanziaria ed economica, ma anche culturale, di valori. Ci sono “valori” che nascondono la fede o la presenza del Signore e sono penetrati tra i confini delle generazioni e delle nazioni. Sviliscono l’identità della Chiesa, specialmente attraverso i social media, il cinema e le canzoni: qui la presenza della fede e di una comunità credente è quasi abbandonata. Anche in un contesto un po’ religioso come quello delle Filippine, per i giovani, i più vulnerabili, queste suggestioni sono molto forti: nella scuola si insegna catechesi, ma radio e cinema promuovono un messaggio contrario.
Che famiglia è la sua? Una famiglia in cui ha respirato la fede da piccolo?
La mia è una famiglia normale, ordinaria. I miei genitori erano impiegati di banca, dove si sono incontrati. Una famiglia molto semplice, ci siamo concentrati sulle cose essenziali: famiglia, chiesa, fede, scuola, lavoro. La nostra vita circolava su questi punti.
Perché ha scelto il sacerdozio? Voleva fare il medico: sono entrambi segni di una passione per l’uomo?
Come giovane ho partecipato a un progetto giovanile della parrocchia, in cui mio padre mi ha forzato a entrare. E ha fatto bene! In questo gruppo ho incontrato grandi personaggi e specialmente un grande prete che mi ha stupito col suo atteggiamento verso la vita. Aveva impensati talenti e mi sono chiesto perché un uomo così avesse “scartato” la sua vita e quale fosse il senso di questo
“scarto”. Per me è stata l’ispirazione: ho scoperto che si trattava di un dono, un atto di donazione e non di scarto. La mia famiglia e questi modelli di missione mi hanno ispirato.
Lei da giovane si è innamorato della teologia, tanto da approfondire in America i suoi studi, per diventare a 40 anni parte della Commissione teologica internazionale, per volontà di Giovanni Paolo II. Ma contemporaneamente faceva volontariato dalle suore di Madre Teresa. C’è una teologia dei poveri, una sapienza che nessuno studioso può raggiungere?
Credo che ci sia una sapienza dei poveri. Ho imparato la teologia non come professione o specialità, ma come una realtà viva, una parola su Dio. È dire Dio con un senso profondo che nasce dalle viscere della sofferenza: i poveri. È stata una grazia scoprire la comunità delle Missionarie della Carità a Washington Dc, mentre scrivevo la tesi di dottorato. La mattina ero in mezzo ai libri e al pomeriggio avevo un contatto diretto con le persone che per me sono quasi sacramento della presenza del Signore. A questo proposito la pietà, la religiosità popolare, molto vissuta nel suo Paese, non è solo folclore, come spesso si pensa. La fede popolare è sbagliato vederla solo come folclore: nella mia esperienza e cioè nel mio paese, la trasmissione della fede in un modo semplice accade attraverso la religiosità popolare. Certamente c’è il rischio di sentimentalismo e superstizione, però è un ricco campo di evangelizzazione. Troviamo in questo ambito la presenza dello Spirito Santo.
Lei è cresciuto in anni durissimi di dittatura, ma la posizione della Chiesa è stata chiara.
Io devo dire che nei primi anni della dittatura alcuni vescovi e molti filippini che avevano influenza nella società credevano che la “dittatura”, con l’imposizione della disciplina, fosse utile, giusta. Pian piano, però, abbiamo scoperto che non era così, era anzi come rubare i diritti e il futuro alla gente del Paese. Anche oggi la Chiesa deve difendere l’uomo, dall’aborto e dalla difesa della legalità con mezzi drastici e inaccettabili. Al centro della Dottrina sociale della Chiesa c’è una visione e un’eredità grande: la dignità di ogni persona umana, qualunque essa sia, piccola o grande, colpevole o sbagliata. È figlio o figlia di Dio, mio fratello o mia sorella. I vescovi filippini hanno fatto una scelta di campo anche sulla controversa questione della riapertura delle centrali nucleari. Le Filippine sono un Paese ferito da tanti terremoti, tifoni e altre catastrofi naturali. Dobbiamo essere realistici e cooperare a questa missione, di custodire il Creato e anche i poveri, perché i soldi bisogna prima usarli per loro.
Il ricordo più forte del viaggio del Papa nelle Filippine?
La memoria più toccante per me è stato l’incontro con il padre di una ragazza morta proprio in quei giorni. A Takloba venne un tifone e durante la Messa una ragazza volontaria della Caritas è morta sul colpo perché un’impalcatura è crollata su di lei. Il giorno seguente il Papa ha incontrato il padre di questa ragazza. È stato un incontro intimo di due padri. Io ho fatto da traduttore per il Papa, e il padre ha detto: «Santo Padre, prima della sua venuta avevo deciso di non partecipare alle Messe e agli incontri perché sono anziano e non mi piace partecipare agli incontri. Però, la mia unica figlia è morta e mi ha dato la grazia di incontrare il Santo Padre». Il Papa si è stupito della fede profonda di quest’uomo. È bello vedere un padre che insegna la profondità della fede al Santo Padre e io sono un testimone di questo incontro sacro.
Che amico è per lei papa Francesco? Lo conosceva anche prima? È cambiato?
È la stessa persona, uguale. Anzi devo stare attento a quel che faccio, perché sono abituato a parlare con lui come prima e mi devo ricordare che è il Papa. Non cambia nulla però perché lui mi ripete: «Sono Bergoglio!». Sa bene che l’avevano messa tra i papabili nel 2013. Sono i giornalisti che parlano così e non gli elettori.
In Italia la presenza dei cattolici filippini è significativa quanto a numeri e a integrazione. Quale apporto danno alla Chiesa italiana?
Giovanni Paolo II ha dato la risposta giusta anni fa in una Giornata mondiale dei migranti, quando mandò un messaggio alla comunità filippina a Roma. Diceva: «Voi siete qui a Roma, in Italia, per cercare posti di lavoro, per le vostre famiglie nelle Filippine. È una bella cosa lavorare per le proprie famiglie. Voi non avete solo trovato posti di lavoro qui in Italia, ma una missione: portare la semplicità della fede filippina nelle case degli italiani, ai bambini e ai ragazzi». Per i filippini migranti, la seconda casa familiare è la parrocchia. L’anno scorso il cardinale Angelo Scola mi ha invitato a Milano per conferenze e una Messa nel Duomo di Milano con la comunità filippina: erano ventimila. Il cerimoniere mi ha detto: «Ecco il futuro della Chiesa a Milano». Gli risposi: «Non solo il futuro, ma anche il presente».
È vero allora che è l’Asia il futuro della Chiesa?
C’è futuro per la Chiesa in Asia, anche per tutta la sofferenza, la povertà e la testimonianza nelle persecuzioni che sono segno di speranza. Voglio credere che in questa situazione pur drammatica c’è il seme del futuro. Lei ama cantare e ha una bellissima voce, ma non ha mai studiato canto. Da bambino ho sentito tanta musica da mia mamma e da tutta la famiglia. Non sono “tifoso” della musica ma ne ho un grande amore. Non sono andato a scuola di canto, mi è naturale.
Lei ha ricevuto dalle mani del Papa la Lettera apostolica «Misericordia et misera» che ha chiuso l’Anno Santo della misericordia.
Devo dire che è stata una sorpresa per me. Sono stato informato durante la processione all’inizio della Messa che il Papa mi avrebbe consegnato la Lettera, come rappresentante delle grandi città del mondo, per evangelizzare. È una bella Lettera non per chiudere l’Anno della misericordia, ma per continuare una cultura di misericordia
. Che cosa pensa delle sottili o palesi contestazioni al Papa dall’interno della Chiesa?
Penso che il Vangelo porta una verità sconveniente e scandalosa. Come peccatori siamo contenti nella nostra zona di comfort, non vogliamo parole che ci disturbano. La città di Manila, le sue piaghe. Sono tanti i problemi, ma per me la povertà è il più grande. La Chiesa cerca vie per avvicinarsi ai poveri, non solo per trovare soluzioni: la Chiesa non è un governo o uno Stato parallelo. Lo scopo è la vicinanza, anche per testimoniare un amore che è sempre presente.
Perché ama tanto i libri gialli, i polizieschi?
I libri gialli sono un esercizio della verità tramite i segni: insegnano a leggere i segni dei tempi, per questo sono preziosi. Mi piace tantissimo Agatha Christie o Sherlock Holmes, ma ora purtroppo mi manca il tempo… Se dovesse esprimere il suo desiderio più grande… Vorrei che noi, non solo come Chiesa ma come umanità, continuassimo a cercare le porte aperte nelle ferite del mondo. Per me le ferite dei poveri e di coloro che soffrono sono come porte sante in cui entrare. Gesù risorto ha detto ai discepoli, specialmente a Tommaso : «Vieni e tocca le mie ferite». Si chiude la porta di San Pietro, ma le ferite rimangono aperte per entrare nella via di Gesù.
L’autorità personale verso la gente è una grande e forse pesante responsabilità?
Essere cardinale è una grande responsabilità, ma è anche una chiamata all’umiltà. Io credo che Gesù è il Salvatore, non sono io! Gesù non ha bisogno di un altro salvatore, per questo con calma e tranquillità posso professare “Io Credo in Gesù Salvatore”, facendo quello che posso, e il resto a Lui.
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