in morte di Ernesto Cardenal poetra e mistico

il poeta di Solentiname

“Siamo in un’universo così vuoto circondato ovunque dal mistero”

È morto in pace con la Chiesa grazie a Papa Francesco padre Ernesto Cardenal. I suoi canti e il suo Vangelo di Solentiname ci hanno dato lacrime di indignazione e di speranza.

 

di  Tonio Dell’Olio

È morto ieri in Nicaragua Ernesto Cardenal. Aveva 95 anni distillati nella lotta per la giustizia e per la bellezza. Metà dei suoi anni furono vissuti sotto il tallone degli anfibi della dittatura sanguinaria di Somoza e l’altra metà a dare il proprio contributo alla costruzione di una società liberata. Dopo l’incontro con Tomas Merton e i suoi insegnamenti, questo monaco irregolare si stabilì a Solentiname, un’isola del Gran Lago di Nicaragua, dove fondò una comunità di artisti, scrittori, poeti… che rileggessero il Vangelo nell’arte al servizio dei poveri (cfr. E. Cardenal, Il Vangelo a Solentiname, Cittadella Ed., 1976). Qualche tempo dopo, con quegli artisti abbandonò l’esperienza dell’isola per unirsi alla rivoluzione contro la tirannia. Nel primo governo democratico divenne ministro della cultura e, per questa ragione, fu sospeso dalle sue funzioni sacerdotali.

Tutti ricordiamo (o abbiamo visto) l’immagine di Giovanni Paolo II che lo redarguisce agitando il dito indice contro di lui che gli è inginocchiato davanti al suo arrivo all’aeroporto di Managua. Poi la riabilitazione lo scorso anno e la prima messa celebrata nella sua stanza. Abitava una stanza con un letto, un comodino e un’amaca. Un eremo. Non so dire se il mondo si sia accorto del suo passaggio, ma la terra sì, è stata concimata anche dalla sua poesia e dal suo amore per il vangelo dei poveri. In silenzio qualche albero è cresciuto anche grazie a quella linfa.

 

padre Cardenal riabilitato da papa Francesco

POETA, RIVOLUZIONARIO E SACERDOTE

Ernesto Cardenal, sacerdote, rivoluzionario e poeta nicaraguense, nel 1984 fu sospeso a divinis da Woityla. Oggi, sul punto di morte, è stato ufficialmente riabilitato da papa Francesco

 meglio tardi che mai

Gianni Beretta

«Meglio tardi che mai» verrebbe da dire sulla riabilitazione come sacerdote del poeta Ernesto Cardenal, ministro della cultura in Nicaragua negli anni ’80 durante tutta la Rivoluzione popolare sandinista. Nel 1984 lui, insieme al fratello Fernando (gesuita, coordinatore della Gioventù sandinista e successivamente ministro dell’Istruzione), padre Miguel D’Escoto (ministro degli esteri) e padre Edgar Parrales (ministro per la famiglia) furono sospesi a «divinis» da Karol Wojtyla; dunque esonerati dallo svolgere i loro compiti sacerdotali.

È rimasta nella stoiria la fotografia del papa polacco che il 4 marzo 1983, appena sceso dall’aereo sulla pista dell’aeroporto Sandino di Managua, salutando uno per uno i membri del governo rivoluzionario (noi de il manifesto eravamo lì a un passo), puntò il dito su Ernesto (l’unico dei quattro preti-ministri ad accoglierlo) che gli si era inginocchiato per baciargli l’anello.

L’allora pontefice ritirò subito la mano umiliandolo e intimandogli: «devi regolarizzare la tua situazione con la Chiesa». Quella visita finì con la clamorosa contestazione a Giovanni Paolo II durante la messa nella gremita piazza 19 de julio; e la sua precipitosa dipartita, rosso di rabbia in volto, dal Nicaragua

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Uno degli slogan di quel tempo del corso sandinista era: Entre cristianismo y revolución no hay (non cè) contradicción. Mentre in quasi tutta l’America latina era in auge la Teologia della liberazione, avanguardia nell’applicazione del Concilio vaticano II. Che Wojtyla si prodigò letteralmente a sradicare a partire dal suo non casuale primo viaggio dalla sua nomina (nel gennaio 1979) alla III Conferenza episcopale latinoamericana di Puebla, che avrebbe dovuto sancire l’«opzione preferenziale per i poveri». Facendo così un grande favore al presidente Usa Ronald Reagan, nel frattempo impegnato nel promuovere le sette fondamentaliste in tutto il sub continente.
Papa Francesco ha finalmente revocato la sospensione al 94enne padre Ernesto, ricoverato in rianimazione per una grave infezione in un ospedale della capitale nicaraguense. A portargli il messaggio il nunzio Stanislaw Waldemar. Il quale ha espresso l’intenzione di concelebrare una messa insieme a lui. Sempre che, a questo punto, Cardenal riesca a rimettersi. Mentre il vescovo ausiliare di Managua, Silvio Baez, si è precipitato al suo capezzale chiedendogli la sua benedizione «come sacerdote della Chiesa cattolica».

Monsignor Baez, molto legato a papa Francesco, è il prelato che più si è esposto con le sue critiche al regime del presidente Daniel Ortega, ancor prima della rivolta studentesca scoppiata il 18 aprile dello scorso anno, repressa nel sangue dalle forze di sicurezza del fu comandante guerrigliero.

Così come Ernesto Cardenal è stato uno dei primi esponenti del sandinismo a denunciare (fin dagli anni ’90) la piega antidemocratica di Ortega da segretario del Fronte Sandinista prima, e dittatoriale da quando è tornato al governo nel 2007.

Tanto da essere preso di mira da una vera e propria persecuzione politica che gli è valsa un paio d’anni fa una sanzione di 750mila dollari per una inventata controversia sulla proprietà dei terreni dove lo stesso Cardenal aveva fondato negli anni ’70 la sua comunità contemplativa nell’isola di Solentiname del grande lago Nicaragua. Il sistema giudiziario, strettamente controllato da Ortega, era arrivato a congelargli il conto corrente; per poi sospendere il procedimento di fronte alle proteste di intellettuali e letterati dal mondo intero.
Il padre Cardenal è considerato infatti uno dei più grandi poeti latinoamericani. È stato insignito della Legion d’onore francese, del premio latinoamericano Pablo Neruda; fino al Premio regina Sofia di Spagna per la poesia iberoamericana (nel 2012). L’ultimo riconoscimento, il premio Mario Benedetti, lo aveva ottenuto giusto lo scorso anno; e lo dedicò al 15enne nicaraguense Alvaro Conrado, ucciso il 20 aprile scorso da un francotiratore del regime durante una manifestazione di protesta degli studenti. Tra le sue opere più famose: Oración para Marilyn Monroe (ancora del 1965), Quetzalcoatl, Canto Cosmico, La Revolución perdida…; molte di esse tradotte fin in venti lingue.
Nella sua lunga vita il padre Cardenal è stato suo malgrado avvezzo a subire feroci atti di repressione. Già nel 1977 gli sgherri della Guardia somozista distrussero le installazioni della comunità di Solentiname (cappella, scuola, biblioteca, laboratorio di arte primitivista, cooperativa di pescatori e contadini) e assassinò vari dei suoi attivisti. Così come fu clamorosamente boicottato durante la rivoluzione sandinista da ministro della cultura dalla stessa moglie di Daniel Ortega, Rosario Murillo (anch’essa poetessa e oggi vicepresidente nonché factotum del regime) che aspirava a quel posto; e che decise di inventarsi la Associazione dei lavoratori della cultura, in feroce competizione col padre-ministro.
Con la restituzione delle funzioni sacerdotali papa Francesco ha operato in extremis una sorta di risarcimento nei confronti del padre Ernesto che ora «è pronto per andarsene in pace» come ha commentato la scrittrice e anch’essa poetessa nicaraguense Gioconda Belli.
Gesto che il primo pontefice latinoamericano aveva già concesso (su esplicita richiesta) al padre Miguel D’Escoto prima di morire. Mentre Edgar Parrales optò subito per rinunciare allo stato laicale; e Fernando Cardenal scelse invece di rifare il noviziato per rientrare nella Compagnia gesuita a tutti gli effetti. Ancora qualche mese fa il riottoso Cardenal, che mai aveva chiesto la sua riabilitazione, ebbe a dire: «rivendico di essere stato poeta, sacerdote e rivoluzionario

in morte di padre Cardenal

morto gesuita eroe del Nicaragua

Fernando Cardenal

Fernando Cardenal

 

Fu uno degli eroi della rivoluzione sandinista, premiato a livello internazionale perché, da ministro e anche prima, condusse una delle più grandi campagne di alfabetizzazione che l’America Latina ricordi. Ma c’era un problema: era un padre gesuita e il papa di allora, Giovanni Paolo II, giammai avrebbe voluto un consacrato in un governo “comunista” e lo fece sospendere dai gesuiti. Ma Fernando Cardenal è morto ieri ancora da prete con tutti i crismi, perché la “scomunica” di Wojtyla fu annullata nel 1997.

Cardenal fa parte di un “trio” di preti che furono nominati ministri nel governo del Nicaragua dopo la rivoluzione sandinista. Gli altri sono il fratello Ernesto, poeta e a sua volta sacerdote, e soprattutto Miguel d’Escoto Brockmann, uno dei maggiori portavoce della Teologia della Liberazione, nominato ministro degli Esteri, mentre Fernando era ministro dell’istruzione ed Ernesto dell’educazione.

Fernando e gli altri due presbiteri negli anni ’80 sfidarono l’ordine rivolto dal Vaticano di lasciare il governo rivoluzionario sandinista. E’ morto ieri a Managua all’età di 82 anni senza aver mai tradito i propri ideali, come invece si può tranquillamente affermare per la maggiore figura della rivoluzione, Daniel Ortega, disposto a tutto pur di non lasciare il potere. All’epoca del primo governo Ortega, Fernando Cardenal affermò – ricorda la Bbc – che avrebbe «commesso un grave peccato» se avesse lasciato il governo sandinista. «Non posso concepire che Dio mi chieda di abbandonare il mio impegno per la gente», disse in un’intervista.

 

Personalità notissima al tempo della guerra civile in Nicaragua, Fernando Cardenal fu sospeso `a divinis´ assieme al fratello per aver abbracciato la lotta armata con la quale il Comandante e poi presidente sandinista Daniel Ortega mise fine alla dittatura del dittatore Anastasio Somoza. Già durante la fase sandinista, prima di essere ministro dell’istruzione tra il 1984 e il 1990, Cardenal aveva promosso e coordinato una grande campagna di alfabetizzazione, che gli valse un riconoscimento mondiale da parte dell’Unesco.

Fernando fu il primo dei tre ex ministri a essere riaccolto nella Chiesa: nel 1997, dopo aver ripetuto un anno di noviziato tra i diseredati del Salvador, a 63 anni Cardenal fu riammesso a pieno titolo nell’ordine dei gesuiti, da cui era stato espulso nel 1984 proprio per aver fatto parte del governo sandinista. Nel 2014 papa Bergoglio annullò la sospensione a divinis a carico di d’Escoto e del fratello Ernesto, suscitando le ire dei cattolici tradizionalisti.

Una fotografia è un po’ il simbolo di quello che accadeva negli anni 80. Si vede Giovanni Paolo II all’aeroporto di Managua ammonire severamente Ernesto Cardenal.

Padre Ernesto Cardenal si inginocchia davanti a papa Wojtyla, che lo ammonisce severamente

Lo stesso Ernesto Cardenal, che oggi ha 91 anni, ricostruì inquesto modo l’accaduto in un’intervista a Vita del 2004: «Dopo i saluti di protocollo, compresi quelli della guardia d’onore e della bandiera, il papa chiese al presidente Daniel Ortega, se poteva salutare anche i ministri. Naturalmente gli fu detto di sì; così il Papa si diresse verso di noi. Affiancato da Daniel e dal cardinal Casaroli cominciò a dare la mano ai ministri e, quando si avvicinò a me, io feci quello che, anche su consiglio del Nunzio, avevo previsto di fare se si fosse verificato questo caso: togliermi il basco e inginocchiarmi per baciargli l’anello. Ma egli non permise che glielo baciassi e, brandendo il dito come fosse un bastone, mi disse in tono di rimprovero: “Lei deve regolarizzare la sua situazione”. Siccome io non risposi, tornò a ripetere la brusca ammonizione. E questo mentre eravamo inquadrati da tutte le telecamere del mondo. Ho l’impressione che tutto questo fu ben premeditato dal papa. E che le televisioni fossero avvisate. In realtà, era ingiusta la reprimenda del Papa perché io avevo regolarizzato la mia situazione con la Chiesa. Noi sacerdoti che avevamo incarichi nel governo eravamo stati autorizzati dai vescovi, che avevano reso pubblica la loro autorizzazione (fino a quando il Vaticano ci proibì di mantenere tali incarichi). E la verità è che ciò che più disgustava il papa della Rivoluzione del Nicaragua era che fosse una Rivoluzione che non perseguitava la Chiesa. Avrebbe voluto un regime come quello della Polonia, che era anticattolico in un Paese a maggioranza cattolica, e pertanto impopolare. Quello che neanche lontanamente avrebbe voluto era una Rivoluzione appoggiata massicciamente dai cristiani come era la nostra, in un Paese cristiano, e dunque una Rivoluzione molto popolare. E peggio ancora, la nostra era una Rivoluzione con dei sacerdoti».

E. Cardenal e papa Francesco

Ernesto Cardenal: «Io, poeta ispirato dalla Teologia della Liberazione dico che questo Papa è rivoluzionario»

di Alver Metalli
La sua popolarità la deve alla rivoluzione sandinista vittoriosa nel 1979, di cui fu animatore e ministro di governo nella prima giunta, ma anche al dito alzato di Giovanni Paolo II nel marzo del 1983, con cui il pontefice polacco lo redarguisce assieme al fratello Fernando nell’aeroporto di Managua, da poco ribattezzato Augusto Cesar Sandino. La fotografia di Ernesto Cardenal inginocchiato davanti al Papa con l’indice alzato fece il giro del mondo. Ed anche quel che successe dopo alla presenza di Giovanni Paolo II, nella piazza della rivoluzione di Managua, con centinaia di migliaia di persone e il coro sandinista davanti all’altare, sapientemente amplificato dal sistema televisivo, che scandiva «entre cistianismo y revolución no hay contraddicion», il celebre slogan coniato da Cardenal.
Sono passati trent’anni da quel momento e a vederlo oggi, 88enne, camminare lentamente appoggiato al tripode, incurvato e con la folta chioma bianca cinta dall’immancabile basco nero alla Che Guevara, si direbbe che il tempo è passato anche per lui, e che l’isolamento nell’isola di Solentiname, nel Lago Nicaragua, non l’abbia preservato dalla corruzione degli anni. Ma è una impressione esteriore, perché dopo le prime parole si capisce che Ernesto Cardenal non è cambiato affatto. Tra cristianesimo e rivoluzione non c’è proprio contraddizione, ripete imperterrito. «Non sono la stessa cosa, ma sono perfettamente compatibili. Si può essere cristiani e marxisti o scientifici» ribadisce mentre non nasconde la sua sorpresa per l’elezione di un Papa del suo stesso emisfero, anche se di qualche meridiano più a sud rispetto al Nicaragua. «Ero appena arrivato a Mendoza, in Argentina, lo scorso aprile quando un giornalista mi ha chiesto cosa pensassi del Papa argentino. Non potevo crederlo e per tre volte gli ho chiesto di chi stesse parlando» ricorda. «Non mi aspettavo proprio un Papa di questo continente, un Papa rivoluzionario in questo momento e per di più eletto da un collegio di cardinali conservatore».
Perché Ernesto Cardenal non ha dubbi che con lui, Francesco, le cose cambieranno in profondità. Sono cambiate, dice, stanno cambiando. «All’inizio non pensavo che potesse fare quello che sta facendo… qualcosa di veramente incredibile perché sta mettendo le cose al rovescio. O meglio, al loro posto, dove devono stare… Gli ultimi saranno i primi, ecco quello che sta facendo Francesco».
Su Ernesto Cardenal grava ancora la sospensione a divinis che gli venne inflitta dal cardinal Ratzinger nella sua veste di Prefetto della Congregazione per la dottrina della Fede. Ma la cosa non gli pesa. «La proibizione è per amministrare i sacramenti e io non mi sono fatto sacerdote per amministrare sacramenti e passarmela celebrando battesimi e matrimoni, ma per essere contemplativo». Ernesto Cardenal vive nella comunità contemplativa di Solentiname, in Nicaragua, che fondò negli anni 70 con Thomas Merton.
E se il successore di Benedetto XVI quel Papa “rivoluzionario” che elogia, gliela togliesse? Il “poeta della Teologia della Liberazione” come viene chiamato, non fa affatto salti di gioia. «Mi complicherebbe la vita…».
[Si ringrazia Leonardo Landi per la segnalazione]

Cardenal: “tra cristianesimo e rivoluzione non c’è contraddizione”

Ernesto Cardenal
La sua popolarità la deve alla rivoluzione sandinista vittoriosa nel 1979, di cui fu animatore e ministro di governo nella prima giunta, ma anche al dito alzato di Giovanni Paolo II nel marzo del 1983, con cui il pontefice polacco lo redarguisce assieme al fratello Fernando nell’aeroporto di Managua, da poco ribattezzato Augusto Cesar Sandino. La fotografia di Ernesto Cardenal inginocchiato davanti al Papa con l’indice alzato fece il giro del mondo. Ed anche quel che successe dopo alla presenza di Giovanni Paolo II, nella piazza della rivoluzione di Managua, con centinaia di migliaia di persone e il coro sandinista davanti all’altare, sapientemente amplificato dal sistema televisivo, che scandiva «entre cistianismo y revolución no hay contraddicion», il celebre slogan coniato da Cardenal.
Sono passati trent’anni da quel momento e a vederlo oggi, 88enne, camminare lentamente appoggiato al tripode, incurvato e con la folta chioma bianca cinta dall’immancabile basco nero alla Che Guevara, si direbbe che il tempo è passato anche per lui, e che l’isolamento nell’isola di Solentiname, nel Lago Nicaragua, non l’abbia preservato dalla corruzione degli anni. Ma è una impressione esteriore, perché dopo le prime parole si capisce che Ernesto Cardenal non è cambiato affatto. Tra cristianesimo e rivoluzione non c’è proprio contraddizione, ripete imperterrito. «Non sono la stessa cosa, ma sono perfettamente compatibili. Si può essere cristiani e marxisti o scientifici» ribadisce mentre non nasconde la sua sorpresa per l’elezione di un Papa del suo stesso emisfero, anche se di qualche meridiano più a sud rispetto al Nicaragua. «Ero appena arrivato a Mendoza, in Argentina, lo scorso aprile quando un giornalista mi ha chiesto cosa pensassi del Papa argentino. Non potevo crederlo e per tre volte gli ho chiesto di chi stesse parlando» ricorda. «Non mi aspettavo proprio un Papa di questo continente, un Papa rivoluzionario in questo momento e per di più eletto da un collegio di cardinali conservatore».
Perché Ernesto Cardenal non ha dubbi che con lui, Francesco, le cose cambieranno in profondità. Sono cambiate, dice, stanno cambiando. «All’inizio non pensavo che potesse fare quello che sta facendo… qualcosa di veramente incredibile perché sta mettendo le cose al rovescio. O meglio, al loro posto, dove devono stare… Gli ultimi saranno i primi, ecco quello che sta facendo Francesco».
Su Ernesto Cardenal grava ancora la sospensione a divinis che gli venne inflitta dal cardinal Ratzinger nella sua veste di Prefetto della Congregazione per la dottrina della Fede. Ma la cosa non gli pesa. «La proibizione è per amministrare i sacramenti e io non mi sono fatto sacerdote per amministrare sacramenti e passarmela celebrando battesimi e matrimoni, ma per essere contemplativo». Ernesto Cardenal vive nella comunità contemplativa di Solentiname, in Nicaragua, che fondò negli anni 70 con Thomas Merton.
E se il successore di Benedetto XVI quel Papa “rivoluzionario” che elogia, gliela togliesse? Il “poeta della Teologia della Liberazione” come viene chiamato, non fa affatto salti di gioia. «Mi complicherebbe la vita…». da http://albainformazione.wordpress.com
 
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