cinque milioni di poveri assoluti in Italia

il dramma del rapporto Caritas

in Italia 5 milioni di poveri assoluti

La povertà in Italia, nonostante quanto strillato da Di Maio nel settembre 2018, quando l’allora vice premier disse di averla “abolita”, attanaglia un milione e 800mila famiglie (il 7% dei nuclei familiari) per un totale di oltre 5 milioni di individui (l’8,4% della popolazione). I dati emergono dal report 2019 della Caritas Povertà ed esclusione sociale reso noto in occasione della Giornata Mondiale dei Poveri.

L’INCIDENZA DELLA POVERTA’ AL SUD 

Rispetto al 2017 i dati sono praticamente stabili: all’epoca infatti l’incidenza si attestava al 6,9% per le famiglie e all’8,4% per gli individui. Considerando invece il trend dal 2007 ad oggi, il numero dei poveri ha registrato un incremento del 181% (+121% sulle famiglie). Il dato peggiore arriva dal Mezzogiorno: nel Sud e nelle Isole l’incidenza della povertà assoluta sugli individui raggiunge rispettivamente l’11,1% e il 12,0% a fronte di valori molto più contenuti registrati nel Centro (6,6%) e nel Nord (6,8%).

I WORKING POOR 

A preoccupare sono i numeri dei cosiddetti “working poor”, aumentati nel corso del 2018. Cresce infatti la situazione di criticità delle famiglie il cui capofamiglia è impiegato come operaio o assimilato: tra queste risulta povero in termini assoluti il 12,3% del totale. Altro allarme arriva dal confronto tra le famiglie di operai di oggi e quelle antecedenti al 2008, in dieci anni infatti l’incidenza della povertà assoluta è aumentata del 624%, passando dall’1,7% del 2007 al 12,3% di oggi.

I DISOCCUPATI 

Come pronosticatile tra i disoccupati la povertà assoluta arriva oggi al 27,6%. Ad incidere sulla situazione dei disoccupati sono il livello di istruzione, l’ampiezza del nucleo familiare e l’eventuale presenza di figli minori, lo stato di disoccupazione e, in caso di occupazione, il tipo di lavoro svolto.

L’ITALIA IN EUROPA 

Il Belpaese è la sesta nazione a maggior rischio di povertà d’Europa (27,3%), dopo Bulgaria (32,8%), Romania (32,5%), Grecia (31,8%), Lettonia (28,4%) e Lituania (28,3%). Dietro di noi c’è la Spagna (26,1%) 

in Italia triplicati i poveri parola di Caritas

la povertà è triplicata in Italia

l’allarme della Caritas: un povero su due ha meno di 34 anni

In Italia, dagli anni pre-crisi ad oggi, c’è stato un aumento del 182 per cento dei poveri assoluti. Pesa la mancanza di istruzione e non solo tra i giovani

La povertà è triplicata in Italia. L'allarme della Caritas: un povero su due ha meno di 34 anni

globalist 17 ottobre 2018www.redattoresociale.it

La povertà assoluta in Italia è quasi triplicata dagli anni pre-crisi ad oggi: negli ultimi dieci anni è aumentata del 182 per cento, “un dato che dà il senso dello stravolgimento avvenuto per effetto della recessione economica”. È il nuovo rapporto 2018 di Caritas Italiana sulla povertà e sulle politiche di contrasto presentato oggi a Roma a dare le dimensioni di un fenomeno che anno dopo anno, nonostante le misure introdotte ad oggi, non fa che crescere. “In Italia il numero dei poveri assoluti continua ad aumentare – spiega la Caritas -, passando da 4 milioni e 700 mila del 2016 a 5 milioni e 58 mila del 2017, nonostante i timidi segnali di ripresa sul fronte economico e occupazionale”.

Sempre più poveri tra minori e giovani. Sono soprattutto i giovani a soffrirne negli anni successivi alla crisi economia e finanziaria che ha colpito l’intero occidente negli anni scorsi. “Da circa un lustro la povertà tende ad aumentare al diminuire dell’età – spiega la Caritas -, decretando i minori e i giovani come le categorie più svantaggiate (nel 2007 il trend era esattamente l’opposto). Tra gli individui in povertà assoluta i minorenni sono 1 milione e 208 mila (il 12,1 per cento del totale) e i giovani nella fascia 18-34 anni 1 milione e 112 mila (il 10,4 per cento): oggi quasi un povero su due è minore o giovane”. Per quanto riguarda la cittadinanza, aggiunge il rapporto, la povertà assoluta si mantiene al di sotto della media tra le famiglie di soli italiani (5,1 per cento), “sebbene in leggero aumento rispetto allo scorso anno”, precisa la Caritas. Livelli molto elevati di povertà, invece, si riscontrano tra i nuclei con soli componenti stranieri (29,2 per cento). “Lo svantaggio degli immigrati non costituisce un elemento di novità e nel 2017 sembra rafforzarsi ulteriormente – spiega la Caritas -. Volendo semplificare, tra i nostri connazionali risulta povera una famiglia su venti, tra gli stranieri quasi una su tre”.

L’istruzione continua ad essere tra i fattori che più influiscono (oggi più di ieri) sulla condizione di povertà, spiega la Caritas. I dati nazionali dei centri di ascolto, infatti, dimostrano anche una associazione tra livelli di istruzione e cronicità della povertà. “Esiste uno zoccolo duro di disagio che assume connotati molto simili a quelli esistenti prima della recessione – spiega Francesco Soddu, direttore di Caritas Italiana -, con la sola differenza che oggi il fenomeno è sicuramente esteso a più soggetti. Si tratta, dunque, di un esercito di poveri in attesa, che non sembra trovare risposte e le cui storie si connotano per una cronicizzazione e multidimensionalità dei bisogni davvero pericolose”. Secondo il rapporto, infatti, dal 2016 al 2017 si aggravano le condizioni delle famiglie in cui la persona di riferimento ha conseguito al massimo la licenza elementare (passando dal 8,2 per cento al 10,7 per cento). Al contrario i nuclei dove il “capofamiglia” ha almeno un titolo di scuola superiore registrano valori di incidenza della povertà molto più contenuti (3,6 per cento). Particolarmente accentuato, nel nostro paese, anche il legame tra povertà educativa minorile e povertà. Per Soddu, si tratta di un “fenomeno principalmente ereditario  – spiega -, che a sua volta favorisce la trasmissione intergenerazionale della povertà economica”. Il dossier della Caritas, infatti, evidenzia situazioni di maggior svantaggio “proprio nelle regioni del Mezzogiorno che registrano i più alti livelli di povertà assoluta – si legge nel rapporto -. Al Sud e nelle Isole c’è una minore copertura di asili nido, di scuole primarie e secondarie con tempo pieno, una percentuale più bassa di bambini che fruiscono di offerte culturali e/o sportive e al contempo una maggiore incidenza dell’abbandono scolastico”.

La povertà educativa colpisce anche gli adulti. Ad approfondire il tema, un’indagine sperimentale condotta sull’utenza Caritas in Germania, Grecia, Italia e Portogallo. “Limitando l’analisi ai tre Paesi che condividono una comune classificazione dei livelli scolastici (Grecia, Italia e Portogallo) si conferma una situazione di forte debolezza scolastica degli utenti Caritas – continua il rapporto -: in media, l’11,4 per cento è analfabeta o non possiede nessun titolo scolastico. Solo una esigua minoranza del campione (10,2 per cento) è in possesso di un titolo di scuola media superiore. Il titolo di studi più diffuso in tutti i Paesi esaminati tuttavia è la licenza media inferiore (38,1 per cento)”. L’analisi mostra una forte correlazione tra l’assenza di titoli di studio e situazione reddituale della famiglia. “Se nel campione complessivo quasi la metà delle persone risulta privo di una fonte stabile di entrate economiche, l’assenza totale di reddito appare più preoccupante nel caso delle persone che hanno un capitale formativo molto basso: si giunge infatti a sfiorare l’ottanta percento delle persone senza titoli di studio che, allo stesso tempo, non possono godere di nessun tipo di entrata economica”. Secondo la Caritas, si tratta di una popolazione di elevata marginalità sociale, in quanto all’assenza di lavoro si somma la quasi totale insufficienza del capitale formativo. “In termini assoluti, questo tipo di utenti, in evidente situazione di esclusione sociale, è pari al 4 per cento dell’intero campione – spiega il rapporto -. Si tratta quindi di un piccolo gruppo di persone per le quali è tuttavia necessario un duplice intervento, per favorire la ricerca di un lavoro e al tempo stesso il raggiungimento di un livello formativo idoneo”.

la paura è una brutta consigliera … costruire ‘comunità accoglienti’

comunità accoglienti 

uscire dalla paura

lettera alle comunità cristiane

a 25 anni dal documento “Ero forestiero e mi avete ospitato” (1993-2018)

  1. Introduzione

Venticinque anni fa, la Commissione ecclesiale per le migrazioni pubblicava il documento Ero forestiero e mi avete ospitato, interpretando e accompagnando il fenomeno dell’immigrazione nei suoi inizi e sviluppi in Italia “con gli occhi della fede”. A venticinque anni di distanza avvertiamo la necessità, come pastori, di condividere una riflessione sul tema dell’immigrazione: parola di aiuto al discernimento comunitario, di stimolo a rendere la nostra fede capace, ancora una volta, di incarnarsi nella storia, di gratitudine e di incoraggiamento a quelle comunità che già hanno accolto.

Ciò che ci spinge a prendere nuovamente la parola è il profondo cambiamento che in questi anni continua a segnare il fenomeno migratorio nel nostro Paese, per rispondere nuovamente alla domanda del Signore a Caino, richiamata da papa Francesco nel suo viaggio a Lampedusa: “Dov’è tuo fratello?” (Gn 4,9).

  1. L’immigrazione nel 1993

L’immigrazione nel 1993 era un fenomeno “nuovo” ed emergente, di cui non si riusciva ancora a cogliere le dimensioni e le prospettive. Secondo i dati del Ministero dell’Interno gli immigrati regolari in Italia erano infatti 987.405, in maggioranza europei dell’Unione Europea e dell’Europa orientale (36,85%); seguivano gli africani (29,13%), gli asiatici (17,47%) e gli americani (15,95%); 559.294 erano stati i permessi di soggiorno per lavoro e 144.410 per ricongiungimento familiare; 7.476 le richieste d’asilo, 65.385 erano gli studenti nelle scuole1; 10.000 i matrimoni misti e tra stranieri (3% del totale); 17.000 i nati nelle famiglie con almeno un genitore straniero2.

  1. L’immigrazione nel 2018

Dal 1993 ad oggi l’immigrazione è diventata nel nostro Paese un fenomeno sorprendente nel suo incremento, anche se negli ultimi anni esso si è fermato ed è aumentato invece il numero degli emigranti italiani.

Gli immigrati in Italia hanno infatti raggiunto e superato all’inizio del 2016 il numero di 5 milioni con un’incidenza sulla popolazione totale pari all’8,3%. Non dimentichiamo che il 52,6% di questi sono donne, portatrici di esigenze e sensibilità specifiche, e che nel 2016 sono arrivati in Italia più di 25.000 minori stranieri non accompagnati. Nel complesso, oltre il 50% dei migranti proviene da un Paese dell’Unione o dagli Stati dell’Europa Centro-Orientale non appartenenti all’Unione; il 22,9% del totale proviene da un solo Paese europeo, la Romania, e con cinque Paesi (Romania, Albania, Marocco, Cina e Ucraina) che da soli hanno oltre il 50% dei migranti. Considerando le ripartizioni territoriali, nell’insieme delle regioni del Nord risiede il 58,6% del totale della popolazione straniera;.2.400.000 sono i lavoratori e oltre 550.000 gli imprenditori immigrati; quasi 815.000 sono gli studenti stranieri nelle nostre scuole, di cui oltre il 50% nato in Italia. Nel 2016 circa 24.000 sono stati i matrimoni misti o tra immigrati (14,1% del totale dei matrimoni); 72.000 i nuovi nati da famiglie straniere (14,8% sul totale)3. Alla fine del 2017 erano in accoglienza nel nostro Paese 183.681 richiedenti asilo e rifugiati: appena il 3 per mille dei residenti4.

Mentre nell’ultimo triennio il numero degli immigrati è rimasto pressoché stabile ed è cresciuto il numero dei richiedenti asilo, il numero degli emigranti italiani è continuato a crescere: nell’ultimo anno oltre 124 mila italiani hanno spostato la loro residenza oltreconfine5; secondo l’OCSE l’Italia è all’ottavo posto nella graduatoria mondiale dei Paesi di provenienza dei nuovi immigrati. Non possiamo poi dimenticare che a fronte di 5 milioni di immigrati in Italia, 5 milioni di italiani sono oggi emigranti nei cinque continenti alla ricerca di un lavoro e di una vita dignitosa.

  1. Immigrazione, sfida pastorale

Nel Messaggio per la Giornata mondiale del Migrante e del Rifugiato 2018 papa Francesco, in continuità con il Magistero di Papa Benedetto e del Santo Papa Giovanni Paolo II, ha ribadito che «tutti i credenti e gli uomini e le donne di buona volontà sono chiamati a rispondere alle numerose sfide poste dalle migrazioni contemporanee con generosità, alacrità, saggezza e lungimiranza, ciascuno secondo le proprie responsabilità»6. I Vescovi italiani – negli Orientamenti pastorali per il decennio 2010-2020 – hanno ricordato che il fenomeno delle migrazioni è «senza dubbio una delle più grandi sfide educative»7. Siamo consapevoli che nemmeno noi cristiani, di fronte al fenomeno globale delle migrazioni, con le sue opportunità e i suoi problemi, possiamo limitarci a risposte prefabbricate, ma dobbiamo affrontarlo con realismo e intelligenza, con creatività e audacia, e al tempo stesso, con prudenza, evitando soluzioni semplicistiche. Riconosciamo che esistono dei limiti nell’accoglienza. Al di là di quelli dettati dall’egoismo, dall’individualismo di chi si rinchiude nel proprio benessere, da una economia e da una politica che non riconosce la persona nella sua integralità, esistono limiti imposti da una reale possibilità di offrire condizioni abitative, di lavoro e di vita dignitose. Siamo, inoltre, consapevoli che il periodo di crisi che sta ancora attraversando il nostro Paese rende più difficile l’accoglienza, perché l’altro è visto come un concorrente e non come un’opportunità per un rinnovamento sociale e spirituale e una risorsa per la stessa crescita del Paese. «L’opera educativa – hanno ricordato sempre i Vescovi italiani – deve tener conto di questa situazione e aiutare a superare paure, pregiudizi e diffidenze, promuovendo la mutua conoscenza, il dialogo e la collaborazione. Particolare attenzione va riservata al numero crescente di minori, nati in Italia, figli di stranieri»8. Per quanto riguarda nello specifico l’educazione dei giovani all’integrazione, sembra importante richiamare qui il ruolo che potrebbero avere alcune delle realtà che ruotano attorno alle parrocchie, in particolare quella degli oratori e dell’associazionismo.

Vogliamo ricordare inoltre che il primo diritto è quello di non dover essere costretti a lasciare la propria terra. Per questo appare ancora più urgente impegnarsi anche nei Paesi di origine dei migranti, per porre rimedio ad alcuni dei fattori che ne motivano la partenza e per ridurre la forte disuguaglianza economica e sociale oggi esistente.

  1. Siate premurosi nell’ospitalità” (Rm 12,13)

La realtà del fenomeno, la sua complessità, le domande che suscita, chiedono alle nostre comunità di avviare “processi educativi” che vadano al di là dell’emergenza, verso l’edificazione di comunità accoglienti capaci di essere “segno” e “lievito” di una società plurale costruita sulla fraternità e sul rispetto dei diritti inalienabili di ogni persona, come ci ricorda papa Francesco nella Evangelii gaudium: «Si tratta di privilegiare le azioni che generano nuovi dinamismi nella società e coinvolgono altre persone e gruppi che le porteranno avanti, finché fruttifichino in importanti avvenimenti storici. Senza ansietà, però con convinzioni chiare e tenaci»9.

a. Le migrazioni “segno dei tempi”

Un processo che inizia con un atto di umiltà e di ascolto di ciò che l’immigrazione, con i suoi volti, le sue storie, le sue domande dice a noi, comunità cristiane. Si tratta di cogliere le migrazioni come “un segno dei tempi”10, come hanno ricordato gli ultimi Pontefici: un luogo frequentato da Dio, che chiede al credente di “osare” la solidarietà, la giustizia e la pace.

Leggere le migrazioni come “segno dei tempi” richiede innanzitutto uno sguardo profondo, uno sguardo capace di andare oltre letture superficiali o di comodo, uno sguardo che vada “più lontano” e cerchi di individuare il perché del fenomeno. Prima ancora di “aprire” o “chiudere” gli occhi davanti allo straniero è necessario interrogarsi sulle cause che lo muovono, anche se – e forse proprio perché – oggi appare più difficile che mai riuscire a distinguere quanti fuggono da guerre e persecuzioni da quanti sono mossi dalla fame o dai cambiamenti climatici. Papa Francesco ci ricorda la necessità di «avere “una sempre vigile capacità di studiare i segni dei tempi”. Si tratta di una responsabilità grave, giacché alcune realtà del presente, se non trovano buone soluzioni, possono innescare processi di disumanizzazione da cui poi è difficile tornare indietro»11. Si tratta di prendere coscienza dei meccanismi generati da un’economia che uccide e della inequità che genera violenza: «Quando la società – locale, nazionale o mondiale – abbandona nella periferia una parte di sé, non vi saranno programmi politici, né forze dell’ordine o di intelligence che possano assicurare illimitatamente la tranquillità»12. Significa riscoprire la capacità di pensare in grande per agire “politicamente” in senso forte e responsabile, così da colpire efficacemente, ovunque si trovino, poteri e persone che prosperano sulla morte degli altri, cominciando dai trafficanti di armi fino a quelli di esseri umani.

b. Uno sguardo purificato

Occorre avere uno sguardo diverso di fronte a coloro che bussano alle nostre porte, che inizia da un linguaggio che non giudica e discrimina prima ancora di incontrare. I termini stessi che spesso ancora utilizziamo per parlare di immigrati (clandestini, extracomunitari…) portano in sé una matrice denigratoria Se noi siamo parte di una comunità, essi ne sono esclusi.

c. Per una “convivialità delle differenze”

Incontrare un immigrato significa fare i conti con la diversità. La prima diversità è quella fisica, la più visibile: «La sua singolarità colpisce: quegli occhi, quelle labbra, quegli zigomi, quella pelle diversa dalle altre lo distinguono e ricordano che si ha a che fare con qualcuno. […] quel volto così altro porta il segno di una soglia»13. Egli è l’altro, non è colui che scegliamo di invitare a casa nostra, bensì colui che si erge, non scelto, davanti a noi: è colui che giunge a noi portato semplicemente dall’accadere degli eventi.

In questo incontro emerge la paura. Anzi, due paure si ritrovano a confronto: la mia paura e quella che prova lo straniero. La sua paura è quella di chi è venuto in un mondo a lui radicalmente estraneo, dove non è di casa e non ha casa, un mondo di cui non conosce nulla. La mia è quella di ritrovarmi di fronte ad uno sconosciuto che è entrato nella “mia” terra, che è presente nel “mio” spazio e che, nonostante sia solo, mi lascia intravvedere che forse molti altri lo seguiranno. «Queste paure sono legittime, fondate su dubbi pienamente comprensibili da un punto di vista umano. Avere dubbi e timori non è un peccato. Il peccato è lasciare che queste paure determinino le nostre risposte, condizionino le nostre scelte, compromettano il rispetto e la generosità, alimentino l’odio e il rifiuto. Il peccato è rinunciare all’incontro con l’altro, all’incontro con il diverso, all’incontro con il prossimo, che di fatto è un’occasione privilegiata di incontro con il Signore»14.

d. Dalla paura… all’incontro

Le paure si possono vincere solo nell’incontro con l’altro e nell’intrecciare una relazione. È un cammino esigente e a volte faticoso a cui le nostre comunità non possono sottrarsi, ne va della nostra testimonianza evangelica. Si tratta di riconoscere l’altro nella sua singolarità, dignità, valore umano inestimabile, di accettarne la libertà; significa riconoscere la sua peculiarità (di sesso, di età, di religione, di cultura,…) e desiderare di fargli posto, di accettarlo. Tutto ciò senza rinnegare la nostra cultura e le nostre tradizioni, ma riconoscendo che ve ne sono altre ugualmente degne. Scopriremo una ricchezza inaspettata: occhi nuovi per guardare realtà note; tradizioni e abitudini diverse che aiutano a valutare le nostre; sofferenze patite che ci rivelano quanto accade lontano da noi.

Tutto questo lo sanno bene quelle comunità e parrocchie che in questi anni hanno deciso in vario modo di accogliere, anche a seguito dell’appello di papa Francesco del settembre 2015, appello che sta ancora producendo i suoi frutti. Per questo è nostra intenzione promuovere nei primi mesi del prossimo anno un meeting di queste realtà di accoglienza.

e. Dall’incontro… alla relazione

Da un incontro vero nasce la relazione e il dialogo: non più una semplice conoscenza dell’altro, non più solo un confronto di identità, ma una conoscenza “simpatica” dei valori dell’altro. Un dialogo che non ha come fine l’uniformità, ma il camminare insieme, il ricercare un “con-senso”, un senso condiviso a partire da presupposti differenti. è nel dialogo, allora, che si modificano i pregiudizi, le immagini, gli stereotipi, e siamo indotti a riflettere sui nostri condizionamenti culturali, storici, psicologici, sociologici: siamo interrogati sulle nostre certezze e sulla nostra identità. Nel dialogo, aperto alle persone di altre Chiese e di altre religioni, si allarga anche la comunione e la fraternità. Questo è l’inizio di un cammino che può trasformare la possibilità della convivenza in una scelta consapevole. L’immigrazione, con le reazioni di rigetto che talvolta suscita, mette in luce un atteggiamento presente nelle società occidentali e che non le è direttamente connesso: il crescente individualismo, che sempre più spesso si manifesta anche fra connazionali e addirittura all’interno delle famiglie.

f. Dalla relazione… all’interazione

è questo il passaggio più difficile. L’integrazione15 è un processo che non assimila, non omologa, ma riconosce e valorizza le differenze; che ha come obiettivo la formazione di società plurali in cui vi è riconoscimento dei diritti, in cui è permessa la partecipazione attiva di tutti alla vita economica, produttiva, sociale, culturale e politica, avviando processi di cittadinanza e non soltanto di mera ospitalità. «In conformità con la sua tradizione pastorale, la Chiesa – scrive papa Francesco – è disponibile ad impegnarsi in prima persona per realizzare tutte le iniziative (…), ma per ottenere i risultati sperati è indispensabile il contributo della comunità politica e della società civile, ciascuno, secondo le responsabilità proprie»16. L’opera della Chiesa nel campo della mobilità umana non può che essere sussidiaria all’azione dello Stato e delle istituzioni internazionali.

  1. Conclusione

«La civiltà ha fatto un passo decisivo – scriveva il cardinale e teologo Jean Daniélou – forse il passo decisivo, il giorno in cui lo straniero, da nemico (hostis) è divenuto ospite (hospes) […]. Il giorno in cui nello straniero si riconoscerà un ospite, allora qualcosa sarà mutato nel mondo»17. È il passo che le nostre comunità devono saper compiere, non dimenticando l’importanza dell’ospitalità che porta all’incontro: «Alcuni, praticandola, hanno accolto degli angeli senza saperlo» (Eb 13,2).

Roma, 20 maggio 2018

Solennità di Pentecoste

CEMi – Commissione Episcopale per le Migrazioni della CEI

1 I dati riportati sono presenti in: Caritas di Roma, Dossier Statistico Immigrazione 1994, Anterem Edizioni Ricerca, Roma, 1994.

2 Cfr. Istat, Rapporto annuale. La situazione del Paese 1993; Istat, Rapporto annuale. La situazione del Paese 1994.

3 I dati riportati sono presenti in: Caritas e Migrantes, Rapporto Immigrazione 2016, Tau Editrice, Todi (PG), 2017.

4 Fondazione Migrantes, Il Diritto d’Asilo 2018 “Accogliere, proteggere, promuovere, integrare”, Tau Editrice, Todi (PG), 2018.

5 Fondazione Migrantes, Rapporto Italiani nel Mondo 2017, Tau Editrice, Todi (PG), 2017.

6 Papa Francesco, Messaggio per la 104a Giornata mondiale del Migrante e del Rifugiato 2018.

7 Cei, Educare alla vita buona del Vangelo. Orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano per il decennio 2010-2020, Roma, 2010, n. 14.

8 Ibidem.

9 Papa Francesco, Evangelii gaudium, n. 222.

10 Papa Francesco, Messaggio per la 104a Giornata mondiale del Migrante e del Rifugiato 2018; Benedetto XVI, Messaggio per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato 2006.

11 Papa Francesco, Evangelii gaudium, n. 51.

12 Ivi, n. 59.

13 J. Kristeva, Stranieri a noi stessi. L’Europa, l’altro, l’identità, Donzelli, Milano 2014, p. 7.

14 Papa Francesco, Omelia 14 gennaio 2018.

15 «Intesa come processo bidirezionale che riconosce e valorizza la ricchezza della cultura dell’altro» (Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale, Rispondere ai rifugiati e ai migranti. Venti punti di azione pastorale, 2018).

16 Papa Francesco, Messaggio per la 104a Giornata mondiale del Migrante e del Rifugiato 2018.

17 J. Danielou (1905-1974), Pour une théologie de l’hospitalité, in La vie spirituelle 367 (1951), p. 340.

raddoppiati i poveri in pochi anni

IL RAPPORTO CARITAS 2015

  in sette anni raddoppiati i poveri

povertà

 Erano poco meno di due milioni nel 2007; sono risultati essere oltre 4 milioni nel 2014. Colpiti anche il Nord, i giovani e chi un lavoro comunque ce l’ha. La Caritas italiana chiede di nuovo l’introduzione del Reis, il Reddito di inclusione sociale proposto dall’Alleanza contro la povertà
E’ raddoppiata in sette anni. Dal 2007, anno in cui la crisi iniziò a mordere, al 2014 la povertà assoluta, in Italia, ha colpito un numero crescente di pesone, passando da 1,8 a 4,1 milioni di persone. Dal punto di vista percentuale si è saliti dal 3,1% al 6,8% della popolazione. È quanto emerge dal Rapporto 2015 sulle politiche contro la povertà in Italia curato dalla Caritas italiana in collaborazione con l’Università Cattolica, presentato oggi a Roma. Sono mutati anche geografia e volti della povertà (per vedere la tabella riassuntiva clicca qui). Prima della crisi era un fenomeno circoscritto sostanzialmente al Meridione, ora riguarda anche il Nord. Prima penalizzava soltanto gli anziani, ora anche i giovani. Prima riguardava le famiglie con almeno tre figli, adesso anche quelle con due. Prima si era poveri perché senza lavoro, ora si è poveri anche con il lavoro. E a pagare il prezzo più alto, durante la crisi, sono stati i più poveri tra i poveri: il 10% delle persone in povertà assoluta ha sperimentato una contrazione maggiore del proprio reddito (-27%) s uperiore a quella del 90% della popolazione.

In questi anni, rivela il Rapporto intitolato Dopo la crisi, costruire il welfare, sono cambiati i governi, ma le politiche sociali non hanno contribuito a risolvere la situazione, che rischia di diventare strutturale se non viene messo in piedi un sistema di welfare pubblico. Il Rapporto analizza nel dettaglio la situazione socio-politica. «Per poter valutare l’operato del Governo guidato da Matteo Renzi nei confronti della povertà è opportuno considerare la realtà delle politiche contro la povertà prima del suo arrivo, cioè l’eredità lasciata dai suoi predecessori». si legge. «Primo, l’Italia è l’unico Paese europeo, insieme alla Grecia, privo di una misura nazionale mirata a sostenere l’intera popolazione in povertà assoluta. Secondo, l’attuale sistema di interventi pubblici risulta del tutto inadeguato per volume di risorse economiche dedicate e frantumato in una miriade di prestazioni non coordinate, suddivise tra una varietà di categorie e con caratteristiche diverse. Terzo, la gran parte dei finanziamenti pubblici disponibili è dedicata a prestazioni monetarie nazionali mentre i servizi alla persona, di titolarità dei Comuni che poi coinvolgono anche il terzo settore, sono sottofinanziati. Quarto, la distribuzione della spesa pubblica è decisamente sfavorevole ai poveri: l’Italia ha una percentuale di stanziamenti dedicati alla lotta alla povertà inferiore alla media dei Paesi dell’area euro».

Cos’è cambiato durante la crisi? «In termini strutturali nulla», viene risposto nel Rapporto, «poiché nel periodo 2007-2014 non sono state introdotte novità degne di nota. L’unica misura stabile introdotta nel periodo è stata la Social Card, attiva dal 2008, che non ha modificato in misura significativa il quadro delineato, data l’esiguità tanto degli importi previsti quanto del numero di poveri raggiunti. In parallelo, le già ridotte risposte esistenti sono state ulteriormente indebolite dalle politiche di austerità rivolte ai Comuni, che li hanno portati a contrarre la loro spesa sociale, già molto scarsa. Oggi ci troviamo, dunque, di fronte a una povertà diffusa e a un welfare pubblico ancora del tutto inadeguato».

E Renzi? «L’attuale Governo ha sinora introdotto alcuni interventi per supportare il reddito delle famiglie rivolti prevalentemente a fasce più ampie della popolazione ma che, in varia misura, riguardano anche i nuclei in povertà: il bonus di 80 euro per i lavoratori dipendenti, il bonus bebè per famiglie con figli entro i tre anni, il bonus per le famiglie numerose e l’Asdi. L’insieme degli interventi di sostegno al reddito sinora varati restituisce un quadro piuttosto chiaro. Ai poveri viene fornito qualche sollievo – concede il Rapporto Caritas -, che si traduce in un complessivo incremento medio di reddito pari al 5,7%, risultato migliore rispetto ai precedenti Governi. Si tratta, però, di un avanzamento marginale e non privo – per come è stato disegnato – di controindicazioni. Pertanto, la valutazione d’insiemenon può che essere la seguente: in materia di sostegno al reddito l’attuale esecutivo, ad oggi, non si è discostato in misura sostanziale dai suoi predecessori e ha confermato la tradizionale disattenzione della politica italiana nei confronti delle fasce più deboli di popolazione.

«Occorre decidere se si vuole o meno dar vita ad un sistema fondato su una misura rivolta a chiunque sia in povertà assoluta, un livello essenziale costituito da un mix tra diritti nazionali e risposte disegnate dalla rete dei servizi locali e dotato di finanziamenti adeguati», termina il Rpporto: «un sistema, in altre parole, come quello previsto dal Reddito d’inclusione sociale (Reis), proposto dall’Alleanza contro la povertà in Italia e del quale la Caritas italiana auspica l’introduzione»

povertà a LUCCA

 

La povertà è un’emergenza: 1.500 famiglie ai centri Caritas

Il rapporto annuale dell’organismo diocesano fotografa una situazione drammatica

Il vescovo Castellani

Il vescovo Castellani

Lucca, 22 novembre 2013 

Un dato su tutti: nell’ultimo anno ai Centri ascolto «Caritas» della Lucchesia hanno chiesto aiuto ben 1.500 persone, un terzo un più rispetto all’anno precedente. Ognuno portavoce delle istanze di una famiglia con almeno un figlio: lo specchio statistico riflette dunque un popolo di almeno 4.500 persone che nella nostra provincia sono in cerca di un sostegno e, nel 70 per cento dei casi, anche di un lavoro. L’emergenza non arretra di un passo, secondo quanto rivela l’ultimo report sulla povertà della Caritas, significativamente intitolato «Forti nella speranza». Ormai non si tratta solo più di immigrati in cerca di «primo approdo». Quasi un caso su due parla italiano, e tra gli italiani uno su quattro si trova in una situazione di frattura familiare, diviso dal coniuge.
Padri separati che si rifugiano in alloggi di fortuna e, dall’altra parte di un fossato che si divarica, madri che non ricevono l’assegno di mantenimento e non sanno come mettere in tavola la cena per sè e e per i figli. La crisi avanza e non ne fa mistero il vescovo Italo Castellani che ha dovuto ritagliare uno spazio apposito da dedicare all’ascolto nel centro Caritas.  «Fino a qualche tempo fa il venerdì la mia porta era sempre aperta per chi aveva dei problemi su cui confrontarsi — ha dichiarato monsignor Castellani —. Oggi, purtroppo, il fronte dell’emergenza si è notevolmente allargato e ogni 15 giorni ho creato uno spazio al centro Caritas dedicato a chi cerca risposte. E’ in atto una forte crisi non solo dal punto di vista economico, ma anche dei valori, morali, spirituali e culturali. E c’è un altro campanello d’allarme che suona fortissimo: l’aumento della rassegnazione e, di conseguenza, del numero degli inoccupati, coloro che hanno rinunciato a trovare un lavoro». La classe media è nel vortice di una crisi che non molla, e i bisogni che rappresenta sono quelli essenziali: il cibo e l’abitare.
«La povertà ha un nuovo identikit — ha spiegato Donatella Turri, direttrice della Caritas Lucca —. Attraversa tutta la società, bussa a casa di chi fino all’altro giorno ha avuto un buon tenore di vita e di colpo dalla vita ha ricevuto un fendente violento e improvviso che l’ha gettato nel baratro. E i parenti aiutano, ma le risorse non sono infinite». La povertà colpisce soprattutto sotto i 34 anni, e il dato rivela tutta la difficoltà di entrare nel mondo del lavoro, anche da laureati. In seconda battuta chi ha sotto i 44 anni, mentre è leggermente più clemente nella fascia intermedia, per poi tornare a colpire duro nella zona degli ultra 65enni. Gli stranieri in cerca di aiuto sono soprattutto marocchini, poi romeni, originari dello Sri Lanka, albanesi, ucraini e, in ultimo, tunisini.
«Di solito — afferma la dottoressa Elisa Matutini che ha collaborato alla stesura del resoconto — la richiesta va nella direzione di una ricerca di autonomia. Prima ancora che sussidi economici e viveri, cercano un lavoro full time. E, purtroppo, una volta che si sono affacciati ai nostri centri di ascolto, in un caso su due ritornano perché il problema negli anni non si è risolto». I numeri lo confermano. I 20 centri di ascolto della Caritas nel 2000 accoglievano 109 persone; nel 2005 sono saliti 827, nel 2012 quasi il doppio, 1.500. La fame di lavoro non trova appagamento: in provincia oggi sono quasi 20mila le persone in cerca di occupazione di cui 3.400 stranieri. E poi l’emergenza sfratti: nel 2012 sono stati ben 377 nella nostra provincia, più di uno al giorno. Peggio del 2011 (358), molto peggio dell’anno in cui è iniziata la crisi, il 2008 (218). Le famiglie non riescono a far fronte a bollette, affitti, spese vive necessarie. E i provvedimenti di sgombero coatto delle abitazioni si moltiplicano

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