a Roma 150 vescovi del Sinodo rinnovano il “Patto delle Catacombe” per una Chiesa povera
Un gruppo di partecipanti all’assise sull’Amazzonia e di altre iniziative parallele, guidati da monsignor Kräutler, si ritroveranno nelle Catacombe di Santa Domitilla per rinnovare le promesse fatte nel 1965 da 42 Padri Conciliari
di Salvatore Cernuzio
Circa 150 partecipanti al Sinodo dell’Amazzonia si incontreranno questa domenica 20 ottobre per rinnovare il cosiddetto “Patto delle Catacombe”, il documento che quarantadue vescovi e cardinali, soprattutto latinoamericani, firmarono il 16 novembre 1965, a pochi giorni dalla conclusione del Concilio Vaticano II, per impegnarsi a vivere in povertà e servizio e mettere i poveri al centro del loro ministero. Si pensa che fu proprio questo atto ad aver ispirato la Teologia della Liberazione, sorta poi negli anni seguenti.
L’incontro avvenne nelle Catacombe di Santa Domitilla, sulla via Ardeatina a Roma. È lì che si recheranno in carovana domenica mattina, intorno alle 7, i Padri del Sinodo – principalmente brasiliani e colombiani – insieme ai partecipanti di altre iniziative concomitanti all’assise come “Amazzonia, Casa Comune” con base nella parrocchia di Santa Maria in Traspontina.
Nella basilica semi sotterranea dedicata ai martiri Nereo e Achilleo, sarà firmato un nuovo documento che, secondo il sito brasiliano Dom Total, avrà il titolo di “Patto delle Catacombe per la Casa comune”. In esso confluiranno quindi i temi trattati dal Sinodo per la Regione pan-Amazzonica in corso in Vaticano.
Quello di domenica sarà, dunque, un evento parallelo. A guidarlo sarà l’arcivescovo austriaco naturalizzato brasiliano, Erwin Kräutler, pastore emerito della prelatura di Xingu, tra i protagonisti di questo Sinodo. La messa verrà presieduta invece dal cardinale Claudio Hummes. La celebrazione come pure l’atto della firma si svolgeranno in forma privata e non sarà consentita la partecipazione della stampa.
L’iniziativa è stata preparata «alcuni mesi prima» dell’inizio del Sinodo, come spiega a Vatican Insider l’organizzatore padre José Oscar Beozzo. «Il 16 novembre 2015, abbiamo celebrato i 50 anni del “Patto” firmato nelle Catacombe di Santa Domitilla. Con il Sinodo, alcuni vescovi di Brasile, Colombia, Ecuador hanno voluto riprendere il “Patto” e rinnovarlo nel contesto amazzonico alla luce delle sfide di oggi».
I presuli firmatari hanno quindi tenuto diverse riunioni per comporre il nuovo testo che trae le mosse da quello del 1965. In esso gli allora Padri riuniti nel Concilio si impegnavano a rinunciare a tutti i simboli, i beni materiali o ai privilegi del potere, e a mettere i poveri al centro del ministero pastorale. Una sfida, dunque, da parte dei «fratelli nell’Episcopato» per dar vita, attraverso tredici promesse concrete, a quella Chiesa «serva e povera» auspicata all’epoca da Papa Giovanni XXIII e, cinquant’anni dopo, dal successore Francesco.
A firmare il “Patto” furono 42 prelati e tra coloro che collaborarono alla stesura si segnala la presenza di dom Helder Câmara (1909-1999), l’arcivescovo di Olinda e Recife, servo di Dio, scomparso vent’anni fa a 90 anni. Detto «o bispinho» per la bassa statura, Câmara – del quale si è conclusa la fase diocesana della causa di beatificazione – ha lasciato una traccia pastorale profonda nel suo Paese sapendo coniugare il Vangelo e le lotta per la giustizia e percorrendo sempre la strada della pacificazione.
Il suo insegnamento risalta nel “Patto delle Catacombe” dal quale, come detto, ha tratto ispirazione quella corrente di pensiero teologico sviluppatasi con la riunione del Consiglio episcopale latinoamericano (Celam) di Medellín del 1968, come diretta estensione delle idee e dei principi riformatori messi in moto in Roma dal Concilio, che passò alla storia con il nome di “Teologia della Liberazione”.
Nel documento si leggono promesse come «dare tutto il tempo, la riflessione, il cuore, i mezzi» al «servizio apostolico e pastorale del lavoro e dei gruppi economicamente deboli e sottosviluppati». In altri passaggi i vescovi assicurano: «Cercheremo di vivere secondo il modo ordinario della popolazione, per quanto riguarda l’alloggio, il cibo e i mezzi di trasporto», «affideremo la gestione finanziaria nella nostra diocesi a una commissione laica», «eviteremo ciò che può sembrare conferire privilegi», «saremo aperti a tutti, qualunque sia la loro religione».
Tutti impegni che ora i partecipanti al Sinodo vogliono rinnovare per il loro ministero nelle terre dell’Amazzonia sfruttate dalle grandi multinazionali nelle sue risorse e umiliate per il trattamento riservato ai suoi popoli, depredati dei loro territori e, in alcuni casi, condannati ad un lento annientamento.
PATTO DELLE CATACOMBE PER LA CASA COMUNE
per una Chiesa dal volto amazzonico, povera e serva, profetica e samaritana
Noi, partecipanti al Sinodo panamazzonico, condividiamo la gioia di vivere tra numerosi popoli indigeni, quilombos, costieri, migranti, comunità alla periferia delle città di questo immenso territorio del Pianeta. Con loro abbiamo sperimentato la forza del Vangelo che agisce nei piccoli. L’incontro con queste persone ci sfida e ci invita a una vita più semplice di condivisione e di gratuità. Influenzati dall’ascolto delle loro grida e lacrime, accogliamo di cuore le parole di papa Francesco: “Molti fratelli e sorelle in Amazzonia portano pesanti croci e attendono il conforto liberatore del Vangelo, la carezza amorevole della Chiesa. Per loro, con loro camminiamo insieme”.
Ricordiamo con gratitudine i vescovi che alla fine del Concilio Vaticano II nelle Catacombe di Santa Domitilla firmarono Il Patto per una Chiesa serva e povera. Ricordiamo con riverenza tutti i martiri membri delle comunità ecclesiali di base, delle comunità pastorali e dei movimenti popolari; leader indigeni, missionarie e missionari, laici, preti e vescovi, che hanno versato il loro sangue a causa di quest’opzione per i poveri, per difendere la vita e lottare per la salvaguardia della nostra Casa Comune. Al ringraziamento per il loro eroismo uniamo la nostra decisione di continuare la loro lotta con fermezza e coraggio. È un sentimento di urgenza che si impone di fronte alle aggressioni che oggi devastano il territorio amazzonico, minacciato dalla violenza di un sistema economico predatore e consumistico.
Di fronte alla Santissima Trinità, le nostre Chiese particolari, le Chiese dell’America Latina e dei Caraibi e di quelle che sono solidali in Africa, Asia, Oceania, Europa e nel nord del continente americano, ai piedi degli apostoli Pietro e Paolo e della moltitudine di martiri di Roma, dell’America Latina e in particolare della nostra Amazzonia, in profonda comunione con il successore di Pietro invochiamo lo Spirito Santo e ci impegniamo personalmente e comunitariamente a quanto segue:
1. Assumere, di fronte all’estrema minaccia del riscaldamento globale e dell’esaurimento delle risorse naturali, un impegno a difendere la giungla amazzonica nei nostri territori e con i nostri atteggiamenti. Da essa provengono il dono dell’acqua per gran parte del territorio sudamericano, il contributo al ciclo del carbonio e la regolazione del clima globale, una biodiversità incalcolabile e una ricca socio-diversità per l’umanità e l’intera Terra.
2. Riconoscere che non siamo padroni della madre terra, ma suoi figli e figlie, formati dalla polvere della terra (Gen 2, 7-8), ospiti e pellegrini (1 Pt 1, 17b e 1 Pt 2, 11), chiamati ad essere suoi gelosi custodi (Gen 1,26). Pertanto ci impegniamo per un’ecologia integrale, in cui tutto è interconnesso, il genere umano e tutta la creazione perché tutti gli esseri sono figlie e figli della terra e su di loro aleggia lo Spirito di Dio (Gen 1,2).
3. Accogliere e rinnovare ogni giorno l’alleanza di Dio con tutto il creato: “Quanto a me, ecco io stabilisco la mia alleanza con voi e con i vostri discendenti dopo di voi, con ogni essere vivente che è con voi, uccelli, bestiame e animali selvatici, con tutti gli animali che sono usciti dall’arca, con tutti gli animali della terra”. (Gen 9, 9-10; Gen 9, 12-17).
4. Rinnovare nelle nostre chiese l’opzione preferenziale per i poveri, in particolare per i popoli originari, e insieme a loro garantire il diritto ad essere protagonisti nella società e nella Chiesa. Aiutarli a preservare le loro terre, culture, lingue, storie, identità e spiritualità. Crescere nella consapevolezza che devono essere rispettati a livello locale e globale e, di conseguenza, con tutti i mezzi alla nostra portata promuovere la loro accoglienza su un piano di parità nel concerto mondiale di altri popoli e culture.
5. Abbandonare, di conseguenza, nelle nostre parrocchie, diocesi e gruppi ogni tipo di mentalità e posizione colonialista, accogliendo e valorizzando la diversità culturale, etnica e linguistica in un dialogo rispettoso con tutte le tradizioni spirituali.
6. Denunciare tutte le forme di violenza e di aggressione contro l’autonomia e i diritti delle popolazioni indigene, la loro identità, i loro territori e i loro modi di vita.
7. Annunciare la novità liberante del Vangelo di Gesù Cristo, nell’accogliere l’altro e il diverso, come accadde a Pietro nella casa di Cornelio: “Voi sapete che a un Giudeo non è lecito aver contatti o recarsi da stranieri; ma Dio mi ha mostrato che non si deve chiamare profano o impuro nessun uomo”. (At 10,28).
8. Camminare ecumenicamente con altre comunità cristiane nell’annuncio inculturato e liberante del Vangelo, e con altre religioni e persone di buona volontà, in solidarietà con i popoli originari, i poveri e i piccoli, in difesa dei loro diritti e nella preservazione della Casa Comune.
9. Stabilire nelle nostre chiese particolari uno stile di vita sinodale, in cui i rappresentanti dei popoli originari, i missionari, i laici, a causa del loro battesimo e in comunione con i loro pastori, abbiano voce e voto nelle assemblee diocesane, nei consigli pastorali e parrocchiali, in breve, in tutto ciò che compete loro nel governo delle comunità.
10. Impegnarsi nell’urgente riconoscimento dei ministeri ecclesiali già esistenti nelle comunità, portati avanti da agenti pastorali, catechisti indigeni, ministre e ministri della Parola, valorizzando soprattutto la loro attenzione per i più vulnerabili ed esclusi.
11. Rendere effettivo nelle comunità che ci hanno affidato il passaggio da una pastorale di visita a una pastorale di presenza, assicurando che il diritto alla mensa della Parola e alla mensa dell’Eucaristia diventi effettivo in tutte le comunità.
12. Riconoscere i servizi e la reale diaconia della grande quantità di donne che oggi gestiscono comunità in Amazzonia e cercano di consolidarle con un adeguato ministero di donne leader di comunità.
13. Cercare nuovi percorsi di azione pastorale nelle città in cui agiamo, con il protagonismo di laici e giovani, con attenzione alle loro periferie e ai migranti, ai lavoratori e disoccupati, agli studenti, agli educatori, ai ricercatori e al mondo della cultura e della comunicazione.
14. Assumere contro la valanga del consumismo uno stile di vita gioiosamente sobrio, semplice e solidale con coloro che hanno poco o niente; ridurre la produzione di rifiuti e l’uso di materie plastiche, favorire la produzione e la commercializzazione di prodotti agro-ecologici e utilizzare i trasporti pubblici, se possibile.
15. Porsi accanto a coloro che sono perseguitati per il servizio profetico di denuncia e di riparazione di ingiustizie, di difesa della terra e dei diritti dei piccoli, di accoglienza e sostegno dei migranti e dei rifugiati. Coltivare vere amicizie con i poveri, visitare i più semplici e i malati, esercitando il ministero dell’ascolto, della consolazione, del sostegno e dell’appoggio, cose che portano incoraggiamento e rinnovano la speranza.
Consapevoli delle nostre debolezze, della nostra povertà e piccolezza di fronte a sfide così grandi e serie, ci affidiamo alla preghiera della Chiesa. Possano le nostre comunità ecclesiali, soprattutto, aiutarci con la loro intercessione, con il loro affetto nel Signore e, quando necessario, con la carità della correzione fraterna.
Accogliamo con favore l’invito del cardinale Hummes a essere guidati dallo Spirito Santo in questi giorni del Sinodo e al nostro ritorno alle nostre chiese: “Lasciatevi avvolgere dal manto della Madre di Dio e della Regina dell’Amazzonia. Non lasciamo che ci vinca l’autoreferenzialità, ma la misericordia davanti al grido dei poveri e della terra. Saranno necessarie molta preghiera, meditazione e discernimento, nonché una pratica concreta di comunione ecclesiale e spirito sinodale. Questo sinodo è come una mensa che Dio ha preparato per i suoi poveri e ci chiede di essere quelli che servono alla mensa”.
Celebriamo quest’Eucaristia del Patto come “un atto di amore cosmico”. “Sì, cosmico! Perché anche quando si svolge sul piccolo altare di una chiesa di un villaggio, l’Eucaristia è sempre celebrata, in un certo senso, sull’altare del mondo.” L’Eucaristia unisce cielo e terra, abbraccia e penetra tutta la creazione. Il mondo uscito dalle mani di Dio ritorna a Lui in felice e piena adorazione: nel Pane Eucaristico “la creazione tende alla divinizzazione, alle sante nozze, all’unificazione con il Creatore stesso”. Per questa ragione, l’Eucaristia è anche fonte di luce e di motivazione per le nostre preoccupazioni per il medio ambiente e ci porta a essere custodi di tutta la creazione”.
Roma, 20 ottobre 2019
Catacombe di Santa Domitilla