il Censis ci vede peggiorati – siamo più egoisti e cattivi per le regole anti-covid

“italiani in regressione psicologica collettiva, siamo diventati peggiori”

Giuseppe De Rita (Censis) sugli effetti delle regole anti-Covid

“dal rintanamento in sé nasce l’egoismo e da lì la cattiveria”

Più paurosi, passivi, cattivi. Sono gli italiani nella pandemia, visti da Giuseppe De Rita, presidente del Censis, intervistato da ‘Libero’. “Già nel rapporto Censis di dicembre veniva fuori che l’opinione sotterranea di molti italiani è ‘meglio sudditi che morti’. In nome della paura stiamo accettando vincoli e modi di comportamento che inibiscono la nostra vitalità e la ricerca di obiettivi comuni. Assistiamo così a un rannicchiarsi degli italiani entro se stessi, nel proprio egoismo, da cui derivano processi, se non di degrado, almeno di regressione psicologica collettiva”.

“Ciò riguarda soprattutto la condizione di vivere quasi da popolo internato -aggiunge De Rita-. Quando parliamo di internamento, pensiamo a un carcere, un manicomio, un convento di clausura. In tutti questi casi il meccanismo interno è l’infantilizzazione. Cioè si trattano le persone come bambini, dicendo loro: questa cosa non la puoi fare, questa cosa non la puoi mettere, ti devi lavare bene.
Ovviamente non viviamo in senso stretto in internamento, però molte assonanze ci sono: l’obbligo di rispettare regole di minimale comportamento igienico, l’uso della mascherina come divisa da internato, e l’idea che non si possa uscire neanche per andare al bar sono diventati fatti normali. E questo è molto pericoloso. Dal letargo, cioè dallo stato di indolenza, sarà più facile uscire, dall’internamento no”.

“La storia sociale di questo Paese non è mai stata pacifica. Non siamo gente tranquilla, ma persone che si sono odiate a morte, hanno fatto guerre civili. Questa tendenza si è acuita con la pandemia: ora ci sentiamo protetti solo quando siamo con noi stessi, e se c’è qualcuno intorno per noi è un pericolo. Dal rintanamento in sé nasce l’egoismo e da lì scatta la cattiveria”, conclude De Rita, secondo cui però alla fine “credo che prevarrà la propensione alla accettazione e non alla rivolta. La bontà del potere ci garantirà sempre la cassa integrazione, un ecobonus, un incentivo per fare smart working. E così, anziché contestare, accetteremo passivamente il declino”.

cresce la solidarietà in Italia? Chiara Saraceno meno pessimista del Censis

Chiara Saraceno

«L’Italia è meno cupa: torna la solidarietà e il desiderio di politica»

Rapporto Censis 2019

intervista alla sociologa e filosofa Chiara Saraceno

«In Italia non c’è abbastanza lavoro né reddito sufficiente per vivere» ma «lo stesso Censis registra il fatto che è aumentato il numero di chi partecipa al volontariato, un aspetto che contraddice l’immagine di una società sfiduciata di cui parla nel rapporto»

di Roberto Ciccarelli

Professoressa Chiara Saraceno il Censis sostiene che prima o poi gli italiani si renderanno conto che delle élite non si può fare a meno.  Cosa ne pensa?

Élite è un concetto usato sempre in modo strumentale, non è mai chiaro che cosa significhi, raramente è specificato.

Significa persone competenti, la classe economica, i professionisti?

Indica anche chi dice di essere contro le élite, ma ne fa parte. Salvini e la Lega, ad esempio. Élite comprende chi governa e chi aspira a governare. Anche la categoria di «italiani» è generica: c’è chi vota in un modo e chi in un altro o si astiene. Chi ha certi saperi e chi altri. Vorrei capire qual è la base empirica di queste indagini. Non imparo mai molto da questi rapporti del Censis, e sempre meno negli ultimi anni. Anche questo rapporto, come tutti gli altri, mette insieme cose di senso comune, più o meno empiricamente fondate, e produce ambivalenze. Sono fantasiosi nel trovare parole chiave e metafore che funzionano per i media, ma rischiano di oscurare la realtà.

Pensa la stessa cosa sulla valutazione del Censis per cui il 48% del campione dei loro intervistati dichiara che ci vorrebbe l’ “uomo forte al potere”?

Non so su cosa sia basato questo 48 per cento. In ogni caso, direi che c’è anche il rovescio: il 62 per cento non lo vuole. Ragionerei invece sul dato più solido e ricorrente delle intenzioni di voto. Sappiamo che il centrodestra guidato da Salvini al momento ha la maggioranza nel paese. Per questo non c’è bisogno del Censis.

Il caso delle sardine, da ultimo, dimostra invece che esiste una ricerca di partecipazione a cui la politica non risponde…

Infatti, anche se può essere un fenomeno ancora minoritario. E si spera che questi movimenti non si disperdano andando troppo in Tv. Lo stesso Censis registra il fatto che è aumentato il numero di coloro che partecipano al volontariato, un aspetto che contraddice l’immagine di una società sfiduciata di cui parla nel rapporto. La situazione è meno cupa di quanto si pensi: esistono molte persone per cui vale la pena di fare qualcosa con gli altri e per gli altri.

Il Censis dice che l’occupazione è un «bluff», nel senso che non produce reddito e crescita ma moltiplica la precarietà. Quando ha scritto un libro come «Il lavoro non basta» è a questo scenario che pensava?

Sì, in Italia non c’è abbastanza lavoro né reddito sufficiente per vivere. Parlo dei working poor, coloro che lavorano e sono poveri. Ci sono sempre stati in questo paese, ma negli anni della crisi sono aumentati sia quelli su base individuale che guadagnano meno, anche a causa dell’aumento del part-time involontario, sia quelli su base familiare che, pur avendo un reddito modesto ma adeguato alle medie salariali, soffrono. A cominciare dai nuclei dove almeno il capofamiglia svolge un lavoro operaio, o assimilato. Nel 12% dei casi si parla di povertà assoluta.

Si è sempre occupata del reddito minimo o di base. Che bilancio dà del cosiddetto “reddito di cittadinanza” istituito in Italia?

Non mi aspettavo che trovasse ai beneficiari un lavoro e quindi non mi scandalizza che oggi non ci sia. Mi scandalizza di più chi oggi in malafede si scandalizza. E mi scandalizza che non sia stato ancora messo in campo un modo per portare al lavoro chi potrebbe lavorare. Vedo due possibili sbocchi a questa situazione: o vanno avanti a oltranza continuando a erogare il sussidio, oppure i beneficiari alla scadenza della misura saranno buttati fuori perché un lavoro non gli è stato offerto e loro non l’hanno trovato. E sarà peggio per loro. Al momento sappiamo che solo una quota sembra pari al 30% dei beneficiari sarebbe nelle condizioni di lavorare subito o quasi. La dice lunga sul tentativo di presentare questa operazione come una politica attiva del lavoro. Se il 70% dei beneficiari non è in grado di lavorare allora parliamo di un sostegno alla qualità della vita, sperando che le nuove generazioni si trovino in una situazione migliore. Bisognerebbe occuparsi della povertà educativa a cominciare dai minori. Ma purtroppo questo lavoro non viene nemmeno fatto oggi.

Anche il Censis parla dei processi di denatalizzazione molto avanzati in Italia. Basta un «assegno universale» alle famiglie dal 2021 di cui parla la ministra Bonetti?

Sono favorevole all’assegno universale ma a prescindere dal reddito perché non avrebbe effetti negativi sul secondo reddito. Se ci fossero le risorse, ovviamente. Se l’assegno è legato al reddito più alto, com’era nella proposta Delrio, si producono ingiustizie. Se lo leghi al reddito familiare c’è il rischio di penalizzare il secondo reddito in famiglia. Mi sembra che il governo sia orientato a una misura di questo tipo. Bisogna allora fare in modo che non ci siano scaglioni di reddito troppo bruschi per cui una differenza di un euro provoca il passaggio a un altro gruppo causando la perdita della misura. Spero però che oltre a questo assegno ci siano i servizi.

Nella legge di bilancio dovrebbero esserci gli asili gratis…

Saranno gratis per chi il nido ce lo ha già, ma non credo sia previsto un intervento per il 75 per cento dei bambini sotto i tre anni che non lo hanno, soprattutto al Sud. Questo è un problema di pari opportunità tra i bambini: bisogna assicurare loro risorse educative al di là della famiglia. Gli investimenti sociali sui servizi non sono costi. Producono domanda di lavoro, e in particolare per le donne. Ci saranno più persone che pagano le tasse, più tutele. C’è sempre una restituzione. È vero che le risorse non sono infinite, ma si può scegliere se spenderle in un modo o in un altro. È sempre una questione di scelte.

gli italiani stanno perdendo la testa rivogliono l’uomo forte al comando

italiani colpiti da “stress esistenziale” e incertezza

ma attratti dall’ “uomo forte al potere”

il 53esimo rapporto del Censis

6 italiani su 10 contrari all’uscita dall’euro, per il 70% oggi c’è più razzismo

Natalia Varlamova via Getty Images

Lo stato d’animo dominante tra il 65% degli italiani è l’incertezza. Dalla crisi economica, l’ansia per il futuro e la sfiducia verso il prossimo hanno portato anno dopo anno ad un logoramento sfociato da una parte in “stratagemmi individuali” di autodifesa e dall’altra in “crescenti pulsioni antidemocratiche”, facendo crescere l’attesa “messianica dell’uomo forte che tutto risolve”. Lo rileva il Censis nell’ultimo Rapporto sulla situazione sociale del Paese. Per il 48% degli italiani ci vorrebbe “un uomo forte al potere” che non debba preoccuparsi di Parlamento ed elezioni.

La ricerca dell’uomo forte è più sentita soprattutto nella parte bassa della scala sociale. La percentuale sale infatti al 56% tra le persone con redditi bassi e al 62% tra i soggetti meno istruiti, fino al 67% tra gli operai. Secondo il Censis, gli italiani alle prese con gli anni della crisi hanno dovuto prima “metabolizzare la rarefazione della rete di protezione di un sistema di welfare pubblico in crisi di sostenibilità finanziaria”, poi farei conti con “la rottura dell’ascensore sociale, assumendo su di sé anche l’ansia provocata dal rischio di un possibile declassamento sociale”. 

La reazione immediata è stata “una formidabile resilienza opportunistica, con l’attivazione di processi di difesa spontanei e molecolari degli interessi personali”. Ma la situazione è andata peggiorando perché dagli stratagemmi individuali si è passati allo “stress esistenziale, logorante perché riguarda il rapporto di ciascuno con il proprio futuro”. Così per il 69% degli italiani il Paese è ormai “in stato d’ansia”. Il 75% non si fida più degli altri, il 49% ha subito nel corso degli anni una prepotenza in un luogo pubblico (insulti o spintoni), il 44% si sente insicuro nelle vie che frequenta abitualmente, il 26% ha litigato qualcuno per strada.

Il 62% degli italiani è convinto che non si debba uscire dall’Unione europea, ma il 25%, uno su quattro, è invece favorevole all’Italexit. E’ quanto emerge dall’ultimo rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese. Se il 61% dice no al ritorno della lira, il 24% è favorevole e se il 49% si dice contrario alla riattivazione delle dogane alla frontiere interne della Ue, considerate un ostacolo alla libera circolazione di merci e persone, il 32% sarebbe invece per rimetterle.

Negli ultimi tempi sembra essere montata una pericolosa deriva verso l’odio, l’intolleranza e il razzismo nei confronti delle minoranze. Il 69,8% degli italiani è convinto che nell’ultimo anno siano aumentati gli episodi di intolleranza e razzismo verso gli immigrati. Un dato netto, confermato trasversalmente, con valori più elevati al Centro Italia (75,7%) e nel Sud (70,2%), tra gli over65 (71%) e le donne (72,2%). Lo si evince dal 53° rapporto del Censis sulla situazione sociale del Paese che indica come per il 58% degli intervistati è aumentato anche l’antisemitismo

Gli italiani non bocciano la politica, ma bocciano i politici: il 90% dei telespettatori non li vorrebbe neanche più vedere in televisione, si legge nel rapporto Censis. Questo accade perché la domanda di politiche non trova un riscontro adeguato nell’attuale offerta politica. Eppure – quasi un paradosso – sono ancora le cronache della politica nazionale a registrare il maggior interesse della popolazione, con il 42% e superando le voci classiche dei palinsesti come lo sport (29%) o la cronaca nera (26%) e rosa (18%). Nelle diete informative un’importanza ancora minore è attribuita alle notizie economiche (15%) e soprattutto alla politica estera (10%). Ma questo ritrovato interesse nasce da quelle che il Censis chiama “ceneri di un disincanto generalizzato”: si guarda la politica in tv come fosse una fiction. La riprova sta al momento della chiamata alle urne: l’area del non voto si espande sempre più alle elezioni politiche (astenuti, schede bianche e nulle), passando dal 9,6% degli aventi diritto nel 1958 all′11,3% nel 1968, al 13,4% nel 1979, al 18% nel 1992, al 24,3% nel 2001, fino al 29,4% nel 2018. Quanto al lavoro e alla disoccupazione, preoccupano il 44% degli italiani (contro la media del 21% dei cittadini europei), un dato doppio rispetto all’immigrazione (22%), più di tre volte rispetto alle pensioni (12%), cinque volte di più della criminalità (9%) e dei problemi ambientali e climatici (8%).

Tre italiani su quattro sono favorevoli all’introduzione del salario minimo per legge. Lo mette in evidenza il Censis nel nel 53esimo Rapporto sulla situazione sociale del Paese, sottolineando come il 12,2% degli occupati in Italia sia a rischio povertà. Il documento spiega poi come tra i fan del salario minimo legale, la percentuale sia più alta tra gli occupati (75,3%) e tra chi dispone di un reddito basso (l′80,7% con un reddito fino a 15.000 euro annui) o medio-basso (il 78,7% con un reddito compreso tra 15.000 e 30.000 euro annui). Il 23,7% degli italiani, inoltre, riconduce la causa del rancore diffuso di questi anni alla crescente disuguaglianza nei redditi e nelle opportunità di lavoro. Il 25% individua in una giustizia troppo favorevole nei confronti dei ricchi, dei privilegiati e dei più spregiudicati un altro elemento che giustifica il risentimento. La “ripresa senza salario” caratterizza ancora l’andamento economico dell’Unione europea.
Tra il 2013 e il 2018 si è ampliata la forbice tra la crescita del Pil e la crescita dei salari reali. Nel 2017 la distanza era di 2,2 punti, nel 2018 a un incremento del Pil del 2% ha corrisposto un aumento dei salari pari allo 0,7%.

il censis fotografa la nostra realtà ‘infelice’

 siamo una società sciapa e infelice

in cerca di connettività 

Censis: Siamo società sciapa e infelice in cerca di connettività

 

non è proprio bello il quadro che il Censis oggi delinea della società italiana: senza fermento, ‘sciapa’, con crescente immoralismo e disinteresse per ciò che concerne che costruiscono la comunità

 

Una società sciapa e infelice. E’ il quadro del Paese che emerge dalle considerazioni generali del Censis sul 47esimo Rapporto sulla situazione sociale 2013, presentato oggi a Roma. “Oggi – si legge – siamo una società più ‘sciapa’: senza fermento, circola troppa accidia, furbizia generalizzata, disabitudine al lavoro, immoralismo diffuso, crescente evasione fiscale, disinteresse per le tematiche di governo del sistema, passiva accettazione della impressiva comunicazione di massa. E siamo malcontenti, quasi infelici, perché viviamo un grande, inatteso ampliamento delle diseguaglianze sociali”. “Si è rotto – sottolinea il Censis – il ‘grande lago della cetomedizzazione’, storico perno della agiatezza e della coesione sociale. Troppa gente non cresce, ma declina nella scala sociale. Da ciò nasce uno scontento rancoroso, che non viene da motivi identitari, ma dalla crisi delle precedenti collocazioni sociali di individui e ceti”. “Il filo rosso che può fare da nuovo motore dello sviluppo è la connettività (non banalmente la connessione tecnica) fra i soggetti coinvolti in questi processi”, si legge ancora. “È vero – prosegue il Censis – che restiamo una società caratterizzata da individualismo, egoismo particolaristico, resistenza a mettere insieme esistenze e obiettivi, gusto per la contrapposizione emotiva, scarsa immedesimazione nell’interesse collettivo e nelle istituzioni. Eppure la crisi antropologica prodotta da queste propensioni sembra aver raggiunto il suo apice ed è destinata a un progressivo superamento”.

 

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