va eliminato non il povero ma la povertà
si vuole rimuovere chi «disturba»
eliminare la povertà non gli ultimi
Alzi la mano chi non desidera una città in cui il trasporto pubblico sia efficiente e continuativo, una città in cui l’inquinamento non sia una presenza con cui convivere. Una città in cui un lavoro sia un diritto e non un privilegio. In cui i nidi siano una possibilità accessibile per tutte le famiglie, in cui la scuola di tutti non abbia bisogno di donazioni periodiche di carta igienica e matite colorate, in cui prenotare un’ecografia in un servizio pubblico non richieda 6 mesi di attesa, in cui chi arriva da un altro Paese non per turismo possa immaginare percorsi di integrazione e non di abbandono.
Tutto lascia intendere però che viviamo in un Paese in cui le politiche sociali non rappresentano una priorità, in cui la noncuranza, la superficialità, l’immobilismo limitano fortemente l’accesso delle persone a servizi basilari che diventano sempre più un privilegio. Oggi sembrerebbe che chi ha la responsabilità di guidare il nostro Paese abbia deciso di partire dalla sicurezza e dal decoro. E allora quello che non si riesce a ottenere attraverso politiche sociali serie che si mettano al passo di chi è più fragile e svantaggiato lo si risolve allontanandolo dalla vista (per decoro) o voltando la faccia e dicendo che il problema non esiste perché non esiste chi rimane indietro, e forse dopo tutto, per alcune categorie (senza dimora, migranti carcerati), è un po’ colpa loro se rientrano nella cultura dello scarto. Pensiamo nei giorni scorsi a Roma e Milano.
Assolutamente in linea con questo ragionamento è parso ovvio che la povertà, la cultura dello scarto, si risolve allontanando i poveri dalla nostra vista. Milano e Roma in quelle occasioni hanno mostrato il loro aspetto peggiore, quello più debole, anche se si è mostrato il lato forte, l’aspetto muscolare: quanto di più lontano c’è dalla città in cui vorremmo vivere. Quanta distanza, quanto stridore tra quello che vorremmo e quello che ci sta accadendo, o meglio, quello che la politica ci sta offrendo. Aveva ragione papa Francesco quando, nell’udienza generale del 5 giugno 2013, lanciava l’allarme: «La persona umana è in pericolo: questo è certo, la persona umana oggi è in pericolo, ecco l’urgenza dell’ecologia umana! E il pericolo è grave perché la causa del problema non è superficiale, ma profonda: non è solo una questione di economia ma di etica e di antropologia».
Abbiamo la responsabilità di eliminare la povertà e le sue cause: sbagliato e pericoloso pensare di poter eliminare dalla vista fisicamente i poveri, e nel caso dei poveri migranti eliminarli proprio fisicamente abbandonandoli nel mare (anche delle polemiche) o nel deserto. Non si può eliminare chi non ci piace, chi puzza, chi dà fastidio, frutto dell’odierna cultura dello scarto. Un povero «che muore non è una notizia, ma se si abbassano di dieci punti le Borse è una tragedia! Così le persone vengono scartate, come se fossero rifiuti». L’unico modo per ottenere la decorosa armonia di vita cui tutti ambiamo è trovare soluzioni, alternative, che accrescano ogni giorno di più la gamma dei diritti esigibili dal maggior numero possibile di persone. Occorre tornare all’idea che il godimento dei diritti civili sia sciolto da vincoli di cittadinanza intesa come una cittadinanza escludente. I diritti ineriscono l’uomo e tutto l’uomo.
*sacerdote, presidente Centro Astalli Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati in Italia