una ‘chiesa in uscita’ come la vuole papa Francesco

una chiesa in uscita con la missione nel DNA

padre Ermes Ronchi, dell’Ordine dei Servi di Maria, teologo e volto noto ai telespettatori italiani, ha condiviso con noi i suoi appunti sull’identità missionaria della “Chiesa in uscita”. Una pagina da leggere con il cuore e da meditare, intrisa di poesia e ricca di citazioni bibliche.

«Preferisco una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade che una Chiesa malata per la chiusura» (EG 49). Fa eco e sponda a questa visione di Papa Francesco una bellissima poesia di Jacques Brel:

Conosco delle barche che restano nel porto per paura
che le correnti le trascinino via con troppa violenza.
Conosco delle barche che arrugginiscono in porto
per non aver mai rischiato una vela fuori.

Conosco delle barche che si dimenticano di partire
hanno paura del mare a furia di invecchiare
e le onde non le hanno mai portate altrove,
il loro viaggio è finito ancora prima di iniziare.

Conosco delle barche talmente incatenate
che hanno disimparato come liberarsi.
Conosco delle barche che restano ad ondeggiare
per essere veramente sicure di non capovolgersi.

Conosco delle barche che vanno in gruppo
ad affrontare il vento forte al di là della paura.
Conosco delle barche che si graffiano un po’
sulle rotte dell’oceano ove le porta il loro gioco.

Conosco delle barche che tornano in porto lacerate dappertutto,
ma più coraggiose e più forti.
Conosco delle barche traboccanti di sole
perché hanno condiviso anni meravigliosi.

Conosco delle barche che tornano sempre
che hanno navigato fino al loro ultimo giorno,
e sono pronte a spiegare le loro ali giganti
perché hanno un cuore a misura di ocean

In quelle barche, che riportano una metafora antichissima della Chiesa, vediamo descritta la stessa dinamica vitale dell’uscire, salpare, navigare oltre. “Chiesa in uscita” è una espressione diventata virale, una Chiesa che si immerge invece di una che attende; che sa curare le ferite, riscaldare i cuori, piangere e accarezzare invece di rinchiudersi nelle norme.

L’uscita, la strada, la navigazione sono nel DNA della Chiesa. Chiamò a sé i dodici e li inviò dicendo: “strada facendo…”.  Gli apostoli sono gli in-viati, i messi in via. Tutta la Bibbia è attraversata da un comando: alzati, kum in aramaico. Elia, kum; Giona, kum; Mosè, kum, alzati e scendi in Egitto. Per centinaia di volte: alzati e va’. Verbo per chi era a terra, ordine per chi se ne stava chiuso: verbo della risurrezione e di una vita in uscita. Kum verbo degli inizi, di chi ama avviare percorsi, iniziare processi; di chi parte e si fida del percorso. Ogni volta che Dio ti chiama, ti mette in viaggio, è una forza che fa partire. Mette in cammino, e camminare è un atto di libertà e di leggerezza, scoprire se stessi mentre si scopre il mondo. Ma risalendo indietro, verso le sorgenti, verso là dove è nata la Chiesa, vediamo che la prima comunità nasce sulle strade di Galilea, non nelle aule di una scuola, non in una sinagoga, ma sui sentieri attorno al lago di Tiberiade, durante tre anni di itineranza battagliera, libera e felice.

La Chiesa è nata in uscita.

Gesù cammina, ma non da solo; con lui si muove un gruppo vivace di uomini e donne, in una intimità itinerante: proto-struttura della Chiesa. E tutta la simbolica della strada è dentro il DNA del cristiano. Da allora, da subito, la comunità è in uscita, è a suo agio sulle strade e ama gli orizzonti. Prima di essere chiamati con il nome di cristiani, i seguaci di Gesù sono detti “quelli della via”, oi tes odou in greco.

Siamo figli di una beatitudine dimenticata, proclamata dai salmi di pellegrinaggio: «beato l’uomo che ha sentieri nel cuore» (Salmo 84, 6), felice la donna che ha la strada nel cuore. È la spiritualità biblica: Mio padre era un arameo errante. Siamo tutti figli di nomadi, non stanziali ma migratori, passatori di frontiere. La Bibbia fa nascere una fede nomade, incamminata, mai installata.

Vai al largo, ha detto a Pietro…
Le barche, le piccole barche sono al sicuro, attaccate ai loro ormeggi nel porto, ma non è per questo che sono state costruite. Sono fatte per navigare, e anche per affrontare tempeste. Il nostro posto non è nei successi e nei risultati trionfali, ma in una barca in mare aperto, dove prima o poi durante la navigazione della vita verranno acque agitate e vento contrario. La vera formazione che Gesù trasmette ai suoi non consiste nella capacità di costruire una barca o una zattera, oppure nell’insegnare il codice nautico, ma nel trasmettere la passione del navigare, il gusto per il grande mare aperto e infinito. In Dio si scoprono nuovi mari quanto più si naviga. (Fray Luis de Leon). Vera pedagogia, vera pastorale è la consegna amorosa e contagiosa del vangelo-orizzonte, vangelo-oceano. Il vangelo non proclama divieti, offre ali. I veri maestri dello spirito sono quelli che non mettono lacci ulteriori, ma ulteriori ali, le crescono, le accarezzano, le pettinano, le fanno forti, perché possano volare più lontano e più sicuri.

– Andate, guarite, risuscitate, purificate, scacciate, date… (Mt 10,7-15)
Gesù manda i suoi, gli in-viati, verso il mondo, affidando loro cinque opere che disegnano il volto di una Chiesa ospedale da campo. Che come in tutti gli ospedali incontra persone ferite, sangue, sporco, piaghe e anche bestemmie, ma non giudica nessuno, si prende cura di tutti. Istituisce una Chiesa in missione, una Chiesa che sia autorevole non per la dottrina, ma per la misericordia; per la quale di non negoziabile siano non i principi, ma solo l’uomo. Chiesa autorevole perché si abbassa, pulisce, lava, solleva come il samaritano buono. Il mondo non ha bisogno di giudici ma di samaritani. Scrive Papa Francesco: “Desidero una chiesa che non attende ma va incontro; sa curare le ferite e riscaldare i cuori; sa piangere e accarezzare invece di rinchiudersi nelle norme. Una Chiesa che non ha nulla da difendere, ma molto da offrire. Che non si contrappone agli altri in conflitti teorici ma si immerge nelle persone. Sognando la vita insieme (EG 74). Chiesa sognatrice.

– Il distacco di Gesù dai suoi, in Luca, è di una sobrietà incantevole.
«Gesù li condusse fuori verso Betania»: è colui che precede, che indica la via, che avanza sicuro anche quando la meta è il Calvario. Inizia su quell’altura la “Chiesa in uscita”, con un invio che chiede agli apostoli un cambio di sguardo. Devono passare da un gruppo che mette se stesso al centro, ad una Chiesa al servizio dell’uomo, della vita, della cultura, della casa comune, delle nuove generazioni. Voi siete la luce, che non illumina se stessa, ma accarezza le cose e ne fa emergere la bellezza; voi siete il sale, che non dà sapore a se stesso ma al pane dell’uomo.

– Convertite, significa coltivate e custodite i semi divini di ciascuno.
Come Gesù che in Galilea andava alla ricerca delle faglie, delle fenditure nelle persone, là dove scorrevano acque sepolte, come con la samaritana al pozzo, così la Chiesa è inviata al servizio dei germi santi che sono in ciascuno. Per ridestarli. Una Chiesa rabdomante del buono, inviata a captare e far emergere le forze più belle, per la fioritura dell’essere, per la valorizzazione del grammo di luce che è seminato in ciascuno: noi camminiamo, calpestiamo gioielli e non ce ne rendiamo conto.

– Vi precede.
Anche la pasqua è stata una ripartenza. Gli angeli dicono alle donne: non è qui, vi precede, andate in Galilea. Vi precede: è davanti, è sulla strada a prendere in faccia il vento, il sole, il grido d’aiuto e le lacrime. E anche le tempeste; è un Dio da sorprendere nelle strade, come i due di Emmaus. È un passo avanti, e avanza ancora.
Un Dio migratore, abbiamo, che ama gli spazi aperti, che apre cammini. Attraversa muri e spalanca porte. Che non ama i paletti, ma gli orizzonti.
Il regalo che ci fanno la Bibbia e i profeti di ogni tempo: noi come credenti apparteniamo ad un sistema aperto, generativo e non a un sistema chiuso, dove tutto è già definito, proclamato, bloccato. Apparteniamo ad un sistema di ricerca, naviganti e cercatori mai arresi del nome di Dio e del nome dell’Uomo.

Ermes Ronchi

la chiesa ‘inquieta’ e ‘in uscita’ di papa Francesco

papa Francesco

la chiesa inquieta

da Altranarrazione

Sogniamo una chiesa che faccia aspettare i c.d. capi di Stato quando alla porta suona una vittima delle loro politiche.
Sogniamo una chiesa che celebri Eucaristia di Solidarietà: ad esempio fuori l’Ilva di Taranto, davanti ai poligoni militari come quello di Salto di Quirra, davanti alle basi militari statunitensi presenti in Italia.
Sogniamo una chiesa che rivendichi la verità sulla strategia della tensione.
Sogniamo una chiesa che sia vicina alle vittime di tutte le tragedie, ed in particolare di quelle evitabili.
Sogniamo una chiesa che diventi megafono della sofferenza dei cittadini dell’Aquila, di Amatrice e di tutti quelli colpiti dal terremoto.
Sogniamo una Chiesa che ricordi ad ogni omelia i soldi che il nostro governo spende in armamenti, il numero di disoccupati e di precari.
Sogniamo una chiesa presente negli ospedali non solo per dare l’estrema unzione ma anche per rivendicare il buon funzionamento della sanità pubblica.
Sogniamo una chiesa coinvolta nei sit-in contro i licenziamenti dei lavoratori.
Sogniamo una chiesa che si sdegni di fronte alle ingiustizie sociali.
Sogniamo una chiesa che mantenga la schiena dritta davanti la potere e soprattutto che non cerchi contraccambi.
Sogniamo una chiesa che riconosca come martiri della verità ad esempio testimoni come Ilaria Alpi, Paolo Borsellino, Giovanni Falcone.
Sogniamo una chiesa che si preoccupi per la vita del magistrato Nino Di Matteo.
Sogniamo una chiesa che chieda di entrare nei CIE per verificare le condizioni dei migranti.

Per adesso sogniamo.

Ma un giorno siamo sicuri che diventerà realtà.

testo di papa Francesco:

“Mi piace una Chiesa inquieta, sempre più vicina agli abbandonati, ai dimenticati, agli imperfetti. Desidero una Chiesa lieta con il volto di mamma, che comprende, accompagna, accarezza. Sognate anche voi questa Chiesa, credete in essa, innovate con libertà”.

(Papa Francesco, Discorso all’incontro con i rappresentanti del V Convegno nazionale della Chiesa italiana, 10/11/2015, Firenze).

la ‘chiesa in uscita’ di papa Francesco in 10 punti

chiesa “in uscita”

un decalogo

papa-francesco1

Andrea Lebra

dalla “Evangelii gaudium” e da altri interventi di papa Francesco si capisce cosa egli intende per “Chiesa in uscita missionaria”. Nelle sue parole sono presenti molti temi: uno stile di Chiesa, il kerigma, le donne, i laici, i poveri, la Parola e il linguaggio.

la “Chiesa in uscita missionaria” è una delle novità che maggiormente caratterizzano il servizio di papa Francesco. Secondo alcuni, questa sarebbe addirittura la vera novità del suo pontificato. Si tratta di una categoria decisamente originale attorno alla quale è costruito il programma pastorale consegnato all’esortazione apostolica Evangelii gaudium dove «la riforma della Chiesa in uscita missionaria» per annunciare la gioia del Vangelo è indicata come la prima delle sette questioni sulle quali Francesco intende soffermarsi (n. 17).
ma quali sono le specificità di una Chiesa in uscita missionaria per annunciare gioiosamente che la salvezza realizzata da Dio è per tutti (n. 113)? Dalla Evangelii gaudium è possibile farne sinteticamente emergere almeno dieci, tutte di straordinaria importanza.

1. Tutti siamo Chiesa!

 In primo luogo, va detto che la Chiesa non è limitata ai presbiteri, ai vescovi o al Vaticano. La Chiesa sono tutti i fedeli! È popolo in cammino verso Dio (n. 111). Tutti i battezzati sono la Chiesa. Tutti i cristiani, in quanto battezzati, hanno uguale dignità davanti al Signore e sono accomunati dalla stessa vocazione, che è quella alla santità. Ciascun battezzato, qualunque sia la sua funzione nella Chiesa e il grado di istruzione della sua fede, è un soggetto attivo di evangelizzazione e sarebbe inadeguato pensare ad uno schema di evangelizzazione portato avanti da attori qualificati in cui il resto del popolo fedele fosse solamente recettivo delle loro azioni. La nuova evangelizzazione implica un nuovo protagonismo di ciascuno dei battezzati (n. 120).

2. Più spazio alle donne.

 Nella Chiesa c’è bisogno di allargare gli spazi per una presenza femminile più incisiva (n. 103). Le rivendicazioni dei legittimi diritti delle donne, a partire dalla ferma convinzione che uomini e donne hanno la medesima dignità, pongono alla Chiesa domande profonde che la sfidano e che non si possono superficialmente eludere (n. 104). È urgente accogliere e offrire spazi alle donne nella vita della Chiesa, tenendo conto delle specifiche e mutate sensibilità culturali e sociali. È necessario studiare criteri e modalità nuovi affinché le donne si sentano non ospiti, ma pienamente partecipi dei vari ambiti della vita ecclesiale (Discorso, 7 febbraio 2015).

3. Chiesa non autoreferenziale.

 La Chiesa in uscita missionaria evita la malattia spirituale dell’autoreferenzialità; non si chiude in se stessa, nella parrocchia, nella cerchia di chi la pensa allo stesso modo, ma si apre all’incontro con gli altri, anche con chi la pensa diversamente o professa un’altra fede (Discorso, 18 marzo 2013). È una comunità di discepoli che prendono l’iniziativa per andare incontro ai «lontani», per intercettare ai crocicchi delle strade gli «esclusi», per accorciare le distanze con la gente (n. 24). In essa tutto viene pensato in chiave di missione: si tratta non di aspettare che la gente venga, ma di andarla a cercare là dove vive per ascoltare, benedire e camminare insieme, cogliendone l’odore, fino a restare impregnati delle sue gioie e delle sue speranze, delle sue tristezze e delle sue angosce (Messaggio alla Fuci, 14 ottobre 2014).

4. Gerarchia delle verità.

Nella Chiesa in uscita missionaria il Vangelo è annunciato non per imporre nuovi obblighi, ma per condividere una gioia, per segnalare un orizzonte di bellezza, per offrire la partecipazione ad un banchetto desiderabile (n. 14). Una pastorale in chiave missionaria non è ossessionata dalla trasmissione disarticolata di una moltitudine di dottrine che si tenta di imporre a forza di insistere, ma si concentra sull’essenziale, su ciò che è più bello, più grande, più attraente e, allo stesso tempo, più necessario (n. 35). Per raggiungere questo obiettivo è soprattutto necessario tenere in debita considerazione un criterio proposto dal Vaticano II ma spesso dimenticato e trascurato: la gerarchia delle verità, che vale tanto per i dogmi di fede quanto per l’insieme degli insegnamenti della Chiesa, ivi compreso l’insegnamento morale (n. 36).

5. Primato della Parola.

 La Chiesa non evangelizza se non si lascia continuamente evangelizzare. È indispensabile che la parola di Dio diventi sempre più il cuore di ogni attività ecclesiale (n. 174). Lo studio della sacra Scrittura deve essere una porta aperta a tutti i credenti. È fondamentale che la Parola rivelata fecondi radicalmente la catechesi e tutti gli sforzi per trasmettere la fede. L’evangelizzazione richiede la familiarità con la parola di Dio e questo esige che le diocesi, le parrocchie e tutte le aggregazioni cattoliche propongano uno studio serio e perseverante della Bibbia, come pure ne promuovano la lettura orante personale e comunitaria (n. 175).

6. Dimensione sociale del kerygma.

 La Chiesa in uscita è consapevole che la religione non deve limitarsi all’ambito privato e non esiste solo per preparare le anime per il cielo. Dio desidera la felicità dei suoi figli e delle sue figlie anche su questa terra, benché tutti siano chiamati alla pienezza eterna (n. 182). Una fede autentica, mai comoda e individualista, implica sempre un profondo desiderio di cambiare il mondo, di trasmettere valori, di lasciare qualcosa di migliore dopo il nostro passaggio sulla terra. Tutti i cristiani, anche i pastori, sono chiamati a preoccuparsi della costruzione di un mondo migliore (n. 183). Dio, in Cristo, redime non solamente la singola persona, ma anche le relazioni sociali tra gli esseri umani e il cuore del Vangelo rimanda ad un’intima connessione tra evangelizzazione e promozione umana (n. 178).

7. Opzione per i poveri. 

Cristiani e comunità sono chiamati ad essere strumenti di Dio per la liberazione e la promozione dei poveri, in modo che essi possano integrarsi pienamente nella società. Questo suppone che siano docili e attenti ad ascoltare il loro grido e a soccorrerli (n. 187). C’è un segno che non deve mai mancare tra i cristiani: l’opzione per gli ultimi, per quelli che la società scarta e getta via (n. 195). Occorre affermare, senza giri di parole, che esiste un vincolo inseparabile tra la fede cristiana e i poveri (n. 48). Una Chiesa povera e per i poveri (n. 198) è una Chiesa che pratica una volontaria semplicità nella propria vita nelle sue stesse istituzioni, nello stile di vita dei suoi membri – per abbattere ogni muro di separazione, soprattutto dai poveri (Udienza, 3 giugno 2015).

8. Linguaggio chiaro.

 Nella Chiesa in uscita missionaria non solo si usa un linguaggio semplice, chiaro e diretto che i destinatari sono in grado di comprendere o che hanno bisogno di sentirsi dire (n. 154), ma soprattutto si usa un linguaggio positivo e attraente perché in grado di offrire speranza, di orientare verso il futuro e di liberare dalla negatività (n. 159). Nelle scelte pastorali e nell’elaborazione dei documenti deve prevalere non l’aspetto teoretico/dottrinale astratto utile solo ad alcuni studiosi e specialisti, ma lo sforzo di tradurre le une e gli altri in proposte concrete e comprensibili per tutti, anche per rafforzare l’indispensabile ruolo dei laici disposti ad assumersi le responsabilità che a loro competono (Discorso alla CEI, 18 maggio 2015).

9. Teologia che odora di popolo e di strada.

 Nella Chiesa in uscita la teologia da tavolino (n. 133), che si esaurisce nella disputa accademica o che guarda l’umanità da un castello di vetro, dev’essere sostituita da una teologia che odora di popolo e di strada in grado di versare olio e vino sulle ferite degli uomini e delle donne di oggi. La misericordia, che non è solo un atteggiamento pastorale ma è la sostanza stessa del Vangelo di Gesù, va declinata nelle varie discipline teologiche (dogmatica, morale, spiritualità, diritto e così via). La Chiesa in uscita ha bisogno non di teologi da museo che accumulano dati e informazioni sulla Rivelazione senza sapere che cosa farsene. Ad essa servono teologi capaci di costruire attorno a sé umanità, di trasmettere la divina verità cristiana in dimensione veramente umana (Lettera alla Pontificia Università Cattolica Argentina, 3 marzo 2015).

10. Chiesa che benedice e vivifica. 

La Chiesa in uscita è la comunità che si prende cura del grano e non perde la pace a causa della zizzania. Per testimoniare Gesù Cristo è pronta al martirio. Però il suo sogno non è di circondarsi di nemici, ma piuttosto che la parola venga accolta e manifesti la sua potenza liberatrice e rinnovatrice (n. 24). Nella Chiesa in uscita l’identità cristiana non è né occultata (n. 79) né ostentata (n. 95), ma testimoniata in modo sempre rispettoso e gentile (n. 128). All’atteggiamento del nemico che punta il dito e condanna o del principe che guarda gli altri in modo sprezzante (n. 271) viene preferito uno stile fraterno e sororale che diventa attraente e luminoso (n. 99) agli occhi di tutti, in quanto in grado di illuminare e benedire, vivificare e sollevare, guarire e liberare (n. 273).

 

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