tentativo di golpe contro papa francesco
il cattolicesimo negli Stati Uniti e il tentato golpe contro papa Francesco
Nella sua lettera del 20 agosto a tutto il popolo di Dio, Francesco ha identificato nel clericalismo la vera piaga della chiesa: ne dà conferma il tentato colpo di stato del fine settimana, con il memoriale pubblicato dall’ex nunzio negli Stati Uniti, Carlo Maria Viganò. La manovra è stata studiata a tavolino sia nei tempi sia nei modi – specialmente guardando ai giornalisti ostili a Francesco che si sono prestati – ed è fallita, almeno quanto al tentativo di spingere il papa alle dimissioni. Ma per capire quanto sta succedendo nella chiesa, questo momento va analizzato sulla rotta tra Stati Uniti e Vaticano.
Da una parte la manovra mostra la saldatura tra un’agenda personale, frutto di sogni di carriera infranti da parte di cordate avverse nel piccolo mondo vaticano, e un vasto disegno ideologico e teologico che negli USA prende corpo fin dalle primissime settimane del pontificato di Francesco. Già nel luglio 2013, ancora prima che Francesco prenda le iniziative più significative del pontificato, una parte della chiesa e dell’episcopato statunitense non si fa remore a palesare il proprio malcontento per un pontificato, quello di Francesco, non abbastanza conservatore e non allineato al conservatorismo politico che si era radicalizzato fin dal 2008, ovvero dopo l’elezione alla presidenza di Barack Obama. Questi vescovi e intellettuali cattolici vedono fin dall’inizio in papa Francesco una specie di Obama della chiesa, e adottano con Francesco una tattica simile a quella adottata per Obama: la delegittimazione.
Alle prese con lo scandalo degli abusi sessuali in America fin dal 2002, i vescovi americani nominati da Giovanni Paolo II e Benedetto XVI non possono prendersela col papato per aver creato una classe episcopale inetta a trattare la sola questione su cui avrebbero dovuto essere affidabili, ovvero “legge e ordine”. Il momento opportuno per attaccare Francesco viene offerto dalla tempesta perfetta dell’estate 2018 – i postumi del viaggio in Cile, le rivelazioni sull’ex cardinale Theodore McCarrick, le indagini su alcuni seminari negli Stati Uniti, e infine il rapporto del Grand Jury della Pennsylvania.
Chi pensa questa operazione accetta il rischio di puntare a papa Francesco senza curarsi del fatto che un attacco a Francesco sulla questione degli abusi avrebbe necessariamente coinvolto i suoi due immediati predecessori. Il tentato golpe contro Francesco dice dello stato in cui versa l’opposizione oltranzista contro Francesco, negli Stati Uniti specialmente: che la frangia tradizionalista accetti il rischio di danneggiare Benedetto XVI e Giovanni Paolo II – nel pantheon cattolico americano, visti come l’opposto di Francesco – dice molto della loro disperazione.
La scelta di papa Francesco di non difendersi dalle accuse contenute nel memoriale, durante la conferenza stampa di ritorno dall’Irlanda, va anche letta come il rifiuto di considerare le accuse contro altri – incluso Benedetto XVI – formulate in quel documento. Molti in Vaticano dovranno prima o poi dare delle spiegazioni: ma questa è questione che non tocca Francesco in prima persona, che è sempre rimasto alla larga dalle cordate curiali chiamate in causa dall’ex nunzio. Viganò e una certa destra cattolica negli Stati Uniti, che il nunzio a Washington frequenta tra 2011 e 2016, dando a volte l’impressione di lavorare più per gli ideologi di quella frangia che per il papa (come per la vicenda dell’incontro tra il papa e Kim Davis durante la visita di Francesco negli USA) si sono usati a vicenda. Sia Viganò sia quella parte della chiesa contestano a Francesco un diverso atteggiamento della chiesa verso la questione omosessuale, a loro avviso parte integrante del problema della pedofilia nella chiesa. Ma è una convergenza di interessi che nulla ha a che fare con la lotta contro la piaga degli abusi sessuali.
C’è poi un secondo elemento dell’operazione. Oltre a questa convergenza tra l’agenda personale di Viganò e l’agenda ideologica del mondo americano e anglosassone ostile a Francesco, l’altro elemento chiave per comprendere l’operazione e il motivo per cui è fallita è la transizione da un certo tipo di cattolicesimo conservatore a un altro negli Stati Uniti. Osservando le pubblicazioni e gli articoli di giovani giornalisti e intellettuali della nuova generazione di cattolici americani (nati negli anni ottanta-novanta) è percepibile come essi non rappresentino più il cattolicesimo neo-conservatore vecchia scuola (un nome per tutti, George Weigel), quello arrivato al potere col Partito repubblicano, specialmente con George W. Bush nel 2000 e nell’America post-11 settembre 2001. Ma oggi la nuova generazione di cattolici americani di destra (sia laici, sia preti e seminaristi, ma anche qualche vescovo) interpreta un cattolicesimo teologicamente neo-ortodosso, moralmente neo-integralista, politicamente anti-liberale e anti-internazionalista, esteticamente neo-medievale.
È il cattolicesimo sempre più visibile nella rivista-faro della reazione conservatrice alla teologia liberal, First Things, nella quale le due tendenze e le divergenze tra loro sono visibili. In questa transizione da un tipo di conservatorismo cattolico a un altro si nota una differenza di accenti nelle critiche a papa Francesco. Entrambi sono molto critici della teologia di papa Francesco. La nuova frangia oltranzista e neo-integralista, che ricorda per certi aspetti l’Action Francaise di Charles Maurras negli anni venti del secolo scorso (condannata da Pio XI), non si fa remore di identificare in papa Francesco un papa eretico o non cattolico. Ma la vecchia generazione di cattolici neo-conservatori non è disposta a fare macerie della chiesa pur di liberarsi di papa Francesco: ed è qui che è mancato il supporto all’operazione Viganò.
L’attacco a papa Francesco dello scorso fine settimana va letto anche all’interno della lotta per la supremazia all’interno del cattolicesimo americano conservatore, tra vecchia scuola neo-conservatrice e nuovo integralismo medievalista. L’attacco a papa Francesco è fallito, ma non è chiaro cosa sarà della cultura cattolica conservatrice negli Stati Uniti: se tornerà sui passi di un neo-conservatorismo che conserva ancora un qualche senso delle istituzioni (ecclesiastiche e non), oppure se prenderà la via di un giacobinismo cattolico che non ha paura di flirtare con l’idea di un nuovo scisma d’Occidente