la scenegiata con la lacrima

il delinquente

il giorno della condanna definitiva di Berlusconi sono numerosissimi gli spunti di riflessione che troviamo nei media

mi piace segnalare questo bello e , come al solito, brillante quadretto di F. Merlo sulla reazione scomposta e melodrammatica di Berlusconi immediatamente dopo la lettura del dispositivo della sentenza (il termine ‘delinquente’ inserito nella foto è da prendere nella sua accezione puramente etimologica, senza nessuna volontà di denigrazione o di additare alla gogna … ):

La sceneggiata con la lacrimuccia

Ieri sera in tv abbiamo rivisto il vecchio attore che per non subire la pena cercava di far pena. Ed è vera pena. È stata infatti una sceneggiata con la lacrima, come il gorgonzola e i fichi. Con un videomessaggio ha mandato in onda il dramma simulato del ricco evasore che si fa povero e vittima e chiede aiuto al popolo che ha frodato. Ricordava lo Stanlio che per malafede piagnucola e si copre la testa con le mani per mitigare la durezza della scoppola di Ollio.

L’amico di Putin e di Gheddafi vuole solidarietà perché ha rubato allo Stato, cioè agli italiani a cui ora si appella. E vuole la rivoluzione contro i giudici.

E il pop è diventato trash quando Berlusconi, seduto alla sua solita scrivania di rappresentanza, ha portato come prova regina del complotto della magistratura la conferma della stessa sentenza in primo, in secondo grado e in Cassazione. Prima ancora di un arretramento della civiltà c’è un arretramento della logica che fa del Berlusconi piangente un caso unico nella storia. Ieri sera con il video del dolore si è infatti impiccato ai suoi stessi sortilegi: il maestro della telecomunicazione è rimasto schiacciato dalla verità delle immagini, è diventato tutto quello che nei tempi felici esorcizzava, gonfio, acceso e fuori misura, ancora mattatore ma nel baraccone della finta pietà. Eppure non hanno condannato lo statista ma l’omuncolo.

La verità è che anche questa condanna non riesce ad essere drammatica, tutta dentro la piccineria del delinquente comune. Pure il caritatevole rinvio all’italiana della sua cacciata dalla politica non ha la grandiosità dello strazio di Craxi, non c’era lapietasche suscitò Forlani ripreso in tv con la bava alla bocca, neppure la complicità di un intero Stato come nel processo Andreotti, meno che mai la profondità di Gava che al carabiniere che pronunziava la formula di rito, «È lei Gava Antonio?», rispose: «Io ero, guagliò. Io ero».

La frode fiscale non rimanda infatti ai foschi destini di tanti politici italiani, all’oltraggio e alla tragedia di Piazzale Loreto, alla drammatica fuga e alla morte di Bettino ad Hammamet. Berlusconi ha rubato i soldi dello Stato, dunque nel suo Pantheon ci sono solo gli evasori truffatori, quel Felice Riva che fuggì a Beirut, i titolari dei conti segreti nei paradisi fiscali, e poi Callisto Tanzi, Ricucci, Coppola, i furbetti e i furboni, i manigoldi finanziari…. Non giganti sulle cui spalle giganteggia il nano, ma nani che nanizzano i giganti.

E il rinvio, che introduce una morbidezza “tecnica” nel peggio, è una invincibile pulsione italiana. Non è una scappatoia come le prescrizioni, le depenalizzazioni ad personam, i lodi e i legittimi impedimenti, ma è il punto debole più efficace per tentare nuove scappatoie. Sicuramente riduce le asperità, leviga le asprezze e permette alla politica di procedere nell’equivoco ancora per molti mesi.

Non ci sono precedenti nella storia d’Italia di un ex premier “arrestato” in villa. Il Tg1 ha pronunziato la parola “carcerazione”, ma nessuna delle sue mille case somiglia al bunker di Hitler né al Gran Sasso di Mussolini e neppure al modesto rifugio di Hammamet, dimore tragiche dove non giravano le patonze né i camerieri sotto forma di avvocati (e viceversa) e neppure i giornalisti a libro paga. Si capisce insomma che Berlusconi non è prenotato in una saga nibelungica ma in un carnevale estivo.

Ed è la prima volta che il telegiornale della Rai lo definisce «ultrasettantenne ». Cade dunque anche la finzione dell’eterna giovinezza, il lifting è stato strappato. E se chiedesse l’affidamento ai servizi sociali, come Forlani e come Previti, gli italiani vi troverebbero la barzelletta e tutti si eserciterebbero a immaginarlo assistito da una giovane badante marocchina, una fantesca giudiziaria, insomma un altro dei mille travestimenti orchestrati nella cantinetta: dopo la poliziotta con la manette, dopo la suorina, ecco la lap dance dei servizi sociali.

Abbiamo avuto Poggiolini e il suo puff pieno di danaro, un ministro della Sanità che bruciava le carte compromettenti dentro un pentolone, abbiamo avuto i terribili suicidi di Moroni, di Gardini, di Cagliari, abbiamo avuto la piramide di Panseca e il conto gabbietta del Pci, ma Berlusconi non riesce ad essere drammatico neppure nella solennità della Cassazione. Gli toglieranno il titolo di cavaliere ma resterà cummenda come nelle gag di Bramieri.

Eppure i suoi giornali hanno lungamente insistito nel reclutare tra gli antenati di Berlusconi i tanti protagonisti di quella politica criminale che è stata qualcosa di più grande, di più vasto e anche di più nobile della miserabile frode fiscale. Con il risultato che anche molti antiberlusconiani, vignettisti compresi, sono caduti nella trappola culturale di immaginare Craxi che dall’Aldilà vuole abbracciare il suo compare nell’Aldiquà.

Non è così. Nel caso di Berlusconi non solo la politica non è all’origine del crimine, ma è stata usata per legittimare il crimine, come fabbrica di impunità.

È vero che la storia del nostro Paese è, in gran parte, storia di criminalità politica, una lunghissima battaglia sui delitti e sulle pene, anche nella variante persecutoria. Scriveva il socialista Filippo Turati nel lontano 1882: “È nel delitto, in questa sciagurata materia che l’Italia ha un primato che non è quello sognato da Gioberti”. E nello stesso anno Pasquale Turiello, che militava nella Destra storica: «Mentre le altre nazioni sono rose dal nichilismo o dal socialismo, l’Italia è corrotta dalla terribile infermità del delitto politico». Ma nessuno può seriamente credere all’autoproclamazione di Berlusconi come continuatore di Crispi e di Giolitti («il ministro della malavita » lo chiamava Salvemini) o della Dc, che utilizzava il bandito Giuliano nella lotta di classe, e neppure dei protagonisti- vittime di Tangentopoli con i suoi crimini ma anche con le sue ingiustizie. Qui non c’è l’onore perduto della grande tradizione degli espatriati socialisti da Filippo Buonarroti ad Andrea Costa, Garibaldi, Salvemini, i fratelli Rosselli, Nenni… Qui il finale grottesco è la perfezionedell’inizio. E si capisce che davvero Berlusconi preferirebbe che dei forsennati lo trascinassero per strada e gli infliggessero qualche atroce supplizio, sceglierebbe lo scempio della folla invece di questo finalissimo da pirla. Patire, da sconfitto, una violenza, sarebbe il modo più sicuro per purificarsi, per farsi subito rimpiangere, per far credere agli italiani che era meglio tenersela cara quella loro abitudine, quel difetto nazionale, quel Cristo che andava protetto dagli squilibrati comunisti. Mal’Italia si limita a sghignazzare, a ridere, a disprezzare .

La frode fiscale, come del resto l’appropriazione indebita, la prostituzione minorile, la corruzione dei magistratiper impadronirsi della Mondadori, la corruzione del teste Mills…, non hanno nulla a che fare con la politica criminale che è una delle anime profonde di questo Paese di colpevoli che ha bisogno periodicamente di farsi cannibale e di sbranare un campione di colpevolezza. Al contrario Berlusconi ha tolto il senso politico anche al più politico dei delitti perché la compravendita dei parlamentari con denaro contante ha degradato persino il trasformismo in reato comune.

Non è dunque vero che questo è stato il processo del secolo, più spettacolare del processo Andreotti, e la sentenza di condanna, sostanzialmente uguale in ben tre gradi di giudizio, non è stata emessa a colpi di maggioranza parlamentare. Eppure per settimane hanno propalato l’idea che l’assoluzione avrebbe segnato il trionfo di Berlusconi ma solo la sua condanna ne avrebbe provocato l’apoteosi. E hanno cercato in tutte le maniere di trascinare nell’aula del Palazzaccio, e di nuovo sulle strade di Roma, il conflitto politico tra centrodestra e centrosinistra. Il tentativo, ancora e sempre televisivo, è quello di trasformare in un martire il solito campione del chiagne e fotte,il peggio della natura italiana, ora certificata dalla Cassazione. Ecco perché ancora più che giustizia è stata fatta chiarezza.

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