Numero di sbarchi in Italia nel 2017: 22.339 al 28 giugno, secondo dati ufficiali del Ministero dell’Interno. 181.436 in tutto il 2016. Sono questi i numeri dell’“invasione” in nome dei quali il nostro Paese e l’Europa stanno abdicando ai fondamenti stessi della concezione illuminista dei diritti umani, un tempo, almeno a livello teorico, specificità dell’Occidente. La mera evidenza delle cifre svela la natura strumentale della campagna martellante che da mesi alimenta la sindrome emergenziale e fa crescere intolleranza e paura. Una paura “liquida, mobile”, diffusa, che ormai permea la società e che, con le parole di Baumann, «è un ottimo capitale per tutti coloro che la vogliono utilizzare per motivi politici o economici» perché «produce uno stato mentale politicamente esplosivo», contro il quale nulla possono le analisi razionali o i richiami umanitari. Uno stato mentale che spiega la passività, anzi il drammatico consenso a misure un tempo considerate degne dell’orrore dei regimi totalitari. Un esempio per tutti: «Obbligo per le navi umanitarie di tenere le luci spente di notte», in un mare dove sicuramente ci sono centinaia di persone che rischiano di annegare. Qualcosa di irrazionale deve aver colto gli stessi vertici istituzionali, della UE e dei singoli Paesi: un incomprensibile panico “identitario” sembra attraversare il continente, che non pensa altro che a blindare tutti i suoi confini, con tutti i mezzi possibili. Se i treni piombati per migranti del governo dichiaratamente razzista di Orban un paio di anni fa ancora suscitavano scandalo, oggi a regimi sanguinari come quelli libico e turco si affida ufficialmente, attraverso corposi finanziamenti, il compito – sporco – di bloccare comunque i migranti a est e a sud. Nessuno può far finta di non sapere cosa accade nei centri di detenzione di quei Paesi. La storia condannerà senza appello l’Europa per questo, sarà come per la Shoah… Il mondo solidale cerca disperatamente di risvegliare le coscienze, ma per adesso la linea resta chiara. Le ultime decisioni disegnano un piano organico, che ha un solo scopo: fermarli, a qualunque costo. L’aumento dei morti non è una preoccupazione. E viene il dubbio che sia un obiettivo.
Inascoltati gli appelli ad aprire vie sicure che consentano ai migranti di arrivare in condizioni dignitose, difficoltà a far partire un piano ampio di accoglienza solidale e al tempo stesso razionale, orientata a un inserimento positivo e autonomo a breve/medio termine: in questo quadro l’Italia accetta – nonostante alcune apparenti divergenze – le attuali linee guida della UE, ribadite da Juncker anche dopo l’ultimo vertice – «enormi progressi», «serio impulso» alle politiche sull’immigrazione –. L’obiettivo finale è il «ricollocamento», oltre che nella stessa Libia, in Egitto, Niger, Etiopia e Sudan, Paesi ad hoc promossi “sicuri”! Ad essi e agli altri Paesi del Maghreb si affida inoltre il compito di maggiori controlli alle frontiere e si chiede di collaborare per i rimpatri dei “migranti economici”. «Aiutiamoli a casa loro», insomma. Semplicemente: non devono venire. Non possiamo accoglierli tutti. Aumentare i rischi del viaggio come deterrente.
Per la rotta del Mediterraneo, la Libia si conferma al centro della strategia di contenimento – ancora 46 milioni di Euro dalla UE e larga parte dei 35 milioni di Euro assegnati all’Italia per l’emergenza –: deve trattenere chi vuole partire o intercettare in mare e riportare indietro chi si è imbarcato. Con questi fondi, e i milioni di Euro – diverse centinaia – promessi o già dati a Erdogan si sarebbe potuta organizzare un’accoglienza degna e economicamente vantaggiosa anche per i Paesi europei. Ma non è questo che si vuole, evidentemente. Come in tutti i settori del sociale oggi, bisogna innanzi tutto affermare forte che non è vero che non ci sono fondi.
C’è un punto critico in questo disegno: le navi umanitarie delle Ong. Fanno due cose intollerabili: salvano vite (migliaia e migliaia) e soprattutto sono testimoni del comportamento delle motovedette – tra cui quelle regalate dall’Italia – della Guardia costiera libica. Scrive Amnesty International: «Gli intercettamenti della Guardia costiera libica mettono spesso a rischio le vite dei migranti e dei rifugiati. Le procedure impiegate non corrispondono agli standard minimi e possono causare attacchi di panico e capovolgimenti delle imbarcazioni con conseguenze catastrofiche. Vi sono inoltre gravi denunce di collusione tra membri della Guardia costiera libica e trafficanti nonché di maltrattamenti nei confronti dei migranti. Le motovedette libiche aprono il fuoco contro altre imbarcazioni e, secondo le Nazioni Unite, sono state “direttamente coinvolte, con l’impiego di armi da fuoco, nell’affondamento di imbarcazioni con migranti a bordo”». La campagna diffamatoria contro le Ong impegnate nei salvataggi – sotto il coordinamento della Guardia costiera italiana – ha preparato la strada a una serie di misure concrete volte a paralizzarle: arretramento dei limiti entro cui possono agire, ostacoli burocratici di ogni tipo per gli sbarchi, fino all’idea di chiudere loro i porti. Misura che violerebbe tutte le Convenzioni del mare. Del resto, la criminalizzazione della solidarietà è un tassello importante del quadro: da Lesbo a Ventimiglia, gli attivisti che danno da mangiare, aiutano ai confini, forniscono tende sono costantemente a rischio di denuncia. In Italia il Decreto Minniti offre molti strumenti anche in questa direzione. Un capitolo a parte, il più tragico: i minori non accompagnati. Soggetti fragili per eccellenza, avrebbero diritto a protezione e sostegno. Ormai è normale respingerli alle frontiere, tenerli di fatto in stato di detenzione o semplicemente abbandonarli a rischi e abusi. Solo in Italia ne “spariscono” in media una trentina al giorno.
Una deriva davvero pericolosa, che solo la solidarietà dal basso e un tenace lavoro culturale e di informazione possono tentare di contrastare.
* Foto di Irish Defence Forces tratta da Wikipedia Commons, immagine originale e licenza