“le mie vie non sono le vostre vie” – “quando sono debole è allora che sono forte”

elogio della debolezza
 Alberto Maggi

“La logica di Dio non è quella degli uomini. Per questo, da sempre il Signore ha chiamato, per realizzare le sue imprese, quelle persone che nessun uomo sano di mente avrebbe mai scelto”.
Le conferme, come sottolinea su ilLibraio il biblista Alberto Maggi, arrivano dal Vecchio e dal Nuovo Testamento…

Le scelte di Dio vanno da sempre in direzione contraria a quelle degli uomini, poiché il suo è uno sguardo differente. Il Signore valorizza quel che gli uomini disprezzano, fa fiorire la vita là dove sembra ci siano solo rovine, e quel che il mondo scarta il Creatore lo adopera per realizzare il suo progetto sulla creazione (“La pietra scartata dai costruttori è divenuta la pietra d’angolo”, Sal 118, 22).
 
Paolo, l’apostolo che aveva fatto della debolezza la sua forza (“quando sono debole, è allora che sono forte”, 2 Cor 12,10), aveva ben compreso la strategia di Dio e l’aveva così formulata: “Quello che è stolto per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i sapienti; quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti; quello che è ignobile e disprezzato per il mondo, quello che è nulla, Dio lo ha scelto per ridurre al nulla le cose che sono” (1 Cor 1,27-28).
 
La logica di Dio non è quella degli uomini. Per questo, da sempre il Signore ha chiamato, per realizzare le sue imprese, quelle persone che nessun uomo sano di mente avrebbe mai scelto. La storia della salvezza è infatti l’incredibile elezione di uomini chiamati a svolgere ruoli per i quali erano chiaramente inadatti e che Dio ha invece scelto perché i suoi criteri sono diversi (“I miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie. Quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano le vostre vie, i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri”, Is 55,8-9).
 
Se fossero stati gli uomini a dover selezionare la coppia che avrebbe dovuto dare origine a un popolo nuovo, il popolo del Signore, indubbiamente avrebbero scelto un uomo e una donna giovani, robusti, belli. Non così il Signore, che sceglie un vecchietto novantanovenne, per di più con una moglie sterile, causando tra l’altro il riso dei prescelti (“Allora Abramo si prostrò con la faccia a terra e rise e pensò: A uno di cento anni può nascere un figlio? E Sara all’età di novant’anni potrà partorire?… Allora Sara rise dentro di sé e disse: Avvizzita come sono, dovrei provare il piacere, mentre il mio signore è vecchio!”, Gen 17,17; 18,12). I prescelti ridono, il Dio, che non conosce la parola “impossibile”, no: “C’è forse qualche cosa d’impossibile per il Signore?” (Gen 18,14).
 
Quando per le vicissitudini della storia questo popolo, nato da due vegliardi, sarà ridotto in schiavitù, il Signore deve scegliere un liberatore. L’impresa non è facile, perché l’oppressore non è un uomo, ma il faraone, il re di natura divina, e la potente nazione che trattiene gli ebrei in schiavitù è uno dei più grandi imperi mai apparsi sulla faccia della terra. Chi mai avrebbe scelto per questa temibile impresa un fuggitivo ricercato per omicidio? (Es 2,11-15). E se il passato di Mosè non è un problema per Dio, il prescelto, balbuziente, ritiene di essere inadatto a questo ruolo, che rifiuta decisamente: “Perdona, Signore, io non sono un buon parlatore; non lo sono stato né ieri né ieri l’altro e neppure da quando tu hai cominciato a parlare al tuo servo, ma sono impacciato di bocca e di lingua”. (Es 4,10). Ma ancora una volta la forza del Signore supplisce la debolezza dell’uomo: “Io sarò con la tua bocca e ti insegnerò quello che dovrai dire” (Es 4,12).
 
Anche quando il popolo ha bisogno di un re, le scelte di Dio sono singolari. Inviato dal Signore a Betlemme, in casa di Jesse, per scegliersi il re tra i suoi figli, il profeta Samuele li passa tutti in rassegna, e quando Jesse gli presenta con orgoglio il suo primogenito, Eliàb, giovane, alto e attraente, il profeta fu certo che fosse questi il prescelto da Dio. Invece no, il Signore avvertì Samuele: “Non guardare al suo aspetto né alla sua alta statura. Io l’ho scartato, perché non conta quel che vede l’uomo: infatti l’uomo vede l’apparenza, ma il Signore vede il cuore” (1 Sam 16,7). E il Signore scartò anche il secondogenito, il terzogenito, e tutti i figli che Jesse aveva radunato. A dire il vero ce n’era ancora uno, che non era stato convocato con gli altri, in quanto troppo giovane, adatto solo per pascolare il gregge. Ma la scelta di Dio cadde proprio su di lui, David, e il figlio scartato sarà il re del suo popolo.
 
E l’inadeguatezza sembra essere stato il criterio di Dio nello scegliere i suoi profeti, cominciando da Geremia, troppo giovane per essere credibile (“Ahimè, Signore Dio! Ecco, io non so parlare, perché sono giovane”, Ger 1,6). E Osea? Era risaputo che la moglie, una prostituta, lo tradiva ripetutamente, eppure il Signore scelse proprio lui per essere il profeta che doveva testimoniare al popolo un perdono più grande della colpa (Os 2). Per denunciare le malefatte della casta sacerdotale e della corruzione del culto, il Signore non chiamò un fine teologo, ma un rude pecoraio, Amos, che con il suo linguaggio schietto e per nulla diplomatico, suscitò l’ira furibonda dei sacerdoti che lo cacciarono dalla sua terra (Am 7,10-17). Per non parlare di Giona, che non aveva alcuna intenzione di fare il profeta, e invitato dal Signore di andare a predicare a Ninive la necessità della conversione, s’imbarcò in direzione contraria (Gn 1).
 
Le scelte di Gesù non sono da meno. Per la realizzazione del regno di Dio non si rivolse a pii farisei e devoti sacerdoti osservanti delle leggi divine, uomini di indiscussa moralità e rettitudine. No, Gesù nel gruppo dei dodici accolse persone inadeguate al compito e gli scarti della società. Chiamò Simone Pietro, il caparbio discepolo che lo rinnegherà, spergiurando (“Cominciò a imprecare e a giurare: Non conosco quell’uomo!”, Mt 26,74), e Giuda l’Iscariota, il traditore, che per denaro venderà il suo maestro; Giacomo e Giovanni, i due fanatici fratelli che per la loro ambizione rischieranno di far naufragare il gruppo di Gesù (Mc 10,35-41), e che saranno soprannominati “figli del tuono” (Mc 9,38) per la loro propensione a incenerire i nemici (“Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?”, Lc 9,54). Gesù chiamò a seguirlo anche un intoccabile, Matteo, il pubblicano (Mt 9,9), uno spregevole individuo che per il suo mestiere era considerato un traditore del popolo e trasgressore di tutti i comandamenti, irrimediabilmente escluso dalla salvezza, impuro come era dalla radice dei capelli ai piedi. E non è finita: nel gruppo di Gesù sorprende trovare “Simone, detto Zelota” (Lc 6,15), ovvero un appartenente al partito armato che attraverso la violenza voleva accelerare la venuta del regno di Dio. Eppure proprio a questo gruppo di incostanti, testardi, infingardi, presuntuosi, che a parole erano pronti a morire con lui (Mt 26,35) e che invece “lo abbandonarono e fuggirono” (Mt 26,56), lasciandolo solo ad affrontare la morte, Gesù affiderà il mandato di trasmettere la buona notizia al mondo intero (Mt 28,19-20). Gesù non ha creato una comunità di puri, di perfetti, ma di persone che, coscienti della loro inadeguatezza e della loro fragilità, hanno sperimentato l’amore, la misericordia e il perdono e per questo sono capaci di testimoniare al mondo la tenerezza di Dio, l’unico linguaggio ovunque comprensibile



la debolezza delle religioni

 

amare o essere amati

la forza delle religioni è debole: non ha nulla a che vedere con quella delle armi o dei sistemi economici. E’ una forza che trasforma l’uomo dal di dentro per renderlo imitatore di Dio, giusto e misericordioso: essa non è dagli uomini, ma dall’alto. Le religioni nella loro povertà hanno la ricchezza di una aspirazione universale. Proprio perché deboli non possono incutere paura a nessuno, ma parlano a tutti con volto e cuore amico, grazie alla libertà che hanno rispetto ai grandi interessi che dominano le società umane   C.M.Martini