dove si trova il Dio diverso dalle nostre proiezioni e bisogni di compensazione

cercare nell’umanità

«Dio ama, nella vita, non ciò che è forte  e necessario, ma ciò che è debole e mortale, bisognoso di consolazione»

S. Quinzio

 

 

Ci sentiamo fragili, per compensazione cerchiamo in Dio la forza. La fragilità, infatti, non ha diritto di cittadinanza in questo mondo. Lo spazio vitale si conquista con i muscoli e sempre a discapito di altri.

Ci sentiamo sconfitti, per compensazione cerchiamo in Dio l’invincibilità. La sconfitta, infatti, non ha diritto di cittadinanza in questo mondo. È una vergogna da coprire, o meglio da rimuovere.

Ci sentiamo tristi, per compensazione cerchiamo la gioia in Dio. La tristezza, infatti, non ha diritto di cittadinanza in questo mondo. Per essere accettati bisogna far vedere che si è ininterrottamente contenti.

Ci sentiamo esposti al destino, per compensazione cerchiamo in Dio l’onnipotenza. Il mistero, infatti, non ha diritto di cittadinanza in questo mondo. Bisogna spiegare tutto nonostante la nostra piccola mente.

Ma Dio non è venuto per compensare ma per condividere. Dimorando nella vulnerabilità, nella sconfitta, nella sofferenza troveremo Dio. Proprio quello del Vangelo e non quello creato dalla nostra mente.




innamorati di un … Dio ‘diverso’

esultiamo

Siamo innamorati di Te perché sei il Dio del contenuto e non dell’apparenza.

Perché hai scelto la compassione come via per scoprire la nostra umanità.

Perché hai trasformato i luoghi dell’emarginazione e della sofferenza in luoghi sacri.

 

Siamo innamorati di te perché non credi alle cose che dicono di noi.

Siano innamorati di te perché ci proponi una storia tutta nuova, una storia di cambiamento: dall’oppressione alla liberazione, dai pre-giudizi alla fratellanza, dalla morte dei nostri parametri alla vita dei tuoi orizzonti infiniti.

Siamo innamorati di te perché possiamo essere pienamente noi stessi, con le nostre miserie, le ingiustificate repulsioni e le diffidenze verso di te.

Siamo innamorati di te perché non dobbiamo far finta di essere devoti per poterti parlare e trovare senso e consolazione.

Siamo innamorati di te perché possiamo sentirci svogliati e non allineati secondo i tempi liturgici (contenti il venerdì santo, tristi il giorno di Pasqua) senza offenderti.

Siamo innamorati di te perché non ti aspetti l’ossequio delle forme ma solo radicale autenticità.

Siano innamorati di te perché nessuna finzione resiste alla tua presenza.

Siamo innamorati di te perché sei il Dio del contenuto e non dell’apparenza.

Siamo innamorati di te perché hai scelto la compassione come via per scoprire la nostra umanità.

Siamo innamorati di te perché condanni i pilastri su cui l’uomo ha costruito l’inferno: l’arrivismo, l’accaparramento, l’indifferenza, la disuguaglianza.

Siamo innamorati di te perché hai trasformato i luoghi dell’emarginazione e della sofferenza in luoghi sacri.

Siamo innamorati di te perché hai scelto gli ultimi riscattandoli da tutte le umiliazioni.

Siamo innamorati di te perché sei il difensore dei poveri, e agisci per liberarli dall’artiglio dell’esclusione.




Dio non è così …

chi è stato?

Sap 14,30: concepirono un’idea falsa di Dio

«È incredibile l’abuso che noi occidentali abbiamo fatto della Bibbia per dominare il mondo»

Alex Zanotelli

 

Chi ha trasformato Colui che salva in colui che giudica e punisce?
Chi ha trasformato Colui che è compassione e tenerezza in colui che minaccia ritorsioni?
Chi ha trasformato Colui che è Amore in un contabilizzatore di colpe?
Chi ha trasformato Colui che è Padre in colui che valuta i meriti?
Chi ha trasformato Colui che è sposo fedele e innamorato in colui che ci accoglie solo a certe condizioni e ci vuole sempre diversi?
Chi ha trasformato Colui che si umilia per noi in colui che ci guarda dall’alto.
Chi ha trasformato Colui che si identifica con i sofferenti in colui che si allea con gli oppressori della terra?
Chi ha parlato senza conoscere Dio?(*)

(*)“Il Dio che si rivela in Gesù capovolge le idee che l’uomo religioso si fa di Dio”.

(D. Bonhoeffer, in Conflitti cristologici con il magistero di Josè Ignacio Gonzàlez Faus, Concilium 3/2008, p. 145).




il Dio straniero … che viene sempre da lontano e ha bisogno sempre di noi

anche Dio è straniero

Perché viene da lontano: dall’inizio dei tempi, fino a farsi prossimo, un giorno, improvvisamente.

Perché entra a casa nostra con un misto di aspettative e di timore: spesso non riconosce la nostra lingua particolare, lui che vorrebbe parlarne una universale.

Perché esiste, ma per manifestarsi, per avere un’identità, un passaporto, un timbro sul foglio di via, ha bisogno di noi. Dei nostri occhi, delle nostre mani, del nostro muoversi e camminare.

Perché non pretende alcunché da noi, ma, appena arrivato, si rende disponibile anche per i lavoretti in nero, prova a donarsi così com’è. Perché vuol solo essere accettato.

Perché sui barconi condivide il posto bagnato in cui coricarsi, alla mensa della Caritas il pane e la pastasciutta, coi compagni il dolore per una madre lasciata in Africa e l’incertezza della vita. Condivide. Sempre.

Perché serve: badante nelle case di chi non riesce obiettivamente ad accudire i propri vecchi, contadino dove nessuno raccoglie più i pomodori, manovale sotto il sole d’agosto. Serve, perché spesso gli mettono in tasca pochi spiccioli all’ora, e poco importa se si cade da un cornicione, se cade chi probabilmente non esiste.

Perché non giudica, ma è sempre giudicato: dal medico all’ingresso di frontiera, dal questurino, dal datore di lavoro, da noi che spesso lo guardiamo male perché un po’ sporco e strano. E, oggi, anche dai personaggi del finale dei vangeli: i nuovi governatori, i nuovi re edomiti o nabatei, e soprattutto, come allora, da un popolo intero che grida “crucifige”. Quando va male qualcosa, anziché incolpare noi stessi ce la prendiamo con lui, un Dio che è capro espiatorio.

Perché è sempre in croce: dell’ingiuria, della calunnia, della malafede, dell’ignominia, del crimine, della colpa, della miseria e della malattia.

Perché muore: di colpi di proiettile tirati per caso, di ruspa sui campi di soggiorno, di risse, di inseguimenti; per annegamento, per asfissia, per corpo contundente. Soprattutto, muore di indifferenza.

Perché risorge. In chi dice no alla cultura della paura e della morte. Nelle suore della Carità minacciate dai naziskin; nei preti di strada, di tutte le forme di strada. Nei sindacalisti e nei politici che hanno ancora una coscienza. In ciascuno di noi, se solo lo si vuole, senza fare chissà che.




l’amore ‘esagerato’ di Dio

Osea: l’assurdo di Dio

«Dio non ha bisogno per la sua gloria di gente perfetta ma di gente che lo ami»

M. Delbrêl

L’anima si lascia sedurre dagli idoli, perché cerca sicurezze, non sopporta l’angoscia  dei mutamenti a cui è esposta.

L’anima si scopre inconsistente. Così preferisce i punti fermi visibili anche se solo apparenti e illusori rispetto a quelli risolutivi ma invisibili. Non si fida di un amore appena percepibile e perennemente da dissotterrare, continuamente contraddetto, falsificato, dileggiato.

L’anima è in cerca di consensi perché preferisce indossare una maschera piuttosto che cercare la verità in solitudine. È disponibile all’alleanza con Dio ma solo in vista di benefici materiali o spirituali. È a suo agio tra la folla che attende un miracolo o un intervento di tipo magico di distruzione del male. Non sopporta la sofferenza del giusto che si attendeva invece forte e conquistatore. Solo il vincente è utile alla causa personale,  ma cosa farsene di un salvatore che non salva nemmeno se stesso? Quali vantaggi ottenere da uno che soffre e fa quella fine? Meglio aggrapparsi alle soddisfazioni che offre il mondo.

L’anima è infedele perché non sa discernere ma non lo ammette. Non si confronta con l’Unico che conosce davvero non solo il Bene in generale ma quello specifico per ogni persona.

L’anima cerca scorciatoie: si impone obblighi per rispettare l’immagine non autentica che si è costruita, invece di operare scelte nel profondo secondo l’immagine di somiglianza impressa da Dio.

L’anima chiusa alla conoscenza di Dio si aspetta castighi per le sue infedeltà. E si ritrae sempre di più. Se si lasciasse rassicurare scoprirebbe che i contraenti dell’alleanza sono due ma il garante è uno solo: Dio. O meglio scoprirebbe che gli sposi sono due ma uno solo è fedele: Dio(1). Se ascoltasse la sua voce comprenderebbe che Dio non ha scritto nessun codice penale e che alle sue cadute Lui risponde con l’Amore che eccede e che anticipa il pentimento. L’assurdo di Dio che sfugge all’anima è questo: la convinzione che sia proprio il suo perdono a farci convertire, a indurci a tornare e ad avere fiducia(2).

 

(1) “Ti farò mia sposa per sempre, ti farò mia sposa nella giustizia e nel diritto, nella benevolenza e nell’amore, ti farò mia sposa nella fedeltà e tu conoscerai il Signore”.

Osea 2, 21-22

Il mio popolo è duro a convertirsi: chiamato a guardare in alto nessuno sa sollevare lo sguardo. Come potrei abbandonarti, Efraim, come consegnarti ad altri, Israele? Come potrei trattarti al pari di Admà, ridurti allo stato di Seboìm? Il mio cuore si commuove dentro di me, il mio intimo freme di compassione. Non darò sfogo all’ardore della mia ira, non tornerò a distruggere Efraim, perché sono Dio e non uomo; sono il Santo in mezzo a te e non verrò nella mia ira. Seguiranno il Signore ed egli ruggirà come un leone: quando ruggirà, accorreranno i suoi figli dall’occidente, accorreranno come uccelli dall’Egitto, come colombe dall’Assiria e li farò abitare nelle loro case. Oracolo del Signore”.

(2)“Il messaggio di Osea ha qualcosa di sconcertante. La nostra logica religiosa segue il passaggio peccato-conversione-perdono. La grande novità di Osea, che lo situa su un piano diverso e lo fa un precursore del Nuovo Testamento, è che egli inverte l’ordine: il perdono precede la conversione. Dio perdona prima che il popolo si converta, e sebbene non si sia convertito”.

(Luis Alonso Schökel, I profeti, traduzione e commento di L. Alonso Schokel e J. L. Sicre Diaz, ed. italiana a cura di Gianfranco Ravasi, Borla, Roma 1984, p. 976).




la sofferenza ci fa sentire abbandonati da Dio

la valle del pianto

“Gesù fu collocato tra gli oppressi, lui che fu ingiustamente condannato e fu crocifisso fuori della città. […] la sua storia non è la storia di un vincitore: fu eliminato dai poteri del momento: egli appartiene al rovescio della storia”

(C. Duquoc)

 

Quando soffriamo ci sentiamo abbandonati da Dio(1). Fatichiamo a riconoscerlo nelle difficoltà: lo riteniamo alternativamente assente o responsabile. Nell’immaginario costruito dalla cultura, o meglio dal passaparola, Dio si riconosce dai risultati economico-sociali. Il facoltoso è benedetto, il povero/malato/migrante maledetto. È stato trasformato in una specie di amuleto: non può convivere con l’insuccesso. In pratica è la proiezione del nostro pseudo concetto di fortuna. Il Dio vincente e potente che rassicura così tanto la nostra razionalità giustificandone la volontà di dominio. Dio posizionato sul trono, in alto, distaccato e così reso conforme al nostro egoismo e disimpegno. Quindi una divinità non incarnata, una specie di supereroe da chiamare in caso di pericolo. Un pronto intervento da coinvolgere al verificarsi di imprevisti. Eppure il Dio rivelato dal Vangelo non sceglie gli onori né la forza. Non si impone, non fa come l’uomo. Desidera rassicurare del suo amore non convincere delle sue prerogative. Passa per la valle del pianto non la sorvola, assume la sofferenza senza vergogna. Continua ad essere Dio nonostante la fragilità sperimentata. Continua ad essere il Santo nonostante la condanna come bestemmiatore/sobillatore. Continua ad essere Misericordia nonostante la sfiducia, il disconoscimento e i fraintendimenti degli uomini. E continua ad essere il Salvatore pur morendo. Dio profondamente umano che, per amore, rompe le catene delle logiche asfittiche del mondo. Uomo profondamente divino che, per amore, patisce la sventura e la violenza prodotte dal mondo.

Passando per la valle del pianto la cambia in una sorgente” (Salmo 84, 7)




“Dio stesso viaggia sui barconi dei migranti”

l’arcivescovo di Agrigento:

“a venire da noi su un barcone è Dio, non accogliere è non credere”

Il cardinale Montenegro festeggia S. Calogero, santo nero venuto dall’Africa e lancia un monito

Francesco Montenegro

Durante i festeggiamenti per S. Calogero, l’arcivescovo Montenegro di Agrigento ha lanciato un commovente monito, particolarmente significativo dato che S. Calogero è un santo nero, taumaturgo della Chiesa e particolarmente amato in Sicilia e in particolare nell’agrigentino:

“I migranti, i poveri sono un termometro per la nostra fede. Non accoglierli, soprattutto chiudendo loro il cuore, è non credere in Dio. È Gesù a venire da noi su un barcone, è lui nell’uomo o nel bambino che muore annegato, è Gesù che rovista nei cassonetti per trovare un po’ di cibo. Sì, è lo stesso Gesù che è presente nell’Eucaristia. Un migrante alla fine del suo lungo viaggio, dopo aver subito violenze e visto sabbia, lacrime, paura, cadaveri … esclamò nel mattino in cui fu salvato: “Nulla è più bello al mondo del sorgere del sole”. Il sole illumina i volti di tutti gli uomini, non solo i nostri. Ogni migrante è una storia e una vita che, ci piaccia o no, s’intreccia con la nostra. I poveri e i migranti hanno un nome come noi, sognano come noi, sono pieni di paure come noi, sperano come noi, vogliono una famiglia come noi, – un minorenne mi ha detto che ciò che gli manca è la carezza della mamma – credono in qualcosa o in qualcuno come noi, osano come o più di noi, desiderano essere trattati come noi. Anche per loro, e non solo per noi, Gesù e si è lasciato inchiodare sulla croce. Lasciamoci scuotere la coscienza dal fatto che tanti bambini, uomini, donne, perdano la vita in mare. Fu un immigrato, il centurione romano, a riconoscere nel crocifisso il Figlio di Dio. Un detto ebraico dice: chi salva un solo uomo, salva il mondo intero.”




Dio è sempre altrove …

notizie di Dio


“Molte volte quel che per gli uomini è vittoria, per Dio è sconfitta”

Oscar Romero

 

Ti cerchiamo dentro i confini asfittici della nostra ragione. Tu stai oltre le frontiere di ogni pensiero creato.

Ti rinchiudiamo dentro una scatola, ti vogliamo fermo, immobile, sotto controllo. Tu corri in missione rinunciando al riposo del Cielo per vivere la fatica e l’abbandono dell’esilio.

Ti cerchiamo nei nostri meriti e successi per ricevere il compenso. Tu ci attendi nelle nostre fragilità per abbracciarle.

Ti cerchiamo nella luce, negli adempimenti, nelle forme. Tu ci riscatti dalle tenebre che ci turbano, dal peccato che ci ferisce, dalla fuga e dal rifiuto della tua grazia. E ci attendi trepidante come ogni innamorato respinto.

Ti cerchiamo nel consenso e nell’approvazione degli altri. Tu preferisci la profezia della verità agli inganni degli idoli.

Ti cerchiamo nelle nostre previsioni, organizzazioni, strutture. Tu alimenti e susciti carismi e intuizioni ed in essi ti manifesti.

Ti cerchiamo nella coerenza, nelle spiegazioni. Tu scendi nel nulla per donarci l’esistenza di continuo.

Ti cerchiamo nel programmabile. Tu sei sorpresa.

Ti cerchiamo nell’immaginabile. Tu sei meraviglia.

Ti cerchiamo nelle verità assolute-universali-dogmatiche elaborate in stretta collaborazione con i nostri limiti. Tu condividi la sofferenza delle persone.

Ti cerchiamo nelle elaborazioni sofisticate degli esperti. Tu ci guidi con la sapienza dei semplici e dei piccoli.

Ti cerchiamo nelle teorie. Tu sei esperienza.

Ti cerchiamo nelle nostre formule ripetitive. Tu sei dialogo.

Ti cerchiamo nelle nostre maschere. Tu sei relazione.

Ti cerchiamo nelle autorità e nelle gerarchie. Tu subisci l’oppressione insieme agli emarginati e agli ultimi.

Ti cerchiamo tra gli affreschi e gli oggetti preziosi. Tu passi la notte in un sacco a pelo appena fuori il tempio. 

Ti cerchiamo ma poi scopriamo che Tu arrivi sempre prima e che in realtà siamo cercati. A modo tuo, senza schemi, senza rigidità con la tua libertà infinita. La stessa che ci vuoi insegnare e donare.

da ‘altranarrazione’




gli ‘scarti umani’ e l’opera d’arte del Dio di Gesù

prima gli oppressi

«con gli scarti di questa umanità vulnerabile, alla fine del tempo, il Signore plasmerà la sua ultima opera d’arte»

(‘gaudete et exultate’ 61)

 

Se gli oppressi non hanno dove posare il capo, hanno però un luogo dove trovare consolazione*. Il cuore di Dio è innanzitutto per loro. Gli altri dovranno attendere prima di essere ammessi. Udranno parole uniche che Dio rivolgerà solo a loro. Nessun altro potrà ascoltarle, neanche origliando. Riceveranno spiegazioni, ogni interrogativo troverà risposta, e scopriranno che Dio non ha dimenticato nulla della loro sofferenza. Ogni lacrima degli oppressi è stata annotata con la mano di un ragioniere scrupoloso, mentre del bilancio dei peccati sembra che se ne siano perse le tracce. È fatto così il nostro Dio: diligente nel medicare ferite, negligente nell’assegnare colpe. D’altronde sembra abitare più in un ambulatorio che in uno di quei lussuosi palazzi dove si emettono sentenze civili o religiose. Ma sempre “umane”, nel senso di terrene. Com’è diverso il senso della Giustizia nella sua logica: per Lui significa riscattare l’infelicità di quest’esilio vissuto dai suoi figli al buio ed esposti ad ogni genere di male. Se per l’uomo giustizia è punire per il Signore è guarire. Attualmente però Dio è impegnato nella ricerca di persone che si rendano disponibili ad anticipare il suo conforto agli ultimi, qui sulla terra. Le selezioni sono molto difficili e vanno spesso deserte per gli improrogabili impegni degli uomini: accumulare denaro, programmi televisivi, partite di calcio**. È così che a Dio gli tocca vedere morire i suoi figli prediletti nella solitudine. Questa assurda separazione, che ci fa rinviare le dinamiche del Regno all’aldilà, produce molte vittime. Il rinvio è il lago in cui sguazza il male. Non servono lamenti ed invocazioni se non ci convertiamo dalla passività e ci continuiamo a dimenticare che non solo la terra ma anche i nostri/e fratelli/sorelle ci sono stati affidati in custodia.

* “venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro” (Vangelo di Matteo 11,28)

** vangelo di Matteo 22,1-14




il Dio cristiano è ‘partigiano’ , è un Dio che sta da una ‘parte’

ce lo ha detto chiaramente Gesù

«Tu sei il Dio dei poveri, il Dio umano e semplice, il Dio che suda per le vie, il Dio dal viso stravolto; per questo ti parlo io così come parla il mio popolo, perché tu sei il Dio operaio, il Cristo lavoratore»

(messa contadina nicaraguegna)

È partito tutto da lui, ha diviso la storia in prima e dopo non lasciando nulla com’era, e forse proprio per questo ha ‘goduto’, durante la vita terrena, di una pessima fama. Sì, per noi è il Figlio di Dio. Sì, noi seguiamo, con immensa gioia, un reietto condannato all’infamia della crocifissione. Noi non crediamo nel giudizio emesso dal Potere civile e da quello religioso, perché la sua Persona e il suo messaggio risuonano nel luogo più intimo della nostra anima, restituendo vigore ai nostri desideri infiniti di libertà e di fratellanza. Intravediamo una Verità che valorizza il nostro processo di umanizzazione. Sobillatore e provocatore per lo Stato, per noi è Dio che ci rivela la sua predilezione, fino al punto di morire, per gli ultimi, per quelli schiacciati proprio dal Potere. Un ‘eretico’ e un bestemmiatore per la gerarchia religiosa, per noi è Dio che guarda con viscere materne le ferite dell’uomo prodotte dal peccato.

Sì, per noi è Dio e conosciamo l’abituale reazione violenta del Potere nei confronti dei dissidenti. D’altronde, per esso, è sopportabile solo un dio accondiscendente e collaborativo secondo le esigenze dell’oppressione. In caso contrario è pronto un palo verticale allestito dal Potere religioso e uno orizzontale allestito dal Potere civile: la croce delle struttura di peccato su cui inchiodare i giusti e gli indifesi. Noi rifiutiamo il Potere, preferiamo morire piuttosto che opprimere in cambio di qualche sporco vantaggio personale, desideriamo aiutare, cooperare, includere senza prevalere e comandare. Noi rifiutiamo la competizione, la logica del più forte e quella del più furbo, preferiamo perdere ma arrivare tutti insieme, evitiamo i piedistalli per non cadere, i pulpiti per non guardare dall’alto in basso, e l’unico insegnamento che riteniamo veramente indispensabile è quello di Matteo 25. Noi non consideriamo come progresso l’osservazione dei pianeti o la scoperta di nuovi universi ma solo il grado di compassione nei confronti delle fragilità. Noi non condividiamo la cultura borghese ed elitaria, scegliamo il popolo. Desideriamo essere così: invisibili tra gli invisibili.

da ‘altrainformazione’