la vita è in pericolo anche per quelli che fuggono dai disastri della natura
i rifugiati fantasma senza diritto d’asilo “salviamo chi fugge dai disastri naturali”
Ogni anno sei milioni di persone emigrano a causa dei disastri ecologici. Gli esperti: “Saranno 250 milioni nel 2050, è l’emergenza del secolo”
di VLADIMIRO POLCHI
I numeri sono impressionanti: secondo il Centre for research on the epidemiology of disasters, negli ultimi 20 anni sono state distrutte da catastrofi climatiche 87 milioni di case. Le migrazioni ambientali sono in gran parte migrazioni interne: solo nel 2015 il numero di sfollati per calamità naturali è stato 19,2 milioni in 113 diversi Paesi. L’ultimo caso è quello della Lousiana: nelle alluvioni del mese scorso sono state distrutte 60mila case. E i senzatetto sono stati più di 7mila.
I rifugiati ambientali sono stati di recente anche al centro dell’attenzione del Papa: “I cambiamenti climatici contribuiscono alla straziante crisi dei migranti forzati. I poveri del mondo, i meno responsabili dei cambiamenti climatici, sono i più vulnerabili e ne subiscono gli effetti “, ha detto Francesco due settimane fa in occasione della Giornata mondiale di preghiera per la cura del creato.
Lo straordinario aumento di sfollati e profughi, fra l’altro, è dovuto anche a conflitti scatenati da politiche di appropriazione di risorse. Dal dopoguerra a oggi, ben 111 conflitti nel mondo avrebbero tra le proprie radici cause ambientali.
A questo popolo invisibile è dedicato il convegno internazionale “Il secolo dei rifugiati ambientali?”, organizzato da Barbara Spinelli, a Milano il 24 settembre (registrazione su rifugiatiambientali@ gmail.com). “Sono rifugiati ambientali quelli che sono costretti a fuggire da conflitti per l’accaparramento delle risorse idriche o energetiche – spiega Spinelli – come lo sono coloro che fuggono dalla desertificazione e dal collasso delle economie di sussistenza in seguito a crisi dell’ecosistema attribuibili a cause naturali o attività umane: land grabbing, water grabbing, processi di “villaggizzazione” forzata, che negli anni Ottanta causarono la morte di un milione di persone per carestia in Etiopia, e ancora inquinamento ambientale, smaltimento intensivo di rifiuti tossici, scorie radioattive risultanti da bombardamenti”.
L’appello per una nuova Europa
Il pericolo? È che questo popolo resti “trasparente” agli occhi delle leggi internazionali: né la Convenzione di Ginevra, né il Protocollo aggiuntivo del 1967 riconoscono lo status di rifugiato a chi fugge a causa di catastrofi ambientali. Svezia e Finlandia sono gli unici Paesi europei ad aver incluso i profughi ambientali nelle rispettive politiche migratorie nazionali. Secondo le principali ong, tra le azioni da intraprendere resta centrale il riconoscimento giuridico. “Questi flussi si aggiungono a quelli causati da guerre, persecuzioni politiche, religio- se o etniche, e talvolta vi si sovrappongono in modo inestricabile – sostiene ancora Spinelli – è pretestuoso e miope considerare queste popolazioni in fuga da condizioni invivibili alla stregua di migranti economici, tuttavia è esattamente ciò che fa la Commissione europea con il cosiddetto “approccio hotspot”, che istituisce due categorie di migranti: i profughi di guerra, ai quali viene riconosciuto il diritto di chiedere protezione internazionale, e i migranti economici da rimpatriare automaticamente senza aver seriamente esaminato le eventuali loro legittime domande di asilo e senza concedere loro la possibilità di ricorso in caso di respingimento”.
Per il politologo francese, François Gemenne (tra i relatori del convegno), “che le migrazioni indotte dal clima costituiscano in futuro un fallimento o un successo, dipenderà non solo dall’impatto climatico, ma soprattutto dalle scelte politiche che facciamo oggi”.