ogni giorno in Italia cinque casi di razzismo

il razzismo in Italia non è una fake news

almeno cinque casi di discriminazione al giorno

la rete di 16 associazioni ed enti pubblici di cui fa parte il Csv delle Marche

“Pericoloso mettere in connessione immigrati e sicurezza”

No Razzismo- immagine di repertorio

“La tentata strage di stampo razzista di Macerata impone una profonda riflessione sulla pericolosa diffusione del fenomeno del razzismo”: ad affermarlo le 16 organizzazioni ed enti locali che fanno parte, insieme anche al Csv delle Marche, del progetto Voci di confine, nato nel 2017 per raccontare – attraverso dati, storie e testimonianze – il fenomeno migratorio al di là degli stereotipi.

I dati diffusi nel comunicato stampa delle organizzazioni che aderiscono al progetto sono preoccupanti: nonostante l’Italia abbia un sistema normativo adeguato (leggi 654/1975, 205/1993, 40/1998, DL 9-7-2003 n.215) i casi di razzismo sono all’ordine del giorno.
Dei 2.652 episodi di discriminazione rilevati dall’Unar nel 2016, il 69% – ovvero più di 1800 – riguarda fatti discriminatori per motivi razziali, con una media di 5 al giorno.
A questi si aggiungono i dati sui crimini d’odio: secondo l’Odihr (Office for Democratic Institutions and Human Rights) dell’Osce, su 555 crimini d’odio rilevati dalle Forze dell’Ordine in Italia nel 2015, 369 erano relativi a episodi di razzismo e xenofobia. A cui si aggiungono altri 101 casi riportati da organizzazioni della società civile. La relazione della commissione d’indagine del Parlamento italiano su fenomeni di odio, intolleranza, xenofobia, e razzismo (nota come Commissione Jo Cox) dimostra infinel’esistenza di una piramide dell’odio alla cui base si pongono stereotipi, rappresentazioni false o fuorvianti, insulti, linguaggio ostile “normalizzato” o banalizzato e, ai livelli superiori, le discriminazioni e quindi il linguaggio e i crimini di odio”.

“La narrazione sui cittadini di origine straniera presenti in Italia va normalizzata su dati precisi di realtà e con informazioni corrette”, ha sottolineato Renata Torrente, referente di Voci di Confine per Amref, organizzazione capofila. Anche per questo l’obiettivo di Voci di confine per il 2018 è quello di portare avanti campagne d’informazione basate su dati concreti e storie di vita vissuta; percorsi educativi nelle scuole e nei centri di aggregazione, per diffondere tra i giovani un punto di vista basato sull’obiettività delle statistiche e delle esperienze. Il progetto prevede anche scambi di buone pratiche, con incontri territoriali che vedranno protagonisti le associazioni delle diaspore e di volontariato, gli enti locali, le ong e i soggetti privati, con l’obiettivo di raggiungere 4 milioni di cittadini, oltre 6.500 giovani, docenti ed educatori, quasi 2.000 operatori della cooperazione, ricercatori, imprenditori e 300 rappresentanti di enti locali italiani ed euromediterranei.

I fatti di Macerata “sono un campanello d’allarme da non sottovalutare come cittadini, prima di tutto, e poi come operatori del terzo settore”, ha sottolineato Simone Bucchi, presidente del Csv delle Marche –  tra i partner del progetto Voci di confine – confermando l’impegno a “rafforzare le reti territoriali che mettono al centro i bisogni delle persone più vulnerabili,  lavorando nel mondo del volontariato, rivolgendoci ai giovani e ai ragazzi, interloquendo con gli enti locali e con tutti coloro che come noi credono fermamente che le Marche siano una regione plurale, solidale e accogliente verso ogni individuo desideroso di costruirsi un futuro qui, a prescindere dal colore della pelle o dalla religione professata”.

Il progetto Voci di confine è stato cofinanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo ed è promosso da Amref Health Africa – Italia Onlus,; Amref Health Africa – Headquarters, Africa e Mediterraneo;  Associazione Le Réseau; Centro Servizi Volontariato Marche; Centro Studi e Ricerche Idos (IDOS); Comitato Permanente per il Partenariato Euromediterraneo (COPPEM); Comune di Lampedusa; Comune di Pesaro; Etnocom; Internationalia; Provincia Autonoma di Bolzano; Regione Puglia; Rete della Diaspora Africana Nera in Italia (REDANI); Step4; Terre des Hommes Italia.

gli ‘zingari’ sono troppo parassiti e ladri per fare i poliziotti – parola del sindacato di polizia

assumere ‘zingari’ in Polizia? No, grazie

per la Consap sono tutti ladri e parassiti

Assumere ‘zingari’ in Polizia? No, grazie. Per la Consap sono tutti ladri e parassiti
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Presidente Associazione 21 luglio

Gli “zingari”? Parassiti, ladri, culturalmente lontani dalla legalità. A dirlo non è il solito sondaggio somministrato a un gruppo anonimo di cittadini esasperati, ma nientemeno che la Confederazione sindacale autonoma di Polizia (Consap) che, in virtù delle diverse migliaia di aderenti in tutta Italia è una delle organizzazioni maggiormente rappresentative della Polizia di Stato con strutture in ogni città e rappresentanti in tutti gli uffici di polizia. La sede nazionale dell’organizzazione è a Roma, città dove la Consap è, per numero di iscritti, il secondo sindacato di Polizia. La Consap fa anche parte della più grande associazione europea di Polizia, rappresentativa di oltre 500mila operatori della sicurezza.

Tutto nasce nei giorni scorsi, quando il Parlamento europeo ha emesso un documento per combattere il fenomeno dell’antigitanismo nel nostro Continente. Il testo raccomanda alla Commissione europea e agli Stati membri di compiere sforzi concreti verso una reale inclusione delle comunità rom in condizione di emarginazione sociale. Tra le misure indicate c’è quella di

“garantire che tutti i cittadini siano uguali davanti alla legge, assicurando un uguale accesso alla giustizia e ai diritti; di fornire una formazione sui diritti umani ai dipendenti pubblici e del sistema giudiziario nazionale; di perseguire i crimini d’odio fornendo strumenti per combatterli nella maniera più adeguata; istituire all’interno del corpo di Polizia delle unità che, formate sull’antiziganismo, sappiano combattere in maniera efficace i crimini d’odio; di favorire l’accesso alle giustizia da parte delle donne rom”; “incoraggiare l’assunzione di persone rom all’interno dei Corpi di Polizia”.

Raccomandazioni di buon senso visto che si tratta di misure già adottate con successo in diversi Paesi. In Italia l’unica a commentare la notizia è stata la Consap che, in un comunicato stampa, ha definito quest’ultima raccomandazione “una priorità delirante”. Il motivo è facilmente spiegato: 

“Il concetto di integrazione dei rom è un controsenso, infatti la loro cultura è da sempre quella di vivere ai margini della società per esaltare il loro parassitismo. Buttandola in metafora disneyana, come ha già detto qualcuno, non si rischierebbe di far sorvegliare alla Banda Bassotti il deposito di Paperone? Immaginiamo che le stesse nostre perplessità le potrebbero avere anche i zigani, che vedono, nelle divise, persone da evitare assolutamente e che questa cultura del “lontani dalla Polizia” se la tramandano da generazione in generazione, fin dalla tenera età dove il poliziotto potrebbe impedire loro di chiedere l’elemosina” 

Insomma, “zingari in Polizia?”. No, grazie, perché per il sindacato

“rimane assodato che in polizia può entrare chiunque, a patto che abbia requisiti morali, personali e generazionali per difendere la libertà e la democrazia

e quindi, secondo la Consap, chi ha sangue rom resta fuori.

Eppure la storia, come sempre racconta una verità diversa. Ho conosciuto funzionari rom della polizia bulgara e rumena addetti alla formazione dei loro colleghi. Così come in Abruzzo e Molise ci sono persone di origini rom arruolate in diversi corpi delle forze dell’ordine, qualcuno destinato anche alle missioni all’estero. Pochi lo sanno, visto che generalmente quando si indossa una divisa, non c’è la necessità di dovere sbandierare le proprie origini ai quattro venti. Soprattutto poi, quando a causa di pregiudizi e stereotipi, si potrebbe incorrere in sgradite conseguenze. D’altronde, anche nel Corpo di Polizia romano è da segnalare la presenza di agenti che, senza divisa, sarebbero annoverati tra gli “zingari parassiti, ladri e sfruttatori“.

Non ce lo possiamo nascondere: questi ragazzi, come tanti altri, sono il futuro del nostro Paese, i costruttori del ponte che ci proietta nel futuro di un’Italia ormai irrimediabilmente “contaminata“ dalla multietnicità. Lasciamo tranquillamente a questi giovani con il sogno della divisa – che siano rom o che non lo siano – la responsabilità di difendere la nostra “libertà e democrazia”, messa a rischio non certo da loro ma da prese di posizione offensive e ridicole. Che da un parte preoccupano ma dall’altra fanno sorridere benevolmente per il livello di un comunicato stampa che – per forma e contenuto – si pone sullo stesso piano delle barzellette indecorose sulle forze dell’ordine raccontate anche all’interno delle comunità rom.

Ma quando si è infarciti di pregiudizi reciproci, ognuno combatte la propria battaglia tra “guardie e ladri” (o riprendendo la metafora disneyana tra il commissario Basettoni e la banda Bassotti) utilizzando le armi che sa usare, a colpi di infelici comunicati stampa o di storielle irrispettose

per l’ONU l’Italia discrimina i rom

ora lo dice anche l’Onu

‘le comunità rom in Italia sono discriminate’

Ora lo dice anche l’Onu: ‘Le comunità rom in Italia sono discriminate’
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Presidente Associazione 21 luglio
In Italia continua le segregazione abitativa dei rom: non solo si registrano sgomberi illegali, ma le autorità proseguono nella costruzione di aree isolate e realizzate su base etnica. Insomma, la Strategia nazionale per l’inclusione dei Rom è solo un elenco di belle intenzioni. A dirlo non sono organizzazioni di settore, centri sociali o attivisti vicini alla sinistra. Lo certifica piuttosto il più antico e autorevole Comitato della Nazioni unite quando, “tirando le orecchie” al governo denuncia a chiare lettere: le comunità rom in Italia sono discriminate.E’ proprio in materia di discriminazione verso le comunità rom che il Palazzo di Vetro esprime la sua più profonda preoccupazione e condanna nei confronti delle azioni promosse dal governo italiano e dalle amministrazioni locali chiedendo con urgenza interventi concreti volti a ricondurle all’interno dei valori fondamentali riportati nella Convenzione internazionale sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale redatta il 21 dicembre 1965.

 

Gli Stati che hanno sottoscritto la Convenzione, 177 tra i quali l’Italia, si sono infatti formalmente impegnati a perseguire con tutti i mezzi adeguati una politica nazionale tesa a eliminare ogni forma di discriminazione fondata sull’etnia e, come organismo di sorveglianza, le Nazioni unite hanno creato il Cerd, il Comitato per l’eliminazione della discriminazione razziale (Committee on the elimination of racial discrimination) che da quasi 40 anni vigila sull’osservanza della Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale.

Periodicamente gli Stati firmatari devono rendere conto ai loro cittadini e all’opinione pubblica mondiale in merito alla concretizzazione, all’interno del proprio Paese, dei valori fondamentali della Convenzione e sottoporsi a un esame critico. Ogni Stato è tenuto a presentare rapporti all’interno dei quali dettagliare i provvedimenti legislativi, giudiziari, amministrativi presi illustrando la situazione del Paese in materia di discriminazione. Il Comitato esamina periodicamente i rapporti presentati accogliendo anche i “rapporti ombra” di organizzazioni indipendenti che spesso presentano quadri e descrivono scenari sensibilmente difformi da quelli illustrati dai governi nazionali.

 

Quest’anno è stata la volta dell’Italia e il Comitato, riguardo la cosiddetta “questione rom” non ha fatto sconti, recependo buona parte delle informazioni inviate dalle diverse organizzazioni, in primis quelle di Associazione 21 luglio.

Le preoccupazioni del Comitato investono tre ambiti fondamentali: la pratica degli sgomberi forzati che ha un impatto particolarmente negativo sulla continuità scolastica dei bambini; il fatto che molte comunità rom continuino a vivere in baraccopoli segreganti e in spazi abitativi distanti dai servizi essenziali e al di sotto degli standard; la volontà espressa da alcune amministrazioni locali interessate a progettare e creare nuovi insediamenti per soli rom.

Non è una novità che gli sgomberi forzati registrati negli ultimi tre anni nelle città di Milano e Roma – azioni di “bonifica” preparatorie ai grandi eventi di Expo e del Giubileo della Misericordia – abbiano raggiunto, per intensità e modalità operative gli stessi picchi segnalati durante il triennio della cosiddetta “emergenza nomadi”.

Non lo è neanche che in Italia siano almeno 20.000 i rom presenti negli insediamenti istituzionali, realizzati e gestiti con denaro pubblico. Stupisce invece come, anche dopo le inchieste di Mafia Capitale, alcune città, prima fra tutte la Capitale, continuino a perseverare nella costruzione di nuovi ghetti etnici (chiamati nelle forme più bucoliche e soft), ormai certificati come “buchi neri” dove le risorse economiche, così come i diritti fondamentali, vengono inghiottiti nella vergognosa macchina messa su dalle amministrazioni.

Ma il Cerd non si limita a formulare preoccupazioni. Questa volta va oltre indicando precise linee guida alle quali il governo italiano dovrà dare conto fra 12 mesi: fermare subito gli sgomberi forzati, arrestare ogni costruzione di nuovi “campi per soli rom”, assicurare ai minori rom un’istruzione di qualità e un’accessibilità all’istituzione scolastica, rivitalizzare la Strategia nazionale per l’inclusione dei rom.

La strada è tracciata. Si tratta solo di seguirla. Del resto si sa, volenti o nolenti il trattamento che le istituzioni riservano alle comunità rom in condizione di povertà, rappresenta – insieme ad altri – il termometro che misura il nostro livello di democrazia e civiltà.

le tragedie lette con gli occhi della discriminazione

 

 

 colpevole di essere rom: da Nashville a Roma

due tragedie: due misure

le tragedie sono tragedie, ma se capitano a dei rom sembra che valgano il doppio e da leggere con una severità discriminante:

una analisi di Danilo Giannese in merito a quanto successo in un campo rom nella periferia di Roma, dove un bimbo ha trovato un coltello e ha ferito gravemente la sua amichetta di poco più grande:

 

 

Una settimana fa a Nashville, capitale del Tennessee, Stati Uniti, un bambino di tre anni ha trovato una pistola automatica in casa e ha sparato al fratellino di 18 mesi. Il piccolo, colpito alla testa, è morto sul colpo. Si è trattato di una tragedia. L’ennesima tragedia, negli Stati Uniti, legata alla diffusione delle armi.

Qualche giorno fa, in un campo rom nella periferia di Roma, un bimbo ha trovato un coltello e ha ferito gravemente la sua amichetta poco più grande. Le condizioni della piccola restano gravi ma nelle ultime ore sono stati segnalati dei miglioramenti.

Stesse dinamiche, da Nashville a Roma – con conseguenze differenti, per fortuna. Una tragedia a Nashville, una tragedia – sfiorata – a Roma. Eppure, di fronte a quanto accaduto nel campo rom nella Capitale, in molti, soprattutto sul web, non si sono soffermati sull’aspetto tragico della vicenda ma hanno automaticamente collegato la tragedia alla caratteristica di essere rom della piccola.

Gli utenti del web, nei loro commenti sui siti e social network di riviste e quotidiani on line, non si sono lasciati scappare l’occasione di sputare odio, rabbia, ferocia, cattiveria su un’intera comunità, un intero gruppo di persone. La tragedia che vede un bambino ferire gravemente la sua amichetta con un coltello diventa colpa e responsabilità da addossare “ai rom”, “agli zingari”. Un buon motivo in più per gridar loro contro e auspicarne la cacciata dall’Italia.

«Dovrebbero togliere i figli a sta gente che non li merita!!!!».

«Sempre con questo immaginario del bambino innocente. .il bambino è solo il “prima” dell adulto, e non sempre la precoce età ti rende immacolato.. io la morte non la auguro a nessuno, ma riguardo i rom, sono estremamente razzista».

La bambina è colpevole di essere rom, dunque. E commentare la notizia diventa pretesto per esternare odio e rancore. E addirittura augurarsi la morte della bambina rom.

«Fosse per me…una in meno», recita uno dei commenti, e non è di certo il solo.

Tutto ciò fa riflettere ulteriormente sul livello di antiziganismo – l’intolleranza nei confronti di persone rom e sinte – presente nel nostro Paese.

L’Italia, secondo un rapporto dell’autorevole istituto di ricerca americano PeW Research Center, si pone al primo posto tra i Paesi europei per livello di antiziganismo. L’85% degli intervistati ha espresso una opinione indistintamente negativa verso rom e sinti, contro il 66% in Francia e il 41 % in Spagna, Paesi peraltro in cui i rom sono ben più numerosi che da noi (solamente in Spagna, ad esempio, vivono 800 mila rom).

Nel nostro Paese, poi, si registra più di un caso al giorno di incitamento all’odio e alla discriminazione verso rom e sinti, nella gran parte dei casi riconducibile a frasi e dichiarazioni di esponenti politici. I dati, va da sé, non tengono conto di commenti e esternazioni degli utenti del web, che farebbero schizzare alle stelle questi numeri.

Lo scorso gennaio, in occasione della Giornata della Memoria – giorno in cui si ricordano tutte le vittime delle persecuzioni nazi-fasciste, tra cui oltre 500 mila rom e sinti sterminati nei campi di concentramento – l’Associazione 21 luglio ha presentato il rapporto “Vietato l’ingresso”, curato dal ricercatore Roberto Mazzoli.

La pubblicazione – che si apre con l’analisi dell’episodio del cartello recante la scritta “È severamente vietato l’ingresso agli Zingari”, comparso sulla vetrina di un esercizio commerciale di Roma nel marzo 2014 – ha messo a confronto, attraverso il dialogo, la comunità rom e la comunità ebraica a Roma, due comunità entrambe vittime, nel corso della storia, di discriminazioni, violenza e razzismo. Analizzando e riflettendo sugli stereotipi e i pregiudizi negativi che attanagliano, oggi più di ieri, rom e sinti in Italia.

Sono pregiudizi che continuano a dipingere i rom come autori di azioni illegali e criminali, quando in realtà manca quella sfera che porta in luce realtà totalmente diverse. In Italia ci sono circa 180.000 rom e sinti, di cui tre quarti vivono una vita come quella di qualsiasi cittadino, hanno un lavoro e studiano.

Invece un quarto vive nei ‘campi’ ed è di loro che si parla esclusivamente senza approfondire le cause del disagio all’interno di questi campi, che come ha portato alla luce l’inchiesta ‘Mafia capitale’ sono luoghi di segregazione sui quali ci sono anche interessi economici.

Tutto questo si trasforma in pregiudizio negativo. Tutto questo – unito al fatto che il 99% dei commenti negativi nei confronti di rom e sinti viene da chi un rom o un sinto non l’ha mai conosciuto in vita sua (già, perché l’incontro e il dialogo i pregiudizi li sciolgono come neve al sole) – si trasforma nell’augurar la morte a quella bimba rom in quel campo alla periferia della Capitale.

Mentre a Nashville è avvenuta una tragedia…

 

sempre più xenofobia e odio verso i rom

arriva una famiglia rom, insulti razzisti

la presenza di una coppia con otto bambini scatena la rivolta su Facebook. Il Comune: frasi vergognose, faremo denuncia

 

 In Sardegna, a Sorso, una famiglia di etnia rom si insedia nell’agro e sul web scoppia la rivolta. Marito e moglie si sono stabiliti in un oliveto fra le località “La Pauledda” e “Badde Caddoggia” assieme ai loro otto figlioletti, con tanto di roulotte e forti del loro contratto preliminare d’acquisto del terreno. Ma non avevano fatto i conti con i pregiudizi degli abitanti di Sorso. Le richieste di sgombero immediato sono centinaia, così come il fiume di commenti a sfondo razzista che scorre in un gruppo Facebook cittadino: l’amministrazione comunale denuncerà i fondatori per danno d’immagine.

Protestano anche i residenti dell’agro, a loro dire intimoriti dalla presenza degli stranieri. Quando vigili urbani e carabinieri si sono addentrati nell’agro sorsense – allertati da un considerevole numero di segnalazioni – hanno appreso che quel terreno di poche migliaia di metri sarebbe in realtà un prossimo acquisto. Infatti, la famiglia di etnia rom ha esibito un contratto preliminare di vendita (la cui attendibilità sarà accertata). In città si mormorava da tempo circa l’arrivo di nuovi “ospiti”. Il recente sgombero del campo nomadi di Alghero ha infatti messo preoccupazione a molti. I più fantasiosi avevano sentenziato che il Comune di Sorso fosse pronto a installare un campo nomadi in un lotto vicino al campo sportivo “Piramide”, lungo la via Puggioni. «Abbiamo le prove, le casette saranno installate qui», recita la didascalia di una foto postata sulla rete. Salvo poi scoprire che si tratta di una zona destinata alla costruzione delle case popolari dell’Ex Area.

La linea di demarcazione fra timore e disprezzo non è mai stata così sottile. Il pregiudizio ha covato sotto la cenere per qualche settimana per poi esplodere nelle ultime ore in un odio soltanto all’apparenza “telematico”. Il gruppo Facebook “No all’accampamento degli zingari a Sorso” (già il nome la dice lunga sui toni sprezzanti utilizzati nei post interni) è stato fondato pochissimi giorni fa. Impressionante l’affluenza degli utenti, arrivati a quasi 1200 in circa 48 ore.

La valanga di proteste e improperi ha costretto l’amministrazione comunale a intervenire per placare gli animi, soprattutto per evitare un danno d’immagine ormai irrimediabilmente consumato. Il commento più gettonato è un condensato di bestemmie dialettali e incitamento all’odio razziale: «in qualsiasi luogo siano che vengano bruciati», con tanto di like da parte di politici locali: pessima idea. E più sotto una, due, tre foto di baracche e passeggini in fiamme fra gli apprezzamenti degli altri convenuti. C’è poi chi ha pensato addirittura di organizzare vere e proprie squadriglie di ricognitori per accertarsi della situazione «di persona».

I primi a coglierne i segnali di pericolo di queste affermazioni sono proprio le forze dell’ordine, consce che la bomba sociale andrebbe disinnescata. «A Sorso non potrà essere installato un campo rom». A dirlo è l’assessore alla Cultura, tranquillizzando i concittadini attraverso un blog. «Questa famiglia non usufruisce di alcun servizio del Comune di Sorso, scuolabus compreso», scrive l’assessore Angelo Agostino Spanu, che aggiunge: «non hanno ricevuto alcun contributo dal Comune o dai servizi sociali». Il primo cittadino, Giuseppe Morghen, nei prossimi giorni incontrerà il prefetto di Sassari per chiarire la road map di un possibile intervento. Lo scenario è in evoluzione e le decisioni finali dell’amministrazione verranno rese note nei prossimi giorni.

“l’Italia discrimina i rom” : parola del Consiglio d’Europa

 

Consiglio d’Europa: Italia ancora discriminatoria con i rom

(da Radio Vaticana)

campo rom alla periferia di Napoli

  
l’Italia non garantisce pieni diritti ai Rom. E’ la denuncia che oggi arriva dall’Ecri, la Commissione europea contro il razzismo e l’intolleranza del Consiglio d’Europa, nel suo ultimo rapporto sull’Italia
Francesca Sabatinelli:

Non sono sufficienti, e soprattutto sono lenti, i passi compiuti dall’Italia verso la tutela dei diritti dei i Rom. L’Ecri punta il dito contro la Penisola che, nonostante i progressi compiuti negli ultimi tre anni, non ha ancora introdotto misure misure per assicurare ai Rom colpiti da ordini di sgombero i diritti garantiti agli altri cittadini, ossia la possibilità di contestare l’ordine di sgombero, di sfratto, davanti a un tribunale e la possibilità di accedere a un luogo dove poter abitare, ciò che si sarebbe verificato in occasione degli sgomberi del luglio scorso. Gianni Rufini, direttore di Amnesty International Italia:

 Strasburgo richiama l’Italia. Roma risponde: “Stiamo smantellando i campi”

Il rapporto del Consiglio d’Europa critica l’Italia per la mancata integrazione dei Rom nonostante i fondi investiti. La capitale reagisce annunciando il superamento definitivo dei sette villaggi della solidarietà e dei quattro centri di raccolta dei nomadi nel triennio 2015-2018. Ma cosa accadrà a chi non avrà più il campo dove vivere?
 così Flavia Amabile su ‘La Stampa’:

Ancora una volta da Strasburgo arriva un forte richiamo nei confronti dell’Italia e delle sue politiche molto lontane dall’integrazione per i Rom nonostante i fondi investiti. Lo denuncia l’Ecri, la commissione europea contro il razzismo e l’intolleranza, del Consiglio d’Europa, nel suo ultimo rapporto sull’Italia. 

 

Ci sono stati alcuni passi avanti ammette la commissione – ma il processo che dovrebbe portare al pieno rispetto dei diritti dei Rom «è lento». Più di ogni altro aspetto, l’Ecri sottolinea che le autorità italiane non hanno ancora introdotto misure per assicurare ai Rom colpiti da ordini di sgombero i diritti garantiti agli altri cittadini, vale a dire la possibilità di contestare l’ordine di sgombero, di sfratto, davanti a un tribunale, e la possibilità di accedere a un luogo dove poter abitare. 

 

Non è il primo richiamo nei confronti dell’Italia da parte di Strasburgo. Il Campidoglio assicura che sarà uno degli ultimi se non proprio l’ultimo. Roma ha avviato un percorso di superamento dei campi rom, assicura l’assessore alle Politiche Sociali Francesca Danese. Nel corso degli anni hanno assorbito investimenti davvero notevoli senza risolvere alcun problema anzi: hanno ghettizzato ancora di più chi era all’interno e permesso la sedimentazione del malaffare, spiega l’assessore. Il sistema sarà superato promette e altrettanto fa il sindaco Ignazio Marino. Se le promesse verranno mantenute si procederà per gradi, partendo dai campi di via Salvini e il Residence Rom e proseguendo con gli altri. Nel lungo termine si dovrebbe arrivare al superamento definitivo dei sette villaggi della solidarietà e dei quattro centri di raccolta dei nomadi, nel triennio 2015-2018 si vorrebbe arrivare alla chiusura di due insediamenti e di due centri provvisori.  

 

Che cosa accadrà a chi non avrà più il campo dove vivere non è chiaro. Per chi è nei residence ci saranno dei buoni casa per gli altri si sta tentando di capire se si potrà pensare a dei “percorsi personalizzati”. Tutto è possibile anche se le cifre del problema impongono molta cautela. Ci sono circa 40mila rom e sinti su più di 100mila che abitano in insediamenti formali ma anche del tutto improvvisati nelle periferie di tutt’Italia. A Roma ad abitare nei campi veri e propri sono 4.391 rom (dai circa mille di Castel Romano, fino agli appena 150 di Lombroso), altri 680 vivono nei centri di raccolta. A non avere una casa è una percentuale molto bassa della popolazione Rom e Sinti . 

 

Cifre e costi sono contenuti in un rapporto del consigliere Riccardo Magi, presidente dei Radicali italiani, e dall’associazione 21 Luglio su richiesta dello stesso sindaco Marino. Solamente nel 2013, oltre sedici milioni di euro, cui circa il 60% rappresentato dai soli costi di gestione. Per il mantenimento di ogni famiglia all’interno, si va dagli 11 mila del Villaggio di Lombroso (con 30 famiglie presenti), agli oltre 27 mila del villaggio di Castel Romano (con 198 famiglie presenti). E non è tutto. Nei tre Centri di raccolta Rom il costo annuo per famiglia è quasi doppio, per un totale di oltre sei milioni di euro, nonché le spese sostenute ogni ano dal Comune di Roma per gli sgomberi, superano il milione e mezzo. Soldi investiti in un’operazione che ha ottenuto in questi anni la bocciatura del Tar, del Consiglio di Stato e, nel 2013, della Cassazione hanno portato almeno al superamento dell’emergenza.  

 

 

 

quando il linguaggio tradisce le discriminazioni che neghiamo

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quando mettiamo le mani avanti iniziando il discorso dicendo: “non sono razzista, però … ” , “io non discrimino i rom, i gay, i neri, però … “, stiamo già dicendo molto in proposito, stiamo già tradendo lo sguardo razzista sulla realtà che a parole intendiamo negare a  chi ci ascolta e, prima ancora, a noi stessi

mi piace riportare un trafiletto di M. Valcarenghi apparso su ‘il Fattoquotidiano’ che argutamente evidenzia questa velata, ma neanche tanto, forma di razzismo o discriminazione che assume talvolta anche le forme più gentili ed eleganti (“io tra i rom o tra i gay ho tanti amici, quindi … “):

Né omo né etero: persone

di Marina Valcarenghi

in “il Fatto Quotidiano” del 16 giugno 2014

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“Un mio compagno di università gay suona divinamente il clarinetto”. “Perché mi dice che è omosessuale?” “Beh … così per dire – poi il mio paziente proseguì sospettoso – perché mi fa questa domanda?” “Perché non credo che direbbe: “Un mio compagno di università etero suona … eccetera. Perché questa marcatura della differenza?” ”Non sono omofobo” “Non ho detto questo, ho detto che ha segnalato una diversità di orientamento sessuale in una frase che non la richiedeva. Come se io dicessi: “Una mia amica lesbica cucina il cus cus”. “Ma lo fanno tutti!”, protestò il mio paziente. “È vero, credo infatti che in molti casi – come nel suo – si tratti di un automatismo indotto dall’imitazione, o addirittura di un’inconscia affermazione di apertura alla diversità, ma di fatto, magari senza saperlo né volerlo, si conferma uno stigma”. Un mio amico mi disse: “… in fondo sono un gay di sessant’anni…” “Sei un uomo di sessant’anni” intervenni con tutta la dolcezza che sentivo. “Sì, hai ragione… non ci si accorge nemmeno più, ti hanno messo addosso un marchio e ormai te lo tieni e tanto vale sventolarlo come una bandiera. So che è una cavolata. Non è né un marchio né una bandiera, è un modo di essere”. Io e quel mio amico, come tanti altri, sogniamo un mondo dove l’omosessualità e l’eterosessualità non siano più argomenti, dove la scelta nell’amore e nel sesso, non di rado anche mutevole nel corso di una vita, sia finalmente un fatto privato, irrilevante nell’amicizia, nel lavoro, nello sport, nell’arte, nella politica e dovunque altrove, dove non siano più necessarie manifestazioni carnevalesche e zone separate, dove nessuno osi utilizzare l’opzione sessuale per alzare palizzate e distribuire svantaggi o privilegi. Ce la possiamo fare, è solo questione di tempo. Stiamo attenti al nostro linguaggio: le parole sono importanti.

 

il grido di una ragazza rom: “non siamo così”

Sabrina: “Noi rom non siamo come ci dipingono i media”

Sabrina, 23 anni, vive nel "campo rom" di San Nicolò d'Arcidano, in Sardegna

 

Sabrina, 23 anni, vive nel “campo rom” di San Nicolò d’Arcidano, in Sardegna

Sabrina Milanovic ha 23 anni, è italiana e vive in un “campo rom” a San Nicolò d’Arcidano, in provincia di Oristano, in Sardegna. È stanca dei pregiudizi e degli stereotipi negativi diffusi nei confronti della sua comunità e vorrebbe impegnarsi per promuovere e valorizzare i diritti dei rom nella sua cittadina e nel resto d’Italia.

«Noi rom veniamo continuamente discriminati e questo succede non perché la gente sia cattiva o in malafede. Ma semplicemente perché non ci conosce e di noi sa solo le cose brutte che scrivono i giornali. Ma noi non siamo come ci dipingono i media e non è giusto che per colpa di alcuni a subirne le conseguenze debbano essere tutti i rom»

Dallo scorso ottobre Sabrina frequenta il Corso di formazione per attivisti rom e sinti organizzato dall’Associazione 21 luglio e dal Centro Europeo per i Diritti dei Rom (ERRC).

«Io voglio fare qualcosa in prima persona per combattere contro i pregiudizi nei confronti del mio popolo, per affermare i nostri diritti e per promuovere un’immagine differente di noi».

A San Nicolò d’Arcidano, la comunità rom è costituita da circa un centinaio di persone, il 3,5% della popolazione totale, composta da 2.800 abitanti. Dal 2011 i rom vivono in un nuovo “campo” dopo che un incendio aveva distrutto l’insediamento provvisorio in cui viveva la comunità.

Sabrina non vorrebbe vivere in un “campo” ma in una casa come ogni altro cittadino italiano.

«Vivere in un campo vuol dire vivere la vita in maniera amplificata. Le casette sono tutte attaccate e non hai un minimo di privacy».

Nel “campo” di San Nicolò d’Arcidano, “campo” realizzato dal Comune, gli abitanti rom vivono in baracche di40 mq ciascuna all’interno delle quali, in alcuni casi, arrivano a dividere lo spazio anche 11 persone.

Secondo il Comitato per la Prevenzione della Tortura, istituito dal Consiglio d’Europa, lo spazio minimo nelle celle per ogni detenuto dovrebbe essere di 7 mq, cioè il doppio dello spazio a disposizione di alcuni residenti rom nel “campo” in provincia di Oristano.

Per Sabrina la strada per rafforzare i diritti delle comunità rom passa attraverso il lavoro.

«Bisogna che anche i rom abbiano opportunità lavorative. Questo servirà a combattere i pregiudizi, a favorire l’integrazione e il vivere insieme. In questo modo potremo non essere più giudicati per quello che non siamo».

(dal sito di ’21 luglio’)

Razzismo, un caso al giorno di cattiva informazione e odio contro rom

popolo rom

A far luce sulla loro discriminazione è il rapporto “Antiziganismo 2.0”. Dei 370 casi di incitamento all’odio e alla discriminazione, il 75% sono opera di esponenti politici, 58 di privati cittadini e 20 di giornalisti.

Politica, media e internet: la cattiva informazione su rom e sinti scorre abbondante nei canali che plasmano l’opinione pubblica. Modificando la percezione e alimentando pregiudizi antichi che inseguono da sempre questi popoli. A far luce sulla loro discriminazione è il rapporto “Antiziganismo 2.0”, presentato dall’ “Osservatorio 21 luglio” e realizzato grazie al monitoraggio di circa 140 fonti selezionate tra i principali mezzi di informazione italiani. Nel mirino dei ricercatori, dal primo settembre 2012 al 15 maggio 2013, parole chiave quali rom, zingari, nomadi, sinti e giostrai.

I risultati dello studio confermano che politica e stampa contribuiscono in modo determinante alla discriminazione dei rom: ogni giorno, in Italia, si registrano in media 1,43 casi di incitamento all’odio, per lo più da parte di esponenti politici; mentre sono in media 1,86 gli episodi quotidiani di informazione scorretta su giornali nazionali e locali. In totale, negli otto mesi e mezzo di osservazione, sono stati rilevati 370 casi di incitamento all’odio e 482 casi di informazione scorretta.

Numeri che danno un’idea delle dimensioni dell’antiziganismo. Fenomeno definito dalla “Commissione europea contro il razzismo e l’intolleranza” come “una forma di razzismo particolarmente persistente, violenta, ricorrente e comune”. Nell’Europa dei diritti e della cittadinanza, insomma, i rom sono ancora considerati ospiti indesiderati. Anche se sono la minoranza europea più numerosa: solo nei paesi membri del Consiglio d’Europa, contano tra gli 11 e i 12 milioni di persone. La maggioranza di loro, inoltre, non sono affatto nomadi. E nel nostro paese, dove sono circa 200mila, almeno la metà sono cittadini italiani.

“L’emergenza non sono i rom ma le politiche europee. Per fortuna si moltiplicano gli appelli per la piena parità dei diritti e dei doveri”, osserva a questo proposito Giovanni Rossi, presidente della Federazione Nazionale della Stampa Italiana. “Il problema non è solo italiano, ma europeo. Sono stati spesi troppi milioni per politiche sbagliate”.

Scavando tra i dati raccolti dall’Osservatorio, si comprende meglio la geografia dell’antiziganismo: dei 370 casi di incitamento all’odio e alla discriminazione, 281 (il 75% del totale) sono opera di esponenti politici, 58 di privati cittadini e 20 di giornalisti.

I quotidiani risultano il principale strumento di diffusione (234 casi), seguiti da Internet (51), Twitter (23), e Facebook (10). Per la carta stampata, la maglia nera va al Corriere della sera, che tra edizioni locali e nazionali raccoglie il numero più elevato di segnalazioni (12,9%), seguito da Tirreno (11%), Messaggero (7,5%), Tempo (6%) e Repubblica (6%). Quasi sempre, comunque, non si tratta di scorrettezze deliberate, ma di informazioni diffuse in modo acritico e tale da rafforzare stereotipi e pregiudizi.

Ancora più interessante è l’analisi del panorama politico. Il 59% dei casi di incitamento all’odio riguarda esponenti di partiti di destra o centro-destra. Per 90 volte, i responsabili sono politici della Lega Nord, seguiti dal Popolo delle libertà (74), la Destra (30) e Forza Nuova (11). Neanche il Partito Democratico, con 9 segnalazioni, risulta immacolato.

Dal punto di vista geografico, la discriminazione vede al primo posto il centro-nord, con il 52% delle segnalazioni, di cui il 22% nella sola Lombardia. Il centro-sud si attesta invece sul 43%, di cui il 34% nella sola Roma, che registra così quasi un terzo di tutte le segnalazioni sul territorio nazionale.

In questo scenario, il rapporto dell’Osservatorio 21 luglio è un contributo utile per comprendere e, quando possibile, prendere decisioni: “Il fenomeno assume oggi in Italia dimensioni preoccupanti. Ai rom si associano indistintamente e automaticamente degrado, incuria, malvivenza, pericolosità sociale”, dichiara Carlo Stasolla, presidente dell’Osservatorio. “E’ necessario contrastare questi stereotipi e pregiudizi, alimentati da esponenti politici che intendono parlare alla pancia del proprio elettorato”.

di Gabriele Carchella

discriminazione in nave

 

 

discriminata

Giovane cieca discriminata in nave, perchè accompagnata dal suo cane.

 

Valona-Brindisi: un viaggio da dimenticare per una ragazza di 24 anni di origine albanese, ma residente in Italia da circa 10 anni

. Kedrit Shalari è una ragazza non vedente che in compagnia del suo cane guida, Vera, aveva deciso di intraprendere il viaggio a bordo di un traghetto della compagnia European Ferries ma non si aspettava di ricevere un’accoglienza poco piacevole tanto da essere allontanata dalle aree riservate ai passeggeri e anche dal ristorante di bordo.

Motivo? Il cane! La giovane cieca ha subito vere e proprie minacce: “ Se non te ne vai buttiamo a mare te e il tuo cane”, costringendola a rimanere isolata per più di due ore sul pontile della motonave. La Feder F I D A è pronta ad appoggiare la giovane, assicurandole i legali e il sostegno nella battaglia .

Nuove norme regolano la presenza di cani in luoghi pubblici senza divieti alcuni, figuriamoci se il cane è indispensabile per motivi più che validi e seri. L’unica strada da percorrere è quella giudiziaria, visto che la strada del cuore e della coscienza è quasi sempre piena di ostacoli, con l’auspicio che giustizia sia fatta quanto prima.

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