i poveri disturbano troppo la nostra tranquillità, è meglio che affoghino!

i poveri

di Giuseppe Caliceti

 

Il Mediterraneo alla deriva.
Le onde sempre più alte, più nere.
Gli occhi da animali feriti
dei bambini pigiati nella stiva.
I poveri fanno troppa paura.
I poveri sono spazzatura.
Dalle onde si alza una brezza.
I poveri fanno troppa tristezza.
Vogliamo metter fine agli sbarchi.
I cieli si abbasseranno sul mare.
Rovesceremo in acqua i carghi:
uomini ragazze donne bambini.
I poveri creano imbarazzo.
I poveri portano malattie.
I poveri devono andarsene.
Con i loro stracci, le loro scarpe.
Il grido dei richiedenti asilo
sarà ricacciato in gola, morto.
Innalzeremo un muro sull’acqua.
Ma a nessuno vogliamo far torto.
Non riuscivamo più a sopportarli.
Rovinavano i telegiornali.
I poveri non sono mai di moda.
Rondini? Sono topi senza coda.
Topi senza ali, senza sorriso.
Ti fanno vergognare di esser vivo.
Le leggi dell’uomo? Quelle del mare?
Topi neri e tristi, annegate!
Presto chiuderemo tutti i porti.
No, non conteremo mai più i morti.
A chi alzerà preghiere al cielo
diremo: Non c’è nulla di atroce.
Cadaveri sui moli? Sulle rive?
Anni fa migrare toccò a noi.
Oggi migrare tocca a loro.
E’ così difficile da capire?
Belli, brutti il mondo è di tutti?
Il mondo non è di uno solo?
Bianchi, neri il mondo è di tutti?
Il mondo non è solo di alcuni?
Diremo: Non c’era altro da fare.
Diremo: Non volevamo far torti.
La schiuma aggrappata agli scogli.
I poveri di oggi, quelli di ieri.
I vivi sono troppo difficili
da smaltire, meglio i poveri morti.
A chi alzerà al cielo un dito
diremo: Creavano disordini

un papa che … rompe!

un papa che disturba

papa-francesco

di Isabelle de Gaulmyn in “La Croix” del 24 luglio 2015

Il papa disturba. Finché si limitava a criticare i comportamenti della Curia, i cattolici lo applaudivano. Ma quando, nell’enciclica Laudato si’, o nel suo viaggio in America Latina, denuncia una “economia che uccide” e un sistema che “continua a negare a migliaia di milioni di fratelli i diritti economici, sociali e culturali più elementari”, comincia, qua e là, a suscitare reazioni negative. Esagera, si mormora in certi ambienti, soprattutto negli Stati Uniti, dove gli si affibbia sprezzantemente il soprannome di “papa della Pampa”. Attacco troppo facile, che vorrebbe attribuire tutto ciò che il suo discorso ha di forte alle sue radici. Insomma, questo papa resterebbe troppo segnato dalla sua America Latina d’origine: quello che forse va bene per quel sottocontinente, non può essere adatto all’Occidente, dicono, dove la realtà sarebbe più complessa, e le disuguaglianze sociali meno forti.

Francesco, come ha detto lui stesso, non si discosta dalla più classica dottrina sociale della Chiesa. È da tempo che essa denuncia un liberalismo che teoricamente dovrebbe autoregolarsi, è da tempo che afferma che, al di sopra della proprietà privata, c’è il diritto ad una giusta attribuzione dei beni universali, e alla dignità di ogni uomo. Certo, la sua esperienza pastorale in una delle megalopoli più ingiuste del mondo dà a questo discorso una forza particolare. Soprattutto, questo papa venuto dal Sud, ripete incessantemente che il mondo è diventato globale: “L’interdipendenza planetaria richiede risposte globali ai problemi locali”, ha dichiarato in Bolivia. L’Europa non è al riparo dai drammi del mondo più di altre aree geografiche, come la tragedia dei migranti ci ricorda ogni giorno.

In questa critica, papa Francesco riconosce che la Chiesa non ha il monopolio della verità. Ripete anche che non si tratta di fare un discorso ideologico, ma di partire dalla condizione reale degli uomini e delle donne, da cui la Chiesa di Cristo non può fuggire. In fondo, in un mondo in cui l’economia può asservire degli uomini e sfigurare il pianeta, chiedere una conversione radicale non è un’utopia. E’ solo dar prova di realismo.

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