quasi 600 preti americani chiedono aperture su gay e divorziati

 

gay e divorziati risposati

572 preti americani chiedono aperture

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 È da pochi giorni scaduto il termine per la consegna delle risposte al questionario voluto dal Vaticano in vista del Sinodo ordinario di ottobre, ed entro l’estate – quando sarà pubblicato l’Instrumentum laboris – sapremo se e come hanno influito sul documento di lavoro gli interventi di quanti tra vescovi, congregazioni religiose, comunità e singoli fedeli, in questi mesi hanno voluto dire la loro in materia di famiglia, accogliendo l’invito della Segreteria Generale del Sinodo (v. Adista Notizie nn. 1, 6 e 13/15; Adista Documenti n. 8/15; Adista Segni nuovi nn. 1, 9, 11, 13 e 15/15).

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Se lo scorso mese ben 500 preti inglesi sono scesi in campo – con una lettera pubblicata sul settimanale Catholic Herald (v. Adista Notizie n. 13/15) – per esprimere l’auspicio che il Sinodo produca «una proclamazione chiara e ferma» a sostegno della dottrina della Chiesa sul matrimonio, il 10 aprile scorso altrettanti, ma a partire dall’altra sponda dell’Oceano, hanno fatto lo stesso, dando corpo però a una serie di suggerimenti che vanno nella direzione opposta a quella auspicata oltre Manica. Il documento diffuso dall’Association of U.S. Catholic priests (Auscp) raccoglie le risposte pervenute da 572 sacerdoti statunitensi (428 membri dell’associazione – che conta nel suo complesso più di mille aderenti – e 144 esterni) cui è stato chiesto, oltre che di rispondere alle 46 domande del questionario, di ordinarle per importanza.

Il primo posto se l’è conquistato la domanda n. 20 – «Come aiutare a capire che nessuno è escluso dalla misericordia di Dio e come esprimere questa verità nell’azione pastorale della Chiesa verso le famiglie, in particolare quelle ferite e fragili?» – nel rispondere alla quale i preti Usa preannunciano il tenore di tutto il documento: «Non presumendo che chi è nella Chiesa sia nella ragione e chi ne è al di fuori sia nel torto»; «accogliendo anziché rifiutando e discriminando i cattolici divorziati risposati e omosessuali»; «rispettando il primato della coscienza in caso di dilemmi morali», vi si legge tra le altre cose.

Al secondo posto i 572 piazzano la domanda sulla questione ritenuta più delicata, quella relativa alla pastorale rivolta alle famiglie che hanno al loro interno persone con «tendenza omosessuale». Per i preti Usa la comunità cristiana può assolvere a questo compito «offendo una teologia della sessualità nuova e sana»; «apprezzando il valore delle unioni civili gay»; riconsiderando l’idea che il sesso sia legato per forza alla procreazione; trattando gli omosessuali come sorelle e fratelli «con lo stesso desiderio di amore, impegno e cura dei bambini»; «usando una terminologia moderna», per esempio, suggeriscono, utilizzando “orientamento omosessuale” al posto di “tendenze omosessuali”. I sacerdoti sono ancora più netti nel rispondere alla domanda relativa a come «prendersi cura delle persone in tali situazioni alla luce del Vangelo»: «Istituendo un rito specifico per le unioni dello stesso sesso», è uno dei suggerimenti forniti, corredato dall’invito a «mettere in discussione l’assunto per cui Dio desidera solo l’unione uomo-donna» in risposta alla domanda seguente («Come proporre loro le esigenze della volontà di Dio sulla loro situazione?»). 

Altrettanto nette le risposte relative alla pastorale sacramentale nei riguardi dei divorziati risposati, come lasciava prevedere il primo blocco di risposte: i 572 suggeriscono infatti, tra le altre cose, di riammetterli all’eucarestia, «nutrimento per vivere vite fedeli e di amore da parte di coppie in un nuovo matrimonio».

I preti Usa suggeriscono poi di «prendere coscienza del fatto che il dogma della Chiesa in materia di matrimonio e famiglia è troppo rigido», consigliando addirittura di «imparare dai protestanti che fanno un lavoro migliore nell’applicare i valori scritturistici alla famiglia»; di «favorire un grande coinvolgimento dei laici nella catechesi e nel ministero»; di «assicurarsi che coloro che vengono ordinati capiscano che non per questo sono automaticamente qualificati per l’attività pastorale relativa al matrimonio»; di far comprendere ai ministri che coppie e famiglie in serie difficoltà devono essere affidate a specialisti; di «ordinare uomini sposati al sacerdozio e donne sposate al diaconato: potrebbero meglio esercitare il ministero con le famiglie»; di «non cercare di incasellare relazioni amorose e feconde nel modello dottrinale della Chiesa».

«Dio dalle nostre vite non si aspetta la perfezione», è uno dei commenti raccolti dall’Auscp e proposto in calce al documento insieme ad altri. «Noi viviamo con i nostri punti di forza e di debolezza. Facciamo degli errori. La grazia è la misericordia di Dio che ci circonda, con il perdono e la forza di muoverci in una direzione che ci avvicina a Dio. Dobbiamo incoraggiare questo movimento, piuttosto che punire le persone che non raggiungono la perfezione!». (ingrid colanicchia su Adista)

 




il vescovo Bettazzi e le nuove sfide che la chiesa deve affrontare

«comunione ai divorziati e gay, la chiesa affronti le nuove sfide»

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Mons. Bettazzi

mons. Bettazzi

intervista con mons. Bettazzi: «Con Francesco torna lo spirito del Concilio»

Bruno Quaranta

 

il peccato per cui la Chiesa deve chiedere specialmente misericordia? Non aver attuato pienamente il Concilio Vaticano II, scegliendo di essere Chiesa dei poveri e Chiesa comunione a tutti i livelli. Il peccato che “segna” in particolare l’uomo d’oggi? L’indifferenza di fronte ai grandi valori (a cominciare da quello religioso)».

 

meditando sull’Anno Santo prossimo venturo con Luigi Bettazzi nel verde Canavese. Dal 1966 al 1999 vescovo di Ivrea, il novantunenne monsignore, fra i pastori che non sdegnano, anzi, l’odore delle pecore (dagli operai olivettiani agli obiettori di coscienza), già frettolosamente, mediaticamente, soprannominato «il vescovo rosso», ha infine trovato conforto – se mai abbisognasse di conforto -nelle parole di Francesco: «Privilegiare i poveri non vuol dire  essere comunisti».

Papa Francesco ha già creato diversi cardinali ultraottantenni. Potrebbe ricevere anche lei la porpora.

«Non sono una figura così di rilievo. E comunque: Loris Capovilla, il segretario di Roncalli, è diventato cardinale a novantasette anni, sono ancora giovane…».

 

Torino è fra le sorprese dell’ultimo Concistoro…

«La mancata berretta cardinalizia è motivo di riflessione, certo. Ma non dimentichiamo che il Papa mira a segnalare situazioni peculiari, come nel caso di Francesco Montenegro, vescovo di Agrigento, che accolse Francesco a Lampedusa».

 

È pur vero che Torino è la città della Sindone.

«Sì, forse la prossima ostensione autorizzava l’attesa della porpora».

 

Per lei la Sindone è un’icona o una reliquia?

«E’ anche reliquia. Secondo Odifreddi è falsa perché non si è riusciti finora a spiegarla scientificamente. Per me è l’esatto contrario: ciò che non è spiegabile, implica un intervento al di là della scienza».

 

La Sindone icona e reliquia del Dolore. La carneficina tunisina come quella parigina (Charlie Ebdo) sollecita un quesito: l’Occidente decristianizzato potrà arginare il fondamentalismo islamico?

«La secolarizzazione del cristianesimo ha un sicuro risvolto positivo: ci ha consentito di arrivare alla democrazia. Vi è chi ha definito la Carta dei diritti dell’uomo il vangelo secondo l’Onu, un ventaglio di principi evangelici laicamente espressi. L’auspicio è che il mondo musulmano compia il medesimo cammino».

 

Papa Francesco: ha avuto occasione di incontrarlo?

«Un paio di volte, a Santa Marta. Una volta concelebrando con lui. Mi sono presentato: “Sono un superstite del Concilio”. Mi ha iniettato fiducia: “Un testimone”».

 

Quale Papa sente più affine?

«Giovanni XXIII, tale la sua umanità. Luciani mi invitò a non turbare la fede della gente. Giovanni Paolo II mi bacchettò: “Si fa presto a scrivere una lettera a Berlinguer, quando non si è vissuto sotto i comunisti”».

 

Lei testimone del Concilio, accanto a Lercaro di cui fu ausiliare.

«L’11 ottobre 1963 pronunciai l’intervento in favore della collegialità. In idem sentire, di lì a poco, Joseph Ratzinger, teologo del cardinal Frings».

 

Ma il dopo Vaticano non si caratterizza per la collegialità mancata?

«Purtroppo. Francesco vi sta rimediando grazie ai cardinali che ha voluto al suo fianco. Le remore non sono poche, né lievi: il Vaticano è il governo, il Concilio è il parlamento, i governi, notoriamente, soffrono i parlamenti».

 

Sarebbe favorevole a un Vaticano III?

«Come lo intendeva il cardinal Martini. Una serie di sessioni tematiche, che durino un mese: la bioetica, il sesso, la collegialità…Francesco, con il Sinodo in due tempi, si avvicina a Martini».

 

Il Sinodo che si esprimerà, fra l’altro, sulla comunione ai divorziati risposati e sulla condizione omosessuale.

«La comunione: vi sono cristiani ortodossi che, appellandosi al Concilio di Nicea, ammettono persino un secondo matrimonio, nel segno beninteso della sobrietà. L’omosessualità: la questione del sesso va studiata, emancipandosi dai neoplatonici che facevano coincidere sesso e decadenza dello spirito. Perché non espressione dello spirito umano? È noto che mi pronunciai in favore dei Dico, il riconoscimento delle unioni civili».

 

Torniamo al Concilio, al gruppo bolognese: Lercaro, Dossetti, lei. E Giuseppe Alberigo, storico del Vaticano II. Quando morì, sette anni fa, la curia felsinea (cardinal Caffarra) non le permise di presiedere la celebrazione eucaristica. Poté solo concelebrare. Quali le colpe di Alberigo?

«La sua lettura del Concilio: non l’umanità per la Chiesa, ma la Chiesa per l’umanità; non il laicato per la gerarchia, ma la gerarchia per il laicato».

 

Dossetti, un padre costituente. Jemolo rimproverò a Montini di non averlo nominato arcivescovo.

«Montini era un diplomatico, di respiro moroteo. Dossetti lo allarmava».

 

Jemolo avrebbe voluto vedere vescovo un’anima irrequieta come don Milani, magari a capo della pastorale per gli immigrati.

«Distinguerei tra i pastori e i profeti».

 

Francesco ha scandalizzato i cattolici «medi» sostenendo che «il proselitismo è una solenne sciocchezza».

«Francesco è latino-americano. Nel suo bagaglio storico ci sono i nostri antenati che, traversato l’Oceano, non lesinavano l’aut-aut agli indigeni: o diventavano cristiani o venivano eliminati. Le religione è, sia, un affare di coscienza. Cito il Concilio: “La coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli si trova solo con Dio”».




le novità dalle risposte al ‘questionario’

Sinodo, comunione ai divorziati e accoglienza ai gay: le risposte dei fedeli al questionario

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<DATE LA COMUNIONE AI DIVORZIATI>

LE RICHIESTE DEI FEDELI A FRANCESCO 

 

così Giovanni Panettiere sintetizza le risposte al ‘questionario’ in preparazione al sinodo sulla famiglia previsto per il prossimo settembre: nonostante la scarsa convinzione dei vescovi italiani a sensibilizzare i singoli fedeli (così come voluto da papa Francesco) le risposte che sono arrivate sembrano richiedere poche ma chiare innovazioni soprattutto in riferimento all’accoglienza sacramentale ai divorziati e agli omosessuali:

Comunione ai divorziati risposati, accoglienza degli omosessuali, ma anche più attenzione alle coppie in crisi, dialogo con i conviventi e rafforzamento dei corsi pre-matrimoniali. Il papa interpella la Chiesa sulle sfide della famiglia e i cattolici italiani fanno sentire la loro voce, sottolineando le urgenze pastorali nelle risposte all’inedito questionario in vista del Sinodo di ottobre. Sono state trasmesse alla Segreteria generale della Conferenza episcopale italiana le sintesi elaborate dai 226 vescovi diocesani che nei loro territori hanno raccolto stimoli da parrocchie, associazioni e nuclei familiari. Oggi il Consiglio permanente della Cei (una sorta di cdm) esaminerà un testo d’insieme da inviare alla Segreteria generale del Sinodo come contributo finale della Chiesa italiana. In attesa del documento e di cifre ufficiali, alla luce di un’indagine sulle diocesi del nord, centro e sud del Paese, è possibile anticipare le priorità dei fedeli e tirare le somme di una consultazione fortemente voluta da Francesco.
Se il papa auspicava una diffusione capillare del questionario, nel Belpaese l’operazione è avvenuta solo in parte. Un po’ perché, come denunciato al Qn dal segretario generale del Sinodo, il cardinale in pectore Lorenzo Baldisseri, si sono avuti complessivamente dei ritardi nella distribuzione delle domande, un po’ perché nelle realtà più ampie — Torino e Bologna in testa — gli arcivescovi hanno preferito sensibilizzare per lo più il clero. È andata meglio nelle diocesi piccole, come per esempio Fidenza, Pavia, Lucca e Acireale, dove sono state coinvolte anche associazioni (Azione cattolica, Cl e Le Equipes Notre Dame). Ma non sempre la partecipazione è stata nelle attese a riprova di una certa immaturità del laicato italiano, quando si tratta di far sentire la propria opinione. «Non si è percepita l’importanza della richiesta di collaborazione», lamenta l’arcivescovo di Oristano, Ignazio Sanna.
Fra i temi maggiormente sentiti dalla base campeggia la situazione dei divorziati risposati che, diritto canonico alla mano, non possono accedere alla comunione, sempre che non si astengano dai rapporti sessuali. «La gente ci chiede di favorire l’accesso ai sacramenti per queste persone — avverte Sanna —. Se la voce è piuttosto unisona, qualcosa vorrà pure significare… Ci costringe a leggere il cambiamento con audacia e prudenza». Due parole care a Bergoglio che stigmatizza «la dogana spirituale» sui sacramenti. «Una maggiore attenzione ai casi concreti» è richiesta da monsignor Giovanni Giudici (Pavia), sebbene «non penso a una riforma».
Sull’omosessualità i fedeli invitano all’accoglienza, senza cedimenti, però, sulle nozze. «C’è un atteggiamento di motivato rifiuto rispetto a una legislazione che vorrebbe equiparare le unioni civili fra persone dello stesso sesso al matrimonio — si legge in una sintesi dei contributi arrivati al vescovo di Rovigo, Lucio Soravito De Franceschi —, mentre con le persone ci deve essere un atteggiamento di ascolto. Bisogna che la Chiesa accolga i figli senza alcuna remora e senza far differenze con gli altri». In sostanza, sintetizza monsignor Luciano Pacomio, biblista di fama e vescovo di Mondovì, «va superata, nel popolo di Dio come nella società, una cultura omofoba». Dalle risposte dei credenti si intravede anche lo ‘scisma sommerso’ fra le indicazioni morali del magistero e il comportamento dei coniugi sotto le lenzuola. Non lo nasconde monsignor Nino Raspanti, vescovo di Acireale, uno dei più giovani in Cei (è classe 1959), che ammette: «Capisco l’esigenza di una rivisitazione del concetto di natura. Va da sè che questo comporterebbe una qualche riconsiderazione delle linee operative dell’enciclica Humanae vitae, dedicata alla sessualità e ai contraccettivi». Si vedrà. Il Sinodo è lontano, ma in generale che cosa si aspettano i vescovi? «Spero in un’aria di Pentecoste. Occorre investire la Chiesa non di regole, bensì di Vangelo attraente», è l’augurio di monsignor Carlo Mazza (Fidenza). Chissà perché, a chilometri di distanza, a Santa Marta, Francesco sorride.




scontro tra cardinali sull’eucarestia ai divorziati

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Muller, Marx, Maradiaga: confronto aperto sull’Eucarestia ai divorziati risposati

nervi tesi fra il G8 vaticano e il custode dell’ortodossia cattolica. A due mesi dalle critiche al prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, Gehrard Muller, da parte dell’arcivescovo di Monaco, Reinhard Marx, uno degli otto porporati che consigliano il papa, scende in campo lo stesso coordinatore della commissione cardinalizia.  In una lunga intervista al quotidiano tedesco Koelner Stadt-Anzeiger, l’arcivescovo di Tegucigalpa, Oscar Rodriguez Maradiaga, stigmatizza il rigore del titolare dell’ex Sant’Uffizio. <Muller è un professore di teologia tedesco, nella sua mentalità c’è solo il vero e il falso… – affonda il colpo l’honduregno -. Però, fratello mio, il mondo non è così, tu dovresti essere un po’ flessibile, quando ascolti altre voci… Per ora, tuttavia, ascolta solo il suo gruppo di consiglieri>.
SOTTO la cenere delle polemiche brucia il nodo dell’Eucarestia ai divorziati risposati, uno degli argomenti del prossimo Sinodo sulla famiglia. Come è noto, Muller, dopo aver difeso sull’Osservatore romano  il divieto alla Comunione per gli irregolari (23 ottobre 2013), a novembre ha chiesto all’arcidiocesi tedesca di Friburgo di ritirare il documento pastorale con il quale si dava facoltà ai preti di ammettere al sacramento il coniuge risposato che <in coscienza> avesse deciso di comunicarsi. La censura non piacque a Marx. E, così, qualche giorno il cardinale, a margine di un incontro ecclesiale in Baviera, espresse pubblicamente il suo dissenso nei confronti del prefetto: <Muller non può mettere fine alla discussione>. La posizione di Marx venne condivisa con forza da altri vescovi  della Germania. Fra i più agguerriti, monsignor Gebhard Fürst (Stoccarda) che all’ex Sant’Uffizio lanciò un appuntamento dal sapore provocatorio: a marzo l’episcopato tedesco avrebbe adottato le proposte dell’ufficio diocesano di Friburgo in occasione della sessione plenaria. Se non era una sfida, poco ci mancava.
A QUESTO punto sembrava che il braccio di ferro fosse destinato ad interessare solo il Sant’Uffizio e la Chiesa di Germania. In verità non era ancora intervenuto Maradiaga che dalle colonne del Koelner Stadt-Anzeiger ha fatto sentire la sua voce.  Rispondendo a una domanda sui sacramenti ai divorziati risposati, il cardinale ha lasciato intravedere margini di modifica della pastorale in materia: <La Chiesa è tenuta ai comandamenti di Dio e a ciò che Gesù dice sul matrimonio: ciò che Dio ha unito, l’uomo non deve separarlo. Ci sono diversi approcci per chiarire questo. Dopo il fallimento di un matrimonio ci possiamo per esempio chiedere: gli sposi erano veramente uniti in Dio? Lì c’è ancora molto spazio per un esame più approfondito. Però non si va nella direzione per cui domani è bianco ciò che oggi è nero>.
NON LA CITA espressamente, ma Maradiaga, per venire incontro alle richieste di riforma, sembra percorrere la via dell’allargamento delle cause di nullità delle nozze attraverso l’inserimento dell’impedimento della ‘mancanza di fede’. Una soluzione affacciata già da Benedetto XVI nell’Incontro con il clero di Aosta (2005) e probabilmente apprezzata anche da Muller. Non a caso il custode dell’ortodossia così scriveva sull’Osservatore romano: <I matrimoni sono probabilmente più spesso invalidi ai nostri giorni di quanto non lo fossero in passato, perché è mancante la volontà di sposarsi secondo il senso della dottrina matrimoniale cattolica e anche l’appartenenza a un contesto vitale di fede è molto ridotta. Pertanto, una verifica della validità del matrimonio è importante e può portare a una soluzione dei problemi>.MA I VESCOVI tedeschi sono d’accordo? Per fortuna l’appuntamento con il Sinodo è ancora abbastanza lontano e il dibattito intraecclesiale, sopito per troppi decenni, con papa Francesco ha ripreso slancio. Persino con qualche asprezza di troppo, tipica di chi non è abituato a confrontarsi sotto la luce del sole. D’altra parte le soluzioni sul tappeto non mancano. Si va, come abbiamo visto, dall’approccio giurisdizionale alla libertà di coscienza, passando per la prassi ortodossa (benedizione delle seconde nozze dopo un cammino penitenziale) fino al rimando al Concilio di Nicea (325). Quest’ultimo, come racconta lo storico della Chiesa Giovanni Cereti (Divorzio, nuove nozze e penitenza nella Chiesa primitiva, edizioni Dehoniane, 1977) al canone 8, imponeva ai novaziani (i seguaci del prete Novaziano che nel III secolo contese il papato a Cipriano) di riammettere alla Comunione i lapsi (gli apostati nella persecuzione) e gli adulteri. Ossia chi aveva ripudiato il coniuge per sposarne un altro.Giovanni Panettiere