il dono che, per credenti e non credenti, può portarci il natale

 

la vita nuova che deve venire

Natale e il nostro tempo ormai «invaso»

dobbiamo prepararci a un Natale diverso. Un po’ più povero. Con meno amici,
meno familiari, meno regali. Ma forse anche con meno frenesia e con più raccoglimento, più
riflessione. Più spiritualità e, forse, più ospitalità

di Mauro Magatti
in “Avvenire” del 29 novembre 2020

La discussione di queste settimane attorno al Natale è tutta ruotata attorno alla possibilità di tenere
aperti gli impianti sciistici e salvare la stagione turistica. Il tema è diventato così esplosivo da
sollevare persino qualche tensione diplomatica tra i Paesi aperturisti – come Svizzera e Austria – e
quelli rigoristi – Italia, Francia, Germania. I problemi economici di intere comunità montane che
vivono perlopiù di questa attività non devono essere sottovalutati. Come nel caso della ristorazione,
è quindi doveroso sottolineare la necessità di interventi proporzionati da parte dei governi per
salvaguardare attività che sono a rischio di venire decimate. Non è giusto che il costo della
pandemia sia scaricato sulle spalle dei più esposti. E tuttavia, questa vicenda suggerisce molto di
più circa la natura più profonda delle nostre società. In questi mesi si è ripetutamente detto che la
pandemia è un rivelatore che ci permette di capire meglio quello che siamo. E in effetti, proprio il
dibattito sul Natale conferma un tale effetto. Forse prima era più difficile accorgercene. Ma in questi
mesi abbiamo visto che il nostro modello di vita non ammette nessun ‘altrove’. Né spaziale – il
mondo interconnesso è stato investito in pochi mesi dal virus, senza possibilità di scampo – né
temporale – non c’è più un momento ‘esterno’ al circuito economico.
Passo dopo passo, l’attività commerciale ha ‘invaso’ la domenica così come la fascia serale. Il nostro
tempo libero è affollato di attività a pagamento: palestre, cinema, musei, viaggi.
Così che il lavorare non riguarda più solo le 8 ore della classica giornata feriale, ma si estende alla
quasi totalità delle nostre attività che si reggono solo a condizione di avere un corrispettivo
economico. E lo stesso vale per il calendario annuale, ormai riempito di ‘festività’ commerciali: le
ferie estive al mare e quelle invernali sugli sci; San Valentino, Carnevale, Pasqua, i saldi di fine
stagione (rigorosamente invernali ed estivi), Halloween, la festa del papà, quella della mamma, il
Black Friday, le festività natalizie etc.
Non che la cosa sia di per sé un male. Lavorare nella cultura o nel turismo è meglio che stare in una
fonderia o in una miniera. Ma non vanno nemmeno sottovalutati gli effetti collaterali. Sta di fatto
che, mentre stiamo (lentamente) cominciando a capire che la questione della sostenibilità va presa
sul serio – pena esporci alle conseguenze disastrose del riscaldamento globale – ci si continua a
proporre e riproporre un modello che non lascia respiro, che corre sempre più velocemente e che
non ammette pausa. Un modello 24 ore su 24, sette giorni su sette.
Nei giorni scorsi – e, meno male, non solo da queste pagine – qualche voce ha cercato di dire che,
data la situazione, dobbiamo prepararci a un Natale diverso. Un po’ più povero. Con meno amici,
meno familiari, meno regali. Ma forse anche con meno frenesia e con più raccoglimento, più
riflessione. Più spiritualità e, forse, più ospitalità. Il che non sarebbe una cattiva idea tenuto conto
che siamo alla fine di un anno tremendo che non si potrà cancellare con un’alzata di spalle. Come
ha più volte detto papa Francesco, «peggio di questa crisi, c’è solo il dramma di sprecarla,
chiudendoci in noi stessi». L’antica saggezza biblica – risalente a 3.000 anni fa – insiste
sull’importanza di un’interruzione del tempo che permetta di staccarsi dalle attività quotidiane per
guardare il mondo da un punto di vista diverso. Un bene inestimabile per l’anima che diventa così
più capace di rigenerare quella saggezza e quella creatività senza le quali si finisce nel vortice di
una ripetitività sfibrante. Questo vale anche – anzi, soprattutto – per la società contemporanea.
Il Natale ci parla di un mondo che si fa nuovo a partire dalla fragilità di un Bambino. Racconto
concreto che ci sollecita a reimparare ciò di cui abbiamo più bisogno: tornare a saper sperare,
coltivando la ‘memoria del futuro’, risorsa indispensabile per affrontare creativamente le
preoccupazioni che ci affliggono.
La pandemia ha già causato molti danni economici e sociali. E nonostante l’arrivo del vaccini, il
2021 sarà un anno difficile. Il Natale povero che ci apprestiamo a vivere può essere, allora, una
occasione per rientrare un po’ di più in noi stessi, capendo che la soluzione ai tanti problemi che ci
affliggono non passa da un attivismo affannoso, da una accelerazione insensata. Dal ritorno
frettoloso a fare quello che facevamo prima. Se c’è una cosa che il terzo choc globale ci aiuta a
vedere è che l’illusione di un mondo a crescita illimitata e del godimento individualizzato non si
regge.
La nostra capacità di uscire positivamente dalla crisi della pandemia ha dunque strettamente a che
fare con la nostra disponibilità ad ascoltare l’annuncio di Betlemme: il nostro destino sta in una
promessa di amore che intravvediamo e che ancora si deve compiere nella sua pienezza. Ecco
dunque, il dono che, per credenti e non credenti, può portarci il Natale: essere tempo di
rigenerazione, rito collettivo di riapertura della speranza, tempo di meraviglia per accogliere e poi
accompagnare la vita nuova che deve venire.

l’attuale economia del mondo non è eterna, può essere cambiata – ci tenta papa Francesco

Immagine pezzo principale

E’ NATO IL PATTO DI ASSISI PER CAMBIARE L’ECONOMIA DEL MONDO

il messaggio del Papa ai giovani del meeting internazionale “Economia di Francesco”, che chiede una vera e propria rivoluzione pacifica

“non siamo condannati al profitto e allo scarto, o saprete coinvolgervi o la storia vi passa sopra”

Un nuovo Patto per l’ economia contro le diseguaglianze e la cultura dello scarto, per uno sviluppo equo e sostenibile, una vera e propria rivoluzione mondiale, pacifica ma ostinata, per cambiare lo stato del Pianeta e insieme le condizioni di miliardi di uomini e donne.

Con il messaggio di papa Francesco ai giovani collegati da ben 115 Paesi del mondo con Assisi per il meeting che porta il suo nome, “Economia di Francesco”, nasce formalmente un movimento già partito nove mesi fa.«Non è un punto di arrivo», spiega infatti il Pontefice nel videomessaggio che conclude i lavori della tre giorni, «ma la spinta nuova di un processo già iniziato in cui siamo chiamati a vivere come vocazione, cultura e come adesione a un patto». Poiché nelle attuali condizioni «non possiamo andare avanti in questo modo. Urge una nuova narrazione economica».

Sono i temi delle encicliche sociali Laudato si’ e della recentissima Fratelli tutti. Ma è come se questi documenti avessero trovato i loro interpreti: i giovani. L’ attuale sistema mondiale, sottolinea Francesco, «è insostenibile, colpisce nostra sorella Terra e gli esclusi: le due cose vanno insieme. I poveri sono i primi danneggiati e i primi esclusi». Francesco chiede a chi ha la vita davanti a sé di farsi classe dirigente e di cambiare le cose nel contesto in cui sono chiamati a operare, a dare un senso alle loro attività di studenti, imprenditori, economisti, lavoratori, artigiani, ovunque essi siano: «O siete coinvolti o la storia vi passa sopra». La gravità della situazione legata al Covid ha accentuato l’ urgenza di intervenire al più presto. Poiché, spiega Francesco, il rischio è che dopo la fine della pandemia i problemi si ingigantiscano ancora di più: «Dobbiamo cambiare subito». La parola d’ ordine è agire, «avviare processi, creare risorse, cambiare gli stili di vita e soprattutto i modelli di produzione e di consumo. Senza fare questo non farete nulla». Il videomessaggio di Francesco erompe nei giorni drammatici del contagio, raggiunge le menti e i cuori di questa sorta di villaggio globale  – che ha il suo centro nella Cittadella del Santo Francesco  – creato da duemila ragazzi che hanno dato vita a un vero e proprio happening digitale – videoconferenze in webinar, musica, esibizioni di gruppi musicali, interviste pubbliche, conferenze, persino giochi –  una cosa mai vista, una sorta di Gmg globale via Internet.

L’autore della Laudato si’  chiama i giovani a una responsabilità forte, li invita a “sporcarsi le mani”, a rischiare tutto sè stessi, a mettersi in gioco.

Non è una rivoluzione ideologica o “popolare”, come quelle che hanno attraversato il Novecento, ma evangelica, pacifica, un sommovimento che esige presa di coscienza e senso di responsabilità. Un cambiamento che arriva a mettersi al servizio di ruoli decisionali: «Abbiamo bisogno di classi dirigenti, per sfidare la sottomissione a certe logiche ideologiche che finiscono per sottomettere ogni azione a forme di ingiustizia». Poiché, citando Benedetto XVI, «la fame non dipende da scarsità materiali, ma da scarsità sociale, la più importante delle quali è di natura istituzionale». In questa rivoluzione, fa capire papa Francesco implicitamente, c’è anche un nuovo modo di far politica, al servizio del bene comune.

Quella di Francesco è una rivoluzione integrale, strutturale, non può accontentarsi di piccole correzioni ad opera delle associazioni filantropiche come vogliono i modelli di capitalismo, soprattutto di stampo anglosassone. Non basta chinarsi sui poveri dopo aver creato le condizioni perchè rimangano ai lati del benessere. E’ troppo poco. La guerra alla cultura dello scarto «che obbliga a vivere nel proprio scarto, invisibili, al di là del muro dell’ indifferenza» esige molto di più. Occorre «osare modelli in cui le persone, gli esclusi, cessino di essere una presenza normale o funzionale e diventino protagonisti dell’ intero tessuto sociale». Ed è come se la dottrina sociale espressa dal magistero di Francesco avesse trovato le proprie gambe per correre nelle strade del mondo, come se quelle pagine fossero diventate un copione per essere recitate dai suoi attori protagonisti, i «nuovi samaritani», come li chiama il Papa, chiamati a portare avanti la «cultura dell’ incontro che è l’ opposto della cultura dello scarto», a creare una nuova economia, un’economia profetica ma quanto mai pratica e necessaria, «capace di far germogliare i sogni».

papa Francesco e la malattia della nostra economia

  papa Francesco

la pandemia ha mostrato che l’economia è malata

“pochi ricchissimi possiedono più di tutto il resto dell’umanità” ed “è un’ingiustizia che grida al cielo”

Il Papa: la pandemia ha mostrato che l’economia è malata

In un mondo solcato da profonde disuguaglianze sociali, aggravate dalla pandemia, e da un modello economico spesso indifferente ai danni inflitti alla casa comune, il Papa esorta i cristiani a condividere i propri beni, mettendoli a frutto anche per gli altri, e si richiama, per questo, all’esperienza delle prime comunità cristiane che, anche vivendo tempi difficili, mettevano i loro beni in comuni, “consapevoli di formare un solo cuore e una sola anima”:

La pandemia ci ha messo tutti in crisi. Ma ricordatevi: da una crisi non si può uscire uguali. O usciamo migliori, o usciamo peggiori. Questa è la nostra opzione. Dopo la crisi, continueremo con questo sistema economico di ingiustizia sociale e di disprezzo per la cura dell’ambiente, del creato, della casa comune? Pensiamoci. Possano le comunità cristiane del ventunesimo secolo recuperare questa realtà, – la cura del creato e la giustizia sociale: vanno insieme… – dando così testimonianza della Risurrezione del Signore. Se ci prendiamo cura dei beni che il Creatore ci dona, se mettiamo in comune ciò che possediamo in modo che a nessuno manchi, allora davvero potremo ispirare speranza per rigenerare un mondo più sano e più equo.

La pandemia ha infatti aggravato le disuguaglianze, ribadisce più volte il Papa: alcuni bambini possono ancora ricevere un’educazione scolastica, per altri si è interrotta, alcune nazioni possono emettere moneta per affrontare l’emergenza, mentre per altre significherebbe ipotecare il futuro. Si tratta di sintomi di disuguaglianza che rivelano una precisa patologia: «Questi sintomi di disuguaglianza rivelano una malattia sociale; è un virus che viene da un’economia malata. E dobbiamo dirlo semplicemente: l’economia è malata. Si ammalò. E’ ammalata».

La malattia, afferma, è frutto di una “crescita economica iniqua” che prescinde dai valori umani fondamentali. “Nel mondo di oggi – sottolinea – pochi ricchissimi”, “un gruppetto”, “possiedono più di tutto il resto dell’umanità”. Si tratta, afferma di “un’ingiustizia che grida al cielo!”. D’altra parte questo modello di crescita economica sembra indifferente ai danni inflitti al creato, con conseguenze “gravi e irreversibili” come perdita della biodiversità, cambiamenti climatici, distruzione delle foreste tropicali. Disuguaglianze sociali e degrado ambientale hanno “la stessa radice”, segnala il Papa: il peccato di “voler possedere e dominare i fratelli e le sorelle, la natura e lo stesso Dio”. Di fronte a tutto questo, i cristiani non devono rimanere fermi: la speranza cristiana sostiene la volontà di condividere: «Quando l’ossessione di possedere e dominare esclude milioni di persone dai beni primari; quando la disuguaglianza economica e tecnologica è tale da lacerare il tessuto sociale; e quando la dipendenza da un progresso materiale illimitato minaccia la casa comune, allora non possiamo stare a guardare. No, questo è desolante. Non possiamo stare a guardare! Con lo sguardo fisso su Gesù (cfr Eb 12,2) e con la certezza che il suo amore opera mediante la comunità dei suoi discepoli, dobbiamo agire tutti insieme, nella speranza di generare qualcosa di diverso e di meglio».

Richiamandosi varie volte a Catechismo e al Libro del Genesi, Francesco ricorda che Dio ha chiesto all’uomo di dominare la terra coltivandola e custodendola. Non quindi “carta bianca per fare della terra ciò che si vuole”, nota il Papa, perché esiste una “relazione di reciprocità responsabile” fra noi e la natura. La terra infatti è stata data a tutto il genere umano e i suoi frutti devono arrivare a tutti, non solo ad alcuni. Come ricorda anche la Gaudium et spes del Concilio Vaticano II “l’uomo, usando di questi beni, deve considerare le cose esteriori che legittimamente possiede non solo come proprie, ma anche come comuni, nel senso che possano giovare non unicamente a lui ma anche agli altri”. Quindi, come un amministratore della Provvidenza, far fruttificare i doni perché anche gli altri ne beneficino.

In sintesi, proprietà e denaro sono “strumenti” che possono essere trasformati facilmente in “fini, individuali o collettivi” ma così – avverte – vengono intaccati i valori umani essenziali: «L’homo sapiens si deforma e diventa una specie di homo œconomicus – in senso deteriore – individualista, calcolatore e dominatore. Ci dimentichiamo che, essendo creati a immagine e somiglianza di Dio, siamo esseri sociali, creativi e solidali, con un’immensa capacità di amare. Di fatto, siamo gli esseri più cooperativi tra tutte le specie, e fioriamo in comunità, come si vede bene nell’esperienza dei santi».

la condanna di papa Francesco di un’economia che in nome del ‘dio denaro’ crea scarti e schiavitù

un’economia di ingiustizia

il pensiero di papa Francesco nel volume di Michele Zanzucchi  «potere e denaro»

(Città Nuova; 168 pagine; 15 euro)

che esce oggi in libreria

il libro si apre con la prefazione di papa Francesco


esce oggi in libreria «Potere e denaro» il volume di Michele Zanzucchi che si apre con la prefazione di papa Francesco: Non basta un po’ di balsamo per sanare una società che tratta tutto come merce
Economia, l'impronta del bene per giustizia e per speranza

La giustizia sociale secondo Jorge Mario Bergoglio

Ne indica i fondamentali e la descrive Michele Zanzucchi nel volume «Potere e denaro»  che esce oggi in libreria. Il libro si apre con la prefazione di papa Francesco – pubblicata qui sotto – e propone una raccolta ragionata e fluida di quanto il Pontefice argentino ha detto e scritto su ricchezza e povertà, giustizia e ingiustizia sociale, cura e disprezzo del Creato, finanza sana e perversa, imprenditori e speculatori, sindacati e movimenti popolari, “mammona” e culto del “dio denaro”. La sua è una denuncia forte e decisa della speculazione finanziaria, delle rendite che accentuano la distanza tra ricchi e poveri, della meritocrazia che schiaccia i piccoli, della globalizzazione che crea nuovi scarti e nuove schiavitù, del commercio delle armi e delle guerre che esso provoca. Ma, in spirito evangelico, come papa Francesco scrive nella prefazione, non dobbiamo perdere la speranza.

Zanzucchi è giornalista e scrittore; ha diretto la rivista “Città Nuova” e collabora con “Avvenire”. Ha pubblicato una quarantina di libri tra cui «L’islam spiegato a chi ha paura dei musulmani» (2015) e «Il silenzio e la parola. La luce» (2013). Vive in Libano e insegna giornalismo e linguaggi del giornalismo alla Pontificia Università Gregoriana e massmediologia all’Istituto Universitario “Sophia” di Loppiano, la cittadella del Movimento dei Focolari in provincia di Firenze.

Prima da semplice cristiano, poi da religioso e sacerdote, quindi da Papa, ritengo che le questioni sociali ed economiche non possano essere estranee al messaggio del Vangelo. Perciò, sulla scia dei miei predecessori, cerco di mettermi in ascolto degli attori presenti sulla scena mondiale, dai lavoratori agli imprenditori, ai politici, dando voce, in particolare, ai poveri, agli scartati, a chi soffre. La Chiesa, nel diffondere il messaggio di carità e giustizia del Vangelo, non può rimanere silente di fronte all’ingiustizia e alla sofferenza. Ella può e vuole unirsi ai milioni di uomini e donne che dicono no all’ingiustizia in modo pacifico, adoperandosi per una maggiore equità. Ovunque c’è gente che dice sì alla vita, alla giustizia, alla legalità, alla solidarietà. Tanti incontri mi confermano che il Vangelo non è un’utopia ma una speranza reale, anche per l’economia: Dio non abbandona le sue creature in balia del male. Al contrario, le invita a non stancarsi nel collaborare con tutti per il bene comune.

Quanto dico e scrivo sul potere dell’economia e della finanza vuol essere un appello affinché i poveri siano trattati meglio e le ingiustizie diminuiscano. In particolare, costantemente chiedo che si smetta di lucrare sulle armi col rischio di scatenare guerre che, oltre ai morti e ai poveri, aumentano solo i fondi di pochi, fondi spesso impersonali e maggiori dei bilanci degli Stati che li ospitano, fondi che prosperano nel sangue innocente. Nei miei messaggi in materia economica e sociale desidero sollecitare le coscienze, soprattutto di chi specula e sfrutta il prossimo, perché si ritrovi il senso dell’umanità e della giustizia. Per questo non posso non denunciare col Vangelo in mano i peccati personali e sociali commessi contro Dio e contro il prossimo in nome del dio denaro e del potere fine a se stesso. Mi esprimo con sollecitudine anche perché sono cosciente che altre crisi economiche mondiali non sono impossibili. Quando si verifica il crollo di una finanza staccata dall’economia reale, tanti pagano le conseguenze e tra i tanti soprattutto i poveri e quanti poveri diventano, mentre i ricchi in un modo o nell’altro spesso se la cavano.

Che cosa fare? Una cosa che mi sembra importante è coscientizzare sulla gravità dei problemi. È quanto fa Michele Zanzucchi raccogliendo, sistematizzando e rendendo fruibili ai lettori delle sintesi di alcuni miei pensieri sul potere dell’economia e della finanza. Spero che ciò possa essere utile a coscientizzare e a responsabilizzare, favorendo processi di giustizia e di equità. Non basta un po’ di balsamo per sanare le ferite di una società che tratta spesso tutti e tutto come merce, merce che, quando diventa inutile, viene gettata via, secondo quella cultura dello scarto di cui tante volte ho parlato. Solo una cultura che valorizzi tutte le risorse a disposizione della società, ma in primo luogo quelle umane, può guarirne le malattie profonde. I cristiani e gli uomini di buona volontà sono chiamati a sentirsi attori di tale cultura della valorizzazione. Coscientizzare e valorizzare dunque, ma anche rinnegare. Ci sono dei no da dire alla mentalità dello scarto: occorre evitare di uniformarsi al pensiero unico, attuando coraggiosamente delle scelte buone e controcorrente. Tutti, come insegna la Scrittura, possono ravvedersi, convertirsi, diventare testimoni e profeti di un mondo più giusto e solidale.

Tanti, tantissimi uomini e donne di ogni età e latitudine sono già arruolati in un inerme “esercito del bene”, che non ha altre armi se non la passione per la giustizia, il rispetto della legalità e l’intelligenza della comunione. È troppo pensare di introdurre nel linguaggio dell’economia e della finanza, della cooperazione internazionale e del lavoro tale parola, comunione, declinandola come cura degli altri e della casa comune, solidarietà effettiva, collaborazione reale e cultura del dono? Il bene non è quietismo e non porta a essere remissivi. L’arte di amare, unico manuale d’uso dell’esercito del bene, comporta al contrario l’essere attivi, richiede la capacità di coinvolgersi per primi, di non stancarsi di cercare l’incontro, di accettare qualche sacrificio per sé e di avere tanta pazienza con tutti per stabilire una migliore reciprocità. I tre attributi che tradizionalmente spettano al livello più alto a Dio sono il vero, il buono e il bello. Non a caso la Chiesa parla di tre virtù teologali: la fede, la carità e la speranza. Gli esseri umani possono riscoprirsi veri, buoni e belli quanto più entrano nel circolo virtuoso di Dio, che è comunione e amore. Perciò anche in economia queste tre virtù recano benefici. È possibile: il fatto che tanti lavoratori, imprenditori e amministratori siano già al servizio della giustizia, della solidarietà e della pace ci conferma che la via della verità, della carità e della bellezza è ardua, ma praticabile e necessaria, anche in economia e finanza.

Come questo libro testimonia, il mio pensiero si situa nel cammino tracciato dal ricchissimo patrimonio della Dottrina Sociale della Chiesa. Chiunque può farlo proprio, anche solo accedendo a quel Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa che tante volte ho citato perché in poche parole offre una panoramica del pensiero ecclesiale in materia sociale. Tra i testi da me redatti, giustamente l’autore ha privilegiato l’Esortazione apostolica Evangelii gaudium e l’Enciclica Laudato si’. Al contempo non si sono potute tagliare le radici comunitarie del mio pensare, che affondano in particolare nella Chiesa dell’America Latina. Sono ad esempio debitore della grande assemblea di Aparecida, nella quale si è riproposto un metodo ai cristiani per la vita sociale: vedere, giudicare e agire. Possiamo cioè vedere la realtà che ci circonda alla luce della provvidenza di Dio; giudicarla secondo Gesù Cristo, via, verità e vita; agire di conseguenza nella Chiesa e con tutti gli uomini di buona volontà.

Il mondo creato agli occhi di Dio è cosa buona, l’essere umano cosa molto buona (cf. Gen 1, 4-31). Il peccato ha macchiato e continua a macchiare la bontà originaria, ma non può cancellare l’impronta dell’immagine di Dio presente in ogni uomo. Perciò non dobbiamo perdere la speranza: stiamo vivendo un’epoca difficile, ma piena di opportunità nuove e inedite. Non possiamo smettere di credere che, con l’aiuto di Dio e insieme – lo ripeto, insieme – si può migliorare questo nostro mondo e rianimare la speranza, la virtù forse più preziosa oggi. Se siamo insieme, uniti nel suo nome, il Signore è in mezzo a noi secondo la sua promessa (cf. Mt 18, 20); quindi è con noi anche in mezzo al mondo, nelle fabbriche, nelle aziende e nelle banche come nelle case, nelle favelas e nei campi profughi. Possiamo, dobbiamo sperare.

le ferite che provoca il sistema economico che ha al centro il dio denaro

“l’economia che produce ferite”

le parole nette di papa Francesco

Capitalismo finanziario

Strutture di peccato

 

 La disuguaglianza sociale nel capitalismo finanziario non è un elemento accidentale o temporaneo ma strutturale. Dovendo garantire un extra-benessere a pochi non può tollerare forme di redistribuzione della c.d. ricchezza. È un sistema economico incompatibile con la democrazia: ne impedisce le dinamiche basilari. Dove c’è il capitalismo, al di là delle denominazioni, vige di fatto l’oligarchia. L’1% è in grado di soggiogare il 99% attraverso un uso smaliziato della forza e l’aiuto fondamentale degli intermedi: di coloro cioè che non appartengono all’1% ma sono pronti a tutto pur di raccogliere le briciole che cadono da quel tavolo. Allora li vedi sostenere le tesi della tecnocrazia europea, della finanza e dei globalizzatori dello sfruttamento. Li vedi tristemente al servizio dell’iniquità, attori non protagonisti di una squallida commedia. Il 99% può indignarsi, ne ha facoltà, ma con calma: nei luoghi, nei modi e nei tempi concessi dal potere. L’importante è che dopo lo sfogo  ritorni velocemente alla catena di montaggio.

testo di Papa Francesco

Le ferite che provoca il sistema economico che ha al centro il dio denaro, e che a volte agisce con la brutalità dei ladri della parabola [del samaritano], sono state criminalmente ignorate. Nella società globalizzata, esiste uno stile elegante di guardare dall’altro lato, che si pratica ricorrentemente: sotto le spoglie del politicamente corretto o le mode ideologiche, si guarda chi soffre senza toccarlo, lo si trasmette in diretta, addirittura si adotta un discorso in apparenza tollerante e pieno di eufemismi, ma non si fa nulla di sistematico per curare le ferite sociali e neppure per affrontare le strutture che lasciano tanti esseri umani per strada. Questo atteggiamento ipocrita, tanto diverso da quello del samaritano, manifesta l’assenza di una vera conversione e di un vero impegno con l’umanità. Si tratta di una truffa morale, che, prima o poi, viene alla luce, come un miraggio che si dilegua. I feriti stanno lì, sono una realtà. La disoccupazione è reale, la corruzione è reale, la crisi d’identità è reale, lo svuotamento delle democrazie è reale. La cancrena di un sistema non si può mascherare in eterno, perché prima o poi il fetore si sente e, quando non si può più negare, nasce dal potere stesso che ha generato quello stato di cose la manipolazione della paura, dell’insicurezza, della protesta, persino della giusta indignazione della gente, che trasferisce la responsabilità di tutti i mali a un “non prossimo”.

(Papa Francesco, Messaggio in occasione dell’incontro dei movimenti popolari a Modesto, California, 16-19 febbraio 2017)

pubblicato da ‘altranarrazione’ 

da un’economia incentrata sul denaro a un’economia incentrata sulla persona

per restare in salute

di Francesco Gesualdi
in “Avvenire”

 “La prima sfida da vincere per riuscire a costruire una società al servizio della persona è convertirci a un’altra idea di benessere”

La salute non è semplice assenza di malattia, avverte l’Organizzazione mondiale della sanità. La salute è uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale. È la capacità di mantenere il nostro corpo in condizioni ottimali perché possiamo respirare una buona aria, abbiamo i mezzi per nutrirci, lavarci, proteggerci, abbiamo il sapere che ci serve per condurre uno stile di vita equilibrato. È la capacità di sentirsi appagati sotto il profilo affettivo perché diamo giusto spazio ai rapporti umani e familiari, viviamo secondo ritmi di vita compatibili con il nostro orologio biologico ed emotivo, viviamo in contesti urbani e abitativi che facilitano l’incontro e la condivisione. È la capacità di mantenere il proprio equilibrio psichico perché viviamo in contesti familiari, culturali, sociali, economici, dove ci si sente accolti, rispettati, valorizzati, incoraggiati. La ‘salute’, dunque, non è solo riconducibile alla quantità di risorse che riusciamo a destinare ai servizi medici e ospedalieri. La salute è un progetto di società. E con essa c’entra molto il passaggio da un’economia incentrata sul denaro a un’economia incentrata sulla persona. La prima sfida da vincere per riuscire a costruire una società al servizio della persona è convertirci a un’altra idea di benessere. Il dominante sistema materialista si sforza di convincerci che la sola cosa che conta è la ricchezza, e ci impone la crescita veicolata dal mercato come unico indicatore di benessere e sviluppo. Ma sappiamo che questa impostazione ci sta procurando molti danni non solo sul piano ambientale e sociale, ma anche su quello esistenziale. Molti di noi sono ricchi, questo è vero, ma nel contempo infelici e impauriti. Infelici perché la corsa al benavere non ci lascia tempo per le relazioni affettive, umane, sociali. Impauriti perché sappiamo che la nostra esistenza dipende dalle bizzarrie del mercato che quando meno te lo aspetti può metterti alla porta trasformandoti in scarto. Fino a oggi abbiamo accettato di vivere in un sistema economico che garantisce il superfluo a pochi e nega il necessario a molti, nella devastazione ambientale. Ora dobbiamo costruire la società dell’armonia che garantisce una vita dignitosa a tutti, nel rispetto dei limiti del pianeta. Gli originari abitanti delle Ande, le popolazioni che definiamo indios, chiamano questo stato di grazia benvivere ed è più una filosofia di vita che una concezione economica. È la convinzione che la buona vita non dipende tanto dalla ricchezza e che il vero benessere è uno stato di armonia in tre direzioni: con se stessi, con gli altri, con la natura. Altrimenti esiste opulenza, abbondanza, lusso, ma non letizia. Il benvivere ci richiede grandi cambiamenti per conciliare produzione e salvaguardia del pianeta, soddisfacimento dei nostri bisogni e bassa produzione di rifiuti, tempo per il lavoro e tempo per la famiglia. Ma solo avviandoci lungo questo percorso potremo trovare la salute che poi diventa sinonimo di felicità. Poi, certo, la malattia è sempre in agguato e la sfida che si pone di fronte a essa è permettere a tutti di curarsi. Un passaggio possibile solo se eleviamo la cura al rango di diritto, a un bisogno, cioè, che tutti devono avere la possibilità di soddisfare indipendentemente se ricchi o poveri, uomini o donne, giovani o vecchi, ma per il solo fatto di esistere. Il riconoscimento dei diritti è lo spartiacque fra civiltà e barbarie. Purtroppo non tutti i popoli hanno interiorizzato questo valore e continuano a pensare che la cura sia un privilegio che spetta solo a chi ha soldi e pertanto un servizio da affidare al mercato affinché possa lucrarci. Negli Stati Uniti la protezione sanitaria è affidata alle assicurazioni private che elargiscono prestazioni in base al premio pagato. In Italia abbiamo ancora un buona sanità pubblica, tra le migliori al mondo, ma c’è il rischio che taglio dopo taglio, spreco su spreco, inefficienza su inefficienza gradatamente si sgretoli e diventi talmente inadeguato da spingere un numero crescente di italiani a buttarsi nelle braccia della sanità privata che opera al di fuori del Servizio sanitario nazionale.
La Corte dei Conti segnala che fra il 2009 e il 2015 la spesa pubblica per sanità si è ridotta dell’1,1% all’anno in termini reali procapite, nello stesso periodo in Francia è aumentata dello 0,8% e in Germania del 2% all’anno. E intanto, fra ticket, ricorso a prestazioni private e riduzione della copertura farmaceutica, la spesa sostenuta dalle famiglie per curarsi cresce sempre di più fino ad avere toccato quota 35 miliardi nel 2016. La conclusione è che nel 2016 sono stati 13 milioni gli italiani che hanno sperimentato difficoltà economiche e una riduzione del tenore di vita per far fronte a spese sanitarie di tasca propria, 7,8 milioni hanno dovuto utilizzare tutti i propri risparmi o indebitarsi con parenti, amici o con le banche, e 1,8 milioni sono entrati nell’area della povertà. È quanto emerge dal Rapporto Censis-Rbm pubblicato nel 2017. Rafforzamento della solidarietà collettiva per la cura di tutti e ripensamento del modello economico sono le strade maestre per tutelare la salute.

caro papa Francesco “siamo contro un’economia che uccide”

«Disarmiamo l’economia che uccide». Il movimento dei focolari scrive a papa Francesco

«disarmiamo l’economia che uccide»

il movimento dei focolari scrive a papa Francesco

da: Adista Notizie n° 43 del 10/12/2016
«Caro papa Francesco, non possiamo accettare che si continuino a inviare armi verso i Paesi in guerra o che non rispettano i diritti umani», quindi «ti dichiariamo che vogliamo contribuire a disarmare “l’economia che uccide” impegnandoci a lavorare per una riconversione integrale della produzione e della finanza. Adesso, non domani»referendum

Con una lettera indirizzata a papa Francesco – che più volte ha denunciato la produzione e il commercio internazionale delle armi – al termine del Giubileo della misericordia, il Movimento dei focolari rilancia il proprio impegno per «riconvertire l’economia che uccide». E organizza un primo incontro pubblico sul tema “Scelte di pace e industria delle armi” il 6 dicembre, presso la sede di Archivio Disarmo, a cui partecipano fra gli altri Maurizio Simoncelli (Archivio Disarmo), Vincenzo Comito (Sbilanciamoci!) e Carlo Cefaloni, del gruppo “Economia disarmata” del Movimento dei focolari.

«Abbiamo inviato una lettera al papa in risposta al suo invito a prendere sul serio il no alla guerra, a partire dalla radice dell’economia che uccide perché invece di agire per ridurre le inaccettabili diseguaglianze, causa di tutti i mali sociali, fabbrica le armi da destinare ai Paesi attraversati da orribili conflitti», spiegano dal Movimento dei Focolari in una nota che accompagna la lettera. «Non possiamo restare indifferenti e accettare l’atteggiamento di chi dice “a me che importa?”, come ha detto papa Francesco quando, il 13 settembre del 2014, si è recato al cimitero dei caduti della Grande Guerra a Redipuglia e ha affermato, davanti alle tombe di tanti giovani mandati al macello un secolo addietro, che “anche oggi dietro le quinte ci sono interessi, piani geopolitici, avidità di denaro e di potere, c’è l’industria delle armi, che sembra essere tanto importante!”» (v. Adista Notizie n. 32/14). «Nel marzo del 2016 – proseguono i Focolari –, dopo un incontro nelle aule parlamentari, abbiamo affermato che non potevamo accettare il fatto che dal nostro Paese partissero delle bombe destinate al terribile conflitto in corso nello Yemen (v. Adista Segni Nuovi n. 24/16). Concordiamo con le associazioni aderenti a Rete Disarmo che, di fronte a troppi silenzi, hanno deciso di denunciare davanti alla magistratura la violazione della legge 185/90 sulla produzione, il commercio e il transito di armamenti verso Paesi in guerra o che violino i diritti umani (v. Adista Notizie n. 36/16). Rischia di rimanere disattesa, infatti, una legge nata grazie alla testimonianza e all’impegno della migliore società civile italiana, a cominciare da coloro che hanno rischiato il lavoro facendo obiezione di coscienza alla produzione di armi».

Da queste riflessioni, la decisione di scrivere a papa Francesco per schierare il Movimento – già da tempo impegnato nella promozione della “economia di comunione” e da qualche anno molto attivo anche sui temi del disarmo – per «disarmare l’economia». «Sappiamo che non possiamo costruire ponti di pace senza aver rifiutato ogni compromesso con “l’economia dell’esclusione e dell’inequità”», scrivono i Focolari al papa. «Non possiamo dire “a me che importa?”. Non possiamo restare inerti di fronte alle tue parole che ci invitano a riconoscere l’esistenza dei “sistemi economici che per sopravvivere devono fare la guerra. Allora si fabbricano e si vendono armi e così i bilanci delle economie che sacrificano l’uomo ai piedi dell’idolo del denaro ovviamente vengono sanati. E non si pensa ai bambini affamati nei campi profughi, non si pensa ai dislocamenti forzati, non si pensa alle case distrutte, non si pensa neppure a tante vite spezzate”».

La via di uscita? La conversione delle coscienze, e la riconversione dell’economia di guerra. «Tutta la nostra economia è chiamata ad una conversione integrale capace di incidere sulle cause strutturali dell’inequità», conclude il Movimento dei Focolari. «Su questo cammino, aperto a tutti come percorso di liberazione delle coscienze, vogliamo continuare ad andare avanti nel segno del Vangelo di pace che abbiamo scelto di abbracciare».

* Immagine di United States Department of Defense SSGT Phil Schmitten, tratta dal sito Commons Wikimedia. Licenza e immagine originale. La foto è stata ritagliata. Le utilizzazioni in difformità dalla licenza potranno essere perseguite

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