Quelle armi italiane che uccidono i civili in Egitto
di Monica Ricci Sargentini
In questi giorni di violenza in Egitto le forze di sicurezza usano anche armi prodotte a Bergamo e Lecco per sgomberare i sit-in dei manifestanti pro-Morsi. E i morti sono più di 500. Ministro Bonino, cosa deve succedere in Egitto per sospendere l’invio di armi italiane? Questa domanda era già stata posta, il 27 luglio scorso, alla titolare della Farnesina dall’Opal, l’Osservatorio permanente sulle armi leggere di Brescia, un’associazione che riunisce varie realtà sociali, dai missionari comboniani e saveriani a Pax Christi, fino alla Cgil della città lombarda. Il riferimento era agli scontri di piazza di quei giorni che avevano causato 75 morti. Oggi, però, il bilancio è ancora più pesante. Per questo la Rete Italiana per il Disarmo e l’Osservatorio OPAL di Brescia rinnovano la richiesta al ministro degli Esteri, Emma Bonino, affinché dichiari pubblicamente l’immediata sospensione dell’invio di armi in Egitto e si faccia promotrice in sede di Unione Europea di una analoga iniziativa fino a che la situazione nel Paese non si sarà chiarita.
Le esportazioni, secondo l’Osservatorio, sono in costante crescita, tanto che nel 2012, durante il governo Monti, hanno raggiunto i 28 milioni di euro. Tra di essi, viene detto, figura di tutto: dai fucili d’assalto e lanciagranate della Beretta alle munizioni della Fiocchi, dalle bombe per carri armati della Simmel alle componenti per centrali di tiro della Rheinmetall, dai blindati della Iveco alle apparecchiature specializzate per l’addestramento militare. Con la riforma avvenuta lo scorso anno, spiega l’Opal, la titolarità delle esportazioni di materiali militari risiede nella nuova Autorità nazionale per le Autorizzazioni di Materiali di Armamento (Uama) presso la Direzione Generale per la Promozione del Sistema Paese (Dgsp) del Ministero degli Affari Esteri.
“Abbiamo apprezzato la costante attenzione e la profonda preoccupazione espressa dal ministro Bonino che nei giorni scorsi ha dichiarato in Parlamento che la situazione in Egitto è ancora esplosiva e permane il rischio di un bagno di sangue – ha spiegato in un comunicato Francesco Vignarca, coordinatore nazionale della Rete Italiana per il Disarmo -. Crediamo perciò che sia venuto il momento per la Farnesina di passare dalle parole ai fatti decretando la sospensione dell’invio di armi e promuovendo in sede europea di un’analoga iniziativa per l’interruzione da parte di tutti i paesi dell’Unione dell’invio di sistemi militari all’Egitto, fino a quando la situazione non si sarà chiarita”.
Le esportazioni di armi dall’Italia all’Egitto sono in costante crescita e vedono il nostro Paese tra i cinque maggiori fornitori europei delle Forze Armate egiziane. Le autorizzazioni ministeriali per forniture di armamenti all’Egitto non superavano i 10 milioni di euro del 2010, sono salite a oltre 14 milioni di euro nel 2011 e lo scorso anno, col governo Monti, hanno toccato il picco di oltre 24,6 milioni di euro. E di conseguenza sono cresciute le consegne effettive di sistemi militari, che nel 2012 hanno superato i 28 milioni di euro. Esportazioni che sono tuttora in corso, visto che nei primi tre mesi del 2013 l’Istat ha rilevato spedizioni all’Egitto di armi e munizioni per oltre 2,6 milioni di euro.
Sorprende soprattutto la tipologia di armi esportate dall’Italia all’Egitto proprio tra il 2011 e il 2012, cioè durante le rivolte che hanno portato alle dimissioni del presidente Hosni Mubarak e alla nomina del nuovo presidente Mohamed Morsi, oggi a sua volta destituito. Un vero e proprio arsenale: dai fucili d’assalto e lanciagranate della Beretta alle munizioni della Fiocchi, dalle bombe per carri armati della Simmel alle componenti per centrali di tiro della Rheinmetall, dai blindati della Iveco alle “apparecchiature specializzate per l’addestramento militare”. Magari sono proprio le armi che vediamo in televisione e sui quotidiani in questi giorni.
Da segnalare lo strano caso delle munizioni prodotte dalla ditta Fiocchi. «Nel 2011 – evidenzia Carlo Tombola, coordinatore scientifico di OPAL –, cioè nel bel mezzo delle rivolte popolari, le esportazioni di munizioni dalla provincia di Lecco probabilmente prodotte dalla ditta Fiocchi. Si tratta di forniture per oltre 41.900 euro, che possono corrispondere ad oltre 100mila munizioni. Ricordiamo che – come ha documentato Amnesty International – in piazza Tahrir dopo gli scontri tra manifestanti e forze armate del 2011 sono stati ritrovati dei bossoli di munizioni della Fiocchi».
Riguardo alle esportazioni della Fiocchi, l’Osservatorio OPAL fa notare una costante anomalia. Da oltre dieci anni le effettive spedizioni di munizioni ad uso militare della Fiocchi non sono mai riportate nella Relazione della Presidenza del Consiglio: ci sono le autorizzazioni rilasciate dai Ministeri degli Esteri e delle Finanze (per i pagamenti) ma manca il riscontro dell’Agenzia delle Dogane.
«In parole semplici – commenta Tombola – da oltre dieci anni la Fiocchi sta esportando munizioni di cui l’Agenzia delle Dogane non dà alcun riscontro nelle Relazioni governative, quasi si trattasse di munizioni per armi ad uso civile o sportivo e non invece di munizioni da guerra e che come tali sono autorizzate e dovrebbero essere puntualmente riportate nella relazione governativa. Su questa stranezza, che potrebbe coprire ulteriori esportazioni di munizioni oltre quelle autorizzate, abbiamo chiesto con un’interrogazione parlamentare al ministro Bonino di fare subito chiarezza».