l’ enciclica di papa Francesco sulla fraternità universale

  «fratelli tutti»

la chiave di volta della fraternità universale


la nuova enciclica sociale di papa Francesco, firmata ad Assisi, per superare i mali e le ombre del mondo. 
i contenuti
di Stefania Falasca
Il Papa con un gruppo di giovani

Un manifesto per i nostri tempi. Con l’intento di «far rinascere un’aspirazione mondiale alla fraternità». La nuova lettera enciclica di papa Francesco che si rivolge «a tutti i fratelli e le sorelle», «a tutte le persone di buona volontà, al di là delle loro convinzioni religiose» è «uno spazio di riflessione sulla fraternità universale». Necessaria, nel solco della dottrina sociale della Chiesa, per un futuro «modellato dall’interdipendenza e dalla corresponsabilità nell’intera famiglia umana». Per «agire insieme e guarire dalla chiusura del consumismo, l’individualismo radicale e l’auto-protezione egoistica». Per superare «le ombre di un mondo chiuso» e conflittuale e «rendere possibile lo sviluppo di una comunità mondiale che viva l’amicizia sociale». Per la crescita di società eque e senza frontiere. Perché l’economia e la politica siano poste «al servizio del vero bene comune e non siano ostacolo al cammino verso un mondo diverso». Perché quanto stiamo attraversando con la pandemia «non sia l’ennesimo grave evento storico da cui non siamo stati capaci di imparare». Perché le religioni possono offrire «un prezioso apporto per la costruzione della fraternità e per la difesa della giustizia nella società».

La firma dell'enciclica sabato 3 ottobre ad Assisi

la firma dell’enciclica 

La fonte d’ispirazione per questa nuova pagina di dottrina sociale della Chiesa viene ancora una volta dal Santo dell’amore fraterno, il Povero d’Assisi «che – afferma il Papa – mi ha ispirato a scrivere l’enciclica Laudato si’, e nuovamente mi motiva a dedicare questa nuova enciclica alla fraternità e all’amicizia sociale».

Sulla scia dell’adagio terenziano ripreso da Paolo VI nella sua enciclica programmatica Ecclesiam Suam, papa Francesco ricorda nell’incipit stesso della sua lettera enciclica quanto «tutto ciò che è umano ci riguardi» e che «dovunque i consessi dei popoli si riuniscono per stabilire i diritti e i doveri dell’uomo, noi siamo onorati, quando ce lo consentono, di assiderci fra loro». La Chiesa del resto, affermava Paolo VI, «chiamata a incarnarsi in ogni situazione e ad essere presente attraverso i secoli in ogni luogo della terra – questo significa “cattolica” –, può comprendere, a partire dalla propria esperienza di grazia e di peccato, la bellezza dell’invito all’amore universale».

Francesco spiega poi che le questioni legate alla fraternità e all’amicizia sociale sono sempre state tra le sue preoccupazioni e che negli ultimi anni ha fatto riferimento ad esse più volte. L’enciclica raccoglie molti di questi interventi collocandoli in un contesto più ampio di riflessione. E se la redazione della Laudato si’ ha avuto una fonte di ispirazione dal suo fratello ortodosso Bartolomeo, il Patriarca ecumenico di Costantinopoli che ha proposto con molta forza la cura del creato, in questo caso si è sentito stimolato in modo speciale dal Grande Imam Ahmad Al-Tayyeb, con il quale il Papa si è incontrato nel febbraio del 2019 ad Abu Dhabi per ricordare che Dio «ha creato tutti gli esseri umani uguali nei diritti, nei doveri e nella dignità, e li ha chiamati a convivere come fratelli tra di loro».

Papa Francesco ricorda che quello non è stato «un mero atto diplomatico, bensì il frutto di una riflessione compiuta nel dialogo e di un impegno congiunto». E che questa enciclica, pertanto, raccoglie e sviluppa i grandi temi esposti in quel Documento firmato insieme e recepisce, nel suo linguaggio, «numerosi documenti e lettere ricevute da tante persone e gruppi di tutto il mondo». La genesi della lettera tuttavia è stata accelerata da un’emergenza: l’irruzione inattesa della pandemia del Covid-19, «che – come scrive Francesco – ha messo in luce le nostre false sicurezze, e al di là delle varie risposte che hanno dato i diversi Paesi, è apparsa evidente l’incapacità di agire insieme». Perché «malgrado si sia iper-connessi – spiega ancora il Papa – si è verificata una frammentazione che ha reso più difficile risolvere i problemi che ci toccano tutti». E adesso «se qualcuno pensa che si tratti solo di far funzionare meglio quello che già facevamo, o che l’unico messaggio sia che dobbiamo migliorare i sistemi e le regole già esistenti, sta negando la realtà».

Il Papa afferma inoltre che se ancora una volta si è sentito motivato specialmente da san Francesco d’Assisi, anche altri fratelli non cattolici sono stati ispiratori: Martin Luther King, Desmond Tutu, il Mahatma Gandhi. In particolare cita però il beato Charles de Foucauld. E prendendo a prestito la sue parole così chiosa la sua conclusione agli otto capitoli e 287 punti di Fratelli tutti: « “Pregate Iddio affinché io sia davvero il fratello di tutte le anime di questo paese”. Voleva essere, in definitiva, “il fratello universale”. Ma solo identificandosi con gli ultimi arrivò ad essere fratello di tutti. Che Dio ispiri questo ideale in ognuno di noi. Amen».

Le ombre di un mondo chiuso

Nel primo capitolo vengono passate in rassegna le tendenze del mondo attuale che ostacolano lo sviluppo della fraternità universale. Tra queste i diritti umani non sufficientemente universali, le nuove forme di colonizzazione culturale, lo scarto mondiale dove «certe parti dell’umanità sembrano sacrificabili a vantaggio di una selezione che favorisce un settore umano degno di vivere senza limiti». «Mentre, infatti, una parte dell’umanità vive nell’opulenza, un’altra parte vede la propria dignità disconosciuta, disprezzata o calpestata e i suoi diritti fondamentali ignorati o violati. «La storia – afferma il Papa – sta dando segni di un ritorno all’indietro. Si accendono conflitti anacronistici che si ritenevano superati, risorgono nazionalismi chiusi, esasperati, risentiti e aggressivi. Nuove forme di egoismo e di perdita del senso sociale mascherate da una presunta difesa degli interessi nazionali». «Abbiamo bisogno di costituirci in un “noi” che abita la Casa comune. Tale cura non interessa ai poteri economici che hanno bisogno di entrate veloci. Spesso le voci che si levano a difesa dell’ambiente sono messe a tacere o ridicolizzate, ammantando di razionalità quelli che sono solo interessi particolari. In questa cultura che stiamo producendo, vuota, protesa all’immediato e priva di un progetto comune, «è prevedibile che, di fronte all’esaurimento di alcune risorse, si vada creando uno scenario favorevole per nuove guerre, mascherate con nobili rivendicazioni». E non manca un’attenzione anche verso la condizione delle donne: «L’organizzazione delle società in tutto il mondo è ancora lontana dal rispecchiare con chiarezza che le donne hanno esattamente la stessa dignità e identici diritti degli uomini. A parole si affermano certe cose, ma le decisioni e la realtà gridano un altro messaggio». È un fatto che «doppiamente povere sono le donne che soffrono situazioni di esclusione, maltrattamento e violenza, perché spesso si trovano con minori possibilità di difendere i loro diritti».

L’esempio del Buon Samaritano

Per il superamento delle ombre il Papa indica la strada d’uscita nella figura del Buon Samaritano a cui dedica il secondo capitolo, sottolineando come in una società malata che volta le spalle al dolore e che è “analfabeta” nella cura dei deboli e dei fragili, tutti siamo chiamati – proprio come il Buon Samaritano – a farci prossimi all’altro, superando pregiudizi, interessi personali, barriere storiche o culturali. «È un richiamo sempre nuovo, benché sia scritto come legge fondamentale del nostro essere: che la società si incammini verso il perseguimento del bene comune e, a partire da questa finalità, ricostruisca sempre nuovamente il suo ordine politico e sociale, il suo tessuto di relazioni, il suo progetto umano». Dunque, afferma Francesco, «non dico più che ho dei “prossimi” da aiutare, ma che mi sento chiamato a diventare io un prossimo degli altri». E spiega che «in quelli che passano a distanza c’è un particolare che non possiamo ignorare: erano persone religiose. Questo indica che il fatto di credere in Dio e di adorarlo non garantisce di vivere come a Dio piace». «Una persona di fede – spiega – può non essere fedele a tutto ciò la fede stessa esige, e tuttavia può sentirsi vicina a Dio e ritenersi più degna degli altri. Ci sono invece dei modi di vivere la fede che favoriscono l’apertura del cuore ai fratelli, e quella sarà la garanzia di un’autentica apertura a Dio».

Società aperte che integrano tutti

«L’individualismo radicale – afferma Francesco nel terzo capitolo “Pensare e generare un mondo aperto” – è il virus più difficile da sconfiggere». «Ci fa credere che tutto consiste nel dare briglia sciolta alle proprie ambizioni, come se accumulando ambizioni e sicurezze individuali potessimo costruire il bene comune. Quando questo principio elementare non è salvaguardato, non c’è futuro né per la fraternità né per la sopravvivenza dell’umanità. Se la società si regge primariamente sui criteri della libertà di mercato e dell’efficienza, non c’è posto per costoro, e la fraternità sarà tutt’al più un’espressione romantica». Francesco indica la necessità di promuovere il bene morale e il valore della solidarietà: «È far fronte agli effetti distruttori dell’Impero del denaro. La solidarietà, intesa nel suo senso più profondo, è un modo di fare la storia, si tratta di un’altra logica – spiega – Se non ci si sforza di entrare in questa logica, le mie parole suoneranno come fantasie. Ma se si accetta il grande principio dei diritti che promanano dal solo fatto di possedere l’inalienabile dignità umana, è possibile desiderare un pianeta che assicuri terra, casa e lavoro a tutti. Questa è la vera via della pace, e non la strategia stolta e miope di seminare timore e diffidenza nei confronti di minacce esterne». Il diritto a vivere con dignità non può essere negato a nessuno, afferma ancora il Papa, e poiché i diritti sono senza frontiere, nessuno può rimanere escluso, a prescindere da dove sia nato. In quest’ottica, il Papa richiama anche a pensare ad «un’etica delle relazioni internazionali», perché ogni Paese è anche dello straniero ed i beni del territorio non si possono negare a chi ha bisogno e proviene da un altro luogo. Il diritto naturale alla proprietà privata sarà, quindi, secondario al principio della destinazione universale dei beni creati. Una sottolineatura specifica viene fatta anche per la questione del debito estero: fermo restando il principio che esso va saldato, si auspica tuttavia che ciò non comprometta la crescita e la sussistenza dei Paesi più poveri.

Interscambio e governance globale per i migranti

L’aiuto reciproco tra Paesi in definitiva va a beneficio di tutti e al tema delle migrazioni l’enciclica dedica l’intero quarto capitolo: Un cuore aperto al mondo intero”. L’altro diverso da noi è un dono ed un arricchimento per tutti – scrive Francesco – perché le differenze rappresentano una possibilità di crescita. Nello specifico, il Papa indica alcune risposte soprattutto per chi fugge da «gravi crisi umanitarie»: incrementare e semplificare la concessione di visti; aprire corridoi umanitari; assicurare alloggi, sicurezza e servizi essenziali; offrire possibilità di lavoro e formazione; favorire i ricongiungimenti familiari; tutelare i minori; garantire la libertà religiosa e promuovere l’inserimento sociale. Dal Papa anche l’invito a stabilire, nella società, il concetto di «piena cittadinanza», rinunciando all’uso discriminatorio del termine “minoranze”. «Quello che occorre soprattutto – si legge nel documento – è una governance globale, una collaborazione internazionale per le migrazioni che avvii progetti a lungo termine, andando oltre le singole emergenze, in nome di uno sviluppo solidale di tutti i popoli che sia basato sul principio della gratuità. In tal modo, i Paesi potranno pensare come una famiglia umana».

La politica di cui c’è bisogno e la riforma dell’ONU

“La migliore politica” è al centro del quinto capitolo. «Per rendere possibile lo sviluppo di una comunità mondiale – scrive Francesco – capace di realizzare la fraternità a partire da popoli e nazioni che vivano l’amicizia sociale, è necessaria la migliore politica, posta al servizio del vero bene comune. Purtroppo, invece, la politica oggi spesso assume forme che ostacolano il cammino verso un mondo diverso». «Mi permetto di ribadire – afferma – che la politica non deve sottomettersi all’economia e questa non deve sottomettersi ai dettami e al paradigma efficientista della tecnocrazia». «Non si può giustificare un’economia senza politica, che sarebbe incapace di propiziare un’altra logica in grado di governare i vari aspetti della crisi attuale». Al contrario, «abbiamo bisogno di una politica che pensi con una visione ampia, e che porti avanti un nuovo approccio integrale, includendo in un dialogo interdisciplinare i diversi aspetti della crisi». «Penso – afferma – a una sana politica, capace di riformare le istituzioni, coordinarle e dotarle di buone pratiche, che permettano di superare pressioni e inerzie viziose». Non si può chiedere ciò all’economia, né si può accettare che questa assuma il potere reale dello Stato. «Il mercato da solo non risolve tutto, benché a volte vogliano farci credere questo dogma di fede neoliberale. I politici sono chiamati a prendersi «cura della fragilità, della fragilità dei popoli e delle persone. Prendersi cura della fragilità e fecondità in mezzo a un modello funzionalista e privatista che conduce inesorabilmente alla “cultura dello scarto”.

Davanti a tante forme di politica meschine e tese all’interesse immediato, ricorda che «la grandezza politica si mostra quando, in momenti difficili, si opera sulla base di grandi principi e pensando al bene comune a lungo termine. Compito della politica, inoltre, è trovare una soluzione a tutto ciò che attenta contro i diritti umani fondamentali, come l’esclusione sociale; il traffico di organi, tessuti, armi e droga; lo sfruttamento sessuale; il lavoro schiavo; il terrorismo ed il crimine organizzato. L’appello del Papa si volge a eliminare definitivamente la tratta, «vergogna per l’umanità», e la fame, in quanto è «criminale». Un altro auspicio riguarda la riforma dell’Onu: di fronte al predominio della dimensione economica che annulla il potere del singolo Stato, infatti, il compito delle Nazioni Unite sarà quello di dare concretezza al concetto di «famiglia di nazioni» lavorando per il bene comune, lo sradicamento dell’indigenza e la tutela dei diritti umani. Ricorrendo «al negoziato, ai buoni uffici e all’arbitrato» – afferma il documento pontificio – l’Onu deve promuovere la forza del diritto sul diritto della forza, favorendo accordi multilaterali che tutelino al meglio anche gli Stati più deboli.

Dialogo e amicizia sociale

Il vero dialogo – si afferma nel sesto capitolo – è quello che permette di rispettare la verità della dignità umana. Quanti pretendono di portare la pace in una società non devono dimenticare che l’inequità e la mancanza di sviluppo umano integrale non permettono che si generi pace. Che «senza uguaglianza di opportunità, le diverse forme di aggressione e di guerra troveranno un terreno fertile che prima o poi provocherà l’esplosione. Quando la società – locale, nazionale o mondiale – abbandona nella periferia una parte di sé, non vi saranno programmi politici, né forze dell’ordine o di intelligence che possano assicurare illimitatamente la tranquillità». Per il Papa «se si tratta di ricominciare, sarà sempre a partire dagli ultimi».

L’artigianato della pace

Il settimo capitolo si sofferma sul valore e la promozione della pace. «La Shoah non va dimenticata – afferma – è il «simbolo di dove può arrivare la malvagità dell’uomo quando, fomentata da false ideologie, dimentica la dignità fondamentale di ogni persona, la quale merita rispetto assoluto qualunque sia il popolo a cui appartiene e la religione che professa». Non vanno neppure dimenticati i bombardamenti atomici a Hiroshima e Nagasaki. E nemmeno vanno dimenticati le persecuzioni, il traffico di schiavi e i massacri etnici che sono avvenuti e avvengono in diversi Paesi, e tanti altri fatti storici che ci fanno vergognare di essere umani. «Vanno ricordati sempre, sempre nuovamente. Per questo, non mi riferisco solo alla memoria degli orrori, ma anche al ricordo di quanti, in mezzo a un contesto avvelenato e corrotto, sono stati capaci di recuperare la dignità e con piccoli o grandi gesti hanno scelto la solidarietà, il perdono, la fraternità. Fa molto bene fare memoria del bene». E considerando che viviamo «una terza guerra mondiale a pezzi», perché tutti i conflitti sono connessi tra loro, l’eliminazione totale delle armi nucleari è «un imperativo morale ed umanitario». Piuttosto – suggerisce il Papa – con il denaro che si investe negli armamenti, si costituisca un Fondo mondiale per eliminare la fame. Non manca anche il riferimento alla pena di morte: «È inammissibile. È impossibile immaginare che oggi gli Stati non possano disporre di un altro mezzo che non sia la pena capitale per difendere dall’aggressore ingiusto la vita di altre persone».

Le religioni al servizio della fraternità

Le diverse religioni, a partire dal riconoscimento del valore di ogni persona umana come creatura chiamata ad essere figlio o figlia di Dio, offrono un prezioso apporto per la costruzione della fraternità e per la difesa della giustizia nella società. Il dialogo tra persone di religioni differenti non si fa solamente per diplomazia, cortesia o tolleranza. «Il comandamento della pace – spiega il Papa – è inscritto nel profondo delle tradizioni religiose che rappresentiamo. Come leader religiosi siamo chiamati ad essere veri “dialoganti”, ad agire nella costruzione della pace non come intermediari, ma come autentici mediatori. Come credenti ci vediamo provocati a tornare alle nostre fonti per concentrarci sull’essenziale: l’adorazione di Dio e l’amore del prossimo, in modo tale che alcuni aspetti della nostra dottrina, fuori dal loro contesto, non finiscano per alimentare forme di disprezzo, di odio, di xenofobia, di negazione dell’altro. La verità è che la violenza non trova base alcuna nelle convinzioni religiose fondamentali, bensì nelle loro deformazioni». Infine, richiamando i leader religiosi al loro ruolo di «mediatori autentici» che si spendono per costruire la pace, Francesco cita il “Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza”, firmato il 4 febbraio 2019 ad Abu Dhabi, insieme al Grande Imam di Al-Azhar, Ahmad Al-Tayyib. Dalla pietra miliare del dialogo interreligioso, il Papa riprende l’appello affinché, in nome della fratellanza umana, si adotti il dialogo come via, la collaborazione comune come condotta e la conoscenza reciproca come metodo e criterio. La conclusione dell’enciclica è affidata a due preghiere: una «al Creatore» e l’altra «cristiana ecumenica» per infondere «uno spirito di fratelli».

L. Boff il vero ‘padre’ dell’enciclica verde ‘laudato sì’?

Leonardo Boff a Rainews.it: “L’Enciclica Laudato si’ è una nuova speranza per il Pianeta”

Boff L.

 l’enciclica di papa Francesco dedicata all’ ecologia , ovvero alla “madre terra”, non ha deluso le aspettative. Sta facendo discutere l’opinione pubblica mondiale. Per andare alle “radici” dell’enciclica è importante  l’intervista qui sotto riportata al teologo brasiliano Leonardo Boff, uno dei padri della teologia liberazione

l’enciclica verde di Papa Francesco

papa-francesco

intervista a cura di Pierluigi Mele
Leonardo Boff, per prima cosa partiamo dalle reazioni all’Enciclica in America latina: come è stata accolta?
Finora è stata accolta molto bene, persino con una certa perplessità perché nessuno sperava un testo cosi positivo e dentro il nuovo paradigma ecologico. Il Papa ha innovato la discussione proponendo l’ecologia integrale che va ben oltre l’ecologia ambientale dominante. Sicuramente, per lei, questa Enciclica segna la piena riabilitazione del suo lavoro teologico. In particolare quello dedicato all’ecologia. Infatti, nel documento, c’è l’espressione “grido della terra, grido dei poveri” che è sua.
Qual è la novità teologica dell’Enciclica?
A richiesta dello stesso Papa gli ho inviato molto materiale sull’ecologia, visto che è da 30 anni che lavoro su questo tema. Molto mi ha aiutato la partecipazione alla redazione della “Carta della Terra”, sotto l’egida di Michail Gorbaciov. Questo documento molto simile con l’enciclica è per me l’unico grande documento, assunto dall’UNESCO, che sia stato elaborato totalmente dentro il nuovo paradigma, fondato nelle scienze della vita e della Terra. Io ho insistito insieme al Papa attraverso l’ambasciatore argentino nella Santa Sede che l’enciclica avrebbe tutto da guadagnare, mostrandosi contemporanea del migliore pensiero ecologico, se avesse assunto tale paradigma. Secondo questo paradigma tutte le cose stanno interconnesse formando un grande tutto. Tutto sta in relazione e niente esiste fuori dalla relazione. Questa prospettiva aiuta a mostrare che tutti i problemi stanno interconnessi e devono essere affrontati simultaneamente, specie il riscaldamento globale e la povertà delle moltitudini. Sono felice che questa prospettiva sia stata assunta, conferendo grande coerenza e unità al testo. Ciò è una novità nella tradizione del magistero della Chiesa.
Il Papa Francesco ha innovato e collocato la Chiesa nel punto più avanzato della discussione ecologica. Le piace il termine “Ecologia integrale”?
Il tema “ecologia integrale” è presente in tutti i miei libri e articoli. É la forma di come superiamo il discorso convenzionale che si restringe all’ecologia ambientale, secondo la quale s’immagina che l’essere umano stia al di fuori dell’ambiente e della natura, ma al di sopra dominandola e che non bisogna riconoscere il valore intrinseco di ciascun essere, indipendentemente dall’uso umano. Io ho lavorato di forma coordinata l’ecologia ambientale, politico-sociale, mentale e integrale. Specie ultimamente elaboro un’etica, una spiritualità ecologica e una cultura della cura per la Casa Comune, l’unica che abbiamo per abitare. L’ecologia integrale ha incluso le diverse forme di ecologia, dimostrando però che tutte si articolano tra loro a servizio di una cultura bio-centrata e di una Terra, che molti chiamano “Terra di Buona Speranza”.
Quali sono i concetti più belli dell’Enciclica?
I concetti centrali, che articolano tutto il testo, sono la concezione che tutto sta in relazione con tutto. Tutto è relazione e niente esiste fuori dalla relazione. Questa è la convinzione della fisica quantistica e della nuova cosmologia. Questa comprensione è teologicamente ben fondata perché si afferma che il Dio cristiano non è la solitudine dell’Uno ma la comunione e la relazione della Santissima Trinità, sempre ed eternamente interconnessi. Se Dio-Trinità sono cosi, relazione, allora tutta la creazione rispecchia la natura relazionale di tutte le cose. Da questo concetto ne deriva un altro, quello dell’interdipendenza tra tutti e della corresponsabilità collettiva per il destino comune, della Terra e dell’umanità. Un altro concetto chiave è quello della cura. Significa una relazione amorosa e non dominatrice con la natura e si oppone frontalmente al paradigma della modernità che e la dominazione dell’altro, dei popoli e della natura. Il Papa denuncia l’espressione maggiore di questa dominazione che è la tecnocrazia. La distingue bene dalla tecnica che ci ha portato tanti benefici. La tecnocrazia rappresenta la dittatura della tecnica, come se tutti i problemi ecologici e umani potessero essere risolti solo per la tecnica. Devono essere presenti la politica, l’etica e una scienza fatta con coscienza, non prioritariamente per il mercato, ma per la vita. Altro concetto importante è il termine “casa comune” per designare la Terra. Cosi è più facile ricordare che tutti abitano lo stesso spazio e che tutti sono fratelli e sorelle gli uni degli altri e anche fratelli del fratello Sole, della sorella Luna e figli della Madre Terra. Questa visione che esiste una fratellanza universale è derivata dalla mistica cosmica di San Francesco, una fonte d’ispirazione per tutta l’enciclica. Essa permette espressioni di grande bellezza, sentimenti di rispetto e di venerazione per tutto quello che esiste e vive. Qui il Papa innova di fronte ai suoi predecessori, in quanto nel suo testo coltiva l’eleganza, la lievità e la poesia.
Come verrà declinata, dopo questa Enciclica, la parola “Liberazione”?
La teologia della liberazione nacque ascoltando il grido degli oppressi, o nella versione argentina, del popolo messo a tacere e della cultura popolare oppressa. Il “marchio registrato” di questo tipo di teologia è l’opzione per i poveri, contro la povertà e in favore della loro liberazione e della giustizia sociale. A partire dagli anni’80 del secolo passato, alcuni teologi percepirono che all’interno di quest’opzione si sarebbe dovuto collocare il Grande Povero che è la Terra crocefissa, devastata e oppressa. Fu in questo senso che io scrissi nel 1995 il libro “Dignitas Terrae”, ecologia: grido della Terra – grido dei poveri”. Questa espressione è stata coerentemente assunta dall’enciclica. Nacque cosi un’eco-teologia della liberazione. Non fu assunta da tutti, perché questa eco-teologia incorpora i dati delle nuove scienze, come la nuova cosmologia, la fisica quantistica, la nuova biologia. La teologia della liberazione classica dialogava con le scienze sociali, con l’antropologia e con la cultura. Tutti fummo formati dentro questo paradigma. Pochi si sono arrischiati a dialogare con le nuove scienze. Ciò rappresentava una vera rivoluzione intellettuale. Io stesso, feci un grande sforzo per incorporare il nuovo paradigma. Non si tratta di parlare su questo, ma da questo. E da lì tutto cambia e mi resi conto che era più facile fare teologia con questo paradigma che con quello classico. Insieme con il cosmologo nord-americano Mark Hathaway elaborammo tutta una visione nuova in un libro dal titolo “Tao da Libertação” che fu tradotto in italiano nel 2014 da Fazi Editore. Negli USA il libro, nel 2010, ha vinto la medaglia d’oro per la “nuova scienza e cosmologia”. Penso che sia il passo più avanzato della teologia della liberazione. Con questo documento pontificio si mette radicalmente in discussione il “pensiero unico” neoliberista. E’ davvero alternativo al neoliberismo.
Le chiedo: l’enciclica potrà avere degli effetti politici?
Sicuramente l’enciclica avrà effetti politici. Primariamente perché non è diretta ai cristiani, ma a tutti gli abitanti della Casa Comune. Essa fa severe critiche agli incontri dell’ONU sul riscaldamento globale perché non possiede una visione integrale ma atomizzata e focalizzata solo nell’ecologia ambientale che favorisce l’antropocentrismo, dove si vede appena la relazione dell’essere umano con l’ambiente e la natura, dimenticando che questo essere umano è parte della natura e tra entrambi esistono relazioni inclusive e reciproche. Non mi meraviglierei se nell’incontro in dicembre a Parigi – organizzato dall’ONU, quando si tratterà nuovamente dei cambiamenti climatici, queste questioni fondamentali siano sollevate e cambi il corso delle discussioni. La questione non è appena il riscaldamento globale. Ma il tipo di produzione, distribuzione e consumo che la nostra società ha elaborato negli ultimi secoli, il quale ha richiesto alti costi alla natura e hanno prodotto un’iniqua disuguaglianza sociale, altro nome, dell’ingiustizia sociale mondiale. I cambiamenti climatici sono la conseguenza di questo modo di abitare la Terra, devastandola in vista di un’accumulazione illimitata. Dobbiamo cambiare, altrimenti conosceremo catastrofi ecologico-sociali mai viste prima. Papa Francesco, con l’Enciclica, porta nettamente la Chiesa cattolica sulla frontiera profetica della lotta per la “liberazione dei poveri”.
Riuscirà l’intera comunità ecclesiale a reggere il passo di Papa Francesco? Vi saranno conflitti all’interno dell’episcopato?
Il problema del Papa non si concentra nella Chiesa, ma nell’umanità. La sua questione non è domandare: che futuro avrà il cristianesimo? Ma la sua preoccupazione risiede in questo: in quale misura il cristianesimo, le altre chiese e cammini spirituali, possono e devono contribuire a salvare la vita sulla Terra e garantire un futuro per la nostra civiltà? Lui ha percepito nubi nere che si annunciano all’orizzonte, anticipando grandi catastrofi, nel caso non facessimo nulla. Ma sempre da’ l’ultima parola alla speranza e alla creatività umana, capace di dare un salto quantistico e conferire un altro corso alla nostra forma di abitare la Casa Comune. Esistono molti cristiani e vescovi che ancora non si sono svegliati di fronte alla gravità dell’attuale situazione che richiede un “cambio di direzione” e, citando la Carta della Terra “cercare un nuovo inizio”. Forse con l’aggravarsi della situazione mondiale, tutti si sveglieranno, poiché – nel caso contrario – potremmo conoscere il cammino già percorso dai dinosauri.
Ultima domanda: con Papa Francesco i martiri dell’America Latina tornano a parlare alla Chiesa Universale. Qual è il “seme” di futuro che questi martiri portano all’intera comunità ecclesiale?
Il Papa Francesco ha accolto la riflessione che si è fatta in America Latina secondo cui il martire non è appena quello che sacrifica la vita per fedeltà alla fede cristiana. Questo è un martire della Chiesa. Ma esiste anche un altro tipo di martire che sacrifica la vita nella difesa della dignità delle persone e dei loro diritti contro la violenza dei regimi dittatoriali. Questi sono i martiri, come diciamo noi, del Regno di Dio. Il Regno di Dio, il messaggio centrale di Gesù, è fatto di giustizia, d’amore incondizionato, di consegna della propria vita per difendere i violentati, specie i poveri. Questo è un atto d’amore e costituisce il contenuto concreto del grande sogno di Gesù: un Regno di giustizia, di compassione, d’amore, di pace e di totale apertura a Dio. Tutti questi martiri possiedono una connotazione politica. Proprio i Papi hanno definito la politica come una forma mai alta di amore verso il prossimo e di servizio alla giustizia del Regno. In questo senso abbiamo molti martiri nella Chiesa dell’America Latina, poiché molti cristiani, laici e laiche, preti, religiosi e religiose e per lo meno due vescovi, Oscar Romero in San Salvador ed Enrique Angelelli in Argentina furono assassinati per difendere questi valori del Regno di Dio. E anche molti colleghi teologi e teologhe furono sequestrati, barbaramente torturati e assassinati per difendere i poveri e per essersi impegnati nell’osservanza, da parte dello Stato, dei diritti umani universali. Tutti questi sono martiri del Regno di Dio, del quale la Chiesa è segno e sacramento.
  http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/L-Enciclica-Laudato-si-e-una-nuova-speranza-per-il-Pianeta-Intervista-esclusiva-di-rainews.it-a-Leonardo-Boff-42122a64-ae5c-41ba-acd0-b6074abe5610.html

per ‘il Foglio’ papa Francesco è comunista

il papa è comunista?

l’enciclica degli anti capitalisti

quattro pagine speciali nel Foglio di sabato

ci mancava anche questa. Un gruppo do tromboni, con il conto pieno in banca, che danno dell’anticristo a Francesco. A loro (guarda Giuliano Ferrara) piace una chiesa comoda, che parla solo di sesso (proibendolo, tanto loro sono porconi lo stesso) e che non tocca alcun interesse. Fra l’altro lo fanno in maniera becera e anche offensiva: Basta leggere i commenti. Uno fra tutti: vorrei sapere quando Papa Francesco sposerà la Boldrini: Quando sono toccati sul vivo, loro, bvravi cattoliocio, rispettosi delle gerarchie, perdono la bussola e diventano offensivi.

di Redazione | 23 luglio 2015

 

L’attacco alla proprietà privata, il no al salvataggio a tutti i costi delle banche. Non c’è solo il clima nell’enciclica Laudato si’, il testo che ha esaltato gli anticapitalisti del pianeta, al punto da porre la domanda se il Papa sia davvero comunista. Sabato, con uno speciale di quattro pagine, il Foglio risponderà all’interrogativo. 

Giuliano Ferrara spiega la ragione per cui il Papa si presenta come un anticristo politicamente corretto (c’entra il messianesimo proletario). Da Maurizio Crippa arriveranno le istruzioni per il corretto uso di una “enciclica non ordinaria”. Umberto Minopoli confuterà i numeri che sottendono la tesi del “catastrofismo sociale”. Sulla “illusione di una sinistra ingenua” che punta a trasformare Francesco nella propria bandiera dirà la sua Massimo Cacciari. Interverranno poi l’ex governatore della Banca d’Italia, Antonio Fazio, Carlo Lottieri, Adriano Sofri, l’economista “ambientalista scettico” Bjorn Lomborg, Eugenio Somaini, Matteo Matzuzzi.

l’enciclica ‘laudato sì’ in 10 punti

10 cose che abbiamo capito dall’enciclica di papa Francesco sull’ambiente

così il sito Focus sintetizza l’enciclica di papa Francesco ‘laudato sì’:

l’enciclica “laudato si'” sull’ambiente di papa Francesco è scritta con la rabbia di un attivista, la preoccupazione per i poveri e con un atto d’accusa senza precedenti alla indifferenza dei potenti. Ecco alcuni punti più importanti:

20001

 

papa Francesco ha appena pubblicato la prima enciclica sull’ambiente: 180 pagine ricche di riflessioni teologiche e con numerosi atti d’accusa verso i potenti e le nazioni sviluppate. Ecco che cosa ci sembra di aver capito (anche grazie all’analisi di altri autorevoli giornali, dall’inglese Guardian all’americano The New York Times):

 

 

1. Pensa che dobbiamo abbandonare il carbone

In attesa di soluzioni migliori (le rinnovabili) meglio preferire il male minore. Nel caso energetico, meglio il gas del carbone.

Sappiamo che la tecnologia basata sui combustibili fossili, molto inquinanti – specie il carbone, ma anche il petrolio e, in misura minore, il gas –, deve essere sostituita progressivamente e senza indugio. In attesa di un ampio sviluppo delle energie rinnovabili, che dovrebbe già essere cominciato, è legittimo optare per il male minore o ricorrere a soluzioni transitorie.

 

2. Gli incontri sul clima dell’ONU hanno fallito

Oltre 20 anni di summit sono serviti a poco nel controllo del global warming.

Degna di nota è la debolezza della reazione politica internazionale. La sottomissione della politica alla tecnologia e alla finanza si dimostra nel fallimento dei Vertici mondiali sull’ambiente. Ci sono troppi interessi particolari e molto facilmente l’interesse economico arriva a prevalere sul bene comune e a manipolare l’informazione per non vedere colpiti i suoi progetti. 

3. Non gli piacciono i “crediti di emissione”

La strategia di compravendita di “crediti di emissione” può dar luogo a una nuova forma di speculazione e non servirebbe a ridurre l’emissione globale di gas inquinanti. Questo sistema sembra essere una soluzione rapida e facile, con l’apparenza di un certo impegno per l’ambiente, che però non implica affatto un cambiamento radicale all’altezza delle circostanze. Anzi, può diventare un espediente che consente di sostenere il super-consumo di alcuni Paesi e settori.

 

4. Ma gli piace l’energia delocalizzata

In alcuni luoghi, si stanno sviluppando cooperative per lo sfruttamento delle energie rinnovabili che consentono l’autosufficienza locale e persino la vendita della produzione in eccesso. Questo semplice esempio indica che, mentre l’ordine mondiale esistente si mostra impotente ad assumere responsabilità, l’istanza locale può fare la differenza. È lì infatti che possono nascere una maggiore responsabilità, un forte senso comunitario, una speciale capacità di cura e una creatività più generosa, un profondo amore per la propria terra, come pure il pensare a quello che si lascia ai figli e ai nipoti. Questi valori hanno radici molto profonde nelle popolazioni aborigene. 

5. Non è contro il cibo OGM (ma neanche pro)

È difficile emettere un giudizio generale sullo sviluppo di organismi geneticamente modificati (OGM), vegetali o animali, per fini medici o in agricoltura, dal momento che possono essere molto diversi tra loro e richiedere distinte considerazioni. D’altra parte, i rischi non vanno sempre attribuiti alla tecnica stessa, ma alla sua inadeguata o eccessiva applicazione. In realtà, le mutazioni genetiche sono state e sono prodotte molte volte dalla natura stessa. Nemmeno quelle provocate dall’essere umano sono un fenomeno moderno. La domesticazione di animali, l’incrocio di specie e altre pratiche antiche e universalmente accettate possono rientrare in queste considerazioni. È opportuno ricordare che l’inizio degli sviluppi scientifici sui cereali transgenici è stato l’osservazione di batteri che naturalmente e spontaneamente producevano una modifica nel genoma di un vegetale. Tuttavia in natura questi processi hanno un ritmo lento, che non è paragonabile alla velocità imposta dai progressi tecnologici attuali, anche quando tali progressi si basano su uno sviluppo scientifico di secoli.

6. Pensa che il consumo sia un problema più grave della popolazione

Incolpare l’incremento demografico e non il consumismo estremo e selettivo di alcuni, è un modo per non affrontare i problemi. Si pretende così di legittimare l’attuale modello distributivo, in cui una minoranza si crede in diritto di consumare in una proporzione che sarebbe impossibile generalizzare, perché il pianeta non potrebbe nemmeno contenere i rifiuti di un simile consumo. 

  7. Dice che gli smartphone e gli altre gadget elettronici stanno rovinando il nostro rapporto con la natura

Nello stesso tempo, le relazioni reali con gli altri, con tutte le sfide che implicano, tendono ad essere sostituite da un tipo di comunicazione mediata da internet. Ciò permette di selezionare o eliminare le relazioni secondo il nostro arbitrio, e così si genera spesso un nuovo tipo di emozioni artificiali, che hanno a che vedere più con dispositivi e schermi che con le persone e la natura. I mezzi attuali permettono che comunichiamo tra noi e che condividiamo conoscenze e affetti. Tuttavia, a volte anche ci impediscono di prendere contatto diretto con l’angoscia, con il tremore, con la gioia dell’altro e con la complessità della sua esperienza personale. Per questo non dovrebbe stupire il fatto che, insieme all’opprimente offerta di questi prodotti, vada crescendo una profonda e malinconica insoddisfazione nelle relazioni interpersonali, o un dannoso isolamento.

  8. Quale sarà il nostro regalo per le nuove generazioni? Desolazione!

Le previsioni catastrofiche ormai non si possono più guardare con disprezzo e ironia. Potremmo lasciare alle prossime generazioni troppe macerie, deserti e sporcizia. Il ritmo di consumo, di spreco e di alterazione dell’ambiente ha superato le possibilità del pianeta, in maniera tale che lo stile di vita attuale, essendo insostenibile, può sfociare solamente in catastrofi, come di fatto sta già avvenendo periodicamente in diverse regioni. 

  9. Inquinare e togliere risorse alle generazioni future è un peccato

L’ambiente è un bene collettivo, patrimonio di tutta l’umanità e responsabilità di tutti. Chi ne possiede una parte è solo per amministrarla a beneficio di tutti. Se non lo facciamo, ci carichiamo sulla coscienza il peso di negare l’esistenza degli altri. Per questo i Vescovi della Nuova Zelanda si sono chiesti che cosa significa il comandamento “non uccidere” quando «un venti per cento della popolazione mondiale consuma risorse in misura tale da rubare alle nazioni povere e alle future generazioni ciò di cui hanno bisogno per sopravvivere».

10. Anche l’inquinamento acustico è un disagio

Per poter parlare di autentico sviluppo, occorrerà verificare che si produca un miglioramento integrale nella qualità della vita umana, e questo implica analizzare lo spazio in cui si svolge l’esistenza delle persone. Gli ambienti in cui viviamo influiscono sul nostro modo di vedere la vita, di sentire e di agire. Al tempo stesso, nella nostra stanza, nella nostra casa, nel nostro luogo di lavoro e nel nostro quartiere facciamo uso dell’ambiente per esprimere la nostra identità. Ci sforziamo di adattarci all’ambiente, e quando esso è disordinato, caotico o saturo di inquinamento visivo e acustico, l’eccesso di stimoli mette alla prova i nostri tentativi di sviluppare un’identità integrata e felice.

 

 
18 Giugno 2015

papa Francesco ‘teologo della liberazione’

echi della Teologia della liberazione nell’Enciclica sull’ecologia

 in: Reporterre, le quotidien de l’écologie
Echi della Teologia della liberazione nell’Enciclica sull’ecologia

l’enciclica pubblicata il 18 giugno segna un forte impegno della Chiesa sull’ecologia. Per scriverla, il Papa si è ispirato alla teologia della liberazione, una corrente nata negli anni sessanta in America Latina, che mette i poveri al cuore della religione. Facciamo luce su un movimento d’avanguardia misconosciuto in Europa

“Quando l’ultimo albero sarà stato abbattuto, quando l’ultimo fiume sarà stato avvelenato, quando l’ultimo pesce sarà stato catturato, allora ci renderemo conto che il denaro non si mangia.” [1] Colui che così riprendeva la frase attribuita a volte a Geronimo a volte ad un indiano Cree, più di venti anni fa, non è un profeta di sventura, ma un prete brasiliano, Leonardo Boff, uno dei fondatori della Teologia della liberazione. 

Questa corrente cattolica, nata in Sud America durante gli anni sessanta, è all’avanguardia nella battaglia ecologica globale. Di conseguenza, Leonardo Boff è certamente tra gli autori che Papa Francesco deve aver riletto attentamente per preparare la sua Enciclica sull’ecologia, Laudato si, pubblicata il 18 giugno. Eppure, la teologia della liberazione non è sempre stata in odore di santità presso il Vaticano.

La centralità dei poveri

L’espressione Teologia della Liberazione appare per la prima volta presso il grande pubblico nel 1971, sulla copertina di un libro che farà il giro del mondo e firmato da un sacerdote, teologo e filosofo peruviano, Gustavo Gutierrez. L’originalità di questa nuova teologia si basa su un punto importante, tratto dal Vangelo: la centralità dei poveri. Ma a differenza di altri movimenti e personalità cattoliche che hanno dedicato la loro vita ai più indigenti, Gustavo Gutierrez e i suoi amici li considerano innanzitutto come soggetti della loro stessa emancipazione e non solo come oggetti di cure caritatevoli.

Gustavo Gutiérrez

Molto concretamente, sin dagli anni sessanta essi hanno creato forme di organizzazione di vita condivisa, sul piano materiale come su quello spirituale, chiamate comunità ecclesiali di base. Sacerdoti e, talvolta, vescovi, hanno scelto di vivere nelle baraccopoli e nei villaggi al fianco dei ”dannati della terra”. Con la teologia della liberazione, operai, contadini, donne, indiani diventano la Chiesa. Attraverso la lotta per l’emancipazione dei più poveri, dal Brasile al Messico passando per il Cile e il Perù, questi cattolici hanno attraversato un passaggio per lungo tempo tabù nella loro Chiesa: quello del discorso politico. A maggior ragione di sinistra… o addirittura di sinistra radicale.

L’ex vescovo brasiliano Dom Helder Camara, deceduto nel 1999, figura prominente di questa corrente, ripeteva una formula diventata famosa: “Quando do del pane ai poveri, dicono che sono un cristiano; quando chiedo perché sono poveri, dicono che sono un comunista”. La loro prossimità alla sinistra rivoluzionaria si è rinforzato a causa del loro impegno contro le dittature sudamericane. Cosa che costò la vita a molti di loro, come Oscar Romero, arcivescovo di San Salvador (El Salvador), assassinato nel 1980, mentre celebrava la messa, dai militari legati alla giunta al potere.

Cattolici, rivoluzionari… e presidenti

Altri hanno assunto impegni politici. Leonardo Boff è stato uno dei principali sostenitori di Lula, così come un’altra grande figura della teologia della liberazione, Frei Betto. Domenicano brasiliano, teologo, filosofo e scrittore, incarcerato per quattro anni sotto la dittatura militare, Betto è stato nominato consigliere speciale di Lula quando questi è stato eletto Presidente della Repubblica. In tale incarico ha coordinato il programma ”zero fame”, che ha fatto uscire circa 40 milioni di brasiliani dalla povertà. Bisognerebbe anche citare un certo numero di capi di stato sudamericani recenti, dal Paraguay di Fernando Lugo (2008-2012), un ex vescovo, all’Ecuador, dove l’attuale Presidente, Rafael Correa, è un devoto cattolico, così come lo era Hugo Chávez in Venezuela (1999-2013).

Da una ventina d’anni, l’influenza della teologia della liberazione si fa sentire ben al di là dell’America del Sud, esplicandosi in molteplici aree: femminismo, diritti indigeni, multiculturalismo, per dirne alcune. Ma l’area principale è l’ecologia. Anzi, per alcuni di loro, come Leonardo Boff, essa rappresenta un nuovo paradigma che trascende tutti gli altri: “La terra sanguina” egli sottolinea “specialmente attraverso quell’essere più particolare, l’oppresso, l’emarginato e l’escluso, poiché questi rappresentano la grande maggioranza del pianeta. È basandosi su di loro che bisogna ripensare l’equilibrio universale e il nuovo ordine mondiale ecologico”. [2]

Leonardo Boff

Occupazione delle terre e difesa dell’Amazzonia

Questo impegno si spiega, come in molte delle loro battaglie, con lo stile di vita che hanno scelto e che li porta a condividere realtà molto concrete. Al fianco dei contadini senza terra, per esempio. Così, la prima massiccia occupazione lanciata da questi ultimi in Brasile nello stato di Rio Grande do sul, nel 1979, è stata fortemente sostenuta dalla Pastorale della terra, emanazione della teologia della liberazione. E anche al fianco degli indiani dell’Amazzonia e delle Ande. Cosa che li ha sensibilizzati a due grandi lotte ecologiche: contro la deforestazione e contro le estrazioni minerarie.

La prima riguarda sia la conservazione della foresta amazzonica che la difesa dei lavoratori agricoli sfruttati (i seringueiros), i cui rappresentanti sindacali sono particolarmente presi di mira e spesso assassinati. Un prete francese di 86 anni, compagno di viaggio della teologia della liberazione, si è particolarmente distinto in questa lotta. Ex avvocato presso il tribunale di Parigi, poi diventato domenicano, nel 1978 Henri Burin des Roziers si è stabilito in Brasile, dove è ora chiamato “l’avvocato dei senza terra”. Minacciato di morte, nel 2007 sulla sua testa è stata messa una taglia di 20.000 euro.

La seconda lotta riguarda le strutture delle grandi società minerarie internazionali su territori spesso montuosi e isolati, come in Perù, nelle Ande meridionali. Qui, comunità cattoliche stanno combattendo attivamente da molti anni, come per esempio nei territori di Puno e Cuzco, per denunciare le conseguenze di queste estrazioni, e soprattutto quelle di rame: degrado ambientale, problemi sanitari, esproprio dei terreni, esodo delle popolazioni.

Apostoli della sobrietà condivisa

L’impegno ecologico di questi cattolici è anche la logica conseguenza di quella critica al capitalismo sviluppata dalla fine degli anni sessanta. “L’imposizione del modello di produzione e consumo capitalista rende i poveri e la natura i principali obiettivi sfruttati dalla logica del profitto. Così Leonardo Boff sottolinea il legame tra la crescente povertà e l’inquinamento», analizza Luiz Martinez Andrade, sociologo, ricercatore presso l’Università Cattolica di Lovanio (Belgio), autore di una tesi sul pensiero di Leonardo Boff.

Dopo la caduta del muro di Berlino e l’arrivo della sinistra al potere in virtualmente tutti gli stati del Sud America, la critica al capitalismo passa non tanto dalla denuncia degli Stati Uniti o la rivendicazione di analisi marxiste quanto dalla critica della globalizzazione finanziaria e dal supporto ai movimenti sociali. Troviamo per esempio un teologo della liberazione, Chico Whitaker, tra i fondatori del Forum sociale mondiale, la cui prima edizione ha avuto luogo a Porto Alegre (Brasile) nel 2001.

È in queste assemblee in particolare che questa corrente porta avanti da anni i concetti di decrescita o di sobrietà. “Bisogna produrre per soddisfare le necessità umane, ma rispettando i ritmi della natura e prendendo in considerazione la capacità di tolleranza di ogni ecosistema, affinché quest’ultimo non sia danneggiato irreversibilmente”, sostiene Leonardo Boff. “Il consumo deve essere regolato da una sobrietà condivisa: possiamo essere più con meno. (…) La scelta fondamentale è la seguente: promuovere un’alleanza globale per salvare la Terra e proteggersi reciprocamente come esseri umani. In caso contrario corriamo il rischio di una doppia distruzione, la nostra e quella della diversità della vita. Questa volta, non ci sarà alcuna Arca di Noè: o ci salviamo tutti o tutti insieme subiremo lo stesso tragico destino”. [3]


[1La terre en devenir – Pour une nouvelle théologie de la libération, Leonardo Boff, Albin Michel, 1994.

[2La terre en devenir – Pour une nouvelle théologie de la libération, Leonardo Boff, Albin Michel, 1994.

[3] Intervista rilasciata al sito www.alliancesud.ch (17 marzo 2015) (link qui)

il commento di Boff (e altri) all’enciclica ‘laudato sì’

Francesco d'Assisi

  • Lettera enciclica Laudato si’
    • dalla madre Terra all’ecologia integrale i tributi di Francesco alla teologia della liberazione

    • di Leonardo Boff
    • Boff L.
    • Prima di qualsiasi altro commento è il caso di sottolineare alcune singolarità dell’enciclica Laudato si’ di papa Francesco. È la prima volta che un papa affronta il tema dell’ecologia nel senso di un’ecologia integrale (quindi al di là del tema ambientale) in una forma così completa. Grande sorpresa: egli elabora il tema alla luce del nuovo paradigma ecologico, cosa che nessun documento ufficiale delle Nazioni Unite ha mai fatto. È fondamentale che il suo discorso si appoggi sui dati più certi delle scienze della vita e della Terra. Legge i dati affettivamente (con intelligenza sensibile o cordiale), poiché discerne che dietro di essi si celano drammi umani e grande sofferenza, anche da parte di madre Terra. La situazione attuale è grave, ma papa Francesco trova sempre ragioni per la speranza e per la fiducia che l’essere umano trovi soluzioni viabili. Papa Francesco non scrive in qualità di Maestro e Dottore della fede, ma come Pastore zelante che si prende cura della casa comune e di tutti gli esseri, non solo umani, che in essa abitano. Merita evidenziare un elemento che rivela la forma mentis di papa Francesco: il suo essere tributario dell’esperienza pastorale e teologica delle Chiese latinoamericane, che, alla luce dei documenti dell’episcopato latinoamericano (Celam) di Medellín (1968), di Puebla (1979) e di Aparecida (2007), fecero un’opzione per i poveri, contro la povertà e a favore della liberazione. Il testo e il tono dell’enciclica sono tipici di papa Francesco e della cultura ecologica che egli ha maturato. Mi accorgo anche, però, di come tante espressioni e modi di dire rimandino a quanto si pensa e si scrive da tempo in America Latina. Quelli della «casa comune», della «madre Terra», del «grido della Terra e grido dei poveri», della «cura», dell’interdipendenza fra tutti gli esseri, dell’«essere umano come Terra» che sente, pensa, ama e venera, dell’«ecologia integrale», e altri, sono tutti temi ricorrenti tra noi. La struttura dell’enciclica ubbidisce al rituale metodologico in uso nelle nostre Chiese e nella riflessione teologica legata alla pratica della liberazione, ora adottata e consacrata dal papa: vedere, giudicare, agire e celebrare. Fin dalle prime righe si rivela la sua fonte d’ispirazione: san Francesco d’Assisi, che l’enciclica definisce «esempio per eccellenza della cura per ciò che è debole e di una ecologia integrale » e che «manifestò un’attenzione particolare verso i più poveri e abbandonati». Quindi si incomincia con il vedere «quello che sta accadendo alla nostra casa». Il papa afferma: «Basta però guardare la realtà con sincerità per vedere che c’è un grande deterioramento della nostra casa comune ». In questa sezione egli incorpora i dati più consistenti sul cambiamento climatico, la questione dell’acqua, l’erosione della biodiversità, il deterioramento della qualità della vita umana e il degrado della vita sociale, e denuncia l’alto tasso di «inequità» planetaria, che colpisce tutti gli ambiti della vita e che vede come vittime principali i poveri. In questa stessa parte inserisce una frase che rinvia alla riflessione fatta in America Latina: «Oggi non possiamo fare a meno di riconoscere che un vero approccio ecologico diventa sempre un approccio sociale, che deve integrare la giustizia nelle discussioni sull’ambiente, per ascoltare tanto il grido della terra quanto il grido dei poveri». Più avanti, aggiunge: «I gemiti di sorella terra si uniscono ai gemiti degli abbandonati del mondo». È assolutamente coerente con quanto viene detto subito all’inizio, che «noi stessi siamo terra», nella linea del grande cantore e poeta indigeno argentino Atahualpa Yupanqui: «L’essere umano è la Terra che cammina, che sente, che pensa e che ama». Condanna poi le proposte di internazionalizzazione dell’Amazzonia, «che servono solo agli interessi economici delle multinazionali ». E troviamo un’affermazione di grande vigore etico: è «gravissima inequità quando si pretende di ottenere importanti benefici facendo pagare al resto dell’umanità, presente e futura, gli altissimi costi del degrado ambientale». Riconosce con tristezza: «Mai abbiamo maltrattato e offeso la nostra casa comune come negli ultimi due secoli». Di fronte all’offensiva umana in atto contro madre Terra, che molti scienziati hanno   denunciato come l’inaugurazione di una nuova era geologica — l’Antropocene – , lamenta l’inadeguatezza dei poteri di questo mondo che, illusi, pensano che «il pianeta potrebbe rimanere per molto tempo nelle condizioni attuali», ma è un alibi che ci serve «per alimentare tutti i vizi autodistruttivi» con un «comportamento che a volte sembra suicida». Prudente, il Papa riconosce la diversità di opinioni e che «non c’è un’unica via di soluzione». È comunque «certo che l’attuale sistema mondiale è insostenibile da diversi punti di vista, perché abbiamo smesso di pensare ai fini dell’agire umano» e ci perdiamo dietro la realizzazione di mezzi destinati a un accumulo illimitato a spese della giustizia ecologica (degrado degli ecosistemi) e della giustizia sociale (impoverimento delle popolazioni). L’umanità semplicemente «ha deluso l’attesa divina». La sfida urgente consiste allora nel «proteggere la nostra casa comune»; per farlo necessitiamo, citando Giovanni Paolo II, di una «conversione ecologica globale» e di una «cultura della cura che impregni tutta la società». Esaurita la dimensione del vedere, s’impone adesso la dimensione del giudicare. Il giudicare è realizzato su due fronti, uno scientifico e l’altro teologico. Partiamo dalla dimensione scientifica. L’enciclica dedica tutto il terzo capitolo all’analisi della «radice umana della crisi ecologica». Il Papa si propone qui di analizzare la tecnoscienza, senza preconcetti, accogliendo quanto essa apporta, «cose realmente preziose per migliorare la qualità della vita dell’essere umano». Non sta qui il problema. È che essa si è resa indipendente, ha sottomesso l’economia, la politica e la natura in vista dell’accumulo di beni materiali. Essa parte dal presupposto errato della «disponibilità infinita dei beni del pianeta », quando sappiamo di avere già intaccato i limiti fisici della Terra e che gran parte dei beni e servizi non sono rinnovabili. La tecnoscienza è divenuta tecnocrazia, una vera dittatura con la sua ferrea logica di dominio su tutto e tutti. La grande illusione oggi imperante è la credenza che con la tecnoscienza si possano risolvere tutti i problemi ecologici. È una via ingannevole, poiché «significa isolare cose che nella realtà sono connesse». Davvero «tutto è connesso», «tutto è in relazione»: affermazione, questa, che attraversa tutto il testo dell’enciclica come un leitmotiv: è infatti un concetto chiave del nuovo paradigma contemporaneo. Il grande limite della tecnocrazia sta nella «frammentazione del sapere» fino a «perdere il senso della totalità ». Il peggio è che in questo modo essa «non riconosce agli altri esseri un valore proprio, fino alla reazione di negare ogni peculiare valore all’essere umano». Il valore intrinseco di ogni essere, per minuscolo che sia, è costantemente esaltato dall’enciclica, così come fa la Carta della Terra.
    • traduzione dal portoghese di Pier Maria Mazzola. ll testo di Leonardo Boff riprende stralci del suo intervento in Curare madre terra. Commento all’enciclica Laudato si’ di papa Francesco (Editrice Missionaria Italiana, pp. 64 euro 3,90), in libreria dal 26 giugno.
  • di seguito altri commenti comparsi sulla stampa italiana: 

    • “«Il papa non si limita… alle esortazioni morali… ma documenta, fornisce indicazioni… un’ampiezza di visione che… a volte manca nell’ecologismo militante… corregge il rischio di un eccessivo antropocentrismo… e tutto questo nel segno della gioia… getta le fondamenta di un nuovo umanesimo, che faccia tesoro delle esperienze spirituali anche dei popoli più lontani e… permetta un dialogo sereno e paritario tra i saperi tradizionali e la moderna ricerca scientifica”
      La giornata era iniziata con Leonardo Boff, ex padre francescano cultore della madre terra, che dal suo buen retiro brasiliano faceva sapere al mondo quanto longa fosse stata la sua manus nella stesura del documento papale sulla cura della casa comune…
    • “La visione di papa Francesco viene da una lunga e appassionata frequentazione dell’argomento… i problemi comunemente rubricati sotto il segno dell’ecologia sono sintomi, prima ancora che cause, di un dissesto etico-antropologico del pensiero e dell’azione creativa dell’uomo… La terra «ci precede», dice Francesco. E noi «non siamo Dio»… pressante invito dell’enciclica a un bagno di umiltà, per l’Occidente”
      “l’uomo e del suo ruolo nel mondo e nella storia. Da una parte… il superuomo inebriato dalle conquiste… per sfruttare e dominare ciò che lo circonda. Dall’altra la persona che si rende conto di vivere in un ‘ambiente’ fatto di interdipendenze e reti di relazioni… un sistema economico di pochi sfruttatori e tanti sfruttati… [oppure] inclusivo e solidale e… orientato al bene comune.”
      “Laudato si’ è un profondo inno alla vita… È un appello realista per l’urgente salvaguardia della «nostra casa comune»… dichiara la necessità di un’alleanza tra scienze e religioni per la cura dell’ambiente… e rigetta il malthusianesimo… È una critica al modello di gestione del mondo imposto dalla globalizzazione neo-mercatista… che non rispetta l’uomo… è un programma educativo rivolto a ogni persona”
      “La ‘sua’ ecologia integrale non solo ricomprende salvaguardia del creato ed ecologia umana, ma va oltre, mettendo in luce le diverse interazioni tra scienze esatte, politica, economia, cultura, organizzazione sociale… L’esempio più lampante è dato dal rapporto tra i cambiamenti climatici e l’aumento della povertà. Un rapporto che in molti casi è di causa effetto”
      “Enciclica innovativa innanzitutto per lo stile colloquiale: è lunga, ma chiunque può leggerla e comprenderla. Molto importanti i capitoli 1 (riconoscimento del contributo degli scienziati) e 5 (critica netta all’economia di mercato)… Francesco non è contro l’economia di mercato, ma contro il mercato quando… genera disuguaglianze… soggioga le democrazie e detta i fini dell’azione politica… «decrescita» intesa come «redistribuzione»”
    • Cosa manca in Laudato Si’ di Peter Ciaccio in www.riforma.it del 19 giugno 2015
    “in questo testo, che mette finalmente il magistero cattolico in linea con quanto già dibattuto a livello ecumenico, manca la speranza. Manca la speranza che, nonostante il peccato degli uomini e delle donne, contro Dio, contro il prossimo e contro il Creato, il Padre amorevole non ci abbandonerà. ” (ndr.:mi sembra una lettura più “deformata” che “riformata”. Così si legge nel testo dell’enciclica ai n. 244-245: “Che le nostre lotte e la nostra preoccupazione per questo pianeta non ci tolgano la gioia della speranza… Egli (Dio) non ci abbandona, non ci lascia soli, perché si è unito definitivamente con la nostra terra, e il suo amore ci conduce sempre a trovare nuove strade. A Lui sia la lode!”. Forse più che la speranza è mancata una lettura più attenta)
    Come facciamo abitualmente diamo spazio al punto di vista delle chiese evangeliche. All’interno di una valutazione sostanzialmente positiva viene rilevata l’insufficiente attenzione alle tante riflessioni svolte sul tema dal Consiglio Ecumenico delle Chiese in questi ultimi trentanni. “Già si vede, però, che questa enciclica potrà avere un forte peso sulla cultura del nostro tempo e, speriamo, sulle scelte economiche e industriali che gli Stati si trovano a dover fronteggiare di fronte alla crisi climatica e ambientale del pianeta.”
    La posta in gioco è il futuro di tutti, anche se lo sguardo di Francesco è rivolto in modo prioritario a coloro che più di altri pagano il prezzo della crisi ecologica: i poveri. È anche in loro nome, oltre che a loro favore, che intende parlare. “Un aspetto particolarmente rilevante dell’Enciclica è l’aver valorizzato la riflessione collegiale nella Chiesa: numerosi documenti di episcopati nazionali” ” Come il Santo di cui porta il nome, Papa Francesco ha saputo dar voce in queste pagine all’intera famiglia umana”
  • “La politica ormai si è arresa al potere dei mercati Questa è la vera degenerazione del presente” intervista a Stefano Zamagni a cura di Giacomo Galeazzi in La Stampa del 19 giugno 2015
“«I salvataggi di banche con fondi pubblici sono avvenuti in Germania, Inghilterra, Irlanda, Stati Uniti, dove quei soldi sono stati tolti alla spesa sociale… Quindi lì ad essere stati danneggiati sono stati gli indigenti… Ora che fanno di nuovo profitti… è vergognoso che… non restituiscano almeno una quarta parte dei soldi pubblici sborsati per salvarle»”
“Francesco mette bene in chiaro le contraddizioni di quanti combattono la manipolazione genetica delle sementi… ma al tempo stesso giustificano… la manipolazione sugli embrioni umani vivi, interessandosi molto delle balenottere e per nulla dei migranti che affogano… descrive i legami tra le crisi finanziarie, le migrazioni dei popoli, le guerre per il controllo delle fonti di energia e dell’acqua”
“«le nostre Chiese si sono rese conto che… “servire e preservare” la creazione di Dio è parte integrante della nostra vocazione… Preoccuparsi per l’ambiente significa preoccuparsi anche di problemi umani come la povertà, la sete e la fame. Questo legame è descritto nel dettaglio e in maniera completa nella parabola in cui il Signore dice: “Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere”»”
“la Chiesa mostra al mondo in maniera limpida che predicare il Vangelo di Cristo vuol dire anche avere a cuore il bene di tutti, e essere al servizio di tutti. Perché, come insegnava anche Sant’Agostino, a quelli che appartengono alla Città di Dio sta a cuore anche il bene proprio della Città dell’uomo”
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