Europa criminale – parola di Zanotelli

Atti criminali. L’Europa e i profughi

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lo spirito del Migration Compact, la proposta del governo Renzi all’Ue, è lo stesso dell’accordo fatto dall’Europa con la Turchia. Si tratta di deportare migliaia di profughi e di pagare gli Stati africani per il lavoro sporco


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La proposta fatta dal governo Renzi alla Commissione europea per risolvere il “problema” dei migranti in arrivo dall’Africa, la cosidetta Migration Compact, è un brutto passo da parte dell’Italia. Lo spirito del Migration Compact è lo stesso dell’accordo fatto dalla Unione europea con la Turchia. Lo ha detto il nostro ministro degli esteri, Paolo Gentiloni, parlando a porte chiuse, alla Commissione trilaterale (!): “L’impegno, profuso dall’Europa per la riduzione dei flussi migratori sulla rotta balcanica, va ora usato sulla rotta del Mediterraneo centrale per chi arriva dalla Libia”.

Trovo grave che il governo Renzi ritenga un successo l’accordo Ue con la Turchia. Un accordo abominevole (costato sei miliardi di euro!) che richiederà la “deportazione” in Turchia di migliaia di migranti e profughi. E siccome le deportazioni sono atti criminali, ritengo l’accordo fra Ue e la Turchia un atto criminale. Quella che “I ventotto paesi dell’Unione europea hanno scritto con la Turchia – ha detto giustamente Cristopher Hein, portavoce del Consiglio Italiano per i Rifugiati – è una delle pagine più vergognose della storia comunitaria. È un mercanteggiamento sulla pelle dei rifugiati”. Lasciamo alla Grecia la responsabilità di effettuare i rimpatri (impossibili) in un paese, la Turchia, che non è il loro paese, che non li vuole e per di più, non ha risorse per integrarli.

Ora l’Italia vuole fare lo stesso con i paesi africani. Un primo tentativo del genere era stato fatto con il cosiddetto “Processo di Khartoum” e con il vertice tra Ue e i capi di Stato africani a La Valletta (Malta), lo scorso anno, promettendo ai paesi sub-sahariani un miliardo e mezzo di euro per trattenere i migranti nei loro paesi. Ma con ben pochi risultati.

Ora, dopo il “successo” dell’accordo con la Turchia, l’Italia propone il Migration Compact con i paesi dell’Africa, dai quali provengono i migranti. Con quali strategie? Primo, la creazione di un Fondo europeo per gli investimenti nei paesi africani, stornando i soldi che oggi l’Europa destina all’Africa per opere socialmente utili (purtroppo ridotti al lumicino!). Secondo, la creazione di EU- Africa Bonds per aiutare i paesi africani a crescere e a innovarsi (ritorna il mantra di Matteo Salvini:”Aiutiamoli a casa loro”). Mentre ai governi africani verrebbe chiesto “un  efficace controllo delle frontiere, riduzione dei flussi migratori e cooperazione in materia di rimpatri/riammissioni”. Purtroppo saranno i governi dittatoriali d’Africa a trarne profitto e i popoli a pagarne le conseguenze.

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Il Migration Compact sta ottenendo sempre più consensi a Bruxelles. Angela Merkel, nell’incontro con Renzi a Roma, si è detta d’accordo con il piano, ma non è d’accordo con gli Euro-bonds. Mentre il vice di Juncker, Frans Timmermans, si trova in sintonia con la proposta italiana. Se dopo lo scellerato accordo Ue-Turchia, ora passerà l’accordo capestro con i paesi africani, l’Europa diventerà sempre più una fortezza protetta dal filo spinato, nella quale finiremo per sparare sia per difendere i confini esterni, ma anche quelli interni tra Stato e Stato, perché i migranti continueranno ad arrivare. Naufraga così il sogno europeo.

“L’accoglienza è un dovere dell’essere umano – ha ricordato papa Francesco durante la sua profetica visita a Lesbo – La tragedia umanitaria, che si sta consumando sotto i nostri occhi, in parte l’abbiamo prodotta noi con l’indifferenza e con le guerre che ai nostri confini abbiamo concorso a fare esplodere con il traffico degli armamenti”. Per questo dobbiamo dire No con forza al Migration Compact che verrà pagato da centinaia di migliaia di africani impoveriti. Non è questa la strada per risolvere il problema dei migranti. “Sogno un’Europa – ha detto il papa ricevendo il Premio Carlo Magno il 6 maggio davanti alle massime autorità dell’Unione Europea – dove essere un migrante non è un delitto”.




papa Francesco durissimo contro la viltà europea

il papa sferza la viltà della ‘Fortezza Europa’

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 papa Francesco riceve in Vaticano il premio Carlo Magno dalle mani dei leader europei e gli fa la predica:

«Sogno che nella patria dei diritti umani essere un migrante non sia un delitto»

«sogno un’Europa in cui essere migrante non è un delitto», invece quella che si vede oggi è un’Europa che costruisce attorno a sé «recinti» e «trincee»

Papa Francesco ha salutato con queste parole i leader europei che ieri sono accorsi in Vaticano per presenziare al conferimento al pontefice del premio internazionale «Carlo Magno», il riconoscimento che ogni anno la città di Aquisgrana – dove venivano incoronati gli imperatori del Sacro romano impero e nella cui cattedrale sono tumulati i resti di Carlo Magno, il primo imperatore «europeo» – assegna a personalità che si siano contraddistinte per il loro ruolo in favore dei valori europei. La scelta di premiare Bergoglio, recitano le motivazioni del premio, è legata al suo «straordinario impegno a favore della pace, della comprensione e della misericordia in una società europea di valori»».farisei 1

Una «Europa nonna», «stanca e invecchiata», ha detto Francesco, rilanciando l’espressione che già aveva usato durante la sua visita al Parlamento di Strasburgo, nel novembre 2014. Un’Europa che ha smarrito i «grandi ideali» dei fondatori – ha citato Schuman e De Gasperi, ma non Altiero Spinelli -, «un’Europa tentata di voler assicurare e dominare spazi più che generare processi di inclusione e trasformazione», «che si va “trincerando” invece di privilegiare azioni che promuovano nuovi dinamismi nella società».

In prima fila c’erano tutti i leader della «fortezza Europa»: il presidente del Parlamento europeo Schulz, il presidente della Commissione europea Juncker, il presidente del Consiglio europeo Tusk, l’alto rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la politica di sicurezza Mogherini, poi la cancelliera tedesca Merkel, Filippo VI di Spagna, Renzi, Draghi. Soprattutto a loro il papa ha fatto notare che questa Europa «sembra sentire meno proprie le mura della casa comune», allontanandosi «dall’illuminato progetto architettato dai padri» e cedendo invece agli «egoismi, guardando al proprio utile e pensando di costruire recinti particolari».

«L’Europa è la patria dei diritti umani, e chiunque metta piede in terra europea dovrebbe poterlo sperimentare», aveva detto Francesco il mese scorso, all’isola di Lesbo. Ieri lo ha ripetuto, in forma di domanda, senza risposta: «Cosa ti è successo, Europa umanistica, paladina dei diritti dell’uomo, della democrazia e della libertà? Cosa ti è successo, Europa terra di poeti, filosofi, artisti, musicisti, letterati? Cosa ti è successo, Europa madre di popoli e nazioni, madre di grandi uomini e donne che hanno saputo difendere e dare la vita per la dignità dei loro fratelli?».

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Per capirlo servirebbe una «trasfusione di memoria», quella auspicata da Elie Wiesel, sopravvissuto ai lager nazisti. «La memoria – ha spiegato il papa – non solo ci permetterà di non commettere gli stessi errori del passato, ma ci darà accesso a quelle acquisizioni che hanno aiutato i nostri popoli ad attraversare positivamente gli incroci storici che andavano incontrando» e ad «aggiornare l’idea di Europa», lungo tre direttrici: la capacità di «integrare», «dialogare» e «generare». Integrare popoli e persone perché, ha ricordato Francesco, «l’identità europea è, ed è sempre stata, un’identità dinamica e multiculturale», mentre «i riduzionismi e tutti gli intenti uniformanti, lungi dal generare valore, condannano i nostri popoli a una crudele povertà: quella dell’esclusione. Che lungi dall’apportare grandezza, ricchezza e bellezza, provoca viltà, ristrettezza e brutalità. Lungi dal dare nobiltà allo spirito, gli apporta meschinità».

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Europa sorda

Poi il «dialogo»: il compito dell’Europa non è realizzare «coalizioni militari o economiche, ma culturali, educative, filosofiche, religiose», le quali «mettano in evidenza che, dietro molti conflitti, è spesso in gioco il potere di gruppi economici». E la «capacità di generare», con lo sguardo rivolto ai giovani. «Come possiamo fare partecipi i nostri giovani di questa costruzione quando li priviamo di lavoro» e «gli indici di disoccupazione e sottoccupazione sono in aumento?», ha chiesto Bergoglio. «La giusta distribuzione dei frutti della terra e del lavoro umano non è mera filantropia, è un dovere morale».

«Sogno un’Europa – ha concluso Francesco – che promuove e tutela i diritti di ciascuno, senza dimenticare i doveri verso tutti. Sogno un’Europa di cui non si possa dire che il suo impegno per i diritti umani è stato la sua ultima utopia».



i sogni ‘ad occhi aperti’ di papa Francesco

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“sogno un’Europa in cui essere migrante non sia delitto”

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il discorso di Francesco alla cerimonia di conferimento del premio Carlo Magno: «L’identità europea è sempre stata dinamica e multiculturale»

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di A.Tornielli

«Sogno un’Europa dove essere migrante non sia delitto» e dove sposarsi e avere figli sia «una responsabilità e una gioia grande, non un problema dato dalla mancanza di un lavoro sufficientemente stabile»

Francesco riceve in Vaticano il premio Carlo Magno. Un’eccezione per Bergoglio, che in vita sua ha sempre rifiutato questo tipo di riconoscimenti. Un’eccezione che gli permette di trasformare la circostanza in un’occasione per chiedere «uno slancio nuovo e coraggioso per questo amato Continente». Alla presenza del cancelliere tedesco Angela Merkel, del presidente del Parlamento Europeo Martin Schultz, del presidente del Consiglio Europeo Donald Tusk, del presidente della Commissione Europea Jean-Claude Juncker, del re di Spagna Filippo VI, del presidente del Consiglio dei Ministri italiano Matteo Renzi e dell’alto rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la Politica di Sicurezza Federica Mogherini, è stato consegnato al Pontefice il riconoscimento attribuito ogni anno dalla città di Aquisgrana a personalità che si siano contraddistinte per il loro ruolo in favore dei valori europei. La motivazione è legata all’impegno di Francesco nel costruire un’Europa di pace, fondata su valori comuni e aperta ad altri popoli e continenti. Bergoglio ha dedicato «il prestigioso Premio» all’Europa, che, ricorda ha sempre avuto un’identità multiculturale e «la creatività, l’ingegno, la capacità di rialzarsi e di uscire dai propri limiti».

La tentazione dell’egoismo

Nel suo ampio discorso, Francesco ricorda i padri fondatori del progetto europeo che dopo la Seconda Guerra mondiale «gettarono le fondamenta di un baluardo di pace, di un edificio» costruito da Stati uniti non «per imposizione, ma per la libera scelta del bene comune». Una «famiglia di popoli» diventata «più ampia», che però «in tempi recenti sembra sentire meno proprie le mura della casa comune, talvolta innalzate scostandosi dall’illuminato progetto architettato dai padri». «Siamo tentati – osserva il Pontefice – di cedere ai nostri egoismi, guardando al proprio utile e pensando di costruire recinti particolari». È un’Europa «che si va “trincerando”». «Che cosa ti è successo, Europa umanistica, paladina dei diritti dell’uomo, della democrazia e della libertà?», domanda Francesco.

Trasfusione di memoria

Il Papa chiede di non dimenticare. Cita lo scrittore Elie Wiesel, sopravvissuto ai campi di sterminio nazisti, il quale diceva che oggi è di capitale importanza realizzare una «trasfusione di memoria». È ciò che «ci libera da quella tendenza attuale spesso più attraente di fabbricare in fretta sulle sabbie mobili dei risultati immediati che potrebbero produrre una rendita politica facile, rapida ed effimera». I padri fondatori dell’Europa, spiega il Papa «osarono cercare soluzioni multilaterali ai problemi che poco a poco diventavano comuni».

Ritornare alla solidarietà

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Francesco ricorda le parole di Robert Schuman, l’Europa «si farà attraverso realizzazioni concrete». E osserva che «in questo nostro mondo dilaniato e ferito, occorre ritornare a quella solidarietà di fatto, alla stessa generosità concreta che seguì il secondo conflitto mondiale». I progetti dei padri fondatori «ispirano, oggi più che mai, a costruire ponti e abbattere muri» e invitano «a non accontentarsi di ritocchi cosmetici o di compromessi tortuosi per correggere qualche trattato, ma a porre coraggiosamente basi nuove, fortemente radicate». Un «lavoro costruttivo che esige tutti i nostri sforzi di paziente e lunga cooperazione», come diceva Alcide De Gasperi.

Per l’integrazione

Francesco sottolinea tre caratteristiche dell’Europa: la capacità di integrare, di dialogare e di generare. Le radici dei popoli europei, spiega, «si andarono consolidando nel corso della sua storia imparando a integrare in sintesi sempre nuove le culture più diverse e senza apparente legame tra loro. L’identità europea è, ed è sempre stata, un’identità dinamica e multiculturale». Per il Papa la politica «sa di avere tra le mani» un compito «fondamentale e non rinviabile», quello di «promuovere un’integrazione che trova nella solidarietà il modo in cui fare le cose, il modo in cui costruire la storia». Una solidarietà che «non può mai essere confusa con l’elemosina, ma come generazione di opportunità» perché tutti «possano sviluppare la loro vita con dignità». Così la comunità dei popoli europei «potrà vincere la tentazione di ripiegarsi su paradigmi unilaterali e di avventurarsi in “colonizzazioni ideologiche”». Il volto dell’Europa «non si distingue nel contrapporsi ad altri, ma nel portare impressi i tratti di varie culture e la bellezza di vincere le chiusure». Francesco cita queste parole di Konrad Adenauer: il futuro dell’Occidente è minacciato «dal pericolo della massificazione, della uniformità del pensiero e del sentimento; in breve, da tutto il sistema di vita, dalla fuga dalla responsabilità, con l’unica preoccupazione per il proprio io».

La cultura del dialogo

Il Papa invita «a promuovere una cultura del dialogo». Una cultura che «implica un autentico apprendistato» per riconoscere l’altro come «un interlocutore valido; che ci permetta di guardare lo straniero, il migrante, l’appartenente a un’altra cultura come un soggetto da ascoltare, considerato e apprezzato». La pace «sarà duratura nella misura in cui armiamo i nostri figli con le armi del dialogo, insegniamo loro la buona battaglia dell’incontro e della negoziazione». La cultura del dialogo «dovrebbe essere inserita in tutti i curricula scolastici», per «inculcare nelle giovani generazioni un modo di risolvere i conflitti diverso da quello a cui li stiamo abituando. Oggi ci urge poter realizzare “coalizioni” non più solamente militari o economiche ma culturali, educative, filosofiche, religiose». Per mettere in evidenza che, «dietro molti conflitti, è spesso in gioco il potere di gruppi economici» e «difendere il popolo dall’essere utilizzato per fini impropri. Armiamo la nostra gente con la cultura del dialogo e dell’incontro».

Capacità di generare

Bisogna offrire ai giovani «una reale partecipazione» nel cambiamento. E come «pretendiamo di riconoscere ad essi il valore di protagonisti, quando gli indici di disoccupazione e sottoccupazione di milioni di giovani europei è in aumento?», si chiede il Papa. La «giusta distribuzione dei frutti della terra e del lavoro umano non è mera filantropia. È un dovere morale». Servono «nuovi modelli economici più inclusivi ed equi, non orientati al servizio di pochi, ma al beneficio della gente e della società. E questo ci chiede il passaggio da un’economia liquida a un’economia sociale», spiega Francesco, citando «l’economia sociale di mercato». Se vogliamo «un futuro di pace per le nostre società, potremo raggiungerlo solamente puntando sulla vera inclusione: quella che dà il lavoro dignitoso, libero, creativo, partecipativo e solidale».

I sogni di Francesco per l’Europa

«Con la mente e con il cuore, con speranza e senza vane nostalgie, come un figlio che ritrova nella madre Europa le sue radici di vita e di fede – conclude Bergoglio, nato in una famiglia di emigranti italiani – sogno un nuovo umanesimo europeo».

Il Papa sogna «un’Europa che si prende cura del bambino, che soccorre come un fratello il povero e chi arriva in cerca di accoglienza perché non ha più nulla e chiede riparo». Un’Europa che «ascolta e valorizza le persone malate e anziane, perché non siano ridotte a improduttivi oggetti di scarto». Un’Europa «in cui essere migrante non sia delitto bensì un invito ad un maggior impegno con la dignità di tutto l’essere umano». Un’Europa «dove i giovani respirano l’aria pulita dell’onestà, amano la bellezza della cultura e di una vita semplice, non inquinata dagli infiniti bisogni del consumismo» e «dove sposarsi e avere figli» sia «una responsabilità e una gioia grande, non un problema dato dalla mancanza di un lavoro sufficientemente stabile». Infine, il Papa sogna «un’Europa delle famiglie, con politiche veramente effettive, incentrate sui volti più che sui numeri, sulle nascite dei figli più che sull’aumento dei beni». «Sogno un’Europa che promuove e tutela i diritti di ciascuno, senza dimenticare i doveri verso tutti. Sogno un’Europa di cui non si possa dire che il suo impegno per i diritti umani è stata la sua ultima utopia».



l’Europa ha deciso di perdere l’anima e di non restare umana

la dissuasione della «cristiana» civiltà europea

in gioco, oltre al destino migliaia di orfani, c’è un confine che le cosiddette democrazie occidentali non dovrebbero, almeno ufficialmente, varcare: il senso minimo di umanità, quello che per gli apologeti distinguerebbe la «civile» Europa dagli altri mondi

lessandro Dal Lago

Dal Lago

 

È sicuro ormai che l’Europa è solo all’inizio di un processo di decomposizione politica. I segnali si moltiplicano. La vittoria dell’estrema destra in Austria, la crisi polacca, il regime di Orbán, l’affermazione dell’AdP in Germania, la chiusura delle frontiere, il referendum sul Brexit. Ma il voto con cui la Camera dei comuni inglese ha rifiutato di accogliere i 3000 bambini di Calais è qualcosa di molto più profondo e sinistro di una crisi politica continentale. È, come hanno notato i critici della decisione, di qualcosa di vergognoso.

Perché in gioco, oltre al destino migliaia di orfani, c’è un confine che le cosiddette democrazie occidentali non dovrebbero, almeno ufficialmente, varcare: il senso minimo di umanità, quello che per gli apologeti distinguerebbe la «civile» Europa dagli altri mondi.

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Oddio, anche sequestrare beni ai profughi, come fanno la Danimarca e altri stati della Ue, è vergognoso, proprio come lasciarli alla deriva a Idomeni e Lesbo, o dare un po’di quattrini a Erdogan perché non ce ne mandi altri. Ma i bambini non dovrebbero essere sacri, nell’Europa cristiana, cattolica, anglicana o luterana che sia? Con il voto alla Camera dei comuni, la risposta è stata semplicemente «No!» D’altra parte, i leader della Afd tedesca non hanno forse dichiarato che è legittimo sparare ai profughi che attraversano illegalmente i confini, anche quando sono donne e bambini? Certo, i conservatori inglesi a parole non arrivano a tanto. Ma il risultato non è molto diverso.

Che fine faranno i bambini che il socialista Hollande fa marcire a Calais, tra assalti xenofobi e manganellate? Nessuno lo sa e a nessuno interessa.

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La motivazione del voto inglese è sublime nella sua ipocrisia squisitamente british. Noi non li accogliamo, per dissuadere altri profughi dal chiedere asilo in Inghilterra. Con la stessa scusa, le navi militari inglesi non soccorrono più la carrette del mare dei migranti nel Mediterraneo. Ora, immaginiamo dei bambini che scampano alla morte in Siria e poi ai naufragi nell’Egeo o nel canale di Sicilia. Ebbene, qualcuno pensa che si faranno dissuadere dal passare in Europa, e magari dal raggiungere dei parenti in Inghilterra, pensando al voto della Camera dei comuni? Quando la Svizzera respinse i profughi ebrei che scappavano dalla Germania con la motivazione che «la barca piena», si macchiò della stessa vergogna, ma con meno ipocrisia.

Noi europei, dopo la Shoah, non dovremmo sorprenderci più di nulla. E nemmeno pensare che, con la sconfitta del nazismo e del fascismo, siamo al sicuro dagli stermini di massa. Migranti e profughi muoiono a migliaia per raggiungere le nostre terre benedette dalla ricchezza.

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Dopo un po’ di lacrimucce sui bambini annegati sulle spiagge greche e turche, ecco che prendiamo a calci quelli che non sono annegati, o semplicemente ne ignoriamo l’esistenza.

Noi europei, così civili e democratici, stiamo gettando le premesse di nuovi stermini, magari per omissione, disattenzione o idiozia. Ma per le vittime non fa nessuna differenza.




vergognati Europa disumana!

Europa dove sono le radici cristiane?

Tonio Dell’Olio

Tonio Dell'Olio

Come uomo prima e come abitante dell’Europa che vanta radici cristiane mi sono vergognato davanti alle immagini dei profughi respinti con la forza e con lancio di gas lacrimogeni alla frontiera tra Grecia e Macedonia

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Persone che fuggono dalle bombe, dalla distruzione delle loro case e dalle persecuzioni dell’Isis/Daesh, che hanno dovuto affrontare i pericoli della traversata sicuri che, se mai ce l’avessero fatta, avrebbero ricevuto l’accoglienza che si riserva a tutte le persone in pericolo di vita, vengono trattati come i più pericolosi dei criminali. Non è giusto. Non è umano.
Prima che appellarsi ai trattati e al diritto internazionali, è il nostro semplice buon senso che deve ribellarsi a questa mancanza di umanità. Eppure c’è da credere che le difficoltà che i governanti delle nazioni europee oppongono, potrebbero essere facilmente superate con la creazione di corridoi umanitari che distribuiscano in modo proporzionato bambini, uomini e donne vittime della guerra e del terrorismo.migranti2
Possibile che si faccia ancora tanta fatica a mettersi nei loro panni, a immaginarsi nella loro tragedia? Possibile che la storia non insegni che anche noi europei siamo stati tante volte profughi e migranti?  È in gioco sicuramente la vita di migliaia di persone ma anche il senso della nostra civiltà. E se ripenso a quanti si sono affannati nel dibattito perché le radici cristiane venissero riconosciute nella Carta d’Europa… mi convinco ancora di più che prima e più del riconoscimento formale, avremmo dovuto vivere coerentemente il Vangelo dell’accoglienza.

http://www.mosaicodipace.it/mosaico/i/3053.html




da 10 a 12 milioni i rom in Europa

quanti sono i Rom in Europa

di Roberta Lunghini

Quanti sono i Rom in Europa

si stima che i Rom che vivono in Europa siano 10-12 milioni

Si tratta di una popolazione giovane: la loro età media è di 25 anni (mentre quella della popolazione UE è di 40 anni) e il 35,7% ha meno di 15 anni (contro una media UE del 15,7%). Alla grande maggioranza degli appartenenti a questa comunità manca l’istruzione necessaria per trovare buoni posti di lavoro. Tuttavia, negli Stati membri dove la loro presenza è più forte, si rilevano già effetti sull’economia: in Bulgaria circa il 23% dei nuovi occupati sono Rom, in Romania circa il 21%. I dati sono contenuti in una Comunicazione della Commissione Europea di qualche anno fa. In attuazione della quale, il Ministero della salute italiano ha predisposto il “Piano d’azione salute per e con le comunità Rom, Sinti e Caminanti”. Le cui tre macroaree di azione sono:
1. Formazione del personale sanitario e non;
2. Conoscenza e accesso ai servizi per RSC (Rom, Sinti e Camminanti);
3. Servizi di prevenzione, diagnosi e cura




quale identità per l’Europa?

«la vera identità europea è quella del confronto, non dell’odio»

intervista a Massimo Borghesi

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a cura di Andrea Tornielli
in “La Stampa-Vatican Insider” del 19 novembre 2015

«La vera identità europea, quella aperta al confronto, non quella dell’odio», è quella che si ritrova nella «splendida lettera che Antoine Leiris ha scritto ai terroristi, dopo la morte di sua moglie per opera degli attentatori di Parigi»

Lo afferma il filosofo Massimo Borghesi, autore del libro Critica della teologia politica, in questo dialogo con Vatican Insider a partire dai tragici eventi di Parigi, che interrogano l’Europa sulle sue radici, la sua identità e le sue scelte. I terribili attentati di Parigi hanno gettato nel panico l’Europa, soprattutto perché molti Jiadhisti sono nati in Francia, non sono venuti dall’estero. Che cosa significa questo? Com’è stato possibile che l’Europa stessa sia stata l’incubatrice del fondamentalismo? «Le cause per cui migliaia di jiadhisti, provenienti dall’Europa, vanno a combattere in Siria e in Iraq a favore dello Stato Islamico sono sostanzialmente tre. La prima è data dallo sradicamento dei giovani musulmani di seconda-terza generazione, come accade nelle banlieue parigine, rispetto alla società circostante. Come in Accattone di Pasolini, essi vedono la città dalla periferia, non conoscono il centro, se ne sentono respinti. Non sono veramente parte della nazione in cui sono nati. La loro condizione sociale, una scolarizzazione spesso fallita, favoriscono un senso di emarginazione e, quindi, di risentimento verso un mondo, quello europeo, che avvertono come estraneo e ostile. La seconda causa è data dal mondo occidentale odierno, il cosiddetto “mondo liquido” connotato da un individualismo profondo, da un’eclisse parimenti profonda di valori e di ideali, da promesse di vita non realizzabili. A un giovane, che avverte interiormente l’esigenza di valori in cui impegnarsi, l’Europa odierna è in grado di offrire divertissment ma non ideali che muovano verso la solidarietà. In Francia i valori della Republique risuonano, come La marsigliese, solo nell’ora del pericolo. Diversamente non sono in grado di unificare. La religione della Laicité indica un’identità formale che copre il valore polemico delle differenze senza risolverlo. Il terzo fattore che è alla genesi del jiadhismo europeo è l’Islam europeo, l’Islam incontrato in tante moschee europee. Al vuoto spirituale del vecchio continente, alla emarginazione sociale e culturale, il giovane di provenienza araba cresciuto in Europa oppone la scoperta di una fede radicale, totalizzante, mutuata da iman che esportano i dettami dell’Islam più integralista, quello wahabita promosso e finanziato dall’Arabia Saudita». Come definirebbe questo tipo di Islam? «È un Islam essenzialmente politico, teocratico, una religione politica che attrae molti giovani, sradicati e colmi di risentimento, proprio per il successo politico dell’Isis. Ciò che colpisce questi giovani è esattamente quello che provoca in noi orrore: il messaggio di potenza planetaria suscitato dalle immagini delle gole tagliate, dalle vittorie del califfato. L’Isis è il mito di una rivincita dell’Islam e del mondo arabo sull’Occidente, è il sogno di una rivincita che alberga nel risentimento. L’Islam jiadhista è una teologia politica – fenomeno di cui mi sono occupato nel mio volume Critica della teologia politica – che, come tutte le teologie politiche, vive e si nutre della vittoria del Dio degli eserciti. Solo una sconfitta può, in questo caso, provocare una crisi ideale. Le teologie politiche, per loro natura, muoiono nei campi di battaglia». «Siamo in guerra!». Questa è la reazione che sembra essere maggioritaria. La prima risposta è stata un’intensificazione dei bombardamenti sullo Stato islamico: è adeguata? «La risposta non può non essere anche militare con le avvertenze, però, richiamate dal capo della Chiesa siro-cattolica, Mar Ignace Youssif III Younan, e cioè che l’Isis non si sconfigge semplicemente con i raid e con bombardamenti indiscriminati. Il massacro di Parigi ha rappresentato per l’Isis, certamente, una sorta di autogoal. Ha costretto, infatti, gli Stati  fiancheggiatori del califfato, dalla Turchia di Erdogan, all’Arabia Saudita, allo stesso Occidente americano-europeo, a fermarsi. L’utilizzazione dell’Isis in funzione anti-Assad, anti-Iran, anti-Putin, non può più essere tollerata dall’opinione pubblica. L’eccidio parigino, come è stato detto, è l’11 settembre europeo. Solo il Qatar, uno degli Stati più ricchi e più integralisti del mondo, continua il suo sporco gioco finanziando fortemente Daesh. È chiaro che se non si prosciugano i finanziamenti, le importazioni di petrolio, le forniture cospicue di armi, un conflitto non avrà mai fine. Riguardo alla guerra essa va misurata con attenzione. Né Obama né gli europei sono disposti a impiegare truppe di terra, con il rischio di migliaia di morti. Inoltre l’Isis non esiterebbe un momento a prendere in ostaggio intere città, in primis Mosul, in modo tale che la battaglia dovrebbe svilupparsi casa per casa con moltissime vittime civili innocenti. La forma che il conflitto dovrà assumere – con buona pace di Salvini e di coloro che gridano alla guerra – non è quindi chiara. Ciò che è positivo, al momento, è l’accordo trovato tra l’occidente e Putin, dopo anni di contrasto duro. Ciò permette di individuare finalmente il nemico, l’“unico” nemico». Colpiscono le parole con le quali Claudio Magris, all’indomani degli attentati di Parigi, ha riconosciuto la lungimiranza di Giovanni Paolo II che invitava a non fare le guerre in Iraq. Quanto ciò che sta accadendo può essere legato alle scelte compiute nel recente passato dall’Occidente, con le guerre che ha mosso in Medio Oriente e con il finanziamento di gruppi ribelli che si sono poi trasformati nell’internazionale del terrore? «Il giudizio di Magris è prezioso. Molti di coloro che oggi inneggiano alla guerra dell’Occidente contro l’Islam, che utilizzano Giovanni Paolo II e Benedetto XVI contro Papa Francesco, accusato di essere troppo remissivo verso i musulmani, dimenticano che fu proprio Giovanni Paolo II a opporsi strenuamente contro la guerra in Iraq voluta da George Bush jr., a opporsi alla “guerra di civiltà” di chi voleva la crociata dell’Occidente “cristiano” contro l’Islam. Come scrive Magris: “Come era lungimirante l’opposizione di Giovanni Paolo II alla guerra in Iraq, opposizione che non nasceva certo da simpatia per il feroce despota iracheno né da astratto pacifismo, che gli era estraneo perché la sua esperienza storica gli aveva insegnato che la guerra, sempre orribile, è talora inevitabile. Ma il Papa polacco sapeva che sconvolgere l’equilibrio – precario e odioso, ma pur sempre equilibrio – di quella Babele mediorientale avrebbe creato un’atomizzazione incontrollabile della violenza. Come era più intelligente Reagan di quanto lo sarebbe stato anni dopo George Bush Jr, quando, per stroncare l’appoggio di Gheddafi al terrorismo, si decise per un’azione brutale ma rapida ed efficace e non pensò a inviare truppe americane a impantanarsi per chissà quanto tempo nel deserto libico, mentre l’invasione dell’Afghanistan voluta da Bush Jr. sta durando quasi tre volte la Seconda guerra mondiale, senza apprezzabili risultati”. E qui potremmo aggiungere: come era più intelligente Reagan rispetto ai Sarkozy e ai Cameron che hanno rovesciato certo un dittatore ma solo per gettare un paese, la Libia, nel caos più totale, vero brodo di coltura dell’estremismo più radicale». Da che cosa nasce l’estremismo fondamentalista? «In realtà il vero nodo è questo: l’estremismo islamico è il prodotto di due fattori. Il primo è dato da un problema che riguarda direttamente l’Islam contemporaneo, il suo rapporto con la modernità, le libertà civili e religiose. Ne ha parlato, con saggezza, il filosofo Abdennour Bidar nella sua Lettera aperta al mondo musulmano (http://www.gliscritti.it/blog/entry/2895). Non è certo l’unico, epperò nella sua Lettera è come se sintetizzasse tutti i problemi di un occidentale islamico. L’Isis è un mostro che non coincide con l’Islam, con la fede tranquilla di milioni di credenti. E, tuttavia, ha le sue radici in una possibile lettura dell’Islam, quella di matrice wahabita. Una lettura che richiede di essere affrontata “criticamente” se si vuol superare le aberrazioni di fondamentalisti criminali che giustificano il loro operato a partire dalla religione. Allo scopo le semplici dissociazioni o prese di distanza sono auspicabili ma non dirimenti. Così come non aiutano le posizioni di coloro che affermano non esservi alcuna connessione tra l’Islam e la politica. Il problema è più complesso e richiede una vera e propria rilettura della tradizione. Come ha affermato Hocine Drouiche, imam di Nîmes e vice-presidente del Consiglio degli imam di Francia: “Per secoli i musulmani hanno escluso la ragione e la razionalità dalla loro vita religiosa. Nel pensiero islamico moderno vi è una  vera crisi della ragione. Di conseguenza, i musulmani vivono in situazioni paradossali non solo nei confronti dei valori islamici, ma anche dei valori europei”. È questa chiusura, questa dissociazione tra fede e ragione, che genera il fondamentalismo, il fideismo chiuso che vede negli altri i “crociati”, i miscredenti, gli impuri. Il secondo fattore che nel corso degli ultimi 40 anni ha favorito la radicalizzazione dell’Islam è stato l’uso che ne ha fatto l’Occidente, gli Usa in primis, in funzione antisovietica prima, con i Talebeni sostenuti in Afghanistan contro Mosca, e con l’Isis poi in funzione anti-Assad alleato di Putin. Il mostro, come ha riconosciuto Hillary Clinton, è uscito dalle segrete stanze della Cia e del Pentagono, foraggiato dagli alleati arabi filo-americani e dalla Turchia, membro della Nato. Il bambino, cresciuto, è divenuto ora molesto e ingombrante, al punto che i loro artefici non sanno come disfarsene. Nel frattempo centinaia di migliaia di persone sono morte, milioni sono fuggiti, interi Stati sono sprofondati nella miseria e nella disperazione». Secondo lei è in atto uno scontro di civiltà? Che cosa significa per l’Europa, per i suoi valori e la sua cultura, questo confronto con l’Islam fondamentalista? «Certamente il rinnovato confronto con un islamismo aggressivo, che pareva un lontano ricordo del passato, obbliga il vecchio continente a un ripensamento. Dopo l’89 l’era della globalizzazione ha coinciso con un post-modernismo estetico-edonistico-individualistico. La “fine della storia”, profetizzata da Francis Fukuyama, sembrava offrire il panorama della nuova felix aetas, senza nemici né guerre, contrassegnata da affari e divertissement. Poi è venuto l’11 settembre e con esso è tornata la teologia politica (teocon e islamista), il nemico, la guerra. I risultati di quel conflitto li vediamo oggi con il Medio Oriente e il nord Africa allo sbando. Per questo l’Europa, dopo Parigi, non può ripensarsi alla luce di una nuova (o vecchia) teologia politica così come auspicano le destre. La soluzione, l’uscita dal nichilismo postmoderno, non sta nella costruzione di identità affermate in antitesi ad altre, identità dialettiche che ricopiano, nell’opposizione, quella dell’avversario. È questa la via dello “scontro di civiltà”, quella auspicata dal quotidiano “Libero” la cui testata non si è vergognata di titolare, in risposta agli eccidi parigini, “Bastardi islamici”. Una vera e propria incitazione all’odio. Né l’Europa può credere, d’altra parte, che il problema si risolva favorendo lo scioglimento delle differenze. Come nel caso di una gita scolastica annullata dalle autorità della scuola elementare «Matteotti» di Firenze perché prevedeva una visita artistica che includeva un Cristo dipinto da Chagall, nel timore che ciò potesse offendere gli allievi di religione musulmana. Un provvedimento demenziale che dimostra i limiti di un multiculturalismo che, alla prova dei fatti, dimostra di essere incapace di sostenere le diversità culturali. Chi viene o nasce in un Paese deve innanzitutto imparare a rispettarne le tradizioni, gli usi, i costumi, le leggi. È una legge non scritta dei popoli. Né può pensare, machiavellicamente, di simulare in attesa di essere maggioranza. Se non si gradiscono leggi e costumi è bene che si vada altrove. Il Paese che accoglie deve, d’altra parte, favorire le condizioni d’integrazione, in primis attraverso la scuola, il lavoro, l’università. Puntando particolarmente sui giovani. È nell’ambito scolastico, come dimostrano gli istituti cristiani nei paesi arabi che non fanno distinzione di religione, che sorgono amicizie, stima reciproca, rapporti duraturi tra persone di fedi diverse. Qui si costruisce il futuro. Certo, dovrebbero essere scuole mirate al lavoro, non parcheggi, né luoghi di déracinement». Come bisogna reagire, dunque? «Tanto il posmodernismo relativistico quanto l’identitarismo, le due ideologie con cui abbiamo risposto, finora, all’integralismo islamico, hanno mostrato abbondantemente i loro limiti. Abdennor Bidar, nella sua Lettera, afferma che il mondo islamico europeo ha, se lo vuole, le risorse per tirarsi fuori dalle secche a cui l’integralismo lo sta portando. Allo stesso modo, potremmo dire che la vecchia Europa, per quanto disincantata e violentata nelle sue tradizioni, ha le risorse per rispondere in modo non meramente reattivo. La splendida lettera che Antoine Leiris ha scritto ai terroristi, dopo la morte di sua moglie per opera degli attentatori di Parigi, ne è documento: “Venerdì sera avete rubato la vita di una persona eccezionale, l’amore della mia vita, la madre di mio figlio, eppure non avrete il mio odio. Non so chi siete e non voglio neanche saperlo. Voi siete anime
morte. Se questo Dio per il quale ciecamente uccidete ci ha fatti a sua immagine, ogni pallottola nel corpo di mia moglie sarà stata una ferita nel suo cuore. Perciò non vi farò il regalo di odiarvi”. Questa è la vera identità europea, quella aperta al confronto, non quella dell’odio. La civiltà dell’Europa, quella autentica, è dominata, come ha evidenziato Remi Brague nel suo bel libro Europe. La voie romaine, dalla “secondarietà”, dalla capacità della Roma antica di farsi “seconda” rispetto alla cultura ellenica e del cristianesimo di farsi “secondo” rispetto all’ebraismo. Per questo l’Europa è capace di “integrazione”, non ha bisogno di azzerare la tradizione, la fede, la cultura di coloro che calpestano il suo suolo. Non ha paura dell’altro. Ha il dovere di difendersi ma è anche sufficientemente forte per sopportare le differenze».




l’Europa dei muri e dei fili spinati

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Si continua a costruire muri. In Europa e nel mondo. Muri di cemento e di reti metalliche, di filo spinato e di leggi di carta. Ma muri anche dentro le nostre coscienze e nelle nostre intelligenze. Muri nelle relazioni umane e interpersonali, muri tra le generazioni e tra le fedi.

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C’è un’idolatria del muro che è l’esatto opposto del Dio biblico che vede la miseria del suo popolo schiavo in Egitto e ascolta il suo grido (cfr. Esodo 3, 7). Gli idoli invece “sono argento e oro, opera delle mani dell’uomo. Hanno bocca e non parlano, hanno occhi e non vedono, hanno orecchi e non odono, hanno narici e non odorano. Hanno mani e non palpano, hanno piedi e non camminano; dalla gola non emettono suoni. Sia come loro chi li fabbrica e chiunque in essi confida” (Salmo 115).




i migranti sono la salvezza dell’Europa, parola saggia di Ovadia

 

Moni Ovadia

Moni Ovadia: «L’Europa, guardando negli occhi i migranti, ha riscoperto sé»

 

lo scrittore commenta il cambio di passo dei governi europei «L’immagine di Aylan ha prodotto un’intuizione. Ci ha ricordato chi siamo e da dove veniamo. Oggi abbiamo solo due leader, una è Merkel l’altro è Francesco»

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Moni Ovadia

L’Europa, dopo il dramma di Aylan, sembra essersi svegliata. Dalla Germania alla Francia, anche i paesi più rigidi hanno cambiato posizione sui migranti e si sono aperti all’accoglienza. In tutto il territorio dell’Unione fioriscono esperienze di accoglienza diffusa e di solidarietà. Ne abbiamo parlato con lo scrittore Moni Ovadia, per capire se sia possiible che una sola immagine possa essere cos’ determinante
Sembra che l’Europa abbia cambiato marcia sul tema dei migranti. Come se lo spiega?

Credo che Angela Merkel sia l’unica vera statista che abbiamo, lo dico da uomo di sinistra. Ha capito una cosa: questa onda umana non la puoi fermare se non ha prezzo di conseguenze inacettabili per la Germania, con il passato che ha. I bambini sono stati per lei il segno di quelle conseguenze. Stalin diceva: un morto è una tragedia, un milioni di morti sono una statistica. Sono morti tanti bambini in questi anni, migliaia. Ma quell’uno, Aylan, è impossibile da sostenere. Nel lager di Auschwitz successe un episodio simile. Dei detenuti tentarono di scappare o rubarano qualcosa. Non ricordo esattamente. Erano due adulti e un bimbo di 9 anni. Furono condannati e impiccati. I due uomini morirono subito. Il bimbo invece agonizzò per mezz’ora prima di morire. Era troppo leggero. Una certa teologia cristiana vide in quel bimbo il Cristo. Fu uno di quegli episodi che rese impossibile il silenzio su quel che succedeva in quei posti. È lo stesso che è capitato con Aylan. La Merkel ha fatto un atto lungimirante, estrememanerte forte in termini simbolici: la nazione carnefice della storia diventa umana., accogliendo un popolo in fuga E poi pensa al futuro, a costruire la Germania del futuro, come terra di accoglienza e di multiculturalità, sapendo di recuperare tante energie forti. I Siriani sono colti. Basta guardare la storia degli Stati Uniti d’America. La Merkel sta dando un segnale per il futuro dell’Europa. Da oggi i Paesi dell’est, penso anche alla Polonia che per quello che ha sofferto dovrebbe avere un atteggiamento diverso, possono solo adeguarsi alla linea. E non è un caso che tutto questo capiti nel tempo di Francesco. L’unico leader morale di questo periodo storico. Adamantino, puro e sudamericano, che sa cosa significa la tirannia. L’accoglienza però è solo il primo passo…

In che senso?

Dobbiamo ascoltare Francesco anche sugli altri grandi temi. In particolare sulla questione dei mercati e della finanza. Senza tornare ad un economia umana produrremo sempre più disperazione, povertà e guerre

Ma come può una sola foto ottenere un cambiamento così drastico?

Può perchè la forza icastica di un immagine è inimmaginabile. Pensiamo al bambino con le mani alzate quando i nazisti entrarono nel ghetto di Varsavia. Oliviero Toscani diceva che fa impressione che una sola immagine sia più forte di tutte le tragediie. Ma per fortuna è così. Il cambio di rotta della Germania è stata un’intuizione data da quella foto, non un calcolo. C’è una storiella yiddish che racconta di un bambino e un nonno. Il nipote chiede al nonno perché i ricchi siano così insensibili ed egoisti. Allora il nonno porta il bimbo alla finestra e gli chiede cosa veda. «Vedo delle persone che camminano, un cane che gioca e delle piante scosse dal vento». Allora il nonno lo porta davanti allo specchio: «adesso cosa vedi?». E il bimbo: «vedo solo me stesso nonno». E l’anziano: «Ecco, sei come un ricco, basta un po’ d’argento dietro ad un vetro e non vedi altro che te». Ci voleva un’immagine che rompesse lo specchio. Ma serviva un’immagine da cui non ci si potesse nascondere. E quell’immagine lo è. È sconvolgente.

Possiamo dire che da un dramma come quello di queste migliaia di persone che fuggono da fame e guerra stia nascendo qualcosa di bello, una nuova speranza?

Mi sembra che fosse una canzone di De Andrè, comunque è una frase che diceva sempre Don Andrea Gallo: Dai diamanti non nasce nulla, dal fango nascono i fiori. Questa disperazione è un fatto dolorosissimo. Se non portasse nulla con sé di buono però sarebbe triplamente dolorosa.

Sembra che si stia tornando alle nostre origini, quelle più nobili. Penso ad Enea e alla sua fuga da Troia con il padre e il figlio per arrivare in Italia, in Europa…
L’Italia è nata da un meticciato tra un turco, un uomo scuro, e un’autoctona. La grande Roma nasce dal meticciato. Ci siamo già dimenticati dei 30 milioni di italiani emigrati per fame. E che 4 milioni e mezzo di loro furono clandestini e tanti morirono in mare. Tanti di loro furono anche respinti e vissero in miseria. Vendevamo schiavi al Belgio per lavorare nelle miniere di carbone. Abbiamo dimenticato l’episodio di Marcinelle quando morirono 262 minatori italiani nella miniera di carbone Bois du Cazier. Erano nostri connazionali obbligati, pena la galera, a scendere a 2mila metri nelle budella della terra per poi strisciare nei cunicoli a lavorare. Scavavano e puntellavano per 12 ore al giorno. E se sbagliavano morivano sepolti vivi. Questa è la nostra storia. Non dobbiamo dimenticare cosa eravamo.

È così importante la memoria?

Freud diceva che ogni rimozione ritorna sempre come patologia. Ecco perché la memoria è importante. Per ricordarci la gloria del riscatto dalla miseria. Dalla nostra miseria.




indietro va’, straniero! , anzi negro!

la frontiera dell’egoismo

Europa. Frontiera chiusa e cariche della polizia

La Francia respinge i migranti, che minacciano lo sciopero della fame

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immigrati a Ventimiglia

Fron­tiera chiusa e cari­che della poli­zia con­tro poche decine di migranti che per tutta rispo­sta minac­ciano lo scio­pero della fame o, peg­gio, di get­tarsi in mare dalla sco­gliera se non gli viene con­sen­tito di entrare in Fran­cia. A Ven­ti­mi­glia l’Europa si ferma e se non arriva a dichia­rare fal­li­mento di certo dimo­stra tutta la sua inca­pa­cità e il suo egoi­smo per il modo in cui affronta l’emergenza pro­fu­ghi. Un’impotenza che tra­spare chia­ra­mente anche dalla bozza cir­co­lata in que­ste ore del docu­mento pre­pa­rato per il Con­si­glio euro­peo del pros­simo 26 giu­gno in cui si incen­ti­vano gli Stati a rim­pa­triare i migranti eco­no­mici, ma non si spende nean­che una parola su cosa fare con i richie­denti asilo. Capi­tolo volu­ta­mente lasciato in bianco, a ulte­riore dimo­stra­zione delle divi­sioni che da giorni con­trap­pone il blocco dei Paesi «duri» dell’Unione, — di cui fa parte anche la Fran­cia — a quelli che invece accet­tano, in nome della soli­da­rietà, la logica pro­po­sta dalla Com­mis­sione Junc­ker della ricol­lo­ca­zione dei richie­denti asilo tra tutti gli Stati.

«We need to pass» dicono i car­telli che eri­trei e suda­nesi innal­zano seduti in un’aiuola a pochi passi dalla fron­tiera fran­cese. Hanno biso­gno di pas­sare per­ché le loro fami­glie, i loro amici, il loro futuro è oltre il dop­pio sbar­ra­mento di poli­ziotti ita­liani e gen­darmi fran­cesi che gli impe­di­scono di andare, di pas­sare per rag­giun­gere il nord Europa «dove c’è più uma­nità». Dopo la Ger­ma­nia che ha sospeso Schen­gen, dopo l’Austria che in nome del rego­la­mento di Dublino ci rispe­di­sce i migranti guar­dan­dosi bene dal fer­mare quelli che invece dal suo ter­ri­to­rio cer­cano di entrare in Ita­lia, la nuova fron­tiera — è il caso di dirlo — della dispe­ra­zione è adesso quella fran­cese. E’ bene chia­rire subito che non c’è nes­suna inva­sione in atto. Nell’ultima set­ti­mana Parigi ne ha rispe­diti indie­tro un migliaio ma in que­ste ore a spa­ven­tare i fran­cesi sono tra i trenta e i cento migranti, a seconda dei flussi di arrivo, e tra que­sti ci sono anche donne e bam­bini. Da due giorni dor­mono per strada, anche sotto la piog­gia. «Com­pren­diamo per­fet­ta­mente le loro dif­fi­coltà, ma non è qui che si può risol­vere que­sti pro­blemi», spie­gano fonti della police nationale.

Il pro­blema è il rego­la­mento di Dublino che obbliga i pro­fu­ghi a rima­nere nel Paese in cui sbar­cano, ma c’è qual­cosa che non va se è vero che alcuni dei migranti rispe­diti indie­tro hanno mostrato un biglietto di treno Nizza-Parigi dimo­strando così di tro­varsi già in ter­ri­to­rio fran­cese quando sono stati fer­mati dalla polizia.

Come giù suc­cesso alla sta­zione Cen­trale di Milano e alla sta­zione Tibur­tina di Roma, anche a Ven­ti­mi­glia la soli­da­rietà più grande arriva da asso­cia­zioni e cit­ta­dini. Acli, Arci, scout, Croce rossa ma anche tanta gente nor­male si fa in quat­tro per por­tare cibo, acqua e vestiti e migranti.

Chi invece non si stanca di gio­care con la vita delle per­sone è l’Unione euro­pea. La bozza di docu­mento che dovrebbe rias­su­mere le con­clu­sioni del ver­tice dei Capi di stato e di governo del 26 giu­gno spiega bene qual è la logica con cui i con­si­glio euro­peo intende muo­versi. Allon­ta­nare subito i migranti eco­no­mici ille­gali, che devono essere rim­pa­triati «anche gra­zie a «una mobi­li­ta­zione di tutti gli stru­menti» pos­si­bili. L’obiettivo è quello di aumen­tare il numero delle riam­mis­sioni por­tan­dolo oltre il 39,9% regi­strato nel 2013. Per que­sto si pre­vede un poten­zia­mento di Fron­tex, l’agenzia euro­pea per il con­trollo delle fron­tiere, oltre a una «velo­ciz­za­zione dei nego­ziati con i paesi terzi (non solo quelli in rima linea); lo svi­luppo di regole nel qua­dro della Con­ven­zione di Coto­nou; il moni­to­rag­gio dell’attuazione degli Stati della diret­tiva sui rientri».

Nean­che una parola, invece, su cosa fare con i 40 mila eri­trei e siriani (24 mila dall’Italia e 16 mila dalla Gre­cia) che secondo quanto sta­bi­lito il 27 mag­gio scorso dalla com­mis­sione euro­pea andreb­bero divisi tra gli Stati mem­bri. A bloc­care tutto, a spa­ven­tare le can­cel­le­rie di mezza Europa, è l’«obbligatorietà» alla base della deci­sione e che in molti, a par­tire dalla Spa­gna, vor­reb­bero sosti­tuire con la «volon­ta­rietà» nell’accogliere i pro­fu­ghi. Secondo alcune fonti euro­pee, Fran­cia e Ger­ma­nia sareb­bero dispo­ni­bili ad accet­tare tem­po­ra­nea­mente i pro­fu­ghi, ma solo a patto che Ita­lia e Gre­cia si impe­gnino mag­gio­rente nei foto­se­gna­la­menti e nella rac­colto delle impronte digi­tali dei migranti. «Per­ché sia chiaro dove sono sbar­cati», spie­gano sem­pre le fonti. Per­ché sia chiaro pro­ba­bil­mente che Dublino non si tocca.