a proposito dei campionati mondiali di calcio in Qatar
la brutta figura dei Mondiali in Qatar e della Fifa
il coraggio degli iraniani
Il calcio non meritava di vivere tutto questo. L’inizio del Mondiale ha confermato i timori di chi fin dall’inizio è stato critico verso l’assegnazione al Qatar. È bastato vedere la scenografia della tribuna d’onore dello stadio Al Bayt, teatro domenica della partita inaugurale tra i padroni di casa e l’Ecuador, per avere una plastica conferma della natura elitaria di questa edizione: i vertici della famiglia Al Thani assisi su poltrone con tavolinetto a fianco. Ogni emiro su un piccolo trono, col posto più prestigioso riservato a chi ha reso possibile tutto questo accettando la candidatura del Qatar: il presidente della Fifa, Gianni Infantino, che ha entusiasticamente portato avanti l’idea del predecessore Joseph Blatter, adesso pentito ampiamente fuori tempo massimo.
Ogni tribuna d’onore è chiaramente più sfarzosa degli altri settori. Ma raramente si era visto qualcosa di così smaccato in uno stadio. D’altronde non era mai successo che una ricchissima oligarchia, a capo di uno Stato di appena 2,9 milioni di abitanti, riuscisse a conquistarsi il diritto di ospitare la manifestazione sportiva più seguita di tutte, insieme alle Olimpiadi estive, pur non avendo alcuna tradizione nel calcio.
Lo ha dimostrato in modo grottesco quello che è successo nel corso della stessa partita tra Qatar ed Ecuador: lo svuotamento dello stadio, ben prima del 90°, di fronte al risultato deludente dei padroni di casa. La gara inaugurale di un Mondiale trattata dal pubblico alla stregua di una partita di seconda fascia di un campionato nazionale.
Questa sconfitta certifica anche il fallimento dell’approccio della Federazione qatariota che ha mandato in ritiro i giocatori della Nazionale da giugno, facendo saltare loro gli ultimi tre mesi di campionato, col risultato di tenerli senza impegni ufficiali per metà anno.
Sono lontani i tempi della lungimirante assegnazione della Fifa al Sud Africa, segno di apertura del calcio globale al continente nero. Un effetto nostalgia amplificato dalla presenza di Morgan Freeman nel ruolo di stella della cerimonia inaugurale allo stadio Al Bayt. Il grande attore aveva interpretato Nelson Mandela nel film Invictus, magnifico racconto della tenacia di Mandela nel volere i Mondiali di rugby del 1995 in Sud Africa per favorire la pacificazione nazionale del Paese appena uscito dall’apartheid sfruttando anche la formidabile forza dello sport. Mai contrasto avrebbe potuto essere più forte. Da un lato, il ricordo di Madiba (il più formidabile e visionario leader politico dell’ultimo mezzo secolo) che se ne è andato tre anni dopo i Mondiali di calcio in Sud Africa: emblema vero di come la politica possa usare lo sport per migliorare il mondo. Dall’altro, questa baracconata realizzata con i miliardi del gas che sgorga nel deserto intorno a Doha per esaudire il desiderio dell’oligarchia locale di regalarsi un’esibizione di potere planetario grazie al pallone.
Ieri è successo ancora di peggio quando la Fifa ha vietato ai capitani di Inghilterra, Galles, Belgio, Danimarca, Germania, Olanda e Svizzera di indossare la fascia arcobaleno nell’ambito della campagna “One Love” per sensibilizzare sui diritti della comunità gay, non rispettati in Qatar. Le Nazionali hanno rinunciato sotto la minaccia di ammonizione ed espulsione dei capitani che avessero indossato la fascia (quindi più delle multe messe in conto).
L’Inghilterra si è comunque inginocchiata come fa sempre contro il razzismo prima della partita vinta 6-2 con l’Iran. Commovente l’atteggiamento coraggioso dei calciatori iraniani che non hanno cantato l’inno per solidarietà verso i loro connazionali impegnati nelle proteste contro il regime degli ayatollah, represse nel sangue. Un gesto che segue le straordinarie parole del capitano Ehsan Haisafi a sostegno dei manifestanti.
«La Fifa sostiene tutte le cause legittime, come “One Love” – spiega una nota ufficiale – ma nel quadro delle regole note a tutti. Nelle fasi finali il capitano di ciascuna squadra deve indossare la fascia fornita dalla Fifa». Le Federazione delle sette Nazionali hanno reagito con una nota congiunta: «La decisione della Fifa è senza precedenti, siamo delusi e frustrati. Eravamo pronti a pagare le multe, ma non possiamo esporre i nostri capitani al rischio delle sanzioni sportive. Avevamo informato a settembre la Fifa del nostro desiderio di usare questa fascia. Non abbiamo avuto risposta».
Così come non ha ancora avuto risposta l’appello di Amnesty International alla Fifa per un risarcimento di 440 milioni di dollari da destinare alle famiglie delle vittime degli operai morti durante la costruzione degli stadi del Mondiale. Una richiesta che Infantino ha dribblato con acrobazie dialettiche alla vigilia della cerimonia inaugurale, quando ha attaccato l’Europa per la sua posizione sui diritti umani, giudicata selettiva e auto-assolutoria.
Il presidente della Fifa avrebbe potuto prendersela con il doppio binario etico che nel recente passato ha alimentato meno polemiche sulla scelta del Cio di assegnare le Olimpiadi estive 2008 e invernali 2020 alla Cina, dove impera una dittatura spietata. Ma ha preferito prendersela con l’Europa.
Anche la Lega Serie A critica le parole di Infantino: «La lezione di moralità fatta da certi posti suona stonata. Questo è il Mondiale più discusso di sempre. Come siano stati assegnati è sotto gli occhi di tutti. Queste riflessioni ci porteranno a prendere decisioni diverse in futuro», ha detto a Gr Parlamento l’ad Luigi De Siervo che sottolinea la cornice ambientale non degna di un Mondiale: «Gli spettatori sono molto pochi. Sono stati assoldati anche falsi tifosi. Tutto è molto rarefatto».
È stata buona l’audience della cerimonia d’apertura in Italia: 30,1% di share (quasi il 10% in più rispetto a Russia 2018). Si è fermata al 20% l’amichevole Austria-Italia, persa dagli azzurri che così hanno vanificato l’effetto dei tifosi italiani quasi sollevati nel pomeriggio dal non prendere parte a un Mondiale così. Da ieri, primo giorno feriale di partite, è più difficile per gli studenti seguire la prima fase in tv. Alle 14 chi frequenta il tempo pieno è ancora a scuola. Alle 17 bisogna fare i compiti e studiare. Così viene tagliata fuori una generazione di giovani, i primi a cui pensare nell’ottica futura di ogni sport. Inevitabile conseguenza del primo Mondiale giocato in autunno, a scuole aperte, non durante le vacanze estive. Ma nessuna obiezione è stata in grado di fermare questo trasloco forzato del calcio nel deserto, a uso e consumo degli emiri.