a Lucca il ‘museo della follia’
arte e follia
l’umanità nascosta
il ‘Museo della Follia’
a Lucca
Già all’ingresso, dove la luce è soffusa e le pareti che ti circondano riflettono ombre inquietanti, capisci che non sarà una visita facile. La gentilezza e il fare cordiale e disponibile delle ragazze addette alla biglietteria non bastano ad attenuare le scariche di adrenalina che si impossessano di te. Nemmeno la garanzia che il curatore è il Prof. Sgarbi ti aiuta a pensare che percorrerai la via della Bellezza.
Visitare il Museo della Follia di Lucca è un’esperienza unica. Un tuffo nel mare scuro dell’oblio. La voglia di fuggire fuori all’aperto e quella morbosa di continuare la visita si fondono tra loro. Ormai hai sollevato il sipario nero e sei dentro, appena all’inizio di un arco scenico angosciante. Forse sì, forse sei ancora in tempo a tornare indietro quando leggi il cartello “Entrate ma non cercate un percorso, l’unica via è lo smarrimento”. No! Non c’è più tempo perché altri visitatori sono dietro di te. Oramai è troppo tardi. Così inizi a guardare, leggere, sentire di quello che è stato in un tempo non molto lontano, un vero e proprio processo di disumanizzazione.
All’ex Cavallerizza di Lucca il filo conduttore delle oltre duecento opere in mostra, dove è stata data particolare attenzione agli artisti toscani, è proprio il legame tra arte e follia. I turbamenti, le angosce, le ansie e le paure di artisti del calibro di Goya, Lega, Bacon, Mancini, Signorini, Pirandello, Ligabue si sono concretizzati diventando opere meravigliose. Come non condividere ciò che il Prof. Sgarbi afferma dicendo «La follia è una forma creativa insuperabile».
All’interno, oltre alle installazioni interattive e multimediali, si trovano anche oggetti e documenti recuperati nell’ex manicomio abbandonato di Teramo dove i malati vivevano in condizioni a dir poco aberranti. Questi reperti narrano l’umiliazione e il dolore dell’alienazione. Le teche, illuminate ad arte, magistralmente riflettono ombre e intorno a te è il buio. Esse contengono decine e decine di penosi reperti. Lettere di protesta, camice di forza, farmaci con i loro contenitori, siringhe, disegni, giocattoli e tanti altri effetti personali dei pazienti che, scampati alla distruzione, testimoniano una infelice esistenza.
In una sala, al centro, simile a quello originale esposto, fa mostra di sé un gigantesco “apribocca” di legno. È posto in relazione al dipinto “L’adolescente” di Silvestro Lega dove la fanciulla sembra avere lo sguardo assente e distante dal mondo.
Spesso le teche sono circondate da pitture di un cromatismo tale che sovente ricorda le opere dei migliori impressionisti.
Toccanti e commoventi sono le foto/ritratto di novanta pazienti selezionati tra le diverse cartelle cliniche negli ex manicomi d’Italia. Ci si arriva attraverso un corridoio a specchi dove la luce abbagliante disturba la vista ormai abituata al buio delle altre sale. Una composizione della griglia illuminata a neon di oltre ottanta metri di superfice. I volti raffigurati che esprimono gli innumerevoli atteggiamenti del malato mentale sembrano guardare il visitatore e chiedere aiuto, comprensione, pietà.
Negli spazi della mostra colpisce in maniera particolare la ricostruzione della stanza dello scrittore Mario Tobino, primario del manicomio di Maggiano dal 1942 al 1980. Tutto perfettamente in ordine. Le carte, la macchina Olivetti sul tavolo, il lettino, sono un vero e proprio tuffo nel passato. Questo spazio si può solo osservare come odierni testimoni di qualcosa che appare essenziale, monastico, ridotto, minimalista ma estremamente affascinante. Il ricordo tangibile un uomo che ha dedicato la maggior parte della sua vita alle sofferenze dei malati di mente.
Usciti fuori, dopo la visita, l’aria aperta suscita l’impressione di liberarsi da mille catene e di ritrovare sé stessi. Rimane la sensazione di essere sfuggiti a un girone infernale, dove in quei luoghi chiamati manicomi, carenti di mezzi, spesso gestiti da uomini di scarsa volontà e che assomigliavano molto più a dei lager che a dei luoghi di cura, ci si occupava del malato di mente disprezzandolo fino al punto di considerarlo lo scarto della società.
Via via che ci allontaniamo dal Museo si fa strada, però, la certezza che nel nostro breve peregrinaggio attraverso il dolore ci siamo anche avvicinati ad un altare dove questi individui, sporchi, indifesi, senza voce e senza diritti, nella loro infinita debolezza, non sono rifiuti ma persone e conservano come ogni altro essere umano la propria dignità diventando l’immagine stessa di Dio e della Fede.
Herman Hesse diceva ” Anche un orologio fermo segna l’ora esatta due volte al giorno”
Alessandro Orlando
(Il Museo della Follia è un progetto di Contemplazioni a cura di Vittorio Sgarbi. Autori: Cesare Inzerillo, Sara Pallavicini, Giovanni Lettini, Stefano Morelli. La mostra itinerante che ha già toccato molte città italiane rimarrà aperta fino al 18 agosto 2019)
le foto sono state gentilmente concesse da Maurizio Gori