quasi 600 preti americani chiedono aperture su gay e divorziati

 

gay e divorziati risposati

572 preti americani chiedono aperture

matrimonio-gay-675

 È da pochi giorni scaduto il termine per la consegna delle risposte al questionario voluto dal Vaticano in vista del Sinodo ordinario di ottobre, ed entro l’estate – quando sarà pubblicato l’Instrumentum laboris – sapremo se e come hanno influito sul documento di lavoro gli interventi di quanti tra vescovi, congregazioni religiose, comunità e singoli fedeli, in questi mesi hanno voluto dire la loro in materia di famiglia, accogliendo l’invito della Segreteria Generale del Sinodo (v. Adista Notizie nn. 1, 6 e 13/15; Adista Documenti n. 8/15; Adista Segni nuovi nn. 1, 9, 11, 13 e 15/15).

gay

Se lo scorso mese ben 500 preti inglesi sono scesi in campo – con una lettera pubblicata sul settimanale Catholic Herald (v. Adista Notizie n. 13/15) – per esprimere l’auspicio che il Sinodo produca «una proclamazione chiara e ferma» a sostegno della dottrina della Chiesa sul matrimonio, il 10 aprile scorso altrettanti, ma a partire dall’altra sponda dell’Oceano, hanno fatto lo stesso, dando corpo però a una serie di suggerimenti che vanno nella direzione opposta a quella auspicata oltre Manica. Il documento diffuso dall’Association of U.S. Catholic priests (Auscp) raccoglie le risposte pervenute da 572 sacerdoti statunitensi (428 membri dell’associazione – che conta nel suo complesso più di mille aderenti – e 144 esterni) cui è stato chiesto, oltre che di rispondere alle 46 domande del questionario, di ordinarle per importanza.

Il primo posto se l’è conquistato la domanda n. 20 – «Come aiutare a capire che nessuno è escluso dalla misericordia di Dio e come esprimere questa verità nell’azione pastorale della Chiesa verso le famiglie, in particolare quelle ferite e fragili?» – nel rispondere alla quale i preti Usa preannunciano il tenore di tutto il documento: «Non presumendo che chi è nella Chiesa sia nella ragione e chi ne è al di fuori sia nel torto»; «accogliendo anziché rifiutando e discriminando i cattolici divorziati risposati e omosessuali»; «rispettando il primato della coscienza in caso di dilemmi morali», vi si legge tra le altre cose.

Al secondo posto i 572 piazzano la domanda sulla questione ritenuta più delicata, quella relativa alla pastorale rivolta alle famiglie che hanno al loro interno persone con «tendenza omosessuale». Per i preti Usa la comunità cristiana può assolvere a questo compito «offendo una teologia della sessualità nuova e sana»; «apprezzando il valore delle unioni civili gay»; riconsiderando l’idea che il sesso sia legato per forza alla procreazione; trattando gli omosessuali come sorelle e fratelli «con lo stesso desiderio di amore, impegno e cura dei bambini»; «usando una terminologia moderna», per esempio, suggeriscono, utilizzando “orientamento omosessuale” al posto di “tendenze omosessuali”. I sacerdoti sono ancora più netti nel rispondere alla domanda relativa a come «prendersi cura delle persone in tali situazioni alla luce del Vangelo»: «Istituendo un rito specifico per le unioni dello stesso sesso», è uno dei suggerimenti forniti, corredato dall’invito a «mettere in discussione l’assunto per cui Dio desidera solo l’unione uomo-donna» in risposta alla domanda seguente («Come proporre loro le esigenze della volontà di Dio sulla loro situazione?»). 

Altrettanto nette le risposte relative alla pastorale sacramentale nei riguardi dei divorziati risposati, come lasciava prevedere il primo blocco di risposte: i 572 suggeriscono infatti, tra le altre cose, di riammetterli all’eucarestia, «nutrimento per vivere vite fedeli e di amore da parte di coppie in un nuovo matrimonio».

I preti Usa suggeriscono poi di «prendere coscienza del fatto che il dogma della Chiesa in materia di matrimonio e famiglia è troppo rigido», consigliando addirittura di «imparare dai protestanti che fanno un lavoro migliore nell’applicare i valori scritturistici alla famiglia»; di «favorire un grande coinvolgimento dei laici nella catechesi e nel ministero»; di «assicurarsi che coloro che vengono ordinati capiscano che non per questo sono automaticamente qualificati per l’attività pastorale relativa al matrimonio»; di far comprendere ai ministri che coppie e famiglie in serie difficoltà devono essere affidate a specialisti; di «ordinare uomini sposati al sacerdozio e donne sposate al diaconato: potrebbero meglio esercitare il ministero con le famiglie»; di «non cercare di incasellare relazioni amorose e feconde nel modello dottrinale della Chiesa».

«Dio dalle nostre vite non si aspetta la perfezione», è uno dei commenti raccolti dall’Auscp e proposto in calce al documento insieme ad altri. «Noi viviamo con i nostri punti di forza e di debolezza. Facciamo degli errori. La grazia è la misericordia di Dio che ci circonda, con il perdono e la forza di muoverci in una direzione che ci avvicina a Dio. Dobbiamo incoraggiare questo movimento, piuttosto che punire le persone che non raggiungono la perfezione!». (ingrid colanicchia su Adista)

 




il vescovo Bettazzi e le nuove sfide che la chiesa deve affrontare

«comunione ai divorziati e gay, la chiesa affronti le nuove sfide»

Print

 

Mons. Bettazzi

mons. Bettazzi

intervista con mons. Bettazzi: «Con Francesco torna lo spirito del Concilio»

Bruno Quaranta

 

il peccato per cui la Chiesa deve chiedere specialmente misericordia? Non aver attuato pienamente il Concilio Vaticano II, scegliendo di essere Chiesa dei poveri e Chiesa comunione a tutti i livelli. Il peccato che “segna” in particolare l’uomo d’oggi? L’indifferenza di fronte ai grandi valori (a cominciare da quello religioso)».

 

meditando sull’Anno Santo prossimo venturo con Luigi Bettazzi nel verde Canavese. Dal 1966 al 1999 vescovo di Ivrea, il novantunenne monsignore, fra i pastori che non sdegnano, anzi, l’odore delle pecore (dagli operai olivettiani agli obiettori di coscienza), già frettolosamente, mediaticamente, soprannominato «il vescovo rosso», ha infine trovato conforto – se mai abbisognasse di conforto -nelle parole di Francesco: «Privilegiare i poveri non vuol dire  essere comunisti».

Papa Francesco ha già creato diversi cardinali ultraottantenni. Potrebbe ricevere anche lei la porpora.

«Non sono una figura così di rilievo. E comunque: Loris Capovilla, il segretario di Roncalli, è diventato cardinale a novantasette anni, sono ancora giovane…».

 

Torino è fra le sorprese dell’ultimo Concistoro…

«La mancata berretta cardinalizia è motivo di riflessione, certo. Ma non dimentichiamo che il Papa mira a segnalare situazioni peculiari, come nel caso di Francesco Montenegro, vescovo di Agrigento, che accolse Francesco a Lampedusa».

 

È pur vero che Torino è la città della Sindone.

«Sì, forse la prossima ostensione autorizzava l’attesa della porpora».

 

Per lei la Sindone è un’icona o una reliquia?

«E’ anche reliquia. Secondo Odifreddi è falsa perché non si è riusciti finora a spiegarla scientificamente. Per me è l’esatto contrario: ciò che non è spiegabile, implica un intervento al di là della scienza».

 

La Sindone icona e reliquia del Dolore. La carneficina tunisina come quella parigina (Charlie Ebdo) sollecita un quesito: l’Occidente decristianizzato potrà arginare il fondamentalismo islamico?

«La secolarizzazione del cristianesimo ha un sicuro risvolto positivo: ci ha consentito di arrivare alla democrazia. Vi è chi ha definito la Carta dei diritti dell’uomo il vangelo secondo l’Onu, un ventaglio di principi evangelici laicamente espressi. L’auspicio è che il mondo musulmano compia il medesimo cammino».

 

Papa Francesco: ha avuto occasione di incontrarlo?

«Un paio di volte, a Santa Marta. Una volta concelebrando con lui. Mi sono presentato: “Sono un superstite del Concilio”. Mi ha iniettato fiducia: “Un testimone”».

 

Quale Papa sente più affine?

«Giovanni XXIII, tale la sua umanità. Luciani mi invitò a non turbare la fede della gente. Giovanni Paolo II mi bacchettò: “Si fa presto a scrivere una lettera a Berlinguer, quando non si è vissuto sotto i comunisti”».

 

Lei testimone del Concilio, accanto a Lercaro di cui fu ausiliare.

«L’11 ottobre 1963 pronunciai l’intervento in favore della collegialità. In idem sentire, di lì a poco, Joseph Ratzinger, teologo del cardinal Frings».

 

Ma il dopo Vaticano non si caratterizza per la collegialità mancata?

«Purtroppo. Francesco vi sta rimediando grazie ai cardinali che ha voluto al suo fianco. Le remore non sono poche, né lievi: il Vaticano è il governo, il Concilio è il parlamento, i governi, notoriamente, soffrono i parlamenti».

 

Sarebbe favorevole a un Vaticano III?

«Come lo intendeva il cardinal Martini. Una serie di sessioni tematiche, che durino un mese: la bioetica, il sesso, la collegialità…Francesco, con il Sinodo in due tempi, si avvicina a Martini».

 

Il Sinodo che si esprimerà, fra l’altro, sulla comunione ai divorziati risposati e sulla condizione omosessuale.

«La comunione: vi sono cristiani ortodossi che, appellandosi al Concilio di Nicea, ammettono persino un secondo matrimonio, nel segno beninteso della sobrietà. L’omosessualità: la questione del sesso va studiata, emancipandosi dai neoplatonici che facevano coincidere sesso e decadenza dello spirito. Perché non espressione dello spirito umano? È noto che mi pronunciai in favore dei Dico, il riconoscimento delle unioni civili».

 

Torniamo al Concilio, al gruppo bolognese: Lercaro, Dossetti, lei. E Giuseppe Alberigo, storico del Vaticano II. Quando morì, sette anni fa, la curia felsinea (cardinal Caffarra) non le permise di presiedere la celebrazione eucaristica. Poté solo concelebrare. Quali le colpe di Alberigo?

«La sua lettura del Concilio: non l’umanità per la Chiesa, ma la Chiesa per l’umanità; non il laicato per la gerarchia, ma la gerarchia per il laicato».

 

Dossetti, un padre costituente. Jemolo rimproverò a Montini di non averlo nominato arcivescovo.

«Montini era un diplomatico, di respiro moroteo. Dossetti lo allarmava».

 

Jemolo avrebbe voluto vedere vescovo un’anima irrequieta come don Milani, magari a capo della pastorale per gli immigrati.

«Distinguerei tra i pastori e i profeti».

 

Francesco ha scandalizzato i cattolici «medi» sostenendo che «il proselitismo è una solenne sciocchezza».

«Francesco è latino-americano. Nel suo bagaglio storico ci sono i nostri antenati che, traversato l’Oceano, non lesinavano l’aut-aut agli indigeni: o diventavano cristiani o venivano eliminati. Le religione è, sia, un affare di coscienza. Cito il Concilio: “La coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli si trova solo con Dio”».




“chi sono io per giudicare o condannare?”

   “quando un gay cerca il Signore”

di Enzo Bianchi

priore della Comunità di Bose

(Tuttolibri – La Stampa, 07/03/2015)

Bianchi
“Se una persona è gay e cerca il Signore e ha buona volontà, chi sono io per giudicarlo?”

Questa frase, pronunciata da papa Francesco in un’intervista estemporanea durante il volo di ritorno dalla Giornata mondiale della gioventù in Brasile, venne considerata eccessiva da alcuni, inopportuna ad altri, bisognosa di precisazioni e distinguo da altri ancora, o ancora avventata, fuorviante, dissacratoria… Altri, troppo pochi in verità, l’hanno subito colta non solo come un’affermazione puntuale rispetto a un preciso argomento di pastorale, ma come una chiave di lettura del modo stesso di porsi del nuovo papa, arrivato a sorpresa e sconosciuto ai più sul soglio di Pietro. Sì, perché – come ricorda Raniero La Valle nel volume uscito in occasione dei due anni di pontificato di papa Bergoglio (Chi sono io, Francesco?, Ponte alle Grazie, pp. 204, € 14,00) – una frase analoga risale addirittura all’apostolo Pietro, di cui papa Francesco è successore come vescovo di Roma: “ Chi ero io per porre impedimento a Dio? (At 11,17). Così Pietro aveva risposto agli uomini religiosi che lo criticavano per essere entrato in una casa di pagani, aver mangiato con loro e aver attestato che lo Spirito santo li aveva “battezzati”.
In questa domanda che non è retorica c’è tutta la consapevolezza di essere “servo dei servi di Dio”, sottomesso nell’obbedienza all’agire dell’unico Signore della chiesa che pensa, parla, agisce e ama con criteri che non sono i criteri umani e che non lasciano che la misericordia sia ostacolata dalla rigidità di una legge separata dall’amore del legislatore. E il libro di La Valle ripercorre così due anni di parole e gesti di papa Francesco.
Ma, parafrasando il titolo, «Chi è lui, Raniero La Valle per scrivere queste “cronache di cose mai viste”»? Un giornalista di grande professionalità, un cristiano segnato da papa Giovanni e dal concilio, un uomo politico nel senso alto del termine. Direttore dell’Avvenire d’Italia negli anni del Vaticano II, poi senatore e deputato per quattro legislature, co-fondatore di Bozze 78 (ebbi la gioia di far parte di quel gruppo di amici che vollero dar vita ad una rivista di riflessione sulla presenza dei cristiani nella società civile), sempre in prima fila nelle battaglie per la pace e la giustizia, a tempo e contro-tempo. Anche per questo la riflessione che attraversa le pagine fondandosi sulle parole di papa Francesco sa cogliere in profondità snodi decisivi per la testimonianza cristiana: la pace e il rifiuto della violenza, la ricerca di un’autentica sinodalità nella guida e nella vita della chiesa, l’attenzione ad ogni genere di povertà e di ferita umana, l’uso sovrabbondante della misericordia, la libertà di un pensiero e di un’azione che si rifanno costantemente al vangelo e che ad esso rimandano in radicale semplicità …
Sì, forse molte delle “cose” operate da papa Francesco, Raniero La Valle e molti di noi non le avevamo “mai viste”. Di certo le abbiamo a lungo sognate.




la grande attesa del sinodo

Il sinodo sulla famiglia sta per aprirsi tra forti aspettative e dubbi sullo svolgimento

di Dennis Coday
(in “ncronline.org” del 26 settembre 2014)

piazza_san_pietro-vaticano
La prima importante iniziativa del pontificato di papa Francesco si aprirà il 5 ottobre a Roma, quando Francesco riunirà il Sinodo dei vescovi per discutere sulla vita familiare nella società contemporanea. Il tema è “le sfide pastorali della famiglia nel contesto dell’evangelizzazione”, e i membri del sinodo saranno interrogati sulle nuove vie da trovare per migliorare l’applicazione pastorale degli insegnamenti della chiesa, i modi di spiegarlo, e i modi per aiutare i cattolici a viverlo. Il Sinodo proseguirà fino al 15 ottobre. L’interesse e le aspettative per questo sinodo sono state molto forti, in parte a causa dell’inchiesta basata sul questionario di 39 domande inviato l’anno scorso dal Vaticano ai vescovi di tutto il mondo e alle loro conferenze episcopali. Una lettera dal segretariato del sinodo chiedeva ai vescovi di consultare “immediatamente” e “il più ampiamente possibile” i fedeli nelle loro diocesi e parrocchie su temi come la contraccezione, il matrimonio tra persone dello stesso sesso, il divorzio e altri argomenti riguardanti la vita familiare. L’intenzione era quella di ottenere una consultazione importante a livello locale. Lo svolgimento molto differenziato della consultazione causò grande stupore tra molti laici cattolici, cosa per cui molti si chiesero se il sinodo sarebbe stato un mero laboratorio di discussione tra vescovi. Gli osservatori vaticani mettono in risalto tre aspetti che potrebbero rendere questo sinodo diverso da quelli precedenti. Innanzitutto, ci si aspetta che Francesco partecipi attivamente come presidente del sinodo. L’argomento è stato scelto esplicitamente da Francesco. Lo ha promosso fin dal primo incontro con il segretariato del sinodo tre mesi dopo la sua elezione e ne ha fatto un punto chiave della sua esortazione apostolica Evangelii Gaudium (“La gioia del vangelo”) lo scorso novembre. La necessità di un aiuto misericordioso alle famiglie in difficili circostanze è un tema frequente delle sue omelie e dei suoi interventi. Quando Giovanni Paolo II era presente alle assemblee sinodali, leggeva e pregava col suo breviario. Papa Benedetto XVI era un osservatore silenzioso. Francesco, invece, agli incontri è solito rivolgersi agli oratori con domande, battute e commenti. In secondo luogo, il segretariato del sinodo sta cercando di strutturare gli interventi in maniera da incoraggiare la discussione. Gli interventi formali devono essere presentati per iscritto prima dell’inizio del sinodo. Per la prima metà del sinodo, i partecipanti devono limitarsi ad interventi di quattro minuti e sono invitati a toccare un solo punto. Sono inoltre invitati a rispondere ad altri interventi. Questi brevi discorsi sono pensati per stimolare la discussione nelle sessioni in piccoli gruppi che costituiscono la seconda metà del sinodo e dovranno essere il cuore dell’incontro. Lo stile dell’incontro dei vescovi segue il modello che Francesco era solito proporre fin dal tempo in cui era membro della Conferenza episcopale latinoamericana, specialmente quando diresse un’assemblea generale ad Aparecida, in Brasile, nel 2007. Infine, il sinodo non deve portare a conclusioni né a fare proposte. Deve discutere sulle esperienze delle famiglie attuali. Invece di un’esortazione, ci si aspetta che il sinodo produca un resoconto delle discussioni che sarà inviato alle diocesi in tutto il mondo in preparazione di un altro sinodo il prossimo anno. Qualsiasi cambiamento nelle pratiche della Chiesa su matrimonio e vita familiare non sarà introdotto ora, ma nel prossimo anno. Il Vaticano ha pubblicato la lista dei partecipanti al sinodo il 9 settembre. La lista comprende 250 persone, compresi i membri votanti e gli esperti e gli uditori non votanti. I membri votanti comprendono 114 rappresentanze delle conferenze episcopali nazionali, 13 capi delle chiese cattoliche orientali e 25 capi delle congregazioni e dei consigli vaticani.

Udienza Generale del mercoledì di Papa Francesco

Il papa ha  nominato 26 padri sinodali. Quasi tutti sono europei, 14 sono cardinali. Tra gli esperti e gli uditori non votanti vi sono 14 coppie sposate, la maggior parte delle quali svolgono incarichi all’interno della Chiesa, nei ministeri della vita familiare o come canonisti o esperti di teologia morale. Una suora irlandese è l’unica donna religiosa invitata al sinodo. Le regole del sinodo permettono all’Unione dei Superiori Generali, il gruppo che rappresenta la leadership delle congregazioni religiose maschili in tutto il mondo, di inviare tre delegati, mentre il corrispettivo femminile, l’Unione internazionale delle Superiore Generali, non è rappresentata. Annunciando la lista dei partecipanti in Vaticano, il cardinale Lorenzo Baldisseri, segretario generale del Sinodo dei vescovi nominato da Francesco, affermava che “l’aggiornamento della istituzione del sinodo” rientrava nella “dinamica di rinnovamento della Chiesa ordinato da Francesco”. “Questo progetto… sviluppa un modo nuovo e rinnovato, con azioni concrete”, disse Baldisseri. Data la lista dei partecipanti, tuttavia, alcuni sono stati in difficoltà nel trovare “un modo nuovo e rinnovato”. Il gruppo riformatore irlandese di Noi Siamo Chiesa si è dichiarato “estremamente deluso” della lista dei partecipanti. “È spettacolare e vergognoso che non sia presente neppure una persona cattolica irlandese sposata per parlare delle esperienze vissute in famiglia e per consigliare il sinodo che è incaricato specificamente di offrire soluzioni alle gravi sfide che si trovano ad affrontare le famiglie nel nostro mondo contemporaneo”, ha detto il portavoce del gruppo, Brendan Butler, in una dichiarazione il 16 settembre. Nell’aprile scorso, Noi Siamo Chiesa irlandese aveva scritto all’ufficio di Baldisseri suggerendo Mary McAleese, ex presidente irlandese, e la teologa laica Gina Menzies “come qualificate e idonee rappresentanti irlandesi al sinodo”. Butler ha dichiarato che l’ufficio del sinodo non ha risposto alla loro richiesta. Sul sito online di NCR, il giorno successivo all’annuncio di Baldisseri, il gesuita Thomas Reese aveva definito la lista dei partecipanti “una delusione per coloro che speravano nella riforma della Curia e per coloro che speravano che i laici sarebbero stati ascoltati al sinodo”. L’attuale legge canonica riguardante i sinodi stabilisce che “vi partecipano anche i capi degli uffici della Curia romana”, ma Reese nota che tale legge permette al papa di nominare ulteriori vescovi e osservatori laici e presbiteri. “La partecipazione al sinodo di membri della curia rischia di non far percepire che essi dovrebbero essere lì a servizio, non come persone che definiscono la linea”, scriveva Reese. “Potrebbero partecipare al sinodo come “staff”, ma non come membri con diritto di voto. In massima parte, dovrebbero essere osservatori e non persone con diritto di parola. Hanno tutto il resto dell’anno per consigliare il papa. Questo è il momento in cui spetta ai vescovi provenienti dal resto del mondo esprimere le loro opinioni. Se Francesco e il Consiglio dei cardinali non intendono cambiare la composizione del Sinodo dei vescovi, è difficile credere che vogliano realmente “sistemare” la Curia romana. Reese si poneva domande anche sulle nomine dei 38 uditori. “Molti osservatori sono dipendenti della Chiesa cattolica o capi di organizzazioni cattoliche…  è difficile sostenere che rappresentino tutti i cattolici. Certamente non li rappresentano alcuni che pensano che la pianificazione familiare naturale sia il grande regalo della Chiesa ai laici. E coloro che sono dipendenti della Chiesa potrebbero temere di perdere il posto di lavoro se dicessero la verità”. Mentre la lista dei partecipanti è densa di membri della curia e di altre persone riluttanti ad allontanarsi dall’insegnamento tradizionale della chiesa sulla famiglia, Robert Mickens, da lungo tempo osservatore vaticano, fa notare che Francesco ha anche nominato degli alleati per un approccio nuovo, in particolare l’arcivescovo Victor Emanuel Fernandez, rettore della Pontificia Università Cattolica d’Argentina, e il cardinale tedesco Walter Kasper. Francesco ha nominato vescovo il teologo Fernandez, cinquantaduenne, in uno dei suoi primi atti da papa. “È ben noto che Fernandez è stato il principale estensore dell’esortazione apostolica del papa”, dice Mickens. Il documento era un invito ad un approccio misericordioso verso le persone
che vivono situazioni matrimoniali irregolari, come altre che vengono considerate al di fuori delle regole previste dagli insegnamenti morali della Chiesa. “Il vescovo argentino dovrebbe essere un alleato chiave per il papa nel suo sforzo di introdurre una risposta e una prassi di misericordia per i divorziati risposati cattolici”, ha detto Mickens. Nel frattempo, Kasper viene visto come il teologo di Francesco. Francesco lo designò a pronunciare il discorso di apertura al concistoro dello scorso febbraio, e Kasper sfruttò l’opportunità per argomentare a favore di una maggiore apertura verso i divorziati risposati cattolici. Da allora, Kasper ha compiuto effettivamente un “tour di promozione” della sua idea in tutto il mondo. L’idea di Kasper è stata ben accolta da molti vescovi. Padri sinodali dalla Germania, dall’Austria e dal Belgio sono disposti a puntare ad una maggiore apertura verso le famiglie in situazioni “irregolari”. Ma Kasper ha anche incontrato un’agguerrita resistenza. Proprio a pochi giorni dall’inizio del sinodo, cinque cardinali – compreso Gerhard Müller, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, e Raymond Burke, prefetto della Segnatura Apostolica – hanno insieme scritto un libro in cui difendono la dottrina della Chiesa su divorzio e successivo matrimonio. Permanere nella verità di Cristo: matrimonio e comunione nella Chiesa cattolica” sarà pubblicato negli USA da Ignatius Press. Questi cardinali saranno al sinodo. “Questo dovrebbe rendere più dinamica l’atmosfera dell’incontro”, ha detto Mickens. Se Francesco può dominare queste discussioni lo dobbiamo ancora vedere. Mickens spera che la gente non si precipiti a dare giudizi. Francesco ha detto più di una volta che vuole sviluppare il Sinodo dei vescovi come una delle componenti importanti della governance della chiesa universale. Ma si tratta in gran parte di “un lavoro in corso d’opera, ancora alle prime battute”, ha detto Mickens.




il primo battesimo per una coppia gay

papa-francesco

 Argentina, ecco il primo battesimo per la figlia di una coppia gay

 

Un collaboratore di Bergoglio a Buenos Aires spiega le motivazioni secondo le quali il Papa lotta per non escludere nessun bambino dal Sacramento, prescindendo dalla situazione dei genitori Andrés Beltramo Álvarez Città del Vaticano.

Si chiama Umma Azul ed è la figlia di una coppia composta tra da due donne. Il prossimo sabato, 5 aprile, sarà battezata nella cattedrale di Córdoba, città nel centro dell’Argentina. Secondo la stampa locale la madre e la compagna di lei, Soledad Ortiz e Karina Villaroel, dovrebbero ricevere anche la cresima lo stesso giorno,  prima del primo sacramento per la piccola, impartito dal parroco Carlos Varas.  

In questa chiesa i battesimi si celebrano le domeniche, ma questo sarà individuale, secondo le istruzioni del vescovo Carlos Ñáñez, che ha anche fornito delle indicazioni particolari riguardo all’atto battesimale. «Ho avuto un’udienza con il monsigniore e lui mi ha confermato che non ci sarà alcun problema in Cattedrale», ha detto Karina. Il religioso ha anche dato qualche consiglio riguardo i padrini (un amico della famiglia) e le due madrine (una di loro è la presidente argentina Cristina Fernández de Kirchner).

Il caso della coppia in questione ha sollevato diverse polemiche, sopratutto perché Villaroel, che non è la madre naturale, vuole che la polizia della provincia dove lei lavora (è una poliziotta), le riconosca un permesso di maternità per quattro mesi.

Loro, sposate poco più di un anno fa grazie alla legge del “matrimonio igualitario”, sono state la  prima coppia nel territorio di Córdoba. «Se Bergoglio non fosse stato eletto Papa, il battesimo sarebbe stato molto più difficile», hanno riconosciuto alcune fonti ecclesiastiche.

Quando era arcivescovo di Buenos Aites, l’attuale pontefice ha lottato per non escludere nessun bambino dal primo Sacramento, senza prendere in considerazione la situazione dei genitori. Questa richiesta è il risultato di una riflessione teologica profonda, ha spiegato a Vatican Insider il sacerdote Javier Klajner, responsabile della pastorale giovanile all’epoca e stretto collaboratore di Bergoglio come membro del Consiglio Presbiteriale.

«Se la persona viene a chiedere il battesimo, non c’è una mozione dello Spirito? E’ quello che in teologia chiamiamo grazia attuale ad aver mosso il cuore. Come l’etiope, negli Atti degli Apostoli, quando camminava e diceva: “Qua c’è dell’acqua. Perché non mi battezzi?”», ha spiegato.

«Se un genitore chiede il battesimo per suo figlio, noi  come facciamo? Non glielo diamo? Francesco dice che noi siamo ministri, non amministratori nel senso burocratico del termine. Nella mia parrocchia, qualsiasi giorno ci si può battezare, in qualsiasi messa. Sarebbe da matti non farlo. Poi nessuno può venire a criticare e dire che la gente non si battezza, perché anche questa è una contraddizione», ha detto.

Ha raccontato che l’arcivescovo Bergoglio «si arrabbiava» quando veniva a sapere che in certe parrocchie, per qualche ragione, non si battezzava un bambino. Nel caso delle mamme single, soleva dire: «Se ha lottato per avere il figlio, per non abortire, e poi noi non glielo battezziamo… Questa è una cultura che promuove immediatamente l’aborto: una mamma dice no all’aborto e quando vuole battezzarlo non ci riesce».

(Vatican Insider)




il sesso difficile e sofferto dei nostri ‘giovanissimi’

continua il viaggio (costellato di apprezzamenti e di tante polemiche) di B. Borromeo (su ‘ilfattoquotidiano’) nel mondo dei giovanissimi, in particolare riferimento alla modalità di vivere la propria sessualità e fare sesso
mi piace riportare qui la terza ‘puntata’ che  evidenzia la particolare sofferenza e disagio di un ragazzo che a motivo della propria omosessualità ha conosciuto desiderio di nascondersi, depressione, vergogna anche di fronte alla famiglia, volontà anche di farla finita …

GAY A 14 ANNI: “MI NASCONDO E A VOLTE PENSO DI FARLA FINITA”

SEX AND THE TEENS
LA PAURA E L’OMOSESSUALITÀ 
La depressione dopo il coming out: “Ho cominciato ad avere attacchi di panico. Non riuscivo più a dormire. Ho iniziato anche a fare uso di sonniferi. Vorrei andare da uno psicologo, ma come faccio a chiedere i soldi alla mia famiglia senza rompere il tacito accordo di non dire la verità?”

Continua il viaggio del Fatto nel mondo dei ragazzi che si confrontano col sesso Per Tommaso è la frustrazione più grande: “Non ho mai baciato nessuno. Ho provato a uscire con una, ma non ce l’ho fatta. Vivo come un dodicenne che non sa gestire la propria sessualità. I miei genitori mi facevano giocare con le bambole, ma preferiscono non sapere Io so di essere un peso, non voglio creare problemi. Per fortuna ho qualche amico”
E poi il momento arriva: per non nascondersi più, per ammettere, almeno con se stessi, quel che si sa da anni. Per lasciare che il gesto di qualcun altro cambi anche la propria vita. Ottobre di tre anni fa, liceo classico Berchet, Milano. Come ogni autunno, é tempo di autogestione. C’è chi parla di insegnanti, chi di voti e chi di politica. Il microfono passa di mano in mano e l’aula magna è gremita. Poi prende la parola Alessandro e davanti a tutta la scuola dice, semplicemente, “sono gay”. “H0 realizzato così — racconta Tommaso, 14 anni, che quel pomeriggio era seduto per terra in fondo alla classe — che anche io, prima o poi, avrei potuto fare coming out. Ma ho sentito alcuni ragazzi, in corridoio, prendere in giro Ale. Dargli del frocio, dire che non poteva usare l’assemblea per raccontare certe cose. Ho avuto paura, non ero pronto”. Poi Alessandro diventa rappresentante d’istituto e la sua popolarità cresce di continuo. L’anno dopo, torna sull’argomento. “Quel ragazzo ha parlato della sua omosessualità davanti ai compagni, agli insegnanti, pure ai suoi nonni. E’ stato davvero straordinario”, ricorda il preside, Innocente Pessina, mentre guarda una foto scattata quel giorno. Allora Tommaso si decide: “Ho mandato una email ad Ale dicendogli che sono anche io gay. E’ incredibile: finché non senti la tua voce che lo dice, finché non leggi le tue parole sullo schermo del computer, non lo realizzi davvero. Appena ho cliccato ‘invio’, invece, mi é sembrato surreale il fatto di non averne mai parlato prima. Lui mi ha risposto con uno smiley”.

LA SCOPERTA

Tommaso giura che, senza Alessandro, sarebbe rimasto nell’ombra per anni. Forse per sempre: “Credo che mi sarei sposato, forse avrei avuto dei figli. So di essere omosessuale da quando avevo 12 o 13 anni. Ma la mente di un ragazzino gay fa miracoli: rimuove tutto, ignora i segnali. lo rifiutavo il pensiero, schiacciavo dentro di me ogni impulso, ero terrorizzato che gli altri sapessero. Eppure non bastava: già a 10 anni i bambini mi chiedevano se fossi gay, mi prendevano in giro. ‘Sono normale’, giuravo, ma a quell’età la cattiveria é pazzesca. Le medie sono state difficilissime”. E ancora fino a un anno fa Tommaso “commentava” le compagne di scuola come tutti gli altri: “Per far parte della conversazione, per non essere tagliato fuori. Mi ero anche imposto di uscire con una, ma non ho avuto il coraggio. Non ce la facevo più .

IL PANICO E I SONNIFERI

Tommaso beve un caffé in un bar buio a pochi passi dalla scuola, Intorno non c’e nessuno, eppure parla a voce cosi bassa che è quasi impossibile sentirlo. E’ un ragazzo alto e magro, seduto con la schiena curva. Giocherella con le dita lunghe come candele con le bustine dello zucchero, e si sfoga senza pause: “Ho letto le storie di Chiara e Mattia che avete pubblicato la scorsa settimana. Sapere che a qualcuno importa quello che pensiamo, e che viviamo, mi ha fatto stare bene. Io ho nascosto tutto fino a che il mio malessere é diventato così forte da non poterlo più ignorare. Poi sono esploso”. E proprio quando ha ammesso di essere gay, racconta Tommaso, le cose sono, inaspettatamente, peggiorate: “Si pensa che il coming out basti per stare meglio, per liberarsi. Invece io ho cominciato ad avere attacchi di panico. La mia inclinazione alla tristezza — mi sento inadeguato, brutto, sfigato, escluso dai gruppi piu popolari, più in vista — si é trasformata in depressione. Spesso sono completamente incapace di reagire”. Tommaso ripercorre l’apatia che lo accompagna di giorno e le crisi d’ansia che lo assalgono di notte, quando pensa alla sua vita, alla morte, al futuro che non riesce a immaginare: “Ho cominciato a fare use di sonniferi un paio di  mesi fa. Non ho preso davvero in considerazione il suicidio, ma non e escluso che possa succedere. Credo di no, perché ho tanti amici. Spero di no, ma non so”.

I GENITORI

Tommaso parla dei genitori come se toccasse a lui proteggerli, difenderli dalla sua omesessualità. Li racconta come persone aperte, semplici, che sanno di avere un figlio gay, ma scelgono di non confrontarsi. “Vedere il proprio bambino e sapere che é gay é un peso. E io non voglio pesare su nessuno. La mia omosessualità crea problemi e io non voglio essere un problema. I miei non hanno mai cercato di cambiarmi, volevo giocare con le bambole e me l’hanno permesso. Non ho ancora detto niente perché non so come gestire questa situazione, non voglio che mi vedano così disperato”. E parlare con uno psicologo, per Tommaso, spezzerebbe quel tacito accordo che c’è con la sua famiglia: “Dovrei chiedere loro i soldi e non saprei come giustificarlo. Per fortuna ho i miei amici, che sono gli unici a placare la mia angoscia”.

I TALK SHOW

Tommaso parla già da un’oretta e la luce che filtra nel bar pian piano sparisce. Per lui non é più un’intervista. Pare più un’autoanalisi, dove tutti i suoi dubbi emergono insieme. Ripercorre il primo dei suoi attacchi di panico, avvenuto mentre, in classe, si discuteva di bioetica e fecondazione assistita: “Di colpo ho pensato: ‘Avrò mai una famiglia? Come farò a sposarmi? Potrò adottare un bambino, o ricorrere all’utero in affitto? E soprattutto, è giusto che io abbia un figlio?’. Non so se posso essere genitore. Credo che sarei un bravo papà, non certo peggiore di un papà etero. Poi guardo la tv e vedo queste persone che descrivono quelli come me come esseri abominevoli, che rovinerebbero la vita dei propri figli. So che c’è gente per strada che mi picchierebbe. Se non mi insultano, in giro, é solo perché io non mostro la mia omosessualità. Mi vesto normalmente, mi comporto normalmente”.

MAI UN BACIO

Tommaso svela la sua frustrazione più profonda: “Non sono mai stato con un ragazzo. Nemmeno con una ragazza, a dire il vero. Non ho mai neanche baciato nessuno, a meno che non valgano quei baci a stampo durante il gioco della bottiglia, in seconda media. Ho 17 anni e sono come un preadolescente. Devo ricominciare tutto da capo: é come se avessi 12 anni, non so fare niente, mi sento completamente inadeguato”. E alle amiche, che insistono per accompagnarlo in un locale gay, risponde: “Perché devo andare in un posto pieno di sconosciuti, spesso molto più grandi di me? Per gli eterosessuali sperimentare é molto più semplice, e possono farlo con i coetanei. Io non me la sento di andare in quei locali. Soprattutto per via della mia più grande paura: che non succeda proprio niente. Che la vita passi senza che io la viva” .

—————————
UNA MADRE RACCONTA
“Mia figlia lesbica? Egoista, non doveva dirmelo”

La telefonata dura circa un quarto d‘ora. Poi la madre di Vera, avvocato sulla cinquantina, butta giù il telefono. Spiega come può la frustrazione che l’accompagna da quando sua figlia le ha raccontato di essere lesbica: “Vera mi ha detto che le piacciono le ragazze l’estate scorsa, il giorno del suo compleanno, L’ho trovata una delle cose più egoiste che potesse fare. Io lo sapevo già, i genitori queste cose le sanno sempre. E per anni le ho fatto capire che non me lo doveva dire, che doveva far finta di niente, almeno con me, Che bisogno c’era di rovinarmi la vita?”. Parole che, proprio perché vengono da una donna in carriera, ancora giovane, e con una figlia in gamba (ottimi voti a scuola e già due stage nel curriculum), stupiscono ancora di più. E svelano il punto di vista di una madre che non riesce ad accettare sua figlia, né a dirle pm che le vuole bene (“é ovvio che la amo, ma perché dovrei dirglielo? Potrebbe pensare che sono d’accordo con le sue scelte), né a capire che di scelte non si tratta. Claudia e Vera vivono a Vicenza e a pesare é anche il giudizio dei vicini di casa: “Parliamo sempre dei nostri figli e ora che lei mi ha detto che é lesbica non so più cosa fare. Devo mentire ai miei amici? O continuare a pretendere che non sia vero?”. E poi, più in profondità, la paura che la sua omosessualità possa pesare sul futuro: “Ma si rende conto che non potrà avere figli? E io non sarò mai nonna”. Claudia sa che questo comportamento ferisce la figlia, eppure insiste: “Capisco che per lei é difficile, ma a me chi ci pensa?”.

 

 




aiuto, papa Francesco, sono gay: non voglio sentirmi ‘fuori posto e fuori casa’

due omo

così grida un ragazzo gay che al momento della elezione di papa Francesco ha pianto come per un’intuizione di un “graduale percorso di apertura e avvicinamento alla questione omosessuale” del nuovo papa

vive da 29 anni “una serena e felice vita di coppia” e però sente di non essere accolto da una chiesa che lo fa sentire ‘fuori posto e fuori di casa’ e chiede perciò al papa  “una nuova pastorale per le famiglie che includa tutti”

vede troppo spesso le persone omosessuali  descritte come un obbrobrio, come una minaccia per la società, come un pericolo pubblico di “attentato alla famiglia”: “chi ci accoglierà? chi si prenderà cura di noi? … come la parrocchia potrà tornare casa per noi?”:

Caro papa Francesco,

ti confesso che dal momento della tua elezione ho sentito veramente lo Spirito soffiare. Non sapevo chi fossi, non avevo mai sentito prima il tuo nome, eppure ho pianto.  Ho pianto perché inspiegabilmente mi sono sentito dopo tanto tempo a casa, pur non avendo alcun elemento razionale che giustificasse questo sentimento.  Sono gay, e vivo da quasi 29 anni una felice e serena vita di coppia. E sto seguendo con grandissima speranza il tuo graduale percorso di apertura e avvicinamento alla questione omosessuale. Lo hai fatto sin da quella prima intervista, di ritorno da Rio, in cui quel “Chi sono io per giudicare un gay?” è risuonato sorprendente nella sua disarmante semplicità. Decenni di catechismo e magistero consolidati sulla questione omosessuale sono apparsi improvvisamente schiacciati sotto il peso dell’essere forse norme più scritte guardando a noi con gli occhi della legge che con gli occhi del cuore.  Fino ad oggi io e Dario abbiamo dovuto camminare in solitudine, inventandoci dal nulla cosa potesse essere una vita di coppia, non avendo alcun riferimento a disposizione, noi che ci siamo innamorati a metà degli anni ’80.  Abbiamo vissuto nascosti per oltre 15 anni, prima di capire ed accettare la bellezza e la fedeltà della nostra storia d’amore e smettere di temere tutto e tutti: la famiglia, gli amici, financo Dio di cui abbiamo finalmente riconquistato l’immagine di Padre spazzando via quella di Giudice. Finora, è vero, non si è ancora concretizzato un reale cambiamento. Le tue parole di accoglienza, apertura non hanno generato un nuovo catechismo, una nuova pastorale per le famiglie che includa tutti e non faccia sentire nessuno “fuori posto e fuori di casa”. Ma alcune cose, lette dall’interno e con il linguaggio e le modalità della chiesa cattolica, non possono che prefigurare l’inizio di un percorso: qualche mese fa è stato inviato a tutte le diocesi del mondo un questionario con l’obiettivo di raccogliere stimoli per il Sinodo straordinario sulla famiglia  dell’ottobre 2014. Per la prima volta, credo nella storia della chiesa cattolica, su un suo documento ufficiale è presente, nero su bianco, la dicitura “unioni di persone dello stesso sesso”, e si chiede quale attenzione pastorale sia necessario avere per queste unioni e addirittura per i bambini eventualmente adottati. Ecco, nominare le cose significa per me inaugurare, superando i principi, una nuova stagione animata da un desiderio reale di confronto. Finora, infatti, negli ambiti comunitari, nelle parrocchie, nei cammini di fede, l’omosessualità è stata trattata solamente come categoria morale o come problematica sociale. I ragazzi e le ragazze omosessuali si sono trovati, quindi, a vivere nel silenzio più assoluto la loro condizione, ad impiegare moltissime risorse personali a nascondere una parte importantissima della loro esistenza, a controllare tutto ciò che avveniva dentro loro, fuori loro. Insomma a comprimere la loro vita invece che ad espanderla, privati di tutta quella “normalità” (innamorarsi, condividere con gli amici il proprio innamoramento, sognare una persona, immaginarsi insieme, …) che costituisce parte integrante del percorso di crescita di un essere umano, e che alimenta quello slancio progettuale che dovrebbe essere appannaggio di tutti.

Dio ama gli omosessuali

Ho letto ieri che sembra tu ti stia accingendo a studiare le unioni gay. Ne sono contento. Finalmente sembra che siano stati presi in carico i nostri appelli, fatti a moltissime diocesi, e anche a te direttamente,  dai vari gruppi di gay credenti italiani (tra cui anche quello di cui faccio parte, Nuova Proposta) di conoscere in prima persona le nostre vite, le nostre storie. Non ti nascondo che negli anni passati neanche io (che pure ho fatto un cammino lungo per arrivare ad una serena esistenza in coppia) sono stato immune da un certo scoramento, sorto nel constatare che posto per noi nelle comunità cristiane non c’era. Non ce n’era soprattutto nel momento in cui ci si sarebbe dovuti presentare in coppia o, in alcuni casi, anche come genitori. Perché è proprio l’unione tra due persone dello stesso sesso che non esiste per le comunità cattoliche, a causa, purtroppo, di una terribile battaglia ideologica che si sta consumando a scapito delle esistenze di tante persone. Vedo “sentinelle in piedi” protestare contro la proposta di legge contro l’omofobia (che dovrebbe proteggere le persone dal bullismo, dalla violenza e dal dileggio. Vedo gruppi definirsi cattolici ed armarsi per combattere il pericolo dell’attentato alla famiglia che proverrebbe da due persone dello stesso sesso che decidono di amarsi senza nascondersi e, pertanto, richiedere alla società di cui fanno parte di condividere diritti e doveri come qualunque altra coppia. Vedo le persone omosessuali descritte come un obbrobrio, come una minaccia per la società. Le nostre vite di coppia, le nostre famiglie, con e senza figli, esistono già oggi, adesso. Non sono una minaccia che viene da un ipotetico futuro. Mi chiedo, come un figlio farebbe con un padre e facendo riferimento alla cura pastorale che deve essere dedicata ad ogni essere umano e declinata per la sua specifica esistenza: chi ci accoglierà? Chi si prenderà cura di noi? Potremmo avere anche noi bisogno di sostegno fraterno e spirituale dalla parrocchia, quella che per tanti anni abbiamo considerato una seconda casa? E parlando dei tanti figli di coppie omosessuali:  non devono anch’essi poter contare su un ambiente accogliente, in grado di sostenerli nel loro percorso di crescita spirituale e umana? Come la parrocchia potrà tornare ad essere casa per noi e per i nostri bambini? La speranza che soffia in me credo sia fortemente animata dallo Spirito. Spero in un cammino serio di confronto, di approfondimento senza pregiudizio. Spero in un sinodo che produca, nel 2015 una pastorale finalmente inclusiva e che porti “Tutti dentro!” come ci hai tu stesso ricordato in una delle tue omelie mattutine. Spero anche tu voglia, in questo percorso di conoscenza, incontrare alcuni di noi, omosessuali, transessuali, singoli o in coppia, con figli o senza figli, per contemplare insieme come il disegno di Dio possa essere creativo nel generare Bellezza nell’esistenza di ciascuno di noi e  ’interno della propria specificità.

 

 

 




ingiurie e condanne anziché vicinanza e accoglienza anche nella chiesa di papa Francesco

I gay sono malati e le donne abortiscono per “godersi la vita”. Parola del neocardinale Sebastián

da Adista la ricostruzione di un difficilissimo inizio di relazione del neo-cardinale mons. Fernando Sebastián Aguilar ,eletto da papa Francesco, con ampie componenti del suo popolo nella sua cura pastorale: le donne e i gay, un rapporto fatto di ingiurie, grossolani pregiudizi … forse qui è il caso di dire che papa Francesco non ha aperto tutti e due gli occhi … e le orecchie!

CARDINAL_2797008b
Omosessualità è una «deficienza di sessualità» e può essere curata. Le donne abortiscono perché «vogliono godersi la vita». Opinioni di un neo-cardinale, precisamente dell’84.enne arcivescovo emerito di Pamplona, mons. Fernando Sebastián Aguilar (fra i 19 nuovi cardinali cui papa Francesco imporrà la berretta il 22 febbraio prossimo), colte in due interviste: al quotidiano malagueño Sur (19/1/14) e al catalano El Periódico (15/1/14). Nella prima, Sebastián afferma, con toni da entomologo, che «l’omosessualità è una maniera deficiente di manifestare la sessualità, perché questa ha una struttura e un fine, che è la procreazione. L’omosessualità non può raggiungere questo fine, perciò è un fallimento». Lo dice «con tutto il rispetto» e consapevole che «molti si arrabbiano e non tollerano» una simile visione. «Non è un oltraggio per nessuno», spiega invece, perché, «nel nostro corpo, di deficienze ne abbiamo varie. Io soffro di ipertensione: mi arrabbio perché me lo dicono? È una deficienza che devo correggere come posso. Segnalare a un omosessuale la sua deficienza non è un’offesa, è un aiuto, perché molti casi di omosessualità si possono recuperare e normalizzare con un trattamento adeguato. Non è un’offesa, è un segno di stima. Se una persona ha un difetto, il buon amico è colui che glielo dice».

“Da curare sarai tu, e non proprio per l’ipertensione”, è in soldoni la risposta che è subito arrivata al neo-cardinale da Colegas, ovvero la Confederazione spagnola di lesbiche, gay, bisessuali, transessuali: «Le ricordiamo che l’omosessualità non è una malattia curabile, ed invece l’omofobia sì», ha scritto il gruppo, e «lamentiamo questo tipo di sfortunate associazioni fra omosessualità ed infermità che credevamo superate nell’attuale Spagna e che sono molto simili a quelle fatte recentemente dal presidente della Russia, Vladimir Putin, che ha associato omosessualità e pederastia». Il papa avrà preso un abbaglio, deve essere il sospetto di Colegas: Francesco, secondo il collettivo, non dovrebbe nominare cardinali «che difendono pubblicamente simili impostazioni se vuole una Chiesa più inclusiva e aperta, come ha lasciato intravedere in diverse sue manifestazioni sul tema dell’omosessualità».

Per la Federazione Statale di lesbiche, gay, transessuali e bisessuali (Felgtb) le espressioni di mons. Sebastián sono «seme di odio e miccia per azioni violente», mentre per Juan Cejudo, delle Comunità cristiane di Base e del Moceop (Movimento per il celibato opzionale), sono «un insulto» e meritano un ammonimento del papa e una pubblica richiesta di scuse da parte dell’autore.

Il teologo José María Castillo, dalle pagine di Redes Cristianas (21/1), invita tutti, a partire dal neo-cardinale, a «misurare bene» le parole, «soprattutto su questioni che hanno conseguenze sulla felicità o sulla disgrazia degli altri»; e rileva che Sebastián, parlando di procreazione quale fine della sessualità, «riduce la sessualità umana a mera animalità».

Levata di scudi su Twitter, invaso da critiche indignate e richieste di spiegazioni al papa. Ma anche una presa di distanza da parte del Partito popolare di Malaga, che ha fatto sapere di non condividere «in assoluto» le parole dell’arcivescovo emerito. Ovviamente ben più ferma la posizione del partito socialista, il Psoe: esigiamo una rettifica, ha detto la portavoce María Gámez. Le parole del neo-cardinale contribuiscono a «fomentare la discriminazione e l’omofobia», ha dichiarato Purificación Causapié, che del Psoe nazionale è la segretaria per l’Uguaglianza.

Nell’intervista a El Periódico (15/1), anch’essa rilasciata in occasione della nomina a cardinale, mons. Sebastián è sollecitato sugli stessi argomenti (per inciso, a proposito della “novità” rappresentata da papa Francesco, sostiene: «Non bisogna credere a chi dice che la Chiesa funziona meglio o sta cambiando. Tutti i papi all’inizio realizzano cambiamenti e semplificano l’amministrazione»). Parla ancora di omosessualità come di «deficienze di cui bisogna prendersi cura e che non sono nel piano di Dio» e si esprime sulla questione aborto, tema caldissimo in Spagna, dove il governo ha da poco presentato una riforma della legge che lo regola. Tema che il neo-cardinale liquida con queste parole: «Tutte le donne che chiedono di abortire lo fanno perché vogliono togliersi di mezzo i figli per godersi la vita. Quante sono le ragazzine che chiedono di abortire perché sono state violentate? Questa è la domanda. Dei 120mila aborti l’anno, quanti avvengono perché la gravidanza è frutto di stupro? Questo dibattito è distorto, nessuno vuole riconoscere la verità, che si sta ammazzando un figlio che comincia a vivere nel ventre. L’aborto è uccidere un bambino, e nessuno vuole guardare in faccia questo. Questa ipocrisia sta pervertendo le coscienze».

Anche queste affermazioni sono state stigmatizzate da Purificación Causapié: Sebastián, ha detto, dimostra «disprezzo assoluto per la libertà delle donne» ed evidenzia «la volontà di imporre la sua morale al di sopra delle leggi della democrazia». Dal canto suo, la deputata di Bildu (in euskera, “Riunirsi”, coalizione elettorale indipendentista basca) Bakartxo Ruiz, accusa il vescovo emerito di «apologia di violazione dei diritti delle donne» e ritiene «molto grave che queste persone siano state e continuino ad essere le massime autorità religiose della Comunità». Ha reagito alle affermazioni di mons. Sebastián manifestando tutto il suo scandalo il direttore del sito web di informazione religiosa Religión digital (22/1), José Manuel Vidal, che scrive direttamente al vescovo emerito. “Le donne abortiscono perché vogliono godersi la vita”?, riassume. «Non ho mai sentito (dalla bocca di un ecclesiastico di alto rango) un’idea tanto ingiusta e peregrina». “L’omosessualità è una deficienza da curare”? «Le sue parole stanno producendo un danno enorme alla Chiesa e al papa che lo ha scelto per il cardinalato. Per questo, sebbene io non sia nessuno per darle consiglio, oso chiederle, con il rispetto e la stima che le porto, una pubblica rettifica. Convochi al più presto una conferenza stampa su un unico punto: chiedere perdono». Prima agli offesi, «poi, al papa e alla Chiesa». 




lettera di un gay a papa Francesco

due omo

Caro Francesco: dissolvi il buio che eclissa il Natale ai gay cattolici

di Aurelio Mancuso

A. Mancuso, in occasione del Natale, scrive a papa Francesco per rappresentargli il travaglio interiore di un gay credente e il suo isolamento rispetto anche alla comunità cristiana e questo pone un problema intimo alla chiesa cattolica, che è stata allo

stesso tempo rifugio e persecutrice di schiere innumerevoli di omosessuali. E questo ha prodotto

drammi storici, e le incrostazioni di pratiche volte a mantenere e accrescere poteri, ricattando e

rovinando la vita dei propri simili sottoposti:

 

Caro Francesco,

la fede non la decidono le gerarchie cattoliche, né tantomeno le

associazioni lgbt, dove resistono

ampie sacche di discriminazione nei confronti dei gay e lesbiche credenti, in particolare se cattolici.

La confusione tra adesione a schemi, dottrine, canoni della chiesa cattolica e sentimento personale

di appartenenza all’ecclesia è sempre viva, purtroppo alimentata dai giudizi sommari sia da parte di

vescovi e sia da diversi leader del movimento lgbt.

Per questo, molte lesbiche e gay cattolici affrontano un percorso di fede che non si accontenta di far

parte di gruppi di ascolto e aiuto (molto importanti e che sono ancora oggi una frontiera profetica),

ma studiano, si confrontano in approfondimenti esegetici e teologici. Sono insomma cristiani

informati sulla complessità del dibattito in corso sulla morale sessuale e non solo, e non si

accontentano dei dotti pronunciamenti delle teologie progressiste e di base, affrontano con sapienza

tutto il ventaglio di opinioni in campo. Si tratta di una gloriosa minoranza, che solitaria testimonia

una volontà di non abbandonare una chiesa che ancora oggi la sospinge alla marginalità, in alcuni

casi alla discriminazione. Da cattolico che si è formato nell’accidentata storia delle comunità

cristiane di base e da omosessuale visibile, militante e praticante, ho incontrato tanti preti

straordinari, troppi vescovi ipocriti, tanto popolo di Dio che non cade nell’inganno della pietosa

comprensione.

Come vescovo di Roma, papa dei cattolici,

 

già arcivescovo nelle contrade più povere, sai benissimo

che esiste una “

religiose, e un numero importante nel popolo di Dio, sono omosessuali, preoccupati di non essere

scoperti, pena possibili ricatti, emarginazioni, espulsioni.

Nel Natale ormai prossimo, milioni di cattolici omosessuali saranno lontani dalla luce della Nascita,

pur affollando altari e navate. Il loro angoscioso silenzio, l’accostarsi all’Eucarestia rompendo il

divieto, interroga prima di tutto me stesso, che pur non concordando con le disposizioni in materia

(su cui la gran parte dei teologici critica modalità ed effetti) le rispetta, rimanendo in fondo alle

belle chiese, non confessandomi e non comunicandomi. Il più delle volte la messa la guardo a casa,

o quando ho possibilità in luoghi a me cari e spiritualmente vicini. La fede cattolica è però l’esatto

contrario della solitudine, dell’auto esclusione dalla vita comunitaria, della repulsione delle

reciproche differenze. Purtroppo l’alternativa pratica è l’ipocrisia della rimozione che trasforma il

‘messaggio’ in ideologia, in conformismo che desertifica l’amore per Dio e oscura in noi tutte e tutti

la sua Luce.

Caro papa Francesco non ho nulla da chiederti,

rinnovamento

 

che seguo con grande interesse e diffidenza. Recentemente hai promosso un inedito

questionario nelle chiese locali sui temi riguardanti la morale sessuale e le nuove forme familiari.

Non di meno quel tuo “chi sono io per giudicare” rispetto ai gay, è stato un segno di un rispetto e

attenzione mai ascoltati. Poi rimane la quotidianità.

Tra le tante ragnatele che impediscono i Sacri Palazzi di godere del sole nella sua pienezza, c’è

l’incapacità di discernere rispetto a immaginifiche lobby interne ed esterne gay, pronte a inzozzare

le linde e lucide stanze. La realtà è assai più semplice: dopo millenni di nascondimento le persone

omosessuali abitano il giorno e questo pone un

problema intimo alla chiesa cattolica, che è stata allo

stesso tempo rifugio e persecutrice di schiere innumerevoli di omosessuali. E questo ha prodotto

drammi storici, e le incrostazioni di pratiche volte a mantenere e accrescere poteri, ricattando e

rovinando la vita dei propri simili sottoposti.

In attesa che davvero qualcosa cambi, ti auguro di conoscere meglio chi da omosessuale si è

trasformato percorrendo strade pericolose, in gay, vive felicemente in unione, ha addirittura

generato figli, non propone rivoluzioni, esprime la sua soggettività tra gioie e dubbi, e va avanti




Lo stupore dei gay cattolici “Ha risposto alla nostra lettera”

due omo

il papa risponde, supera la barriera del … curialmente corretto, risponde anche alla loro lettera, loro, i gay cattolici che nessun vescovo ha voluto mai incontrare, compreso il loro vescovo, il cardinale di Firenze, card. Betori, perché è vero, tutti siamo figli di Dio, e anche loro lo sono, diamine!, ma riceverli o parlare ufficialmente con loro significherebbe legittimarli ‘come gay’, non sia mai! dunque se ne stiano da parte nella chiesa di Dio, anzi di B etori e compagni e non pretendano troppa visibilità! … ma lui ha risposto!, ha risposto alla loro lettera, li ha presi in considerazione. ha accettato un dialogo con loro, ha detto loro non con delle belle parole ma coi fatti: ‘esistete’ e avete diritto di esistere nella chiesa di Dio, non quella dei Betori e compagni … e allora manifestano stupore, meraviglia, gioia, i tipici sentimenti di chi sente che il vangelo è davvero ‘evangelo’, ‘buona notizia’, buona radicale novità che straccia le rigidità e le violenze curiali!
qui sotto la meraviglia e la gioia della comunità gay di Firenze descritta da:

Maria Cristina Carratù
in “la Repubblica” – Firenze – del 8 ottobre 2013

Fra le tante rivoluzioni compiute da Papa Bergoglio, oltre alle telefonate a casa a gente qualunque (è di questi giorni la notizia di una famiglia del Galluzzo chiamata al telefono da Francesco, che dopo averla invitata ad Assisi, ha chiesto se poteva benedirla e l’ha invitata a portare «i saluti e la benedizione del Papa» alla parrocchia), c’è anche l’«effetto posta». La montagna di lettere recapitate ogni giorno nella sua residenza di Santa Marta, e inviate direttamente a lui da chi spera, così, di raggiungerlo scavalcando gli «ostacoli» curiali. E adesso c’è chi pensa che possa essere stata una di questi «messaggi in bottiglia» ad aver ispirato la svolta di Bergoglio sui gay. Una lettera inviata lo scorso giugno al Papa da vari omosessuali cattolici italiani, ma le cui firme erano state in gran parte raccolte nel gruppo Kairos di Firenze, molto attivo su questo fronte. E in cui gay e lesbiche chiedevano a Francesco di venire riconosciuti come persone e non come «categoria », invocando apertura e dialogo da parte della Chiesa, e ricordando che la chiusura «alimenta sempre l’omofobia». Non la prima del genere inviata a un pontefice, ma a cui, come racconta uno dei responsabili di Kairos, Innocenzo Pontillo, «nessuno aveva mai dato neanche un cenno di risposta». Questa volta, invece, la risposta è arrivata. Con un’altra lettera della Segreteria di Stato vaticana (il contenuto di entrambe le lettere è privato, e solo da poco si è deciso di rendere noto lo scambio), in cui si legge, spiega Pontillo, che Papa Francesco «ha apprezzato molto quello che gli avevamo scritto, definendolo un gesto di ‘spontanea confidenza’», nonché «il modo in cui lo avevamo scritto». Ma non solo: «Il Papa ci assicurava anche il suo saluto benedicente ». «Nessuno di noi si era spinto a immaginare una cosa del genere» dice il rappresentante di Kairos, ricordando, per contrasto, come l’arcivescovo di Firenze, Giuseppe Betori, «si sia sempre rifiutato anche solo di riceverci, sostenendo che altrimenti saremmo stati legittimati in quanto omosessuali». Adesso papa Francesco invia addirittura la sua benedizione, e chissà che le sue uscite successive sugli omosessuali («Chi sono io per giudicare i gay?» detto in aereo di ritorno da Rio de Janeiro, e poi le dirompenti parole a Civiltà Cattolica: «Dio, quandoguarda a una persona omosessuale, ne approva l’esistenza con affetto, o la respinge condannandola? Bisogna sempre considerare la persona») non si debbano davvero anche a questo scambio epistolare. E a Bergoglio, intanto, scrivono i detenuti di Sollicciano, una lettera (già consegnata direttamente a lui nei giorni scorsi dal cappellano del carcere don Vincenzo Russo), in cui gli raccontano i drammi della vita carceraria e lo invitano ad andarli a trovare, magari in occasione del Convegno ecclesiale nazionale della Cei che si terràa Firenze nel 2015 e a cui è già prevista la presenza del pontefice. Mentre al Papa si rivolge adesso anche la Comunità delle Piagge: «Il clima è cambiato, e chi, adesso, vuole per la Chiesa qualcosa di diverso, deve stare col Papa» riconosce don Alessandro Santoro. «Come Comunità» spiega «ci sentiamo liberati dai troppi lacci dottrinali del passato, Francesco Papa dimostra che è possibile passare dalla sola obbedienza dottrinale, alla fedeltà alla vita delle persone». Il che «non toglie che la Chiesa abbia la sua dottrina, purché, però, al centro ci sia l’uomo con le sue sofferenze, come dice il Vangelo». Da qui l’idea (in occasione del 4° anniversario, il 27 ottobre, della celebrazione del matrimonio religioso, con un altro uomo, di una donna nata uomo, che a Santoro costò l’allontanamento dalle Piagge), di scrivere al Papa «per parlargli della nostra Comunità, di quello che fa e del perché lo fa, e per chiedergli come considera le tante condanne da noi subite» (oltre che per il matrimonio, anche per la comunione a gay edivorziati risposati).