la povertà dei giovani – i figli stanno peggio dei genitori e i nipoti peggio dei nonni

più sei giovane, più sei povero

di Roberto Ciccarelli
in “il manifesto” del 18 novembre 2017

I figli stanno peggio dei genitori e i nipoti peggio dei nonni. Ad ogni passaggio di testimone tra le generazioni la disuguaglianza aumenta, mentre la povertà cresce al diminuire dell’età. Più sei giovane, più sei precario

Negli anni corrispondenti alle politiche dell’austerità – gli ultimi cinque – questo dato strutturale prodotto dalla crisi finanziaria è esploso, colpendo più i giovani tra i 15 e i 34 anni rispetto agli over 65. Lo sostiene il rapporto su povertà giovanile ed esclusione sociale 2017 «Futuro anteriore», presentato ieri al circolo della Stampa Estera di Roma dalla Caritas italiana.

Un giovane su dieci vive in uno stato di povertà assoluta in Italia. Nel 2007 la proporzione era completamente diversa: era solo uno su cinquanta. Nei dieci anni successivi sono diminuiti i poveri tra gli over 65 (da 4,8% a 3,9%). Tornando indietro nel tempo, rispetto al 1995 il divario di ricchezza tra giovani e anziani si è ampliato: la ricchezza media delle famiglie con capofamiglia di 18-34 anni oggi è meno della metà, mentre quella delle famiglie con capofamiglia con almeno 65 anni è aumentata di circa il 60%. Si presuppone allora che il capofamiglia ultra-sessantenne sia il padre, o comunque un parente, di quello con meno di 34 anni. Questo significa che il primo sostiene il secondo, condividendo risorse e rendite necessarie per proteggere il nucleo ostaggio dei ricatti della precarietà: dall’affitto alla rata dell’asilo, dal sostegno economico in caso di lavori intermittenti o di spese per la nascita di un figlio. È il «welfare parentale» che sostituisce quello «sociale» esploso a causa delle riforme, dei tagli e della negazione dei diritti universali. L’Italia del 2017, in poche parole.

La Caritas osserva la situazione dai «Centri di ascolto in rete». Nel 2016 sono state 205.090 le persone che hanno chiesto qui ciò che non trovano sul «mercato» e non ottengono dallo Stato: un reddito e una tutela. Il 22,7% ha meno di 34 anni. Le richieste sono maggiori a Nord (46%), dove vivono più stranieri, il 33,7% nel Centro, il 20,2% al Sud. Oltre il 43% si è rivolto ai centri per la prima volta. La crisi per loro non è finita, moltiplica silenziosamente i suoi effetti mentre ai piani alti continuano a parlare di una «crescita» che non produce né occupazione fissa, né un’oncia di redistribuzione.

Lo status familiare degli under 34 va compreso meglio. Per la Caritas prevalgono le famiglie «tradizionali» con coniugi e figli (35%), seguite da quelle «uni-personali» (25,7%), in netto aumento rispetto al 2015. Formula macchinosa, e involontariamente parodistica, che significa: persona sola, single, disaffiliato. Persona che potrebbe vivere in coppia, ma si presenta come un individuo e non rientra nel welfare statale, né nelle statistiche. È ragionevole pensare che questa condizione – di «apolide» – sia quella più ricorrente in un paese come il nostro dove non si ha il coraggio di considerare il «precario» come soggetto di diritto, preferendo identificarlo con la «famiglia». Per queste «famiglie di se stessi» non è previsto un sostegno. Nemmeno il miserabile «reddito di inclusione» che il ministro del lavoro Poletti si è affrettato a garantire dal primo dicembre. Stando ai dati della Caritas non andrà nemmeno a gran parte delle famiglie «tradizionali», salvo che non abbiano fino a cinque figli e siano povere «assolute»

il bimbo e l’ostia a papà e mamma

un vescovo racconta al Papa:

“un bimbo spezzò l’ostia per darne ai genitori risposati”

l’intervento in aula commuove l’assemblea del sinodo che entra nel vivo del dibattito sui sacramenti ai divorziati: “Nella Chiesa non siamo ‘ufficiali di immigrazione’, che devono controllare perennemente l’integrità di chi si avvicina”. Il Papa: “Guardarsi dai dottori della legge”

di ANDREA GUALTIERI

 La storia, raccontata davanti al Papa durante l’assemblea plenaria del Sinodo, ha commosso molti dei presuli impegnati nel dibattito sulla famiglia. È stato proprio un vescovo, del quale non è stato riportato il nome, a riferire l’esperienza vissuta: stava celebrando la messa delle prime comunioni in una parrocchia e un bambino, arrivato all’altare per ricevere sulla mano l’ostia consacrata, l’ha spezzata e ne ha dato un pezzetto ciascuno ai due genitori che, essendo entrambi divorziati risposati, non avrebbero potuto riceverla.
Il racconto è stato rivelato durante la conferenza stampa quotidiana sui lavori del sinodo da don Manuel Dorantesed, collaboratore per la lingua spagnola di padre Federico Lombardi, ed è significativo delle istanze portate da chi chiede una riforma della norma che impedisce l’accesso alla comunione a coloro che hanno divorziato e avviato una nuova relazione. Dopo i primi dieci giorni, il dibattito del sinodo è arrivato proprio ad affrontare la terza parte dell’Instrumentum laboris, quella relativa alle ferite della famiglia. E il tema dei risposati è uno dei cardini più difficili della discussione, insieme a quella dell’accoglienza degli omosessuali e alla contraccezione.

Tra le ipotesi di lavoro che saranno affrontate nei prossimi giorni per superare la prassi attuale, c’è quella del “cammino di discernimento” e di una “via penitenziale”. Percorso, quest’ultimo, che è del resto un prerequisito fondamentale per l’accesso di chiunque alla comunione e che, si è evidenziato, richiede di ribadire l’insegnamento sul peccato. La strada più battuta da chi sostiene le tesi della riammissione dei risposati sembra essere quella di “valutare storia per storia”, ponendo limitazioni per i casi particolarmente significativi.

IL PAPA: “GUARDARSI DAI DOTTORI DELLA LEGGE”

Esclusa invece l’ipotesi di soluzioni diverse a seconda del contesto geografico: “Io vengo dalla lontana Australia, come viviamo noi la nostra fede è ben diverso dalla Chiesa in Africa, in Sud America e in Asia. Ma sui punti essenziali della dottrina e sui sacramenti, specialmente la comunione, ovviamente l’unità, dal punto di vista dell’insegnamento, è essenziale”, ha dichiarato in un’intervista alla Radio Vaticana il cardinale  George Pell, prefetto della segreteria per l’Economia e considerato uno degli artefici della lettera consegnata al Papa in apertura del Sinodo per contestare le procedure. Nelle sue parole c’è una sottolineatura: “È ovvio che il Santo Padre dica che la dottrina non sarà toccata. Siccome noi parliamo della dottrina morale, sacramentale, in questa ovviamente c’è un elemento essenziale della prassi, della disciplina”. Dagli stessi microfoni, però, monsignor Bruno Forte, segretario speciale del Sinodo, fa notare: “Credo che una via pastorale molto concreta sia quella che si articola anzitutto nello stile dell’accompagnamento, che significa accoglienza di tutti, compagnia della vita e della fede, dunque vicinanza, ascolto, condivisione”. E spiega che la “via” lungo la quale trovare una risposta è quella di “camminare in profonda comunione con papa Francesco” e con “la gradualità dell’accompagnamento e dell’integrazione”. In mattinata, tra l’altro, il pontefice celebrando la messa nella cappelladi Casa Santa Marta aveva ammonito di “guardarsi dai dottori della legge che accorciano gli orizzonti di Dio e rendono piccolo il suo amore”.

UNA “RICCHEZZA DI PROPOSTE CONCRETE”

Per il resto, in assemblea si è auspicato un cambio di mentalità delle comunità ecclesiali, con una riorganizzazione delle parrocchie attorno alla pastorale familiare e con la creazione di piccole comunità stabili di famiglie locali che accompagnino altre famiglie aiutandole anche nei momenti di difficoltà. Su tutto, sembra prevalere la richiesta unanime di una maggiore formazione nella preparazione al matrimonio e nell’accompagnamento agli sposi e di nuove metodologie di catechesi, per le quali qualcuno ha chiesto di abbandonare il linguaggio attuale, ritenuto troppo “scolastico”. “C’è una grande ricchezza di proposte pastorali concrete”, ha rilevato padre Lombardi.

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