per una migliore convivenza sul pianeta – una riflessione di Ivone Gebara sulla ‘laudato sì’ di papa Francesco

  

una teologia non ancora al passo con la scienza

una lettura critica della ‘laudato sì’

introduzione di Claudia Fanti 
 da: Adista Documenti n° 10 del 11/03/2017

 

Non è solo la prima enciclica interamente dedicata alla questione ambientale, ma è anche, probabilmente, quella più letta, commentata e venduta nella storia della Chiesa: la Laudato si’, definita da Leonardo Boff la carta magna dell’ecologia integrale, continua a provocare interesse e ad alimentare riflessioni, fornendo un imperdibile punto di riferimento per tutti coloro che sono impegnati nella difesa della casa comune (e, naturalmente, suscitando il fastidio delle forze conservatrici, delle lobby del petrolio, dei negazionisti del cambiamento climatico e di tutti coloro che perseguono interessi contrari a quelli espressi dal documento papale). A fronte del profondo e praticamente unanime entusiasmo del campo progressista in tutte le sue varianti, alcune ecoteologhe hanno però voluto esprimere qualche accento più critico, ritenendo l’enciclica di papa Francesco ancora troppo ancorata, rispetto al rapporto tra essere umano e natura, alla visione tradizionale della Chiesa ripresa dalla Genesi, che pone l’essere umano al centro del mondo naturale. Una lettura, questa, che – da quando, nel 1967, Lynn White, studioso statunitense di storia medievale, definì il cristianesimo come la religione più antropocentrica del mondo – si è spesso attirata l’accusa di cadere in un eccessivo antropocentrismo, presentando l’essere umano, l’unico “a immagine e somiglianza di Dio”, come padrone della creazione, ponendo al suo completo servizio una natura ridotta a una materialità inerte, senza alcuna rilevanza salvifica.

Così, se la religiosa francescana Ilia Delio (v. Adista Documenti n. 22 e 26/15), ha sottolineato come «i principi di base cui si richiama il papa per risolvere la crisi ambientale, specialmente quello dell’essere umano fatto a immagine di Dio», siano «gli stessi principi che, in un certo senso, hanno provocato la crisi», e come sia profondo il rapporto «tra antiche preghiere, credenze e rituali religiosi e la nostra sconnessione ecologica» («Siamo programmati per il cielo sopra di noi e non per una Terra in evoluzione»), un’altra ecoteologa, la brasiliana Ivone Gebara, traccia, per la rivista Iglesia Viva (n. 267/2016), una lettura mirata ad articolare la percezione femminista con quella ecologica, evidenziando nell’enciclica di papa Francesco questioni che «possono, forse, confondere o rivelare visioni ambigue e contraddittorie della realtà ecologica e sociale». In particolare, l’accento è posto dalla teologa sulla distanza tra un accurato discorso scientifico – in linea con le più recenti acquisizioni della scienza relativamente alla distruzione del pianeta e al cambiamento climatico – e una visione teologica ancora estranea agli apporti del pensiero teologico critico contemporaneo, legata com’è a un «modo di parlare del tipo “Dio ha fatto, Dio ha detto, Dio riconosce, Dio minaccia, Dio condanna, Dio decide, Dio domanda, Dio ordina”». Mentre, sul piano delle denunce, sarebbe decisamente auspicabile, secondo Gebara, un riferimento più  esplicito «alla responsabilità non solo dei cosiddetti Paesi ricchi», ma anche, più specificamente, degli artefici diretti delle «politiche di distruzione della fauna, della flora e delle popolazioni escluse», a cominciare da «chi è a capo delle grandi industrie di armamenti, di quelle produttrici di veleni chimici, di quelle farmaceutiche che, nel nome del profitto, sacrificano vite umane e ambiente».

Una missione, questa, che non è solo del papa, «ma di tutti noi», perché, «in un modo o nell’altro, abbracciando la cura del nostro pianeta, dovremmo sollevarci come giudici del mondo capitalista consumista e denunciare il saccheggio della terra che si esprime nelle differenti forme di spolizione praticate dai poteri normativi del nostro mondo». Senza trascurare neppure di «analizzare il nefasto inquinamento» che la teologia tradizionale ha «prodotto sul corpo della terra e, particolarmente, sui corpi delle donne».

Di seguito, in  traduzione dallo spagnolo, ampi stralci dell’articolo di Ivone Gebara pubblicato sul numero di Iglesia Viva dedicato al tema della “cura della casa comune”.

riflessione di Ivone Gebara

 

 

Introduzione

(…). Il mio proposito è quello di articolare la percezione femminista con quella ecologica in relazione alla Laudato si’. Intendo, soprattutto, affrontare alcune questioni presenti nel testo che possono, forse, confondere o rivelare visioni ambigue e contraddittorie della realtà ecologica e sociale.

La mia sarà la riflessione (…) di chi pensa al ruolo degli esseri umani e della loro esperienza religiosa, teologica, in relazione non solamente al testo del papa ma, soprattutto, alla complessa realtà che ci circonda e ci avvolge. Penso, inoltre, a questa realtà in qualità di donna formatasi nella tradizione cattolica, aderente alla teologia della liberazione, al femminismo e all’ecofemminismo, nella complessità di tutte queste piccole ma significative produzioni culturali del nostro tempo. A partire da qui osservo la vita della Chiesa segnata da discorsi contraddittori e da pratiche anacronistiche, espressione dei conflitti di potere esistenti a cui, per quanto non sempre lo si ammetta, partecipiamo. Basta constatare quanto i mezzi di comunicazione hanno divulgato ultimamente rispetto alle reazioni di vescovi e cardinali alle posizioni di papa Francesco. E anche a quelle di gruppi di laici profondamente infastiditi dalla vicinanza del papa agli esclusi del mondo. (…).

L’ambiguità ecologica della teologia della Laudato si’

Una delle questioni che ha più richiamato la mia attenzione nella lettura del testo papale è la distanza esistente tra le evidenze economiche, sociali e scientifiche intorno alla distruzione del pianeta e al cambiamento climatico e la teologia presente nel testo. (…). Per quanto il volto del nostro mondo di oggi si presenti avvolto in una enorme complessità, distruttiva e costruttiva allo stesso tempo, la teologia del papa ripete lo stesso metodo deduttivo e lo stesso modo di parlare del tipo “Dio ha fatto, Dio ha detto, Dio riconosce, Dio minaccia, Dio condanna, Dio decide, Dio domanda, Dio ordina”. Possiamo riscontrare molte altre affermazioni simili presenti nel testo. C’è un “uso di Dio” a indicare il possesso della sua volontà e del suo agire nel mondo che finisce con l’indebolire le rivendicazioni ecologiche di Francesco. Se da un lato si è munito di molte informazioni scientifiche, non ha fatto altrettanto con le informazioni del pensiero teologico critico contemporaneo. Esiste un’inadeguatezza criticamente visibile tra un discorso e l’altro. In tal modo, forse senza rendersene conto, Francesco fa della teologia un discorso estraneo rispetto alle molte affermazioni e informazioni scientifiche offerte.

Francesco utilizza Dio, la Bibbia e la tradizione dei papi precedenti per giustificare e rafforzare i propri argomenti. Così facendo, forse non intenzionalmente (…), si erige a interprete della volontà divina e si presenta come chi parla non, per lo più, a nome proprio ma a nome di Dio o come suo rappresentante. Ma che Dio sarebbe questo? In un mondo tanto plurale, e non rivolgendosi, inoltre, necessariamente ai cristiani, la sua teologia potrebbe essere più attenta a far uso della parola “Dio” e delle parole su Dio o a impiegare la Bibbia nel discernimento rispetto alle situazioni del mondo contemporaneo. E, a parte questo, la sua teologia non esprime la necessaria coerenza richiesta dalle nuove scoperte scientifiche da lui stesso indicate nel corso del testo. E lui l’assume quasi come soluzione a molti problemi anziché come un problema ulteriore. Sì, la teologia insegnata dalla Chiesa è anch’essa un problema nell’“attuale stato” di degradazione e distruzione del pianeta!

(…). Le vecchie spiegazioni teiste a partire da una specie di amorosa volontà divina non reggono più in un universo sempre più complesso che si impone a noi attraverso la vita quotidiana e la conoscenza. È una specie di timore e di cocciutaggine, senza dubbio legata a forme di comportamento culturale e di esercizio del potere religioso, a impedire che sorga all’interno delle mura della Chiesa un’altra configurazione mentale e affettiva della trascendenza che ci circonda e ci avvolge. Il modello gerarchico patriarcale presente nella teologia contraddice molte volte in maniera flagrante gli sforzi per vivere in una prospettiva di interdipendenze e interrelazioni necessarie all’equilibrio di molti degli ecosistemi che ci costituiscono. Non ci rendiamo conto del fatto che un modello ecologico sostenibile di società esige, ugualmente, un modello sostenibile di teologia e di esercizio del potere religioso, includendo la diversità e la complessità di molti gruppi che vivono problemi e sfide differenti.

Alcune affermazioni di Francesco devono essere riprese e dibattute criticamente dalla comunità cristiana. (…).

«Per questo, fra i poveri più abbandonati e maltrattati, c’è la nostra oppressa e devastata terra, che “geme e soffre le doglie del parto” (Rm 8,22). Dimentichiamo che noi stessi siamo terra» (Laudato si’, 2). L’impressione, per quanto forse non sia questa l’intenzione del papa, è ancora quella di percepire il pianeta Terra come un oggetto tra altri o come un povero tra i poveri del mondo, nonostante si affermi che «noi stessi siamo terra».

Non risulta chiara nel testo l’idea che Terra siamo anche noi stessi. Siamo anche noi, tra i diversi esseri, a emergere da questo pianeta in una specie di genealogia e di evoluzione complessa della materia che ci costituisce. C’è ancora una specie di lontananza tra la terra e noi che irrompe in molti punti del testo, benché sia comprensibile impiegare una distinzione cognitiva o metodologica. Noi individui facciamo, di fatto, molte distinzioni, ma questo è inaccettabile dal punto di vista della sopravvivenza umana sul pianeta e del pianeta stesso. La permanenza di un linguaggio tradizionale mescolato con alcune innovazioni scientifiche denota quanto l’urgente problema della salute del nostro pianeta sia lungi dal toccare la teologia istituzionale.

Afferma Francesco: «Rivolgo un invito urgente a rinnovare il dialogo sul modo in cui stiamo costruendo il futuro del pianeta» (Laudato si’, 14). Tale invito è realmente urgente, ma è altrettanto urgente ripensare le nostre categorie teologiche, in quanto le nostre azioni e i nostri pensieri non possono trovarsi in contraddizione se abbracciamo una prospettiva di ricerca dell’equilibrio ecologico o della cura reale della nostra casa comune.

In questo invito, quale sarebbe il ruolo delle Chiese in ciò che hanno di più caratteristico? Quale sarebbe il ruolo delle teologie? Non abbiamo risposte che indichino una riflessione diversa da quella abituale.

Quando ci atteniamo ai testi più teologici della Laudato si’, abbiamo l’impressione che il papa si richiami a un modo di vivere e di intendere il cristianesimo cattolico romano all’interno di alcuni parametri fino a un certo punto assunti come inamovibili. (…). È come se tutto ciò che viviamo, facciamo, pensiamo all’interno del cristianesimo fosse protetto da un ampio ombrello a noi concesso o “rivelato” in anticipo da un essere superiore. Possiamo muoverci, ma sempre sotto di esso e assicurandogli la nostra obbedienza.

I parametri inamovibili danno forma e sostengono, in un certo senso, il pensiero di Francesco, per quanto molte volte le sue azioni sembrino sfuggire loro. Tali parametri segnano anche la sua antropologia o il suo modo di intendere gli esseri umani e la loro relazione con Dio. Per mostrare tale mescolanza di parametri antropologici mutevoli e immutabili, mi richiamerò, sempre a titolo di esempio, alla fine del paragrafo 61 della Laudato si’.

Il papa utilizza una frase che non è sua, ma che impiega per esplicitare ciò che ha in mente e che giustifica la sua citazione: «Se lo sguardo percorre le regioni del nostro pianeta, ci si accorge subito che l’umanità ha deluso l’attesa divina». Che vuol dire che l’umanità ha frustrato le aspettative divine? Esiste un’aspettativa divina pre-determinata? Chi la conosce? Oserei dire che questa frase rivela una visione nella quale Dio, in una certa misura antropomorfizzato, avrebbe un piano pre-stabilito per l’umanità che sarebbe stato frustrato dagli esseri umani. Sarebbe una specie di tradimento umano al piano divino, come se sapessimo quale sia questo piano (…). Non è difficile indovinare che si tratta di un piano che esige relazioni di giustizia, di sostenibilità e di rispetto per tutti gli esseri viventi nel pianeta. Un piano che esige la realizzazione di una specie di ordine positivo che è inamovibile dai suoi inizi. Neppure è difficile intravedere come in questa frase appaia tra le righe il peccato originale, il peccato della disobbedienza e della rottura di un’armonia primitiva. Tale rottura comporta, per essere sanata, la venuta di Gesù, il Figlio di Dio, che ci offre il cammino per la redenzione e per il ritorno all’armonia del principio.

Potremmo insistere a commentare queste idee già ben note, ma credo che ciò sia sufficiente a cogliere cosa significa un parametro immutabile con le sue conseguenze attuali. Detto altrimenti, è come se ci fosse qualcosa non soggetto alle trasformazioni e ai movimenti inerenti alla vita e questo qualcosa includesse o significasse un piano di Dio pre-determinato al quale dobbiamo obbedire.

Tale posizione contraddice la prospettiva scientifica dell’origine del pianeta, della mutevole condizione umana e della complessità evolutiva della vita. Credere e vivere in base a questa credenza immutevole dà fondamento al  potere di governo della Chiesa. Ma è possibile che da più di duemila anni, o anche dalla presunta creazione, si stiano tradendo i piani divini? Non c’è forse nella reiterazione di questa teologia, nella ripetizione degli stessi testi, delle stesse spiegazioni, della stessa esegesi una specie di diminuzione della stessa forza creativa della Terra nella sua energia creativa e continuamente in trasformazione? (…) Non c’è forse in questo immobilismo di principi teologici una intenzione di dominio e di controllo? (…).

L’ambiguità antropologica nella Laudato si’

Nel riferirci all’ambiguità antropologica nella Laudato si’ consideriamo appena alcune difficoltà presenti nei diversi comportamenti e ruoli umani che l’enciclica sembra ignorare. Probabilmente molte persone diranno che le ambiguità sono inevitabili. E di fatto lo sono, ma alcune rappresentano qualcosa di più di normali ambiguità, nella misura in cui rafforzano relazioni di ingiustizia sociale ed ecologica. (…). Manca all’enciclica la prospettiva della dinamica della vita, che è sempre più grande delle leggi stabilite e dei dogmi della religione. Tale prospettiva si fonda sul fatto che i differenti disastri ecologici sono vissuti ed esplicitati in maniere diverse da uomini e donne a partire da una asimmetria di genere che non è stata considerata nel documento del papa. L’enciclica privilegia, quasi esclusivamente, le informazioni provenienti da soggetti maschili. In parole semplici, possiamo dire che, dal disastro di Chernobyl, per fare solo un esempio, sono state le donne, a partire dalla necessità urgente di cercare alimenti per i propri figli e figlie, a denunciare esplicitamente la costruzione delle centrali nucleari. Non solo questo: esse hanno denunciato anche la distruzione dell’agricoltura familiare, la mancanza di alimenti sicuri, la proliferazione di malattie sconosciute, l’insicurezza emozionale in cui hanno vissuto a causa di progetti di sviluppo pensati senza i dovuti criteri di prevenzione e di salvaguardia delle molte forme di vita. Le donne hanno trasgredito in molte occasioni gli “ordini maschili” di distruzione delle foreste o di sostituzione delle coltivazioni di fagioli e verdure con piantagioni di eucalipto. Basta fare riferimento agli annali dei movimenti di donne in differenti Paesi per cogliere il contenuto di molte delle loro lotte. Molte sono state assassinate, altre sono state imprigionate per il loro impegno a favore di molte vite e della vita del pianeta. Nulla di tutto ciò appare nel testo.

(…). Non si esprime in maniera chiara la portata di una considerazione plurale dei ruoli che si registrano nella distruzione degli ecosistemi e delle diverse iniziative nei processi di salvaguardia della vita. Si pone maggiormente l’accento sulle teorie globali scientifiche senza affrontare le pratiche di sopravvivenza inerenti alla preservazione della vita quotidiana.

In questo senso, nel corso della storia della teologia e delle differenti Chiese, sono stati principalmente i corpi maschili quelli che hanno esplicitato i problemi della società, gli orientamenti per risolverli e i contenuti di fede che avrebbero dovuto essere assunti dai fedeli. E non sono stati uomini qualunque a svolgere tale funzione… Erano soprattutto gli uomini che facevano parte del clero quelli che credevano non solamente di rappresentare storicamente Dio, ma di costituire quegli esseri “privilegiati” o “eletti” in grado di amministrare la grazia divina. Le donne hanno sempre dovuto sottomettersi alla dottrina insegnata e neppure hanno potuto ambire a far parte del magistero ecclesiastico o ad avere funzioni di rappresentanza nelle proprie comunità. Le loro voci erano assai poco ascoltate da coloro che detenevano il potere nella vita pubblica ed ecclesiale. Il limite biologico imposto ai loro corpi per il fatto di non essere uomini le ha private, e ancora le priva in molti luoghi, dell’accesso a molte conoscenze teologiche e della rappresentazione simbolica del divino.

Per quanto tale situazione sussista all’interno delle Chiese ufficiali e particolarmente della Chiesa cattolica romana, si assiste nel XXI secolo a un cambiamento significativo in relazione a questa forma di razionalità e alla sua espressione nelle diverse credenze religiose. Di fatto, papa Francesco ha iniziato a cogliere qualcosa in questa linea, aiutato dalle tante pressioni ricevute da gruppi di donne. Tuttavia, la sua posizione verso di noi, verso noi donne, continua a essere ancora molto limitata, arrivando a volte a essere infantile e ingenua. Malgrado alcune iniziative, il fatto è che le questioni relative ai diritti delle donne quasi non avanzano all’interno della Chiesa cattolica romana.

Molti gruppi di donne hanno colto, nel corso del secolo scorso e dell’attuale, la complicità delle Chiese cristiane nei confronti di molte forme di esclusione, rispetto non solo alle funzioni all’interno delle Chiese, ma anche ai diritti sociali inerenti alle donne e agli obblighi relativi alla nostra casa comune. Le innumerevoli sofferenze di molte di noi e la coscienza del fatto che parte della dottrina cristiana trasmessa a partire da una logica gerarchica e patriarcale giustificava la nostra sottomissione, ha portato all’elaborazione delle molte teologie femministe. E qui, nel riferirmi al femminismo e nell’aderire a questa corrente di pensiero, commetto forse un peccato, in base alla prospettiva di papa Francesco, il quale, in diversi momenti, ha condannato il femminismo, la maggior parte delle volte senza comprendere in profondità la serietà della sua portata sociale, politica o religiosa, esprimendo, come altri uomini e anche alcune donne, la difficoltà di una Chiesa patriarcale governata da teste maschili a sentirsi solidale con la lotta per la dignità femminile in questo secolo. Queste persone non riescono neppure a pronunciare parole come “femminismo” in maniera positiva, a parte il fatto di disconoscere quasi completamente le tesi femministe contemporanee e le tesi ecofemministe.

Possiamo ammettere un certo tipo di solidarietà gerarchica maschile di fronte a situazioni limite espresse, soprattutto, nelle diverse forme di violenza fisica, culturale e sociale contro le donne. (…). Tuttavia, molte forme di esclusione, svalutazione, violenza simbolica, mancanza di autonomia, linguaggio escludente, difficilmente vengono riconosciute, soprattutto quando avvengono all’interno della stessa istituzione cattolica. Non vogliono udire i clamori delle donne con cuore aperto, ignorando come tali clamori siano parte dell’ecologia integrale che difendono a livello teorico.

In questo senso, quello che percepiamo è una specie di “politica di buon vicinato” che (…) include discorsi sempre generali o universalistici, in cui si esprimono ampiamente denunce socioeconomiche o politiche, ma senza nomi propri, senza destinatari precisi. (…). Per esempio, (…) per alcuni gruppi, i discorsi papali non indicano i soggetti storici concreti che sono, in certa misura, i maggiori responsabili del fenomeno del “riscaldamento globale”. (…). Ci piacerebbe udire dal papa, e anche dai rappresentanti della Chiesa, un riferimento esplicito alla responsabilità non solo dei cosiddetti Paesi ricchi, ma anche degli uomini che sono a capo delle politiche di distruzione della fauna, della flora e delle popolazioni escluse. Ci piacerebbe inoltre che ci si dedicasse di più ad analizzare il nefasto inquinamento che le loro teologie hanno prodotto sul corpo della terra e, particolarmente, sui corpi delle donne. (…).

Sulla stessa linea (…), è necessario avere chiaro che esistono alcune persone e alcuni gruppi o Paesi che sono a capo delle grandi industrie di armamenti, di quelle produttrici di veleni chimici, di quelle farmaceutiche che, nel nome del profitto, sacrificano vite umane e ambiente. (…). Ci piacerebbe sentir nominare più esplicitamente le responsabilità, oltre il romanticismo religioso che ci caratterizza. E questa non è solo la missione del papa, ma di tutti noi. In un modo o nell’altro, abbracciando la cura del nostro pianeta, dovremmo solleverci come giudici del mondo capitalista consumista e denunciare il saccheggio della terra che si esprime nelle differenti forme di spoliazione praticate dai poteri normativi del nostro mondo. (…).

Il papa ha ribadito, in forma rinnovata e piacevole, la teologia cattolica del passato e ciò rende anche lui piacevole, generando in molti l’illusione che si stia entrando in un tempo nuovo, una primavera per la Chiesa cattolica romana. Ma dimenticano che in questi tempi difficili “una rondine non fa primavera”; che, cioè, la voce del papa, da sola, non altera le forze di produzione e di corruzione presenti nella globalizzazione attuale. (…).

Che significa superare l’antropocentrismo nella pratica di vita delle comunità cristiane?

Il papa denuncia un «antropocentrismo dispotico che non si interessi delle altre creature» (Laudato si’, 68). E usa la Bibbia come esempio e come fondamento per azioni rispettose nei riguardi degli animali e degli altri esseri viventi. È vero che molti testi biblici, particolarmente la Genesi, includono tutta la creazione come opera divina. Ma non sempre la teologia ecclesiastica ha seguito questa logica di inclusione delle diverse forme di vita come orientamento per la vita delle comunità. Al contrario, sappiamo assai bene come la teologia, nelle sue molteplici elaborazioni nel corso dei secoli, abbia messo da parte “le altre creature”, rivolgendo il proprio interesse esclusivamente sull’essere umano e in modo speciale sull’essere umano maschile. E ciò ha determinato senza dubbio lo sviluppo di un paradigma teologico potentemente antropocentrico e androcentrico a cui il papa non si riferisce molto, benché egli stesso viva, in un certo senso, a partire da esso. (…).

Nel paragrafo seguente, Francesco afferma che «proprio per la sua dignità unica e per essere dotato di intelligenza, l’essere umano è chiamato a rispettare il creato con le sue leggi interne» (Laudato si’, 69). Non sarà che il papa (…), con questa affermazione, ci sta ponendo dinanzi a una riflessione piuttosto ingenua sull’intelligenza umana? Non è forse per questa stessa intelligenza che ci distruggiamo reciprocamente? (…). I discorsi generici corrono il rischio di ignorare che la nostra intelligenza, la nostra volontà, i nostri sentimenti e le nostre emozioni (…) non nascono già formati, al di là del fatto che non sono uguali per tutta la specie umana. (…). Per questo, l’intelligenza deve essere educata dal complesso della vita per essere rispettosa del “prossimo” nella sua diversità vitale.

La specie umana (…) è parte della comunità di vita della Terra. Siamo geneticamente connessi a tutta la comunità degli esseri viventi provenienti da uno stesso impulso originario. E in questo impulso la costruzione positiva convive con la negatività, con la forza distruttiva che caratterizza la nostra lotta per la sopravvivenza. L’intelligenza si inscrive in questa complessa mescolanza che ci costituisce.

Inoltre, tornando al testo, perché parlare di “dignità unica” dell’essere umano, quando in realtà viviamo in una interdipendenza senza la quale non sopravviveremmo? Possiamo anche dire, come affermano alcuni, che “siamo il pensiero della terra”, ma un pensiero che sopravvive solamente vivendo di tutto ciò che è vivo sulla Terra. (…).

Molte teologhe femministe in diversi Paesi hanno lavorato per recuperare e costruire collettivamente un cristianesimo etico inclusivo che, senza dubbio, è caratterizzato da tradizioni plurali presenti già alle sue origini. E, così facendo, hanno trasformato la percezione maschile, considerata unica, introducendo la diversità di sguardi, pensieri ed esperienze.

Attraverso questi pochi esempi, possiamo affermare che la teologia cristiana cattolica deve recuperare la dimensione cosmica ed ecologica a partire da un’antropologia in grado di ascoltare la diversità degli esseri umani intrinsecamente ed estrinsecamente uniti a tutti gli esseri viventi. E in questa prospettiva riconfigurarsi a partire dai riferimenti che parlano al complesso mondo di oggi. Senza dubbio, questo ci porterebbe a rivedere il nostro Credo, adattandolo alle molteplici forme possibili e temporali  di espressione dei nostri valori.

Dio, una metafora

L’utilizzo del termine nei documenti del papa, anche nella Laudato si’, è una pacifica conseguenza del suo pensiero. È come se Dio fosse un’evidenza. Se ci soffermiamo un po’ di più sull’utilizzo di questa parola nei documenti pontifici, essa appare come una metafora del potere più elevato, dell’amore puro, della giustizia nel suo più alto livello, del bene supremo… Tuttavia questa metafora rivela anche (…) come queste affemazioni provengano in particolare dal mondo maschile, abituato ai conflitti storici di potere (…). Manifestare questo potere soprattutto attraverso un linguaggio potente in nome di un essere assoluto che presiede la vita sulla terra e nei cieli, che domina l’universo e che ha tutta la creazione ai suoi piedi non è forse un’espressione dei sogni umani di onnipotenza?

Inoltre, questo essere, l’Altissimo, l’Assoluto, l’Immutabile, che presiede tutti i mondi conosciuti e sconosciuti, che conosce tutti i pensieri, che sa quanti capelli vi sono sulla nostra testa, Magnanimo e Potente, è un Signore il cui volto storico è, fondamentalmente, maschile!

Questa potente metafora è, precisamente, una metafora antiecologica, contraria al mondo della natura e alla sua costante evoluzione. È una metafora che contribuisce alla distruzione del pianeta, rafforzando un antropocentrismo gerarchico con poteri dittatoriali.

Perché non ci apriamo ad altre metafore per esprimere il mistero che coinvolge la vita dei più diversi esseri? Perché non esprimerci con parole mobili che non corrono il pericolo immediato di dare forza a espressioni emanate da semplici uomini armati di poteri religiosi istituzionali? (…).

Evidentemente, questo cambiamento culturale non è semplice, perché ci siamo abituati a una figura che sa tutto, presiede tutto, determina tutto e da cui facciamo dipendere la vita e la morte. Non è semplice cercare di salire da questa idea di Dio come controllore dell’universo e, soprattutto, del mondo umano, per entrare in quella di Dio come fonte di vita, vento, aria che respiriamo… (…). Più in là delle idee di causalità e finalità, per le quali abbiamo bisogno di un punto iniziale e di un punto finale, accogliere l’idea della trasformazione permanente della vita, di tutte le vite, e restare in silenzio di fronte al mistero che ci abita. In fondo, sappiamo molto poco… Semplicemente accogliere questo non sapere, queste incertezze, la fragilità della bellezza e della gioia di ogni giorno. Una posizione nuova e diversa esige molti anni di educazione e di cambiamento progressivo dei poteri di organizzazione e di rappresentanza nelle nostre comunità.

L’universo, realtà viva e metafora in evoluzione

A volte, abbiamo l’impressione che i discorsi teologici che ascoltiamo nelle chiese parlino dell’universo come una cosa, un oggetto quasi descrivibile creato da Dio. Siamo persino arrivati a identificare l’universo con una notte stellata in cui possiamo distinguere pianeti, satelliti e stelle. Tutto sembra calmo e tranquillo, suscitandoci desideri di tranquillità e di pace. Oggi, tuttavia, la scienza ci rimanda una straordinaria e spaventosa immagine dell’universo o una metafora dell’universo come realtà in trasformazione e in espansione. E questa evoluzione sembra piena di esplosioni violente che hanno permesso a nuove configurazioni di emergere, fino all’irruzione della vita, e poi fino alla vita umana.  (…). Immaginavamo una serena armonia della creazione divina dell’universo, della terra e degli esseri umani, e questa armonia tranquilla era immaginata come l’ideale da raggiungere. Oggi siamo ormai consapevoli della presenza violenta di questi processi creativi, pur accompagnati da tanta bellezza.

In certo modo, tutta questa violenza è rimasta inscritta anche in noi, capaci di riprodurla gli uni contro gli altri e contro la Terra, pianeta di cui siamo anche corpo.

Stiamo vivendo nel presente un enorme processo di distruzione planetaria del “mondo naturale”. (…). E questo perché crediamo che tutto può e deve servire alle necessità dell’essere umano, considerato il punto di convergenza del pianeta. Necessità, tuttavia, che non riguardano tutti gli esseri umani, ma esclusivamente i privilegiati del darwinismo sociale che ci caratterizza. (…).

Non sarebbe il momento di aprirci a una metafora viva dell’universo come nostro corpo, corpo di Dio (…)? Otterremmo così un’inclusione della trascendenza non solo nella verticalità, ma anche nell’orizzontalità e nella circolarità delle nostre molteplici relazioni. L’esperienza della trascendenza si dà in ogni momento della vita nella misura in cui percepiamo che le individualità o le singolarità non sussistono per sé sole. Siamo individui collettivi, non solo per quanto riguarda noi esseri umani, ma anche rispetto alla collettività della Terra e dell’universo. (…).

La nostra belligeranza o conflittualità è arrivata al limite estremo e in questo contesto storico non si tratta appena di salvaguardare la vita umana o la vita di una foresta, ma di mettere a punto un progetto collettivo di salvezza della terra come comunità viva di molti esseri viventi. (…). Per questo, le questioni relative alla distruzione della Terra e delle sue differenti specie non rappresentano unicamente questioni di ordine antropologico, biologico, geologico o ecologico, ma questioni di sopravvivenza comune. Gli esseri umani sono appena una dimensione della Terra e la Terra è una minima espressione dell’universo e l’universo invita al silenzio e alla contemplazione del mistero più grande in cui viviamo e  siamo e di cui sappiamo tanto poco. Per noi, inoltre, credenti in un Mistero più grande che ci avvolge, costituisce un’esigenza teologica la rilettura delle nostre tradizioni religiose alla luce delle nuove sfide che la vita e la conoscenza ci impongono. (…).

Questa missione tocca anche le nostre Chiese e le nostre teologie. Si tratta di accoglierla, e accogliere la “Fonte” o “esplosione stellare” che ci ha generato e ci ha reso partecipi di questa vita. È questa che ci rivolge questo invito a lasciarci attrarre dalle forze creatrici dello spirito che non può essere contenuto da nessuna dottrina, ma che soffia dove vuole e continua il suo corso più in là di tutti i dogmi e di tutte le previsioni.

Breve conclusione

(…). Senza alcuna pretesa di presentare un nuovo modello di pensiero ecologico-teologico, ho cercato di porre l’accento su aspetti critici che sembrano importanti, ma che sono stati dimenticati o ignorati nell’enciclica di papa Francesco. Ho tentato di (…) mostrare la complessità della vita e, soprattutto, la difficoltà della teologia tradizionale a rispondere al momento attuale. Nuovi processi di riflessione su nuove tradizioni si rivelano urgenti per non tradire la vita che è in noi. Gli antichi già ci dicevano che in ogni trasmissione di tradizioni vi sono anche tradimenti. (…). Mi piacerebbe abbracciare i tradimenti orientati alla novità, la trasgressione creativa come risposta alla molteplice necessità del momento.

Per questo, perseguitare e mettere a tacere i pensieri giudicati come tradimenti significa, in certo modo, distruggere la vita nuova che sorge. Credo nell’impossibilità di mantenere intatta una Tradizione se la vogliamo viva, perché può vivere solo nei nuovi tradimenti/nuove tradizioni che rispondono al momento attuale della vita. Per tale motivo la teologia femminista sviluppò il “metodo del sospetto” ogni volta che il protagonismo delle donne nelle comunità cristiane non era presente nei discorsi ufficiali.

E ora, nella prospettiva ecofemminista, non si tratta più solo del protagonismo femminile, ma anche dell’apertura a una visione più inclusiva della centralità e della diversità della vita che percepiamo nel presente (…). Per questo dobbiamo proporre processi educativi lenti ed efficaci che costruiscano e ricostruiscano in noi una nuova sensibilità e una nuova razionalità. (…).

Sentire la vita… Pensare la vita… Credere nella vita… Amare la vita… Prenderci le mani, intrecciarle, cercando sempre il nuovo…

 

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