va eliminato non il povero ma la povertà

si vuole rimuovere chi «disturba»

eliminare la povertà non gli ultimi


Camillo Ripamonti
 

Alzi la mano chi non desidera una città in cui il trasporto pubblico sia efficiente e continuativo, una città in cui l’inquinamento non sia una presenza con cui convivere. Una città in cui un lavoro sia un diritto e non un privilegio. In cui i nidi siano una possibilità accessibile per tutte le famiglie, in cui la scuola di tutti non abbia bisogno di donazioni periodiche di carta igienica e matite colorate, in cui prenotare un’ecografia in un servizio pubblico non richieda 6 mesi di attesa, in cui chi arriva da un altro Paese non per turismo possa immaginare percorsi di integrazione e non di abbandono.

Tutto lascia intendere però che viviamo in un Paese in cui le politiche sociali non rappresentano una priorità, in cui la noncuranza, la superficialità, l’immobilismo limitano fortemente l’accesso delle persone a servizi basilari che diventano sempre più un privilegio. Oggi sembrerebbe che chi ha la responsabilità di guidare il nostro Paese abbia deciso di partire dalla sicurezza e dal decoro. E allora quello che non si riesce a ottenere attraverso politiche sociali serie che si mettano al passo di chi è più fragile e svantaggiato lo si risolve allontanandolo dalla vista (per decoro) o voltando la faccia e dicendo che il problema non esiste perché non esiste chi rimane indietro, e forse dopo tutto, per alcune categorie (senza dimora, migranti carcerati), è un po’ colpa loro se rientrano nella cultura dello scarto. Pensiamo nei giorni scorsi a Roma e Milano.

Assolutamente in linea con questo ragionamento è parso ovvio che la povertà, la cultura dello scarto, si risolve allontanando i poveri dalla nostra vista. Milano e Roma in quelle occasioni hanno mostrato il loro aspetto peggiore, quello più debole, anche se si è mostrato il lato forte, l’aspetto muscolare: quanto di più lontano c’è dalla città in cui vorremmo vivere. Quanta distanza, quanto stridore tra quello che vorremmo e quello che ci sta accadendo, o meglio, quello che la politica ci sta offrendo. Aveva ragione papa Francesco quando, nell’udienza generale del 5 giugno 2013, lanciava l’allarme: «La persona umana è in pericolo: questo è certo, la persona umana oggi è in pericolo, ecco l’urgenza dell’ecologia umana! E il pericolo è grave perché la causa del problema non è superficiale, ma profonda: non è solo una questione di economia ma di etica e di antropologia».

Abbiamo la responsabilità di eliminare la povertà e le sue cause: sbagliato e pericoloso pensare di poter eliminare dalla vista fisicamente i poveri, e nel caso dei poveri migranti eliminarli proprio fisicamente abbandonandoli nel mare (anche delle polemiche) o nel deserto. Non si può eliminare chi non ci piace, chi puzza, chi dà fastidio, frutto dell’odierna cultura dello scarto. Un povero «che muore non è una notizia, ma se si abbassano di dieci punti le Borse è una tragedia! Così le persone vengono scartate, come se fossero rifiuti». L’unico modo per ottenere la decorosa armonia di vita cui tutti ambiamo è trovare soluzioni, alternative, che accrescano ogni giorno di più la gamma dei diritti esigibili dal maggior numero possibile di persone. Occorre tornare all’idea che il godimento dei diritti civili sia sciolto da vincoli di cittadinanza intesa come una cittadinanza escludente. I diritti ineriscono l’uomo e tutto l’uomo.

*sacerdote, presidente Centro Astalli Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati in Italia




i gesuiti dalla parte dei poveri

la 36esima Congregazione dei gesuiti

«Guardate il mondo con gli occhi del povero»


 

l’invito di padre Sosa ai gesuiti: «guardate il mondo con gli occhi del povero

La visita di papa Francesco alla curia dei gesuiti il 24 ottobre 2016 con accanto il preposito Arturo Sosa

la visita di papa Francesco alla curia dei gesuiti il 24 ottobre 2016 con accanto il preposito Arturo Sosa

un discernimento per andare nelle periferie del mondo

«Vedere il mondo con gli occhi del povero». E’ uno dei passaggi più significativi dell’omelia pronunciata nella con cui il neo preposito dei gesuiti il venezuelano Arturo Sosa Abascal sabato 12 novembre ha chiuso la 36esima Congregazione generale. La celebrazione eucaristica si è svolta nella chiesa di Sant’Ignazio in campo Marzio (dove tra l’altro riposano le spoglie dei santi Luigi Gonzaga e Roberto Bellarmino e dell’unico papa sepolto in un luogo di culto della Compagnia di Gesù a Roma Gregorio XV). Padre Sosa (succeduto alla guida dei gesuiti allo spagnolo Adolfo Nicolás Pachón dal 14 ottobre scorso) nella sua omelia ha ricordato come gli Esercizi Spirituali di Sant’Ignazio si fondino sulla contemplazione come strumento attraverso il quale raggiungere Dio. «L’amore si deve dimostrare più nelle opere che nelle parole – ha detto il superiore dei gesuiti – ed è uno scambio dove ciascuno dona tutto ciò che ha e tutto ciò che è». Di qui l’invito rivolto ai suoi confratelli: «Il nostro discernimento ci porta a vedere questo mondo con gli occhi dei poveri e a collaborare con loro per far crescere la vita vera. Ci invita ad andare alle periferie e a cercare di capire come affrontare globalmente l’integralità della crisi che impedisce le minime condizioni di vita alla maggioranza dell’umanità e mette a rischio la vita sul pianeta terra per aprire spazio alla lieta notizia».

un’immagine di Arturo Sosa Abascal durante la sua “prima” Messa da generale al Gesù di Roma

la centralità dell’apostolato intellettuale

Il preposito della Compagnia di Gesù ha rinnovato l’impegno dell’istituto a puntare sul discernimento come strumento efficace per combattere la superficialità e l’ideologia. «Il nostro apostolato — ha continuato — è, perciò, necessariamente intellettuale. Gli occhi misericordiosi, che abbiamo acquistato nell’identificarci col Cristo in croce, ci permettono di approfondire la comprensione di tutto ciò che opprime uomini e donne nel nostro mondo».

«sconvolti dalle testimonianze dei fratelli nelle zone di guerra»

Di grande impatto – nella omelia e nella celebrazione eucaristica a cui hanno partecipato i 212 religiosi delegati della 36 Congregazione generale – sono state le parole pronunciate da padre Sosa per ricordare a tutti i gesuiti le «testimonianze dei nostri fratelli in condizioni di guerra». Le ferite dei conflitti infatti fanno crescere i flussi dei rifugiati e aumentano le sofferenze dei migranti.«Le disuguaglianze tra i popoli e all’interno delle nazioni son il segno del mondo che disprezza l’umanità», ha detto, precisando che la politica intesa come arte della negoziazione per il bene comune «continua a indebolirsi».

un momento della sessione finale a Roma della 36esima Congregazione generale dei gesuiti a Roma

«compagni nella missione di riconciliazione e giustizia»

Nella sede della Curia generale dei gesuiti a Roma durante la sessione finale nei giorni scorsi di novembre sono stati approvati i documenti finali della 36esima Congregazione generale . I testi saranno la bussola di orientamento nei prossimi anni per l’apostolato e l’azione di tutti i gesuiti sparsi nel mondo (16.740 religiosi, divisi in 12mila presbiteri, 1.300 fratelli, 2.700 scolastici e 753 novizi). I documenti riprendono idealmente i decreti della precedente Congregazione generale la 35esima (celebratasi nel 2008). In questo decreti vengono riconfermati i tratti salienti dello stile di annuncio che spetta ai gesuiti nel mondo di oggi mettendo al centro parole chiave come discernimento, missione come passione (dove tutti i sacerdoti e fratelli della Compagnia sono chiamati ad “essere uomini che bruciano per il Vangelo”) e ribadendo l’essenzialità di una pratica fondamentale per la spiritualità ignaziana: gli Esercizi Spirituali. Tra i dati originali di questi decreti finali vi è stata la riaffermazione di concetti – (già presenti in altre Congregazioni come la 32esima, quella guidata da Pedro Arrupe nel 1974) come riconciliazione, giustizia e lotta alle disuguaglianze sociali. Negli atti finali infatti della Congregazione è stata ribadita la centralità della riconciliazione con Dio, con l’umanità – in modo speciale attraverso il ministero di pace e giustizia che lotta contro le disuguaglianze – e con il Creato, avendo come modello di riferimento e di ispirazione l’enciclica di papa Francesco la Laudato si’. L’invito e la sollecitazione dei 212 gesuiti al loro neoeletto generale Arturo Sosa Abascal è stata inoltre quella di indicare loro le linea guida della vita apostolica nel difficile contesto odierno per l’Ordine aiutandoli a continuare ad essere «persone di buona volontà che affrontano l’oscurità del mondo consolati dal fuoco dell’amore di Cristo».

un’immagine che ritrae il logo della 36esima

Filippo Rizzi




oggi è la festa della terra

chiesa cattolica e ambiente

dai gesuiti al Sudamerica, i religiosi che vogliono proteggere il Creato

Indubbiamente, la recente campagna referendaria ha visto nell’interesse specifico della Chiesa Cattolica per il tema ambiente, uno degli elementi di novità. Questo è il frutto della politica adottata da Papa Francesco che con l’enciclica “Laudato Sì” ha richiamato il tema ambientale all’attenzione del mondo cattolico e non solo. Papa Francesco ha dimostrato vivo interesse per i temi sociali della contemporaneità; per quanto riguarda il tema ambientale, il suo interesse deriva sicuramente anche dal fatto di appartenere all’Ordine dei Gesuiti, che da decenni hanno affrontato il tema.

Si comincia a parlare di “ecogesuiti” nel 1983, quando durante la 33a Congregazione Generale vengono prodotti i primi documenti di riflessione sulle teorie e modalità di produzione economica. La svolta è però del 1999, quando viene pubblicato il documento “Noi viviamo in un mondo frantumato” che pone in evidenza come l’uomo si sia separato dalla natura e come la frattura stia danneggiando il Pianeta e l’uomo stesso. Nel 2008, la 35a Congregazione Generale ritorna sul tema ambientale e nel 2011 arriva il documento: “Ricomporre un mondo frantumato” che ragiona sulle possibili soluzioni ai mali ambientali della nostra epoca.

Inoltre, c’è da sottolineare come la Chiesa Sudamericana – da cui proviene l’attuale Pontefice – sia spesso schierata in difesa dell’ambiente e delle popolazioni indigene: padre Erwin Krautler, della diocesi brasiliana di Xingù, lotta da anni contro il progetto della centrale idroelettrica di Belo Monte ed è stato incaricato da Papa Francesco di collaborare all’enciclica sui poveri e sul creato. Per le sue posizioni a favore delle tribù indigene vive sotto scorta; l’Arcivescovo peruviano Pedro Barreto, presidente del Dipartimento di Giustizia e Solidarietà del Consiglio Episcopale Latinoamericano, si è schierato contro il complesso metallurgico Doe Run-La Oroya. Per le sue attività a favore dei più poveri è stato insignito di diversi premi; il sacerdote argentino Omar Quinteros ha lottato accanto agli abitanti di Famatina per impedire l’apertura di una miniera che avrebbe contaminato l’area con cianuro e ridurrebbe la disponibilità di risorse idriche per la popolazione locale; il vescovo brasiliano di Roraima, Roque Paloschi (autore di un documento che denuncia decine di progetti di centrali idroelettriche in Amazzonia) ha parlato del problema ambientale davanti alla Comision Interamericana de Derechos Humanos, assieme a Pedro Barreto e al Vescono guatemalteco di Huehuetenango, Alvaro Ramazzini, che tuona da tempo contro 4 miniere legali e le 168 non autorizzate che stanno deturpando il suo paese. Nella chiusura del progetto minerario contro cui si battevano gli abitanti di Famatina, in Argentina, fondamentale è stato l’intervento del Vescovo della diocesi Monsignor Marcelo Daniel Colombo che ha a lungo insistito sulla necessità del consenso da parte delle popolazioni locali in situazioni in cui lo sviluppo economico può causare danni all’ambiente e alla salute.

Durante la recente campagna referendaria diversi vescovi e Conferenze Episcopali hanno espresso un forte richiamo alla necessità di intraprendere in modo convinto la strada delle rinnovabili e di uno sviluppo compatibile con l’ambiente.

Tuttavia, non tutta la Chiesa sembra avere intrapreso con coraggio questa strada.
È di poche settimane fa la polemica che ha investito la diocesi di Siracusa in Sicilia, dopo che il Vescovo aveva deciso di rimuovere il parroco di Augusta, Don Palmiro Prisutto, reo di aver introdotto un’innovazione nella liturgia della messa domenicale: resosi conto di quanti funerali celebrava, ha deciso di elencare, ogni settimana, i nomi dei parrocchiani morti di tumore e altre patologie. È il modo che il parroco ha trovato per denunciare l’impatto sull’ambiente e sulla salute del polo petrolchimico di Augusta-Priolo-Melilli. Tutte le istituzioni, tra cui il Sindaco del paese e il sostituto procuratore che segue l’inchiesta sull’impatto ambientale delle imprese dell’area, si sono schierate a sostegno del parroco che già aveva il sostegno dei fedeli. Alla fine il Vescovo ha dovuto fare marcia indietro.