da ateo ho imparato dal card. Martini

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Giulio Giorello 

La lezione di Martini. Quello che da ateo ho imparato da un cardinale

Martini vivant! avrebbe scritto un altro più celebre ateo, Jean Paul Sartre. Scorrendo infatti le pagine commosse di questo libro non possono che venire in mente gli elogi post mortem che il filosofo dell’esistenzialismo aveva profuso ai suoi amici-avversari (Merleau Ponty o Camus giusto per fare qualche nome). Giorello marca le differenze emotive e sostanziali con il cardinal Martini, ma ne traccia un ritratto di uomo e pastore intellettualmente onesto e aperto al dialogo. Un libro che acquista un sapore nuovo in tempi in cui un papa emerito scrive a un matematico impertinente e un papa in carica risponde alle sollecitazioni del decano dei giornalisti dichiaratamente ateo. Tempi di interlocuzione e confronto, dunque. Ma ne “La lezione di Martini” c’è una pregnanza ulteriore. Finanche qualcosa da imparare, per un ateo, da un principe della Chiesa. Con un velo di ironia Giorello dichiara che taluni atei integralisti non gli perdoneranno l’ammirazione che egli nutre per Martini che chiamerà ad un certo punto “il mio arcivescovo”.

Giorello venne chiamato proprio da Martini alla “Cattedra dei non credenti” che il cardinale volle nella diocesi ambrosiana. Niente a che vedere con l’annacquato Cortile dei Gentili di ravasiana memoria, ma un luogo irripetibile di confronto tra credenti ed atei pensanti, che i successori Tettamanzi e Scola non saranno all’altezza di ripetere. Tra queste pagine vengono riportati alcuni stralci delle lezioni martiniane (in particolare l’XI sessione) alla “Cattedra” e a emergere è una figura che guarda al relativismo non come una iattura ma come atteggiamento propedeutico per la ricerca della verità, un rifiuto endemico per ogni egemonia (foss’anche in nome della verità), una rara capacità di ascolto ed interlocuzione. Lo stesso Martini dimessosi da cardinale e in ritiro a Gerusalemme per ritrovare le radici di una Chiesa che riteneva “indietro di almeno 200 anni” e per la quale negli ultimi tempi, in preda al Parkinson che lo costringerà a ritornare in Italia, non cessava di pregare, che ebbe a dire che “la solitudine è forse il carattere più drammatico della vita di ogni essere umano”.

Questa è la lezione profetica di Martini, antesignano di una Chiesa ancora di là da venire perché sono “i sognatori a tenere aperte le sorprese dello Spirito”. Un libro tenue e senza asprezze, ricco di suggestioni e dal profilo etico altissimo, dove aldilà delle latitudini fa capolino la parola “amicizia” che azzera ogni differenza.

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