L’Italia di domani pensata, immaginata, raccontata dai giovani. Giovani rom e sinti, ma non solo.
Dal 19 al 21 settembre scorso, ragazze e ragazzi provenienti da differenti parti d’Italia (25 Rom e Sinti, 5 non Rom) si sono ritrovati a Roma per la convention PrimaveraRomanì, una tre giorni di studio e riflessione promossa dall’Associazione 21 luglio nell’intento di incoraggiare la partecipazione attiva delle comunità rom e sinte nel nostro Paese, per far sentire la propria voce contro ogni forma di discriminazione e in favore dei diritti umani
I giovani sono giunti da Roma, Lucca, Torino, Oristano, Vicenza, Cagliari, Mazara del Vallo e Terni. Nel corso della convention, inoltre, i giovani hanno avuto la possibilità di ascoltare le testimonianze dirette di attivisti rom impegnati in altri Paesi europei.
Nei primi due giorni della convention hanno lavorato in gruppi e a seconda delle loro competenze e dei loro ambiti d’interesse hanno partecipato a uno dei quattro tavoli tematici di discussione: casa, giovani, lavoro e scuola. Al termine dei lavori e delle riflessioni, è stato redatto un documento comune, un Manifesto politico, in cui hanno raccontato il Paese che, insieme, vorrebbero contribuire a costruire e che vorrebbe diventare strumento utile per indicare le migliori pratiche necessarie all’inclusione di Rom e Sinti.
Ne abbiamo parlato con Serena Raggi, attivista per l’Associazione 21 luglio e presidente di una piccola associazione che si chiama Famiglia Malaussène.
Come è andata la convention?
«Sono stati tre giorni di lavoro molto intensi, a cui hanno partecipato rappresentanti delle comunità rom, sinti e anche non rom. Alcuni di origine straniera ed altri italiani. Abbiamo avuto, e ci tendo a sottolinearlo, il sostegno del capo dello Stato, che ci ha mandato una lettera augurandoci di fare un buon lavoro e grazie a questo abbiamo iniziato la convention con uno spirito molto propositivo. Adesso la cosa più difficile è quella di diffondere questo manifesto e far sapere alla gente che abbiamo lavorato per contribuire a combattere tutti quegli stereotipi negativi che circondano l’universo rom. Si sa come vengono trattati questi temi dal mondo dell’informazione: si preferisce insistere sugli aspetti negativi, piuttosto che su quelli in grado di dare un contributo positivo alla società».
Perché avete deciso di realizzare un manifesto politico?
«Abbiamo scelto di realizzare questo manifesto in quanto si tratta di qualcosa di ufficiale, che abbiamo avuto poi la possibilità di portare in una sede istituzionale importantissima quale il Senato. Questa è stata una occasione fondamentale, perché tutte le decisioni importanti vengono prese nell’ambito delle istituzioni, così come quelle che riguardano le comunità rom e sinti».
Di cosa c’è bisogno?
«Ci vogliono dei rappresentati delle comunità rom che partecipino ai tavoli e che siano presenti quando vengono prese delle decisioni che li riguardano direttamente. Il problema fondamentale sta nella conoscenza reciproca e nel fatto che si formulano leggi che si basano più sugli stereotipi che non sulla conoscenza diretta delle persone e delle situazioni. La tristissima vicenda di “Mafia Capitale” è un esempio eclatante. Abbiamo visto quanto si è speculato sul mondo rom. Io mi auguro che al di là di un riscontro politico, che tutti desideriamo profondamente, anche il cittadino comune possa leggere questo documento e venire a sapere che ci sono giovani che vogliono impegnarsi per migliorare questa situazione, perché quello che manca è la conoscenza reciproca. E questo riguarda, ovviamente, anche le comunità rom che, a volte, sono molto sospettose nei confronti della società maggioritaria».
Cosa ti auguri per il futuro?
«Mi auguro che si inizi a parlare dell’universo rom in un modo diverso. Ci sono tanti giovani che lottano per abbattere i molti pregiudizi che circondano le comunità rom Il mondo dell’informazione ha una grossa responsabilità in tal senso. Quando si parla di un italiano che commette un crimine, lo si fa facendo nome e cognome; quando si tratta di un rom, si parla subito dello zingaro. Si arriva in tal modo ad una spersonalizzazione dell’individuo e questo provoca un danno incredibile, al punto che molte persone non vogliono dichiarare di essere rom. Ed è questo il circolo vizioso attraverso il quale si arriva a discreditare tutta una comunità. Nessuno nega che all’interno della comunità rom ci siano tante zone d’ombra; spesso, però, quando si parla dell’universo rom lo si fa basandosi su un immaginario che è ancorato al passato e che non ha più alcun riscontro con l’oggi. Inoltre, nella maggior parte dei casi accade che proprio coloro che parlano male dei rom non hanno mai avuto modo di conoscerne uno. La conoscenza reciproca è fondamentale. Sarebbe importane organizzare tanti eventi al fine di raggiungere una vera condivisione in grado di dare al resto della società una immagine della comunità rom inedita e sconosciuta. A volte basta poco».