è morto il fondatore della ‘teologia della liberazione’, Gustavo Gutierrez

in morte di Gustavo Gutierrez
di Tonio Dell’Olio

in “www.mosaicodipace.it” del 24 ottobre 2024

Non so dire se la vita di Gustavo Gutierrez sia stato un canto ma sicuramente è grido. In nome degli
impoveriti/empobrecidos e degli esclusi. È stata rivoluzione. Perché non può essere eresia la vita di
chi è schiacciato dall’ingiustizia. La teologia della liberazione, che lo celebra come padre, ha detto
semplicemente che il sogno di Dio rivelatosi in Gesù di Nazareth è di riconoscere la dignità di
ciascuno dei suoi figli che si riscoprono fratelli. Le parole “rassegnazione”, “sottomissione”,
“schiavitù” e “oppressione” non hanno condominio nel Vangelo di Cristo e la povertà è una parola
nobile da sposare mentre la miseria è una maledizione che non ammette giustificazioni. “Il grido del
mio popolo è giunto fino alle mie orecchie” dice Dio. Per questo la teologia della liberazione non è
un altro genitivo del pensiero su/di Dio ma piuttosto il tentativo di dare parola al sogno stesso di
Dio, al suo amore per tutte le creature. Se una teologia non è della liberazione che teologia è? Per la
prima volta i poveri si sono seduti in cattedra a spiegare la Bibbia. Senza parole se non quelle della
vita e dell’esodo. Questo è stato il parto di Gustavo Gutierrez che ha tracciato una strada che ora non
si ferma più perché scorre per mille rivoli con nomi e contesti diversi ma sempre come grido, canto
e cammino di liberazione.

la ‘teologia della liberazione’ perde anche il suo fondatore

in morte di Gustavo Gutierrez

di Stefano Biancu

Gustavo Gutiérrez

 

In morte di Gustavo Gutierrez

Nel giorno in cui mi raggiunge la notizia della sua morte, desidero ricordare Gustavo Gutierrez con devozione e affetto.

Ho avuto con lui tre lunghe conversazioni, durate ciascuna molte ore, nel 2015, in occasione di un mio soggiorno di sei mesi negli USA, presso la Notre Dame University dove Gustavo era professore.

Di quelle lunghe conversazioni conservo un ricordo bellissimo e vivo. Percepivo di trovarmi di fronte a un vero credente, a un uomo profondo, ironico (che mi parlava del senso dell’umorismo come di un luogo teologico). Un uomo generoso, che mi aveva dedicato intere ore, mentre i suoi colleghi concedevano abitualmente appuntamenti di non più di 8 minuti. Un uomo libero, senza rancore, nonostante avesse potuto diventare professore soltanto all’età di 75 anni, al termine di un processo canonico nei suoi confronti durato vent’anni e conclusi – come amava raccontare – con un « lei è cattolico».

Durante quegli incontri sentivo di trovarmi davanti a un uomo vero: non un personaggio, come talvolta accade quando si ha a che fare col clero e con gli accademici. Gustavo Gutierrez era stato studente di medicina, poi prete, assistente per decenni degli studenti e dei laureati cattolici del suo Paese, per poi farsi domenicano per devozione verso i suoi maestri di teologia, e in particolare Chenu. Era un uomo che aveva vissuto e questo lo si percepiva chiaramente.

Vorrei in questa occasione richiamare soltanto alcuni punti della teologia della liberazione, a partire dal libro Teología de la liberacíon (1971), di cui egli stesso mi ha voluto regalare una copia, e dalla prefazione all’edizione del 1988 del libro, dal titolo “Mirar lejos” (guardare lontano).
Teologia della liberazione è originariamente il titolo di una conferenza tenuta da Gutierrez a un incontro nazionale di laici, religiosi e preti nel ’68 a Lima e pubblicata nel 1969 a Montevideo, per iniziativa di Pax Romana.
La teologia della liberazione prende le mosse da un “hecho mayor”: l’irruzione dei poveri nella chiesa latinoamericana. Per la prima volta entravano sulla scena della storia coloro che ne erano da sempre stati assenti, iniziando così ad essere agenti del loro destino. Di qui la miopia di coloro che hanno interpretato la teologia della liberazione come una corrente teologica puramente intellettuale e non come un cammino di popolo. Fondamentali per lo sviluppo di questo cammino sarebbero state le conferenze dell’episcopato latinoamericano di Medellin (1968) e Puebla (1978), precedute da quella di Rio de Janeiro (1955) e a cui sarebbero seguite quelle di Santo Domingo (1992), Aparecida (2007).
L’opzione preferenziale per i poveri, centrale per la teologia della liberazione, è un principio dell’evangelizzazione stabilito a Puebla, laddove il termine « opzione » indica impegno e decisione e ha le sue origini in Giovanni XXIII, e in particolare nel RADIOMESSAGGIO A UN MESE DAL CONCILIO ECUMENICO VATICANO II (11 settembre 1962): « In faccia ai paesi sottosviluppati la Chiesa si presenta quale è, e vuol essere, come la Chiesa di tutti, e particolarmente la Chiesa dei poveri.»
Si tratta non di un ideale sociale, ma dell’opzione per il Dio del Regno che Gesù ci ha annunciato. Scriveva Gutierrez: « El motivo último del compromiso con los pobres y oprimidos no está en el análisis social que empleamos, en nuestra compasión humana o en la experiencia directa que podamos tener de la pobreza. Todas ellas son razones válidas que juegan sin duda un papel importante en nuestro compromiso, pero, en tanto que cristiano, éste se basa fundamentalmente en el Dios de nuestra fe. Es una opción teocéntrica y profética que hunde sus raíces en la gratuidad del amor de Dios, y es exigida por ella ».
Tra i frutti della teologia della liberazione Gutierrez annoverava il martirio di Oscar Romero: un martirio, mi ripeteva, che ha cambiato per sempre la teologia stessa del martirio. Non si è infatti semplicemente trattato di un martirio per la fede, ma per la carità e la giustizia.
Ci si sbaglierebbe tuttavia se si ritenesse il discorso della teologia della liberazione come un discorso da anime belle. Scriveva Gutierrez: « No se trata de de idealizar la pobreza sino, por el contrario, de asumirla como lo que es: como un mal; para protestar contra ella y esforzarse por abolirla”. “La pobreza cristiana, expresión de amor, es solidaria con los pobres y es protesta contra la pobreza ».
La natura della teologia della liberazione, amava ripetere Gutierrez, è di essere una lettera d’amore a Dio, alla chiesa e al popolo: « una carta de amor a Dios, a la Iglesia y al pueblo a los que pertenezco ».
Il messaggio profetico della teologia della liberazione è così il messaggio stesso del Vangelo: la pietra scartata dai costruttori è divenuta testata d’angolo. Della diffusione di questo messaggio, da oggi siamo tutti un po’ più responsabili.

Stefano Biancu

la chiesa di Gesù non può essere che la chiesa dei poveri

la chiesa che nasce dai poveri

dagli scritti di Gustavo Gutierrez

 

Il Vangelo è un elemento di contraddizione dove c’è oppressione e sfruttamento.

Promuove la giusta indignazione, non addormenta le coscienze.

Il Vangelo è il libro della liberazione e non legittima nessun schiacciamento  dell’uomo sull’uomo.

Quando la chiesa-istituzione appoggia le classi dominanti significa che c’è qualcosa che non funziona.

Cercare o mantenere una posizione di rendita vuol dire porsi fuori dalla testimonianza evangelica.

La Chiesa, per vocazione, deve disturbare socialmente sia i governi che adottano politiche inique sia le classi sociali che ne traggono beneficio.

Se si toglie l’aspetto profetico rimane solo la burocrazia: e gli effetti di tale deformazione sono noti.

testo di Gustavo Gutierrez

“Il Vangelo letto a partire dal povero, dalle classi sfruttate e dalla solidarietà attiva con le sue lotte per la liberazione, porta alla convocazione di una Chiesa popolare; porta ad una Chiesa che nasce dai poveri, dall’emarginazione […] che nasce dal popolo, da un popolo che strappa il Vangelo dalle mani dei dominatori, che impedisce la sua utilizzazione come elemento giustificante di una situazione contraria alla volontà del Dio liberatore….”. L’Evangelizzazione sarà realmente liberatrice quando gli stessi poveri saranno i suoi portatori. Allora sì annunciare il Vangelo sarà pietra di scandalo, sarà un Vangelo non «presentabile in società» si esprimerà in modo poco raffinato, puzzerà….”.

Gustavo Gutiérrez, La forza storica dei poveri, trad. C. Delpero, Queriniana, Brescia, 1979, p. 27-28

una chiesa liberante non può che nascere dai poveri

la chiesa che nasce dai poveri

 

«La liberazione autentica sarà opera dello stesso oppresso, in lui il Signore salva la storia. La spiritualità della liberazione avrà come punto di partenza la spiritualità degli ‘anawim»

(Gustavo Gutiérrez)

 Il Vangelo è un elemento di contraddizione dove c’è oppressione e sfruttamento. Promuove la giusta indignazione, non addormenta le coscienze. Il Vangelo è il libro della liberazione e non legittima nessun schiacciamento  dell’uomo sull’uomo. Quando la chiesa-istituzione appoggia le classi dominanti significa che c’è qualcosa che non funziona. Cercare o mantenere una posizione di rendita vuol dire porsi fuori dalla testimonianza evangelica. La Chiesa, per vocazione, deve disturbare socialmente sia i governi che adottano politiche inique sia le classi sociali che ne traggono beneficio. Se si toglie l’aspetto profetico rimane solo la burocrazia: e gli effetti di tale deformazione sono noti.

testo di Gustavo Gutierrez:

“Il Vangelo letto a partire dal povero, dalle classi sfruttate e dalla solidarietà attiva con le sue lotte per la liberazione, porta alla convocazione di una Chiesa popolare; porta ad una Chiesa che nasce dai poveri, dall’emarginazione […] che nasce dal popolo, da un popolo che strappa il Vangelo dalle mani dei dominatori, che impedisce la sua utilizzazione come elemento giustificante di una situazione contraria alla volontà del Dio liberatore….”. L’Evangelizzazione sarà realmente liberatrice quando gli stessi poveri saranno i suoi portatori. Allora sì annunciare il Vangelo sarà pietra di scandalo, sarà un Vangelo non «presentabile in società» si esprimerà in modo poco raffinato, puzzerà….”.

(Gustavo Gutiérrez, La forza storica dei poveri, trad. C. Delpero, Queriniana, Brescia, 1979, p. 27-28)

pubblicato da ‘altranarrazione’

 

G. Gutierrez: il vangelo è “ontologicamente” sovversivo

 se il Vangelo non scuote le coscienze non è colpa del messaggio contenuto ma dell’interpretazione

Il contenuto infatti è radicalmente incompatibile con le strutture che realizzano e mantengono l’ingiustizia. Solo la manipolazione può contribuire invece a stabilizzarle e garantirle. Il Vangelo è “ontologicamente” sovversivo: o Dio o mammona. Su questo non c’è compromesso né mediazione. Bisogna schierarsi, il Vangelo non tollera sistemi oppressivi. Sopravvive quietamente solo in comunità solidali. 

 Gustavo Gutierrez:

“…non si può dimenticare che la bibbia è stata letta e comunicata a partire dai settori e dalle classi dominanti (è ciò che capita con buona parte dell’esegesi considerata scientifica). Si è fatto svolgere all’elemento «cristiano» un certo ruolo all’interno dell’ideologia imperante che sostiene e dà coesione a una società divisa in classi […] Per questa ragione, la comunicazione del messaggio riletto dal punto di vista del povero e dell’oppresso, e capito a partire dalla solidarietà attiva con le loro lotte, avrà una funzione smascheratrice di ogni tentativo di utilizzare il Vangelo per giustificare una situazione contraria «alla giustizia e al diritto», come afferma la bibbia.”

(Gustavo Gutiérrez, La forza storica dei poveri, trad. C. Delpero, Queriniana, Brescia, 1979, p. 24)

pubblicato da altranarrazione

per G. Gutierrez la’teologia della liberazione’ non è affatto morta

«Morta la Teologia della Liberazione? Non ho visto il funerale»

 

 

 

Rss Feed 

Twitter 
Gustavo Gutiérrez
Gustavo Gutiérrez
Per la prima volta il teologo peruviano Gustavo Gutiérrez è stato accolto come relatore in Vaticano, durante la presentazione di un libro con prefazione del Papa

 

per la prima volta, Gustavo Gutiérrez, teologo peruviano e “padre” della Teologia della Liberazione, è stato relatore in una conferenza del Vaticano. Momento storico successo lo scorso 25 febbraio nella presentazione del libro “Povero e per i poveri”, firmato dal prefetto della Congregazione per la  Dottrina della Fede, Gerhard Ludwig Müller, e nel quale ci sono anche alcuni suoi testi. Un libro che ha la prefazione di Papa Francesco. Sono segni di un’evidente distensione con una corrente teologica che deve ancora affrontare accese polemiche in America Latina. Gutiérrez  ha parlato con Vatican Insider sulla sua partecipazione nella presentazione:

 

Come si è arrivati a questa “riconciliazione”?

«La parola riconciliazione è un po’ forte per quello che c’è stato. Ci furono certi problemi con alcune persone, e neanche tanto giusti. Non ci fu alcuna determinazione opposta, altrimenti non avrei continuato a scrivere, ma non è andata così. Certo, ci sono delle persone che non sono d’accordo (con me), e io le rispetto. Ci sono molte teologie che a me non piacciono, ma non le perseguito. Ma uno è diverso. E poi, la gente della Chiesa crede che tutto succede nella Chiesa, ma non è vero. La Teologia della Liberazione ha avuto dei problemi, sopratutto con i politici e i militari. Due esempi: nel dicembre 1987 c’è stata una riunione, a Buenos Aires, tra gli eserciti del Canada fino a quelli del Cile e l’Argentina, di tutto il continente. E lei sa quale è stato il problema? Il pericolo della Teologia della Liberazione. Lei ha mai sentito che gli eserciti dell’Europa si siano riuniti per parlare sulla teologia di Rahner o di Congar? Mai. Noi, invece, si. Chi uccidono? La società civile. Abbiamo centinaia di persone assassinate e questo sempre sfugge alle persone. Chi ha uciso Romero? Roberto d’Aubuisson Arrieta, un militare ormai morto. Ma quest’uomo non era un uomo di Chiesa, rispondeva soltanto a certi interessi politici».

 

Quindi, c’è un clima di comprensione diverso?

«Oggi si, certamente. E questo ha a che vedere con quello che ho appena detto, perché toglie le armi a coloro che, senza alcuna ragione cristiana, non si fidano della Teologia della Liberazione. Perché si rendono conto che hanno a che vedere con la Chiesa tutta. E ben diverso. Ma è molto frequente. Un altro esempio: per la campagna presidenziale di Reagan, nel 1980, c’erano delle persone, che poi sarebbero state ambasciatori presso l’America Latina, che hanno emesso un documento nel quale avvertivano nella Teologia della Liberazione uno dei pericoli più grandi della politica estera degli Stati Uniti. Io non ho mai visto nessuno che dica, almeno, che parla di Dio. E questo è molto grave, è questo il clima che uccide».

 

Non sarà che alcuni hanno strumentalizzato la Teologia della Liberazione?

«Tutto può essere strumentalizzato. Ma anche in Sudafrica è stato usato il cristianesimo con l’Apartheid. Io non posso impedirlo. Uno può rispondere per se stesso o per amici. Del resto, se qualcuno usa le proprie idee, cosa può fare? Ci sono stati molti problemi, ma ci sono stati molti di più e più gravi nell’ambito civile. Perché, quindi, parliamo di “martirio latinoamericano”? Stiamo parlando di situazioni politiche, militari dell’America Latina. Connazionali del continente. Come nel Brasile sotto la dittatura, con Videla nell’Argentina, in Uruguay. Questo succedeva tanto, e uno degli argomenti più usati era che quelli che parlavano di diritti umani e giustizia sociale erano marxisti. Non è che nella Chiesa non ci siano stati dei problemi, sto indicando quello che, secondo me, è più grave. E questo influisce anche nella Chiesa, che si trova in questo mondo».

 

Lei avrebbe mai pensato di avere un amico Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede?

«Né lo immaginavo né lo avevo scartato, perché non si sa mai. E io prevedo poche cose. Ma no, certo di no, ma chi lo poteva prevedere…».

Questo potrebbe essere provvidenziale per il suo lavoro?

«Sì, potrebbe essere utile per il lavoro. Ma quello che conta per me è cosa sarà di tutti i poveri dell’America Latina. Lei mi chiede se per loro sarà utile? Penso di sì. Utile per la Teologia della Liberazione? Certo. Sarei uno sciocco me ne infischiassi. Io, fino ai 40 anni, non avevo mai parlato della Teologia della Liberazione, perché non sapevo. Ma ero comunque cristiano. Allora, se ero cristiano prima, spero di esserlo anche dopo. La gente mi dice: “La  Teologia della Liberazione è morta”. E io rispondo: Può darsi, ma nessuno mi ha invitato al funerale”. La teologia non è decisiva, lo sono le persone».

intervista a G. Gutierrez

 

Gutierrez

«Anche l’Europa deve imparare»

intervista a Gustavo Gutierrez a cura di Serena Noceti
in “l’Unità” del 17 settembre 2013

L’elezione di Papa Francesco e il suo auspicio di “una Chiesa povera per i poveri” ha spinto molti osservatori a parlare di una “rivincita” della teologia della liberazione. Che ne pensa e quali ritiene siano le sfide di fronte al nuovo Papa?

«Il Papa ama i poveri perché ha letto il Vangelo e l’ha compreso. Può darsi che abbia letto di teologia della liberazione, ma è secondario. La radice non è mai in una teologia, ma nelle fonti. La sfida dei poveri è da tempo presente nell’orizzonte della Chiesa e se n’è tenuto conto, altrimenti non si capirebbe il martirio che abbiamo sperimentato in America Latina, a cominciare da vescovi come Angelelli in Argentina, Romero in Salvador e Gerardi in Guatemala, per non parlare dei moltissimi laici. La povertà resta una grande sfida per la vita della Chiesa, non solo latinoamericana. Già in Argentina l’attuale Papa ha dimostrato il proprio interesse per il mondo dei poveri: e costruire “una chiesa povera per i poveri”, come egli ha detto di desiderare, è una grande sfida». Si parla molto di riforme della Chiesa che il Papa potrebbe realizzare. Quali pensa sarebbero necessarie da questo punto di vista? «Nel dire che la povertà è una sfida molto grande alla Chiesa è implicito che ci siano cambiamenti da operare. Si tratta di raccogliere maggiormente la realtà del mondo della povertà e affermare con maggior forza in ciascun Paese la necessità che i bisogni dei poveri siano la principale preoccupazione politica, sia pur senza indicare vie concrete per risolverlo. In diversi casi la Chiesa l’ha già fatto, ma con questo Papa ciò dovrebbe rafforzarsi. C’è quindi molto da fare. E il problema della povertà è complesso, perché non si riduce all’aspetto economico, ma coinvolge, per esempio, la diversità culturale e la convivenza di storia ed etnie diverse, come accade in tanti Paesi del Sud America. Sono convinto che assumere la prospettiva degli ultimi, del povero, cambia molte cose nel comportamento dei cristiani. E non si può ignorare che dell’America Latina si parla sempre come di un “continente cattolico”, ma poi c’è questa immensa povertà, che va combattuta, perché si tratta di intendersi sul concetto di cattolico, che non si riduce all’assolvere alcuni obblighi religiosi, che sono necessari, ma se non sono accompagnati dalla lotta per la giustizia non hanno molto senso». Quali riforme vorrebbe veder realizzate? «Quella già annunciata della Curia romana, che ha conseguenze per la Chiesa universale. Di questa riforma fa parte, per esempio, un diverso orientamento nella nomina dei vescovi». Quali elementi di continuità vede tra Benedetto XVI e Francesco? «Hanno un carattere e uno stile personale molto diversi, legati alla provenienza, l’Europa centrale piuttosto che “la fine del mondo”. D’altro canto l’opzione preferenziale per i poveri è così presente nel documento di Aparecida perché Benedetto XVI ne parlò nel discorso di apertura, collegandola direttamente alla fede in Cristo. Credo che se non l’avesse detto, il documento ne avrebbe parlato meno. E naturalmente questa prospettiva è condivisa da Papa Francesco. Quindi c’è una continuità, anche se lo stile è molto differente. Ogni giudizio deve essere comunque prudente, perché il Papa è stato eletto solo pochi mesi fa». Frei Betto sostiene che oggi la teologia della liberazione ha più ascolto fuori dalla Chiesa che dentro, riferendosi al fatto che nell’ultimo decennio in America latina sono andati al governo leader che si richiamano idealmente alla “opzione per i poveri” e alla Chiesa della liberazione. Condivide questo giudizio? «Diffido molto di queste identificazioni. Certo, Correa è un uomo di formazione cristiana, avendo studiato a Lovanio con François Houtart: al contempo, però, è un economista con le sue idee. Funes cita spesso Oscar Romero, che peraltro è una figura di riferimento per tutto il Paese. Ma sono singoli casi. Credo che i politici abbiano tutto il diritto di usare questi riferimenti, perché vuol dire che per loro significano qualcosa e questo mi rallegra. Non penso però che si possa dire che in questi Paesi ci siano presidenti legati alla teologia della liberazione, perché essi fanno politica nel loro pieno diritto – e ritengo che si tratti della politica necessaria per cambiare un Paese – ma una teologia non può essere un riferimento ideologico. Un aneddoto: molti anni fa ricevetti una telefonata da un giornalista di Barcellona che mi chiedeva un parere a proposito della rivoluzione sandinista, definendola “una rivoluzione fatta da persone legate alla teologia della liberazione”. Gli ho risposto che pensavo ci fossero fattori molto più importanti della teologia della liberazione alla radice di quella rivoluzione, prima di tutto la dittatura dei Somoza. Non bisogna perdere il senso delle proporzioni e la capacità di analizzare i molti fattori sociali. Comunque non ho dubbi, e anzi me ne rallegro, che la posizione della Chiesa latinoamericana negli ultimi quarant’anni abbia influito molto nella società: e parlo di Chiesa perché le idee che si attribuiscono alla teologia della liberazione sono poi presenti nei documenti delle conferenze generali dell’episcopato latinoamericano. E, d’altro canto, molta repressione dei governi è stata motivata con la lotta alla teologia della liberazione! Nella conferenza degli eserciti americani del 1987 si sosteneva che la teologia della liberazione era contraria alla «civiltà occidentale cristiana». Quindi la teologia della liberazione è presente nell’ambito politico, nel bene e nel male, ma ci sono altri fattori che influiscono. Credo che abbia motivato molte persone, ma compito della Chiesa è cambiare le coscienze e la teologia contribuisce a questo dando ragioni e fondamenti. Si fa teologia anche per cambiare questo mondo!»
(ha collaborato Mauro Castagnaro)

papa Francesco incontrerà Gutierrez

 

cardinale

Papa Francesco incontrerà Gutierrez
e presto Oscar Romero sarà Beato

L’annuncio all’incontro nella basilica di Santa Barbara con il padre della teologia della liberazione A darlo il prefetto della Congregazione per la dottrina della fede Müller, che visse con lui nelle favela

 

 

.
+

.

A Mantova ieri è successo qualcosa di straordinario per la vita della Chiesa, e la basilica di Santa Barbara ha ospitato quello che si potrebbe chiamare “l’annuncio”: papa Bergoglio incontrerà tra pochi giorni Gustavo Gutierrez, il padre della teologia della liberazione, e in tempi brevi Oscar Romero, il vescovo assassinato sull’altare in Salvador, diventerà beato. A confermare queste due notizie, che pesano molto per la Chiesa cattolica, è stato l’arcivescovo Gerhard Ludwig Müller, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, quello che tavolta si chiama ancora ex Sant’Uffizio. Accanto a lui, tedesco di 66 anni, l’atteso Gutierrez, 83 anni, piccolo, dall’enigmatico viso peruviano, che parlando si scioglieva in sorrisi dolcissimi e guizzi di passione e di speranza. Che i due fossero amici, in ambienti ristretti si sapeva, ma quando l’anno scorso papa Benedetto XVI lo nominò al vertice dell’istituzione che vigila sulle posizioni teologiche nella Chiesa, l’annuncio fu commentato soltanto ricordando che il professore di teologia dogmatica a Monaco di Baviera era «amico di Ratzinger». In realtà, dentro di lui, era sempre rimasto vivo il germoglio che Gutierrez aveva seminato nel giovane sacerdote che lo aveva raggiunto a Lima, e che lui aveva messo a contatto con i poveri che vivono nelle favelas e con i campesinos, di cui per periodi ricorrenti condivise così la dura vita, dormendo nelle stesse capanne. Evidentemente Ratzinger, che ai tempi del Concilio Vaticano II si era prima avvicinato e poi allontanato dal mondo dei teologi più innovativi, e a suo tempo aveva di fatto condannato la teologia della liberazione di Gutierrez, forse ha deciso era arrivato il tempo di un uomo, come Müller, che aveva assorbito da lui e dal domenicano di Lima.

Ora c’è papa Francesco, sudamericano, gesuita che ha immediatamente parlato di poveri, ma sul quale il giudizio è rimasto come sospeso in attesa di capire. E tanti suoi gesti, dal viaggio a Lampedusa, alle parole pronunciate a Rio de Janeiro, all’ultima forte posizione per costruire la pace e non la guerra in Siria aprono un nuovo orizzonte. «Ho letto 6 tomi riguardanti Oscar Romero – ha detto Müller – e alla fine la Congregazione per la dottrina della fede ha dato il suo nihil obstat». Ciò significa che il vescovo ucciso perché difendeva poveri e sfruttati sarà santo. «Per il popolo in America latina – ha commentato Gutierrez – Romero era già santo, ma è molto importante e pieno di significato che lo diventi per la Chiesa».

L’incontro, coordinato dal francescano e giornalista Ugo Sartorio (ex direttore del Messaggero di Sant’Antonio) dopo il saluto di papa Francesco al pubblico del Festivaletteratura, riunito in santa Barbara, portato da Müller, è iniziato con un suo lungo e complesso discorso teologico in perfetto italiano. Alla fine è risuonato chiaro un concetto: «Cristo è morto in croce per salvare l’umanità» e c’è «un’opzione preferenziale per i poveri». Da qui è iniziato l’intervento di Gutierrez. La povertà è una condizione inumana, per mancanza economica – ha detto – ma anche culturale, sociale, perché donne, e ha citato il «Dio dei poveri, dei sofferenti», che non si vuole certo portare al consumismo o al comunismo, al presunto paradiso in terra, ma liberare dalla schiavitù. La politica deve servire la gente, ma «il Vangelo è l’unica strada per la vera liberazione dell’uomo». E il riscatto dei poveri deve far ascoltare la voce dei poveri.

La teologia della liberazione fu accusata di sostenere il marxismo in America Latina, ma qui ha avuto gioco facile Müller a concordare con Gutierrez che non è così, e che oggi nessuno considera rivoluzionaria la sociologia perché segnala quanto reddito va a pochi e quanto poco a tanti. «La sociologia no nè marxista». «Dopo la caduta del Muro, il capitalismo ha vinto il comunismo». E Sartorio ha ricordato che in novembre Müller aveva detto che «il capitalismo neoliberale è la vergogna del nostro tempo». «Papa Francesco mi ha detto: già, tu sei della teologia della liberazione». Di certo Müller e Gutierrez insieme hanno ora pubblicato “Dalla parte dei poveri. Teologia della liberazione, teologia della Chiesa” (ed. San Paolo-Emi).

image_pdfimage_print