così i cristiani tedeschi chiedono a Roma di cambiare

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Chiesa e sesso: testo chiaro inviato a Roma

i cattolici tedeschi vogliono un radicale cambiamento per quanto riguarda la dottrina ufficiale della loro chiesa per quanto riguarda la sessualità e i risultati delle loro risposte al ‘questionario’ in vista del sinodo straordinario sulla famiglia del prossimo autunno rivelano novità scottanti

 “Osservatori critici… si erano aspettati che i vescovi tedeschi avrebbero nascosto in totale silenzio i risultati scottanti dell’indagine sull’etica sessuale tra i cattolici. Invece è successa una cosa diversa”… “La maggior parte dei fedeli considera la morale sessuale lontana dalla vita”, scrivono i vescovi tedeschi… Che essi tentino per la prima volta di superare quell’ipocrisia che spesso si accompagna all’ambiente cattolico, è qualcosa che ha a che fare con l’atmosfera favorevole promossa da papa Francesco

questo il punto della situazione fatto da  Thomas Seiterich

in “www.publik-forum.de” del 4 febbraio 2014 (traduzione: www.finesettimana.org)

Degli osservatori critici della Chiesa cattolica romana in Germania si erano aspettati che i vescovi avrebbero nascosto in totale silenzio i risultati scottanti dell’indagine sull’etica sessuale tra i cattolici. Invece è successa una cosa diversa. I vescovi parlano chiaramente con Roma. Tra l’altro si oppongono alla discriminazione dottrinale delle persone omosessuali. Come reagirà Francesco?

È successo qualcosa di sorprendente dietro le spesse, alte mura del convento di Würzburg Himmelspforten nella seduta del Consiglio permanente della Conferenza episcopale tedesca. I capi delle 27 diocesi hanno preso visione dei risultati dell’indagine vaticana. Cosa pensano i cattolici su amore e sessualità? E che cosa pensano della dottrina ecclesiale su questi temi molto personali?

Benché il questionario fosse formulato dai collaboratori vaticani in maniera molto circostanziata e molto particolare in un linguaggio “romano”, migliaia di comunità e di gruppi, nonché singole persone non si sono lasciate spaventare. E hanno quindi espresso le loro risposte.

Il risultato: una travolgente maggioranza di cattolici tedeschi rifiuta punti centrali dell’etica sessuale vaticana. I vescovi riassumono: “Le risposte dalle diocesi evidenziano quanto grande sia la differenza tra i fedeli e la dottrina ufficiale soprattutto in riferimento alle convivenze prima del matrimonio, dei divorziati risposati, della regolazione delle nascite e dell’omosessualità”. Le relative affermazioni ecclesiali non vengono praticamente accettate o vengono esplicitamente rifiutate. Come conseguenza, la Conferenza episcopale tedesca insiste perché ci siano delle riforme.

Da parte dei vescovi viene anche espressa una critica relativamente ai testi dottrinali come ad esempio il documento fondamentale “Gaudium et Spes” del Concilio Vaticano II “poco o per nulla conosciuto dai fedeli”. Tali testi dottrinali, secondo i vescovi, non hanno un significato immediato per la condotta di vita personale. I vescovi avvertono che tali testi, a causa della lingua utilizzata e del loro approccio autoritativo, non sono fatti in modo da risvegliare l’attenzione e la comprensione dei fedeli.

Su disposizione di papa Francesco, il Vaticano nell’ottobre 2013 aveva inviato in tutto il mondo un lungo elenco di domande che si rivolgeva non solo agli ecclesiastici, ma anche ai laici. Dovevano indicare ciò che sapevano sulla dottrina cattolica relativa alla famiglia e alla sessualità e qual era il loro atteggiamento in merito. I risultati serviranno come base di discussione di un sinodo universale straordinario dei vescovi che si terrà dal 5 al 19 ottobre 2014 e che dovrà affrontare “le sfide pastorali della famiglia nel quadro dell’evangelizzazione” – questo il titolo dell’incontro.

“La maggior parte dei fedeli considera la morale sessuale lontana dalla vita”, scrivono i vescovi tedeschi, che si esprimono molto chiaramente. Indicano i fatti, non cercano di costruire ponti pastoral-diplomatici tranquillizzanti nei confronti della dottrina romana. Il quotidiano “Die Welt” commenta: “I vescovi tedeschi fregano papa Francesco”. E ha proprio ragione: il documento estremamente schietto renderà difficile ai padri sinodali e anche al papa nel prossimo autunno “teologizzare carinamente” i risultati che arriveranno da tutto il mondo.

Sarà molto interessante conoscere i risultati che arriveranno dall’Africa, dall’America Latina, dall’Europa dell’Est e dall’Asia. Comunque i vari vescovi locali hanno molteplici possibilità di mascheramento. Oppure apparirà una spaccatura negli animi dei fedeli, come era il caso in faccende di sesso anche qui da noi in Germania. Quello spaccare e reprimere, quell’ipocrisia che troppo spesso si accompagna al cattolico, i vescovi tedeschi la vogliono evidentemente superare.

Che essi tentino questo per la prima volta, ha a che fare con papa Francesco. A tali tentativi fatti da responsabili della chiesa, lui offre un vento favorevole. L’atmosfera da lui creata favorisce i cambiamenti. Non nella legislazione canonica, ma negli ambiti sensibili di presenza della Chiesa, vicini al vissuto quotidiano dei fedeli.

Raniero La Valle e la chiesa italiana odierna

diplomazia vaticana

papa Francesco rappresenta una radicale e feconda novità anche per la chiesa italiana che il papa vorrebbe meno burocratica, meno separata dalla vita del mondo soprattutto nei suoi pastori, più capace di condivisione e misericordia verso i più marginali … ma non sembra a R. La Valle che essa si muova convintamente in tal senso, tranne delle poche e apprezzabili eccezioni

quella che segue è un’analisi realisticamente triste della realtà ecclesiale italiana rappresentata dai suoi vescovi che sembrano sottovalutare molto l’invito papale a diffondere capillarmente il ‘questionario’ per il sinodo straordinario sulla famiglia e a trasformarlo in un’opportunità di grande dialogo e partecipazione del popolo di Dio:

SE LA CHIESA RISPONDE

 

Era stato mons. Lorenzo Baldisseri, di fresco nominato segretario del Sinodo dei vescovi, a rompere gli indugi e gli autismi curiali e a direurbi et orbi che tutti potevano liberamente mandare testi di riflessioni e suggerimenti al Sinodo straordinario sulla famiglia, anche senza passare attraverso il canale canonico dei vescovi. Ora quel monsignore è stato fatto cardinale, segno che non ha preso una cantonata, che il papa è d’accordo con lui e che a dare la parola alla Chiesa non si è redarguiti ma si è promossi.  

Del resto c’è una coerenza: che senso avrebbe l’insistenza di papa Francesco sulle periferie, se il rapporto della Chiesa con le periferie fosse un rapporto discendente, paternalistico, di una Chiesa che scende dalle pedane e dai pulpiti per andare a ispezionare le periferie, e non invece un rapporto per cui la Chiesa riconosce tutta se stessa come periferia, e ascolta, e perciò dà la parola, alle periferie?

 

Il riconoscimento delle Comunità di base

 

Negli stessi giorni in cui le periferie erano chiamate a dire la loro sulla pastorale (ma anche sulla teologia) delle famiglie, il papa mandava un messaggio alle Comunità di base del Brasile riunite per il loro XIII incontro interecclesiale nello Stato del Cearà, richiamando la legittimazione data a tali Comunità dall’assemblea episcopale di Aparecida e riproponendo loro il dovere della evangelizzazione; e siccome questo è il “dovere di tutta la Chiesa e di tutto il popolo di Dio”, per il papa ciò equivaleva a dire che le Comunità di base, a differenza di ciò che si è ritenuto altrove, sono parte integrante e legittima della Chiesa.

Dunque questa è una Chiesa in movimento, cui la riforma in corso del papato sta dando nuova vita; farà pure degli errori, ma questo è il prezzo di ogni riforma, tanto che il papa ha detto ai giovani in Brasile di fare confusione, chiasso, “casino”, e nella “Evangelii Gaudium” ha scritto di preferire “una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per le chiusure e le comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze”.

Così incoraggiate, molte Comunità di base, associazioni ecclesiale, scuole di ricerca, aggregazioni spontanee hanno preso carta e penna e hanno scritto a Roma per rispondere a tutte o ad alcune delle 38 domande di cui consisteva il questionario messo in rete dalla segreteria del Sinodo. Molte risposte sono state severe, perché hanno criticato le domande stesse, che spesso della domanda avevano solo la veste retorica, ed in realtà erano tradizionalissimi enunciati sul matrimonio e la famiglia. Altre risposte sono state costruttive; ma in ogni caso della natura e della quantità dei documenti venuti direttamente dalla base si potrà sapere solo in seguito, quando qualcuno ne farà la ricognizione.

 

Molto cammino ancora da fare

 

Quello che invece si può rilevare fin da ora è che la Chiesa italiana, nelle sue strutture diocesane, ha accusato una difficoltà nel dare riscontro all’iniziativa del Sinodo. Non sembra che essa si sia messa in movimento, che abbia sollecitato interventi, veicolato proposte, si sia fatta eco di sofferenze e preghiere dei fedeli; si sconta ora il fatto che da cinquant’anni ormai, uscita in stato confusionale dal Concilio, la Chiesa italiana abbia imposto il silenzio ai fedeli e si sia fatta silenzio essa stessa, fino ai livelli di vertice della conferenza episcopale, priva com’è stata di ogni altra parola che non fosse quella del suo presidente.

Così la Chiesa italiana è giunta a questo appuntamento in stato di torpore, non si è fatta scuotere dalla novità di un organismo sinodale che prima di impartire direttive e insegnamenti chiedeva informazioni, pareri e proposte; essa non sembra essere uscita, almeno questa volta, dalle “abitudini – come dice il papa – in cui ci sentiamo tranquilli”.

Ma è solo la Chiesa italiana? Vedremo. Quello che intanto già si può dire è che la difficoltà a rispondere alla sollecitazione romana di una consultazione estesa a tutto il popolo di Dio, rivela un problema che non è solo di qualche comparto ecclesiale, ma è di tutta la Chiesa. Essa non è pronta a questo passo. Non è pronta a pensarsi veramente come popolo di Dio, né del resto le era necessario finché il Concilio, che ne aveva posto le premesse teologiche, era rimasto inattuato nelle sue conseguenze istituzionali e pastorali. Di fatto era rimasta vigente nella Chiesa romana la teologia del laicato, inteso come un esercito di riserva della gerarchia, anche se ormai in disarmo e pressoché inutilizzabile, come avevano dimostrato i velleitari tentativi politici alla “Todi 1” e “Todi 2”; era rimasta l’idea che l’unico vero apostolato fosse quello dei vescovi, a cui laici selezionati erano cooptati a collaborare; era rimasta l’idea  dei “duo genera christianorum”, giustapposti così che il ministero dei fedeli e quello dei chierici “differiscano essenzialmente e non solo di grado”; era rimasta l’idea che l’unica successione dall’evento fondatore della Chiesa fosse la successione apostolica e non anche la successione nella fede dell’universalità dei discepoli e del mondo più prossimo a Gesù; né erano state tratte tutte le conseguenze dall’aver identificato la Chiesa con la nuova figura o immagine di “popolo di Dio”,  che è una figura antropologica ulteriore e dirompente rispetto alla figura biblica di popolo di Dio riservata al popolo d’Israele. E la prima conseguenza di questo mutamento di paradigma rispetto alle immagini bibliche più tradizionali come quelle di gregge, di ovile, di tempio, di edificio di Dio, è quella per cui essere un popolo significa avere la parola, e godere dei diritti innati – ossia di origine divina – alla libertà e all’eguaglianza nel pluralismo di una comunità universale.

 

Che significa essere “popolo di Dio”

 

Non può essere infatti senza conseguenze che, nell’intento di rappresentare la fede e la Chiesa nel linguaggio e nelle forme del pensiero moderno “nel modo che la nostra età esige”, secondo quello che era il compito del Concilio, esso abbia privilegiato l’immagine del popolo di Dio rispetto a quella, finora dominante, del gregge. E’ chiaro che nel linguaggio dell’allegoria, che è uno dei sensi dell’interpretazione delle Scritture, le caratteristiche a cui allude l’immagine del popolo sono ben diverse da quelle cui allude l’immagine del gregge (che ha fiuto, ma non ha la parola, non ha l’autodeterminazione, non ha la libertà). Ed è molto interessante che nella Costituzione dogmatica del Concilio, il passaggio dall’idea del gregge all’idea del popolo è collegata al passaggio da una certa struttura di Chiesa, fondata sull’autorità di un solo capo, a un’altra struttura di Chiesa fondata sull’autorità del collegio apostolico (s’intende, con il suo capo); dice infatti la Lumen Gentium, al n. 22: “Questo collegio (degli apostoli), in quanto composto da molti, esprime la varietà e l’universalità del popolo di Dio; in quanto poi è raccolto sotto un solo capo, significa l’unità del gregge di Cristo”; dunque la diversità e universalità nel popolo e nella Chiesa sono legate alla sinodalità e collegialità, l’unità e uniformità del gregge sono legate al ruolo preminente di Pietro: e le due cose devono stare insieme.

Sta qui allora il valore dell’operazione avviata con il questionario diffuso per il Sinodo. La Chiesa collegiale, col suo capo, domanda, il popolo, nella sua varietà e universalità, risponde. E non è affatto detto che allargandosi l’interlocuzione non ci siano da aspettarsi delle sorprese. Ci sono delle risposte che hanno cambiato il mondo. A cominciare dalle risposte che si trovano nei vangeli. E’ quando Gesù chiede: “chi dice la gente che io sia?” che viene la professione di fede di Pietro: “Tu sei il Cristo”. E’ quando Gesù chiede ai discepoli di Emmaus che cosa era successo a Gerusalemme, che viene svelato il senso delle Scritture che avevano parlato del messia. È quando Gesù chiede a Marta se crede nella resurrezione, che Marta risponde: “Si, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio che deve venire nel mondo”. È quando Gesù chiede a Tommaso di mettere la mano nelle sue piaghe, che Tommaso risponde: “Mio Signore e mio Dio”; è quando i farisei chiedono al cieco nato di proclamare che Gesù era un peccatore, perché guariva di sabato, che  il cieco risponde con una delle più belle professioni di fede che ci sono nei vangeli: “se sia un peccatore non lo so, quello che so è che prima non ci vedevo ed ora ci vedo”. Ed è quando la donna torna in città per raccontare l’incontro con Gesù al pozzo di Giacobbe, che i samaritani andati a loro volta da lui le rispondono: “non è più per la tua parola che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo”.

Dunque c’è un ministero della risposta, del rispondere, nella Chiesa, che non è dei letterati, dei sapienti, dei chierici, dei consacrati, ma è dei discepoli, dei semplici testimoni, della gente comune. Nei vangeli, prima che nella predicazione degli apostoli, lo svelamento di Gesù come Signore, come Messia, come figlio di Dio, sta nelle risposte dei discepoli, delle donne, dei mendicanti, degli stranieri.

Ma questo ministero della risposta non si può esercitare se non c’è chi interroghi. Se nessuno chiede niente, non c’è nessuno che risponda. E la Chiesa allora resta muta, è la Chiesa del silenzio.

Per molto tempo nella Chiesa,  e per lo meno fino al Concilio, ai discepoli, ai fedeli, nessuno ha chiesto niente; è stata chiesta obbedienza, è stato chiesto di ascoltare, è stato chiesto di partecipare ai sacramenti, alle novene, ai catechismi e di dare l’8 per mille. Ma nessuno finora aveva chiesto che cosa pensano di Dio, del Cristo, dell’uomo, della Chiesa, dell’amore, del matrimonio, nessuno aveva chiesto come pensassero di poter  rispondere oggi della speranza che è in loro.

Perciò è una così grande novità che ora queste domande siano state poste. E se la Chiesa non è ancora pronta, l’importante è cominciare; l’importante è far crescere questo ministero del chiedere e del rispondere, perché maturi un nuovo modo di essere Chiesa, e anche un nuovo modo di essere mondo, perché finché si domanda e si risponde c’è dialogo, c’è comunicazione, c’è insegnamento e c’è apprendimento, ci può essere comunione, non c’è il fragore della guerra e il silenzio dei cimiteri.

  Raniero La Valle

una comunità di Saronno risponde al ‘questionario’

papa-francesco

 

 è importante diffondere il testo ampio, denso e stimolante, che contiene le risposte al ‘questionario sulla famiglia’, approvato dalla Comunità Pastorale di Saronno.  Una pastorale della famiglia, non per la famiglia, e alla luce del vangelo: oltre il familismo e l’esaltazione acritica della famiglia, che hanno dannosamente segnato in tempi recenti la vita della comunità ecclesiale

Una pastorale della famiglia, non per la famiglia

Risposte alquestionario

di Comunità Pastorale “Crocifisso Risorto” di Saronno

RISPOSTE DELLA COMMISSIONE FAMIGLIA, SU MANDATO DELLA DIACONIA E DEL CONSIGLIO
 PASTORALE, ALLE DOMANDE FORMULATE NEL DOCUMENTO PREPARATORIO DELLA III ASSEMBLEA
GENERALE STRAORDINARIA DEL SINODO DEI VESCOVI

Premesse generali

Le risposte alle domande formulate nel documento

Le sfide pastorali sulla famiglia nelcontesto dell’evangelizzazione sono elaborate a partire da alcune considerazioni metodologiche.

Si avrà cura di evitare un’ottica particolaristica e settorializzata. Da una parte, cioè, non si

considererà solo la famiglia in sé, ma all’interno dell’intera Comunità ecclesiale. D’altra parte econseguentemente, non si considererà il

settore della ‘pastorale familiare’, ma le sfide sulla famiglia

poste all’intera pastorale della Chiesa nel suo complesso. Con questo approccio comunitariocomunionale

complessivo, cioè pienamente e globalmente ecclesiale, si eviteranno visioni

parcellizzate, da atomismo pastorale o da compartimenti stagni: la Chiesa non è una federazione di

singole famiglie e la famiglia non si vede nella Chiesa come un’isola in un arcipelago.

La pastorale familiare non può più essere considerata come un settore a parte della

programmazione della comunità ecclesiale, ma è essa stessa ossatura portante del ministero di

evangelizzazione della Chiesa: dall’ottica

della famiglia, e non per la famiglia, va impostata la

pastorale nel suo insieme.

La stessa nuova metodologia, che prepara il Sinodo dei Vescovi con un itinerario ‘sinodale’

che coinvolge l’intero Popolo di Dio, muove da questa impostazione comunionale complessiva e la

sollecita.

Così la famiglia viene vista all’interno dell’annuncio della salvezza: della Buona Novella di

Gesù; dunque nella grande e fondamentale prospettiva della liberazione evangelica. Dalla

liberazione evangelica si ricavano le linee essenziali e prioritarie di una pastorale di misericordia;

all’interno di tali linee si mettono a fuoco le sfide sulla famiglia, operando il discernimento sui

vissuti storici reali, cioè leggendo i segni dei tempi, per una pastorale incarnata nella storia del

Popolo di Dio e in grado di avviare nuovi processi storici di evangelizzazione e di liberazione:

liberazione dal peccato e dalle conseguenze del peccato, solidificate in strutture di ingiustizia e di

male sociale.

Questo approccio ha conseguenze ovvie anche sul piano dei riferimenti magisteriali

preminenti, che non sono più solo quelli dei documenti dedicati alla famiglia (

Gaudium et Spes 48,

 

Humanae vitae

 

e Familiaris consortio) o i nn. 1601-1658 e 2331-2391 del Catechismo, ma sono

anche i documenti sul mistero della Chiesa (

Lumen gentium), l’intero insegnamento sociale

pontificio, il magistero sull’evangelizzazione (dalla

Evangelii nuntiandi alla Evangelii gaudium).

Si vuole altresì evitare il rischio del

familismo cioè di un’esaltazione totale ed acritica

dell’istituto familiare (che dimentica che il matrimonio e la famiglia possono essere anche ostacoli

all’accoglimento del Vangelo e delle vocazioni cristiane e che, sul piano storico, sono stati spesso

luoghi di oppressione delle libertà personali). Tale rischio non è puramente ipotetico, perché si è

visto anche recentemente – e all’interno della comunità ecclesiale – che un familismo ideologico è

stato brandito come bandiera identitaria per mobilitazioni politiche o parapolitiche di istanze

ecclesiali in quanto tali, alla ricerca di (improbabili e, comunque, fragili) egemonie sociali e

politiche.

L’urgenza nella formulazione delle risposte – con il conseguente poco tempo per la loro

elaborazione – impedisce che si possano avviare nuove analisi statistiche e sondaggi diretti e mirati.

Si sono utilizzati pertanto i dati raccolti e le relative riflessioni sviluppate in occasione

dell’itinerario saronnese (2011-2012) di preparazione al VII Incontro mondiale delle Famiglie

(Milano, 30 maggio-3 giugno 2012) e successivi approfondimenti collegiali condotti all’interno

della Commissione Famiglia della Comunità Pastorale “Crocifisso Risorto” di Saronno.

La metodologia della stesura di questo testo ha seguito il seguenteiter (il più comunitario

possibile, dati i tempi stretti): sulla base dei dati e delle riflessioni sopra citate, si è stesa una prima

bozza, che è stata mandata a tutti i membri del Consiglio Pastorale e della Commissione Famiglia

cittadina. Le osservazioni pervenute sono state integrate nel testo. In alcuni casi (Parrocchia di S.

Giuseppe: gruppo delle famiglie), vi è stato un confronto di approfondimento. Vi è stato infine un

incontro di lavoro della Commissione Famiglia cittadina (con la partecipe presenza della Coppia

responsabile della Commissione decanale). Tutte le osservazioni raccolte sono state integrate in una

redazione finale, inviata ancora a tutti i membri del Consiglio Pastorale.

 

Nn. 8 e 1: Sul rapporto tra famiglia e persona e Sulla diffusione della Sacra Scrittura e del Magistero della Chiesa riguardante la famiglia

 

In coerenza con quanto già affermato sul piano metodologico, si è pensato di rispondere,

congiuntamente, alle domande formulate al n. 8 (Sul rapporto tra famiglia e persona) e al n. 1(

Sulla diffusione della Sacra Scrittura e del Magistero della Chiesa riguardante la famiglia) per

evitare un’impostazione astrattamente dottrinale, deduttivistica, apodittica e dogmaticamente

assertiva. Non è questo, ci pare, che viene richiesto al Sinodo. Si tratta di crescere nell’intelligenza

della Parola di Dio e del dogma, per avere formulazioni più comprensibili e risposte più adeguate

alla vita reale del Popolo di Dio, praticando quellaggiornamento auspicato dal Beato Giovanni

XXIII e che ha animato il Concilio Vaticano II (principale orientamento magisteriale, nella lettera e nello spirito).

Si deve allora osservare, con un sintetico ancorché necessario sguardo storico, che negli anni

’50 e ’60 (fino all’avvio degli anni ’70) del secolo scorso, nel periodo cioè che è stato definito “l’età

dell’oro del capitalismo”, vi sono stati un grande sviluppo economico – in Italia si è realizzato il

cosiddetto “miracolo economico”, che proprio a Milano ha trovato uno dei suoi centri – nonché lostrutturarsi del

Welfare State, cioè di politiche sociali solidaristiche e di redistribuzione del reddito,

che hanno fatto crescere l’area dei ceti medi e diffuso il benessere. Ciò ha portato, progressivamente

(e contemporaneamente allo sviluppo della paleo-televisione, a indirizzo fortemente pedagogico),

ad un cambiamento dei costumi di vasta portata: si sono, così, avuti, tra l’altro, una maggiore

soggettivizzazione dei vissuti matrimoniali, una più sensibile attenzione alla libertà e ai diritti della

persona e all’uguaglianza di genere, una critica neo-femminista della oppressione maschilista e

della mercificazione della donna, una diversa valutazione della sessualità, meno sottoposta al

controllo sociale e meno univocamente intesa come finalizzata alla procreazione. Tali cambiamenti

di costume, unitamente allo sviluppo della democratizzazione, hanno portato pure, tra l’altro,

all’introduzione del divorzio nella legislazione italiana e, successivamente, alla depenalizzazione dell’aborto.

Se non sono mancati, alla fine degli anni ’60, estremismi neo-marxisti diffusi a livello

giovanile (peraltro presto sconfitti nella loro utopia rivoluzionaria) o istanze minoritarie di

radicalismo libertario borghese (che intendeva l’aborto come “un diritto civile” e non, secondo gli

indirizzi di altri femminismi pure laici, come una dura realtà indubbiamente negativa, ma che non

poteva essere penalmente sancita), se sono lentamente riemerse antiche forme di materialismo

pratico ed è andata crescendo una nuova cultura del consumismo, tuttavia i cambiamenti di costume

e di mentalità hanno propiziato, tra i cattolici, l’accoglimento prima del magistero conciliare (con il

definitivo superamento della visione del matrimonio come “rimedio alla concupiscenza”) e poi del

rinnovamento pastorale avviato da Giovanni Paolo II, per la completa eliminazione di residui

manichei e sessuofobici e per un accoglimento positivo della sessualità umana, in sé e non solo nel

suo fine procreativo. Sono invece emerse quasi subito – anche senza considerare fenomeni di

contestazione e di dissenso ecclesiale – difficoltà nell’accoglimento pieno e completodell’insegnamento dell’Humanae Vitae.

Si può ritenere che questa enciclica abbia svolto, per

qualche tempo, una non trascurabile funzione positiva per richiamare alla responsabilità

sull’importanza evangelica di una visione non banalizzata e semplificata dell’amore umano di

coppia. In ogni caso, se, sul piano teologico, si è tempestivamente osservato che, per quanto

riguardava le indicazioni di specifici ‘metodi’, si trattava di doctrina reformabilis (Rahner), sul

piano della ‘base’ si è progressivamente prodotto quello che è stato definito uno “scisma sommerso”

(Prini), con una indifferenza di massa delle coppie cattoliche alle indicazioni, date dall’enciclica

montiniana, sui metodi anticoncezionali.

Dagli ultimi decenni del Novecento a questo avvio del XXI secolo la situazione complessiva

è profondamente mutata. La globalizzazione neoliberale ha, da una parte, esaltato l’individualismo

(e le relative espressioni sul piano della mentalità e dei costumi) e, dall’altra, ha segnato l’egemonia

non tanto di un relativismo nichilista quanto piuttosto di un materialismo pratico (con l’assunzione

solo di ciò che è materialmente sensibile e godibile come valore-guida dei comportamenti):

abbiamo, così, una “società materialista, consumista e individualista” (Francesco,Evangelii gaudium, n. 63, ma cfr. anche nn. 80, 99).

Queste profonde trasformazioni culturali, sociali, etico-comportamentali hanno

accompagnato una ideologia economica, che presto ha dominato su ogni ideologia politica e che ha

imposto una ‘deregolamentazione’ del mercato, una assolutizzazione del profitto, una proliferazione

incontrollata della speculazione finanziaria, un progressivo smantellamento delWelfare State, una

crescita delle diseguaglianze (cfr. Benedetto XVI,Caritas in Veritate, nn. 25, 32, 35, 36, 40, 45;Francesco,

Evangelii gaudium, nn. 52-59). Dobbiamo dunque dire che “il sistema sociale edeconomico è ingiusto alla radice”

(Francesco,Evangelii gaudium, nn. 59, 202).

La ‘colonna sonora’ di questa età del neoliberismo aggressivo è stata data dalla neotelevisione,

cioè dal dominio del codice comunicativo della televisione commerciale (che si è

imposto anche sulla televisione pubblica, smantellandone ogni intento ‘pedagogico’): esaltando

l’edonismo, la banalità volgare, la reificazione del corpo e della sessualità e popolarizzando una

subcultura fondata sui ‘valori’ delle tre esse (sesso, soldi, successo). Vi è stata così, negli ultimi

decenni, una complessiva mercificazione simbolica (e non solo) del sesso e una pornografizzazione

antropologica delle culture di massa (televisive, ma soprattutto ormai telematiche), dei linguaggi,

dell’immaginario sociale: con la tendenziale sparizione dell’erotismo, con il fragilizzarsi della

profondità psicologica delle relazioni amorose, con l’interdizione simbolica della dialettica

desiderio-legge.

Come fenomeno globale, il neoliberalismo ha travolto ogni residuo di totalitarismo, ma

anche ogni orizzonte universale di senso e di verità e ogni ipotesi razionale di trascendimento

migliorativo del sistema sociale dato, leggendoli come ideologie superate, come Grandi Narrazioni,

tipiche del Moderno: andando, invece, verso il post-ideologico e il Post-moderno.

Si è trattato di uno tsunami culturale, che ha devastato i vissuti e generato un disastro

antropologico di lunga durata. Sul piano sociale, oltre a provocare povertà nel Sud del mondo e

conseguenti movimenti migratori verso Nord di ‘masse di persone disperate’, questi decenni, con il

loro sbocco finale nella crisi (prima finanziaria, poi economica, infine sociale), hanno ripolarizzato

la società, assottigliato l’area dei ceti medi e del benessere, ridotto in povertà molte famiglie. Più in

generale hanno reso difficile ai giovani porre le premesse (di reddito e di abitazione) per una vita

familiare. Hanno indotto incertezza e pessimismo sul futuro: sia della propria vita privata sia della

società nel suo complesso.

Il rapporto famiglia-lavoro si è reso drammatico: difficoltà di occupazione per i giovani,

crescente disoccupazione per i lavoratori, aumento delle forme di lavoro precario, insicurezza delle

condizioni lavorative (con incidenti sul lavoro, anche gravi), aumento stressante dei tempi di lavoro

(durante la giornata, nella settimana, nell’anno e nella vita).

I decenni di accentuato individualismo hanno fatto entrare ‘in sofferenza’ ogni legame

sociale disinteressato: da quello tra i coniugi nella comunità domestica a quello tra educatori ed

educandi in ogni agenzia educativa (si veda il fenomeno del burn out), da quello tra militanti di

partito ed elettori a quello, in qualche misura, tra clero e laicato (o tra operatori pastorali e fedeli)

nella comunità ecclesiale. Pertanto “La famiglia attraversa una crisi culturale profonda, come tutte

le comunità e i legami sociali. […] L’individualismo postmoderno e globalizzato favorisce uno stile

di vita che indebolisce lo sviluppo e la stabilità dei legami tra le persone, e che snatura i vincoli

familiari” (Francesco,Evangelii gaudium, nn. 66-67).

La nuova cultura diffusa ha reintrodotto, in dosi massicce, il maschilismo, ha emarginato il

femminismo (laico e cattolico), ha incentivato la reificazione della donna e della relazione sessuale,

ha assottigliato la profondità del sentimento morale e della forza di carattere, ha determinato una

infantilizzazione pulsionale con l’inibizione dell’autocontrollo adulto, ha visto pertanto crescere

esponenzialmente la violenza sulle donne – commessa soprattutto all’interno del contesto familiare

– e perfino i casi di femminicidio. Ciò è doppiamente grave quando si innesta su problematiche di

povertà (cfr. Francesco,Evangelii gaudium, n. 212).

Così “Nel caso di culture popolari di popolazioni cattoliche, possiamo riconoscere alcune

debolezze che devono ancora essere sanate dal Vangelo: il maschilismo, l’alcolismo, la violenza

domestica” (Francesco, Evangelii gaudium, n. 69). Perfino la piaga della pedofilia ha una sua realtà

di dramma domestico e di patologia familiare, come pure “l’abuso e lo sfruttamento di minori,

l’abbandono di anziani e malati, varie forme di corruzione e di criminalità” (Francesco,

Evangelii gaudium, n. 75).

Complessivamente i fronti critici, le morfologie della sofferenza e gli universi attraversati

dalla difficoltà e dal dolore, della famiglia e nella famiglia, sono molto cresciuti. Il neoliberalismo

aggressivo – oggi meno culturalmente arrogante, a causa della crisi – rimane una solida e radicata

struttura sociale di peccato che ostacola la liberazione evangelica, anche – o soprattutto –

nell’ambito dei vissuti familiari reali.

La nuova situazione multiculturale e multireligiosa, creata dai movimenti migratori, peraltro,

se ha sollecitato egoismi localistici e chiusure xenofobe, cioè sentimenti e atteggiamenti

antievangelici (vergognosi in un popolo, come quello italiano, che è stato per decenni di emigranti:

come mostra, tra l’altro, la vicenda familiare dell’attuale pontefice), ha pure suscitato – nella

comunità ecclesiale – spinte all’accoglienza e alla solidarietà e ha comportato, comunque,

un’inevitabile evoluzione civile e istituzionale verso l’interculturalità e la laicità inclusiva e interreligiosa.

Tuttavia, ancorché minoritari e spesso dissimulati, non sono mancati casi in cui la

mentalità xenofoba e ostile alle famiglie straniere ha fatto breccia anche nella comunità ecclesiale,

autogiustificandosi come difesa delle ‘tradizioni cattoliche’ e costituendo un ulteriore ostacolo alla

liberazione evangelica e alla piena ricezione dell’insegnamento della Chiesa.

Peraltro la trascrizione politica del neoliberalismo ha preso in Italia (a partire proprio da

Milano), per un lungo periodo, ormai ventennale, forme di leaderismo che giustificavano ed

esaltavano la “subcultura delle tre esse”, trovando sponde in alcuni settori apicali della comunità

ecclesiale, con incomprensione (o perfino scandalo) di alcuni fedeli e con il disorientamento di

molti. Sembrava che nella Chiesa ci fosse una ‘dissonanza cognitiva’ tra gli insegnamenti di etica

familiare e la giustificazione di politici evidentemente in controtendenza rispetto a tali

insegnamenti: eppure presentati come difensori della famiglia (cioè dell’ideologia familista) e più o

meno apertamente fiancheggiati da istanze ecclesiali. Se si vuole avere un quadro non omissivo,

non omertoso (e perciò colluso) né edulcorato di ciò che si è prodotto nella Chiesa italiana nel

recente passato e di come ciò abbia inciso (e continui a incidere) sull’azione pastorale ed educativa

della Chiesa stessa rispetto alle famiglie e ai giovani, non si può avere paura di dire con chiarezza

queste cose. Naturalmente non si tratta di fare politica, ma di analizzare le sfide pastorali, notando i

guasti provocati da scelte queste sì politiche o filo-politiche del recente passato.

La Chiesa cattolica, in questi decenni, si è comunque complessivamente impegnata a

resistere a tale ondata neoliberale: è questo peraltro un terreno in cui si possono mettere a frutto

convergenze ecumeniche, intese inter-religiose e dialogo con uomini e donne di buona volontà. C’è

da osservare, comunque, che questi poderosi processi di globalizzazione neoliberale aggressiva

hanno trovato altri oppositori, così che non si può dire che visioni universalistiche (come quelle

dell’ONU, dell’UNESCO e dell’UNICEF), da una parte, e movimenti a sfondo etico, come quelli

no-global o degli “indignati”, dall’altra, abbiano avuto una rilevanza storica trascurabile.

Nella Chiesa di Milano, poi, il magistero del card. Martini, prima, con il richiamo al primato

della Parola e ai nuovi ‘stili’ di evangelizzazione, e quello del card. Tettamanzi, poi, con un piano

pastorale in tre tempi mirato proprio sulla famiglia (e con l’istituzione di un Fondo di Solidarietà

per aiutare le famiglie in difficoltà), hanno indicato le vie per un vero rinnovamento pastorale

complessivo, a partire dalla famiglia, coadiuvati dall’impegno del compianto don Silvano Caccia.

Naturalmente non si può dire che la realtà pastorale ambrosiana, anche guardando dal limitato punto

di vista saronnese, si sia subito e profondamente rinnovata: l’attuale situazione è diseguale per

parrocchie e, anche in generale, presenta luci e ombre. Ma, ancorché molto ancora si possa fare,

complessivamente un cammino ben documentabile è stato compiuto: e si tratta di un cammino

positivo.

Nella diocesi è cresciuta una partecipazione dei movimenti di spiritualità familiare e delle

coppie all’impegno di testimonianza e di evangelizzazione. La scelta da parte del card. Tettamanzi

di porre a capo dell’Ufficio Famiglia diocesano, accanto a un sacerdote, una coppia di sposi è stata

profetica e indicativa di un cammino da perseguire nel coinvolgimento dei laici in primo piano per

tutto ciò che concerne la famiglia. Lo schema di una triade (coppia e sacerdote) si realizza anche a

livello zonale nella diocesi e dovrebbe costituire un modello efficace per la pastorale familiare.

Riguardo alla conoscenza del Magistero della Chiesa sulla famiglia, bisogna constatare che è

generalmente considerato come un insieme di testi per “gli addetti ai lavori” o per preti: scritto in un

linguaggio tecnico-teologico, si pensa che non sempre aiuti a cogliere ed approfondire le ragioni di

una fede matura e dell’amore cristiano, nonché la profonda dimensione liberatrice del sacramento

del matrimonio.

Tra i fattori culturali che ostacolano la piena ricezione del Magistero si percepisce una

distorta idea di Chiesa: giudicante, chiusa, lontana dalla realtà, che non valorizza l’amore umano e

la sessualità. Forse queste distorsioni sono state generate da catechesi rimaste ad un livello infantile

e non elaborate, nonché da chiusure negli atteggiamenti pastorali e nella stessa predicazione.

Occorrerebbe forse uno sforzo, da parte dei Pastori, per una formulazione più aggiornata, più

‘esistenziale’, più calda del discernimento ecclesiale sui vissuti reali (che vanno conosciuti meglio):

per parlare ai cuori e alle coscienze dei giovani e delle giovani di oggi, ben consapevoli, peraltro,

“che, negli ultimi decenni, si è prodotta una rottura nella trasmissione generazionale della fede

cristiana” (Francesco,

Evangelii gaudium, n. 70).

Una corretta catechesi su quanto Cristo e la Chiesa dicono sul matrimonio va perseguita in

tempi di molto precedenti alla fase pre-matrimoniale, all’interno di una crescita umana e spirituale

delle nuove generazioni.

 

N. 2: Sul matrimonio secondo la legge naturale

 

I concetti di “natura”, “natura umana”, “diritto naturale” oltre al tema dei rapporti tra natura

e cultura sono oggi molto dibattuti sul piano scientifico e accademico e varie posizioni (anche in

ambito cattolico) si confrontano. Se questioni attinenti la biosfera, i suoi equilibri e le sue leggi,

sono ben vive, il tema del diritto naturale sembra invece abbastanza in ombra (anche fra cattolici al

giusnaturalismo si preferisce il giuspersonalismo). I dibattiti sulla bioetica, sul rapporto corpotecnica,

sulla ‘biopolitica’ sono molto accesi, ma difficilmente mettono capo a esiti unanimemente

condivisi e forti sono anzi le contrapposizioni.

Non pare molto utile affrontare la riflessione pastorale da questo punto di vista. In anni

recenti si è pensato che il Post-moderno (cioè il volto ideologico del neo-liberalismo, come si è

detto) fosse un totalitarismo nichilista al quale bisognasse opporre, in modo rigido e totale, un

‘totalitarismo’ ideologico alternativo: ci riferiamo alla centralità dei cosiddetti principi o valori “non

negoziabili” (prevalentemente riferiti alla bioetica come oggetto e al diritto naturale come

approccio).

Purtroppo il Post-moderno (e il neo-liberalismo che lo sorregge) non è un totalitarismo

ideologico, ancorché sia capillarmente invasivo delle coscienze, bensì la decostruzione preventiva e

perenne in forma neo-scettica (ma in realtà fondata sul materialismo pratico) di ogni totalitarismo,

anche sui generis, di ogni approccio ideologico compatto e rigido, di ogni progetto culturale con

pretese egemoniche: “si tratta piuttosto di una diffusa indifferenza relativista, connessa con la

disillusione e la crisi delle ideologie verificatasi come reazione a tutto ciò che appare totalitario”

(Francesco,

Evangelii gaudium, n. 61). Dunque anche il meta-discorso intransigente sui “principi

non negoziabili” è stato rubricato a maschera di interessi lobbistici e come tale metabolizzato e, di

fatto, reso innocuo, irrilevante, marginale: roba da Convegni.

La strada da seguire non può ancora porsi secondo questo schema astratto e deduttivo, ma –

al contrario – deve partire dai vissuti e dalle loro contraddizioni, cioè dalle sofferenze causate dalle

ingiustizie sociali, morali, culturali e psicologiche. A questo fine può essere più coerente una

rilevazione delle mentalità diffuse e delle prassi.

In questo senso, allora, si può dire che nelle etiche diffuse, se pure non compare

consapevolezza di un “diritto naturale”, vi è un’avvertita sensibilità verso i diritti della persona (di

fatto intesi come diritti universali ed universalistici, non declinati cioè in senso comunitaristico). Si

può ricordare, a questo proposito, un’espressione di don Milani che, quando citata, riscuote, oggi

più di ieri, un vasto consenso del sentire popolare cattolico: “c’è una legge che gli uomini non

hanno ancora ben scritta nei loro codici, ma che è scritta nel loro cuore. Una gran parte dell’umanità

la chiama legge di Dio, l’altra parte la chiama legge della Coscienza. Quelli che non credono né

all’una né all’altra non sono che un’infima minoranza malata. Sono i cultori dell’obbedienza cieca”.

Non è molto presente, invece, il “naturalismo”. Non riscuote cioè consenso, tra cattolici,

quel naturalismo, a base di fondamentalismo biblico (come nei Testimoni di Geova), che rifiuta –

per esempio – le trasfusioni di sangue. Ma non è neppure significativamente diffuso quel

naturalismo di origine roussoviana (condannato da Pio XI nellaDivini Illius Magistri) che considera

la natura buona in sé e accetta solo pratiche ‘naturali’ (Rousseau, per questo motivo, rifiutava la

contraccezione): una versione contemporanea potrebbe essere vista nelle posizioni da New Age, ma

con scarsi echi nel mondo cattolico (almeno da noi).

Nella mentalità cattolica popolare si assume, implicitamente, che la natura sia ‘corrotta’ e

che pratiche ‘artificiali’ (come quelle mediche o terapeutiche in senso lato o igienico-profilattiche)

vadano accolte senz’altro dalle famiglie e dai singoli, quando necessarie alla salute fisica e psichica.

La tematica della “legge naturale” riferita alla famiglia richiama pure il principio di

solidarietà e quello di sussidiarietà: molto presenti nel più recente insegnamento sociale della

Chiesa e applicati non sempre in modo coerente da gruppi e esponenti cattolici. Si segnala che – a

livello generale e anche locale – un’enfatizzazione univoca della ‘sussidiarietà’, slegata dalla

‘solidarietà’ (a cui dovrebbe essere sempre, necessariamente, connessa: cfr. Benedetto XVI,

Caritasin Veritate , n. 58), ha portato ad una diffusione surrettizia, in ambito cattolico, di approcci

neoliberisti o privatistici, secondo logiche di interesse di gruppi particolari e non di bene comune.

Appare invece urgente un forte rilancio della solidarietà – come valore e come prassi – verso le

famiglie e tra famiglie. Peraltro sembra molto esigua una applicazione del ‘principio di

sussidiarietà’ nel rapporto tra famiglie cattoliche e comunità ecclesiale nel suo insieme: solo un

maggiore sviluppo e radicamento dell’ecclesiologia conciliare potrà ovviare a questa lacuna.

A proposito di “legge naturale” (e considerando il livello “istituzionale, educativo e

accademico” a cui si riferisce la domanda 2a), si può fare un’ultima considerazione sulla cosiddetta

“questione del genere” (e del rapporto tra “sesso” e “genere”). Nel dibattito culturale sembra

prevalere una sterile polarizzazione e contrapposizione tra opposti estremismi: tra chi sostiene una

visione tutta e totalmente culturale, basata solo sul “genere” (appunto inteso, unicamente, come

costruzione culturale e volontaria), e chi si attesta su una visione tutta e totalmente fisicistica, basata

solo sul “sesso” (inteso come determinato dalla immodificabile struttura cromosomica

dell’individuo). Al posto di questi ideologici

aut aut, sarebbe preferibile un più sereno e ponderato

approccio

et et: che consideri sia le questioni della psicologia dello sviluppo, nel legame corpopsiche,

sia quelle sociologiche, più culturaliste, relative al rapporto dell’individuo con l’ambiente.

 

N. 3: La pastorale della famiglia nel contesto dell’evangelizzazione

 

Lo sviluppo della pastorale familiare nella Diocesi ambrosiana, con gli episcopati di Martini

e di Tettamanzi, in sintonia con il

Direttorio di Pastorale Familiare dei Vescovi italiani (e con i

documenti dei Vescovi lombardi) e con l’Ufficio Famiglia della CEI, ha portato a consolidare

esperienze ecclesiali importanti.

I risultati di maggior rilievo possono ritenersi: i Corsi di preparazione al matrimonio e la

diffusione dei gruppi familiari. Più recentemente sono state avviate – e sembrano rilevarsi

promettenti – proposte pastorali di percorsi pre e post-battesimali, rivolte alle famiglie e, in

particolare, ai coniugi (in genere giovani adulti).

I Corsi (o meglio Percorsi), con la loro vastissima diffusione (e nonostante un qualche

leggero declino quantitativo), rappresentano la maggiore iniziativa ‘missionaria’ della Chiesa

locale: si ha cioè la possibilità di accostare per un certo numero di incontri – non altissimo, ma

neppure insignificante – coppie di giovani adulti che, pur dicendosi cattolici, hanno, per la gran

parte, affievolito o abbandonato ogni rapporto significativo con la Comunità ecclesiale e hanno

un’esperienza, meno che saltuaria, di partecipazione all’eucaristia domenicale. Si tratta di

un’occasione importante di ‘secondo annuncio’ che si cerca di sviluppare al meglio. Non mancano,

ovviamente, i problemi. La Commissione per la Pastorale familiare (della Comunità Pastorale di

Saronno) sta riflettendo sulle forme più adeguate per rispondere alle sfide che i Percorsi pongono: a

cominciare dal problema della relazione, successiva al matrimonio, tra le giovani famiglie e la

Comunità ecclesiale. Si può comunque già osservare che la sempre più frequente richiesta del

matrimonio da parte di battezzati non praticanti deve essere accolta con misericordia e come

un’opportunità per risvegliare una fede accantonata, ma ancora viva. Si dovrebbero pertanto

studiare proposte realistiche di ‘secondo annuncio’ specificamente mirate a tali situazioni, in

appoggio agli attuali Percorsi.

I gruppi familiari – nell’ambito di movimenti di spiritualità familiare o a dimensione

parrocchiale (e secondo le indicazioni del Direttorio di pastorale familiare) – sono oggi una realtà

importante, sia dal punto di vista quantitativo sia da quello dell’impegno, per l’intera Diocesi

ambrosiana (come i Convegni zonali del 2008 hanno dimostrato) e, più particolarmente, per la

nostra Comunità Pastorale e per il Decanato di Saronno.

Tali gruppi sono realtà nati spontaneamente da coppie di sposi desiderosi di avere un

cammino spirituale che si moduli con le esigenze della vocazione matrimoniale, in comunione con

altre coppie, con o senza la presenza di un prete. Nella diversità dei metodi adottati, delle tematiche

e degli eventuali sussidi, vale per tutti che questa realtà potrebbe costituire una forma nuova di

evangelizzazione, che ha luogo non più negli ambienti ecclesiali, ma nelle case, dove la fede “si

incarna”. Tali esperienze, che spesso non hanno vita breve, ma durano anche dopo la vedovanza,

costituiscono inoltre una forma di testimonianza verso i figli, che

vedono i genitori dedicarsi a

momenti di riflessione e preghiera, in spirito fraterno, liberamente e responsabilmente.

In qualche parrocchia della Comunità Pastorale saronnese si stanno sperimentando pure

percorsi di giovani coppie che si sono conosciute durante il corso fidanzati. Promossi inizialmente

dal parroco e da una coppia-guida, vengono poi portati avanti da qualche coppia giovane più

sensibile e disponibile.

A lato di queste esperienze, ancorché in sinergia con esse, si colloca la proposta dei ‘gruppi

di ascolto’ (rilevante in alcune parrocchie della Comunità Pastorale).

Considerando il ‘progetto’ complessivo espresso dal magistero della Chiesa (dal Concilio

alla

Familiaris Consortio ai documenti della CEI, a cominciare dai Piani pastorali decennali e dal

 

Direttorio

 

) e la sua reale attuazione, emerge un dato più evidente. Se gli aspetti che considerano la

famiglia come ‘oggetto’ della pastorale hanno visto un reale sviluppo e esperienze positive, in quelli

in cui la famiglia appare come ‘soggetto’ di azione pastorale vi sono ancora ampi margini di crescita

e di miglioramento.

La famiglia, attraverso cui passano tutte le età della vita di ogni essere umano, riconosciuta

“chiesa domestica”, espressione del “mistero grande” dell’amore tra Cristo Sposo e la Chiesa

Sposa, nasce e si sostiene, crea vita e si santifica tramite l’amore della

coppia dei coniugi che la

creano. Il matrimonio dunque è condizione privilegiata di santificazione per i coniugi e come tale va

riconosciuto, promosso e sostenuto dalla comunità ecclesiale. Gli sposi dunque siano

soggetti attividella pastorale comunitaria.

Tutte le potenzialità che sono implicate nella “grazia di stato”, che i coniugi e i genitori

hanno – e hanno solo loro – per la vita cristiana della loro famiglia e nella loro famiglia, non sono

tuttora pienamente attuate. Sembrerebbe ancora, infatti, che molte decisioni – anche relativamente

alla vita matrimoniale intima – non possano essere autonomamente e responsabilmente prese dai

coniugi stessi: ciò appare sia incomprensibile, alla luce dell’ecclesiologia conciliare, sia

mortificante della “grazia di stato”, cioè della pienezza di carisma che lo Spirito consegna ai

coniugi.

Così pure, in una visione complessiva di una pastorale di liberazione evangelica, il ruolo e le

relative potenzialità dei coniugi cristiani sono ancora da sviluppare e potrebbero rivelarsi

significativi. I coniugi cristiani vivono oggi – forse perfino inconsapevolmente – un “vissuto

eucaristico” che va dalla cura, sempre più esigente, dei figli, al sostegno morale e psicologico

reciproco (in un tempo che, come si è visto, da una parte spinge verso torsioni narcisistiche e

individualistiche e dall’altra mette in difficoltà, in molti sensi, sul piano del lavoro)

all’accudimento, in molti casi, di genitori anziani e malati. Questo vissuto eucaristico non sempre

viene accolto, riconosciuto come pienamente ecclesiale e perciò valorizzato in quanto tale dalle

Comunità ecclesiali, che pure ne avrebbero tanto bisogno (cfr. Francesco ,evangelii gaudium, n. 28).

Se oggi la pastorale non può non fondarsi sulla ‘relazione’, allora solo portando il vissutoe

familiare nelle comunità ecclesiali le si renderà famiglie di famiglie. Un’indicazione – presente nei

documenti della CEI e molto sottolineata da don Renzo Bonetti, quando è stato coordinatore

dell’Ufficio famiglia della CEI (e venne pure a Saronno per un incontro con gli operatori di

pastorale familiare, a livello decanale) – quasi totalmente disattesa è quella di non avere solo o tanto

‘operatori pastorali’ individuali, ma anche o soprattutto ‘in coppia’: e così essere presenti negli

organismi ecclesiali partecipativi. Ma anche le ultime elezioni dei vari Consigli non hanno previsto

questo approccio. Non che esso sia la soluzione complessiva: ma indicherebbe un’attenzione, una

sensibilità, un segnale di direzione di marcia.

Uno sviluppo possibile – che potrebbe sembrare oggi un’ipotesi remota, ma che merita di

essere segnalato – di questa ministerialità andrebbe nel senso di offrire una speranza viva rispetto ad

un rischio che è oggi presente nel Nord Europa (cioè a pochi chilometri da qui): la mancanza di

presbiteri per la presidenza delle eucaristie. La diminuzione del numero di presbiteri sta, oggi,

spingendo a riorganizzazioni come quella delle Comunità Pastorali: e nella nostra Comunità

Pastorale di Saronno ci sono già Parrocchie che non hanno un presbitero residente (anche se non ci

sono problemi per le eucaristie feriali e festive). In ogni caso, quando – in una Comunità ecclesiale

– sono presenti coniugi anziani, che con la loro vita hanno dato una prova, lunga e duratura, di

fedeltà cristiana e di impegno ecclesiale, perché non giungere alla ordinazione presbiterale del

marito (anche se non vedovo), con un conseguente ministero di presidenza dell’eucaristia nella sua

Comunità? Se i fini sono chiari (assicurare la celebrazione eucaristica in ogni comunità), perché non

ricercare nuovi mezzi per raggiungerli veramente?

Ci conforta quanto afferma papa Francesco: “La pastorale in chiave missionaria esige di

abbandonare il comodo criterio pastorale del «si è fatto sempre così». Invito tutti ad essere audaci e

creativi in questo compito di ripensare gli obiettivi, le strutture, lo stile e i metodi evangelizzatori

delle proprie comunità. Una individuazione dei fini senza un’adeguata ricerca comunitaria dei

mezzi per raggiungerli è condannata a tradursi in mera fantasia. Esorto tutti ad applicare con

generosità e coraggio gli orientamenti di questo documento, senza divieti né paure” (Francesco,

Evangelii gaudium, n. 33).

 

N. 4: Sulla pastorale per far fronte ad alcune situazioni matrimoniali difficili

 

Anche nel nostro territorio saronnese si segnalano trasformazioni ormai chiaramente

evidenti. Per riferirci al solo Comune di Saronno, nel 2010 sono stati celebrati 127 matrimoni – 78

religiosi e 49 (38,5%) civili – e ci sono stati 37 divorzi. Nel 2011 sono stati celebrati 121 matrimoni

– 62 religiosi e 59 (48,7%) civili – e ci sono stati 40 divorzi. Sono inoltre aumentate nettamente le

convivenze: non abbiamo dati, tuttavia tra i ‘fidanzati’ che partecipano ai già ricordati Percorsi di

preparazione al matrimonio, un numero crescente nel tempo e ormai decisamente maggioritario è

costituito da coppie conviventi (talvolta anche già con figli).

Vent’anni fa – quando le coppie conviventi erano rarissime – si poteva adottare un codice

rigoristico. Ma oggi avrebbe senso accogliere queste coppie con le parole del Catechismo? Dire

cioè che la loro situazione esistenziale è un’offesa alla castità, come lo sono la lussuria, la

masturbazione, la pornografia, la prostituzione e lo stupro (nn. 2351-2356), e che è un’offesa alla

dignità del matrimonio, come la poligamia, l’incesto, il concubinato (nn. 2387-2391). Avere un

approccio del genere – dottrinalmente ortodosso e coerente – vorrebbe dire semplicemente

allontanare tutti i presenti e non fare più nessun Percorso. Per questo, l’atteggiamento delle coppieguida

dei Percorsi esprime normalmente accoglienza, simpatia, fiducia, apprezzamento per le gioie

dei fidanzati e propone l’itinerario di fede verso il sacramento come un completamento, una

crescita, una maturazione, sul piano umano e cristiano. Non si tratta solo di un atteggiamento

pastorale ragionevole e di buon senso, che parte – con rispetto – dall’interno dei vissuti reali, in ciò

che viene soggettivamente percepito come positivo e bello. Si tratta anche, ormai, di fare anche noi

– Comunità ecclesiale – un cammino e una crescita, come chiediamo alle giovani coppie. Le

posizioni dottrinali con le loro formulazioni catechistiche, cioè, non descrivono più (o almeno in

modo riconoscibile) vissuti reali, si riferiscono a contesti storici (come fatti e come

autoconsapevolezza dei fatti) che non esistono più, appaiono per lo più irrispettose e si devono

omettere o bypassare con giri eufemistici. Si richiede, dunque, una crescita nella comprensione del

dato rivelato e un aggiornamento della sua formulazione.

Non si può dire che i separati, i divorziati e i divorziati risposati costituiscano in sé, nel

nostro contesto, una realtà quantitativamente molto cospicua. Il numero dei divorziati è in crescita:

ma, tra questi, la maggioranza non partecipa alla vita della Comunità ecclesiale, forse per

disinteresse, per scelte ideali diverse, ma forse pure – in qualche caso – per non sentirsi

discriminata. Vi sono anche, sia pure per piccoli numeri, persone che vivono in tali situazioni e che

frequentano, quasi sempre con difficoltà, la Comunità ecclesiale.

Tuttavia dedurre da questa constatazione che tale situazione pastorale non sia, nella nostra

realtà, “rilevante” sarebbe un grave errore. Innanzi tutto ci sono i “mondi vitali” che ruotano attorno

a queste persone: molti membri della Comunità ecclesiale – per non dire tutti – hanno parenti, più o

meno stretti, o quanto meno intimi amici che vivono tali situazioni. Vi è poi l’orizzonte di

aspettativa: sempre più i genitori di adolescenti e giovani assumono, con angoscia, che i loro figli e

figlie possano – con un tasso di probabilità statisticamente significativo – incorrere in situazioni di

fallimento matrimoniale. Anche solo per questi aspetti, la questione è rilevante per molti e forse per

quasi tutti i membri della Comunità ecclesiale: appare inoltre come un punto di coerenza per una

pastorale veramente dell’accoglienza (come richiesto fin da Giovanni Paolo II e da Benedetto XVI),

per un approccio di misericordia e, in fin dei conti, per un profilo di coerenza e di evangelica

bellezza della Chiesa di Cristo, che si piega a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, su cui

giustamente insiste ora papa Francesco.

Si tratta di compiere scelte che valgano soprattutto per il futuro, essendo più facile prevenire

sofferenze, incomprensioni, distacchi, che riparare ciò che è avvenuto nel passato. Certo l’orizzonte

ecclesiale si è desertificato di molto (“si è prodotta una desertificazione spirituale”: Francesco,

 Evangelii gaudium, n. 86): siamo caduti nella “tentazione di separare prima del tempo il grano dalla zizzania” (Francesco,

Evangelii gaudium, n. 85) e a furia di strappare via la zizzania, si è sradicato ebuttato via anche grano buono (i ‘contesti familiari

e parentali’ della pretesa ‘zizzania’, peresempio), come il Vangelo aveva previsto.

Ora si tratta si smettere di sradicare, ma le zone inaridite

e diserbate non rifioriscono automaticamente ed anzi il terreno si è indurito e si è fatto

impermeabile. Con serenità e fiducia – ma con realismo e senza impossibili illusioni ‘quantitative’ –

bisognerà riprendere la semina. “Crediamo al Vangelo che dice che il Regno di Dio è già presente

nel mondo, e si sta sviluppando qui e là, in diversi modi: […] come il buon seme che cresce in

mezzo alla zizzania (cfr. Mt 13, 24-30), e ci può sempre sorprendere in modo gradito” (Francesco,

 

Evangelii gaudium

 

, n. 278).

Anche la questione dei sacramenti va vista in questo contesto complessivo (e non solo sulla

mera statistica di quanti divorziati risposati chiedono l’eucaristia). Vi è un problema di prassi

sacramentale diretta e anche indiretta (divorziati risposati che chiedono di essere padrini). Vi è una

‘anarchia sommersa’ che porta i pastori in cura d’anime ad avere atteggiamenti diversi, se non

opposti. Vi sono forme di ‘nicodemismo’ (vai a fare la comunione in un’altra parrocchia, dove non

ti conoscono, per non creare scandalo).

Ma, soprattutto, l’attuale disciplina che impedisce a tutti i divorziati risposati di accostarsi

all’eucaristia appare molto problematica e bisognevole di approfondimenti che segnino veri

sviluppi.

La negazione pura e semplice dell’eucarestia era perfettamente coerente all’approccio, sopra

ricordato, del Catechismo. Alla coppia convivente si diceva: sei in peccato mortale, abbandona la

convivenza, pentiti, confessati e solo allora ti potrai sposare in Chiesa. Alla coppia di divorziati

risposati si diceva: sei in peccato mortale, non puoi ricevere l’eucarestia, se muori vai all’inferno.

Oggi l’atteggiamento pastorale non è più così rigido e allora si invitano i divorziati risposati alla

‘comunione spirituale’. Ma questa è o non è una via alla salvezza eterna? Se non lo è, cosa cambia?

E se lo è, non abbiamo così un vulnus alla ‘forma eucaristica’ della Chiesa? Nella Chiesa, cioè, ci

sarebbe anche una via di salvezza, pienamente intra-ecclesiale e tuttavia extra-eucaristica.

Non sarebbe più produttivo ricercare la soluzione pastorale – certo non semplice e che non

potrà essere univoca (senza cioè distinguere tra situazioni diverse) – nell’ambito di quella visione

‘medicinale’ del sacramento eucaristico di cui parlano i Padri e che è stata anche richiamata da papa

Francesco nella Evangelii Gaudium (n. 47: “L’Eucaristia, sebbene costituisca la pienezza della vita

sacramentale, non è un premio per i perfetti ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli.

Queste convinzioni hanno anche conseguenze pastorali che siamo chiamati a considerare con

prudenza e audacia. Di frequente ci comportiamo come controllori della grazia e non come

facilitatori. Ma la Chiesa non è una dogana, è la casa paterna dove c’è posto per ciascuno con la sua

vita faticosa”

)?

Non meno problemi suscita l’indicazione che ammette all’eucaristia i divorziati risposati che

vivano tra loro “come fratello e sorella”: cioè non abbiano rapporti sessuali. Sono evidenti tanto

l’inutilità di una simile norma quanto l’amaro sarcasmo che può suscitare in chi vive tali situazioni.

Ma, soprattutto, essa sembra modificare e secolarizzare il sacramento del matrimonio, riducendo al

solo aspetto sessuale la promessa sacramentale.

Il problema che l’attuale disciplina pone non è, dunque, solo una difficoltà per i divorziati

risposati, è anche una difficoltà per la ‘coscienza eucaristica’ di tutti i fedeli e per

l’autoconsapevolezza sacramentale di tutti gli sposi cristiani.

Da parte di alcune delle persone separate o divorziate si percepisce un’esigenza di

continuare a sentirsi parte della comunità, rivestendo comunque dei compiti (p.es. negli oratori) o

partecipando a gruppi di famiglie. C’è un percorso faticoso e profondo da compiere per tutti che è

quello del perdono dentro la coppia e verso la coppia.

Centrale è poi – dal punto di vista della liberazione evangelica – il problema dei ‘piccoli’:

non possono cioè essere trascurati i vissuti di dolore e di sofferenza, che riguardano i figli (specie se

minori) e che si intrecciano, in modo necessariamente diverso, con le difficoltà dei rapporti tra i

genitori. In questo campo, anche dal punto di vista pastorale, vi è una rivoluzione culturale

evangelica da compiere (“Se non ritornerete come bambini…”): assumere il punto di vista del

minore, del rispetto nei suoi confronti, dei suoi diritti psicologici, morali e spirituali. Molte

perplessità suscitano mentalità che assumono l’aver un figlio come un diritto e secondo una logica

proprietaria, nonché visioni adultiste, sul piano delle decisioni di coppia e intra-familiari (con il già

ricordato rischio del ‘familismo’), anche nell’ambito del cammino di fede.

Vi è, infine, da segnalare una ulteriore difficoltà sul piano ecumenico. La comunicazione

in sacris e quindi nell’eucaristia con i fedeli ortodossi è (dal Concilio e, dunque, anche dal Codice di

diritto canonico e dal Catechismo) non solo dichiarata possibile, ma anche consigliabile. Ciò è

rilevante nel nostro contesto, in cui la presenza straniera più numerosa è quella dei rumeni. Ma in

forza dell’attuale disciplina cattolica sui divorziati risposati, l’eucaristia deve essere negata ai fedeli

ortodossi divorziati, che – nella loro Chiesa – possono, invece, ricevere l’eucaristia. Si noti

l’estrema difficoltà – esistenziale, psicologica, ma anche dottrinale – di far interferire la disciplina

di una Chiesa con la coscienza dei fedeli di un’altra Chiesa, trasformando surrettiziamente

l’ecumenismo in proselitismo confessionale.

Rispondendo poi, unitariamente, a domande poste dal questionario (2d, 4f, 8c), si osserva

che – in considerazione delle epocali trasformazioni storiche che stiamo vivendo e che modificano

non solo i vissuti ma anche le percezioni e le valutazioni etiche dei vissuti stessi – sarebbe forse da

approfondire la ‘forma’ stessa del sacramento del matrimonio, superandone la struttura compatta e

totalmente sincronica, verso una struttura più progressiva e diacronica. Il sacramento del

matrimonio, da una parte, è l’unica forma ammissibile di convivenza stabile di coppia tra battezzati,

dall’altra implica – dal momento stesso della sua celebrazione – l’indissolubilità del vincolo.

Tra i religiosi si giunge all’indissolubilità dei voti solenni e perpetui dopo un cammino di

vita che prevede passaggi intermedi e temporanei.

Lo stesso sacramento dell’Ordine prevede una gradualità progressiva, diacronicamente

articolata: prima c’è il diaconato (che per alcuni può essere permanente), poi c’è il presbiterato (che

per alcuni, anzi per la maggioranza, è definitivo) e poi c’è, come pienezza del sacramento,

l’episcopato.

Perché non pensare una gradualità di momenti anche nel sacramento del matrimonio? Una

prima fase di fidanzamento, una seconda di convivenza senza vincolo di indissolubilità, che può

ricevere una benedizione nella Chiesa, infine la celebrazione piena del sacramento (che ovviamente

ha, tra le sue caratteristiche irrinunciabili, l’indissolubilità). Si sarebbe in difficoltà a dire quante

delle giovani coppie, che partecipano ai Percorsi di preparazione al matrimonio, abbiano la piena

maturità di fede personale e di vita comunitaria ecclesiale che la celebrazione del sacramento

presuppone. La via implicitamente suggerita dal questionario (4f: snellimento della prassi canonica

in ordine al riconoscimento della dichiarazione di nullità del vincolo matrimoniale), pur in sé

auspicabile, se vista come soluzione al problema – umano, pastorale, ma anche in sé sacramentale –

dei divorziati da matrimonio canonico, appare una scorciatoia non proprio limpida, non priva di

rischi di disordini, di ingiustizie, di anarchia disciplinare e con qualche ombra di ipocrisia.

La grande via evangelica dell’attenzione personale e della misericordia costituisce, anche in

quest’ambito, la sola portatrice di frutti di gioia, di giustizia e di liberazione: “Pertanto, senza

sminuire il valore dell’ideale evangelico, bisogna accompagnare con misericordia e pazienza le

possibili tappe di crescita delle persone che si vanno costruendo giorno per giorno” (Francesco, 

Evangelii gaudium, n. 44).

 

N. 5: Sulle unioni di persone dello stesso sesso

 

I cambiamenti epocali di costume, a cui si è fatto cenno, hanno reso sempre più sensibile

l’opinione pubblica verso l’omofobia e verso ogni forma di discriminazione relativa alle persone e

alle coppie omosessuali. Capita pure che la prospettiva della liberazione evangelica sia accusata,

con evidente ingiustizia, di omofobia.

Non si può negare che tendenze omofobiche ci siano state in passato e con frequenza tra

cattolici, ma come riflesso di contesti culturali più generali (la stessa Organizzazione Mondiale

della Sanità ha considerato, fino al 1990, l’omosessualità una malattia) e forse anche come

espressione di quei residui sessuofobici manichei, stigmatizzati da Giovanni Paolo II.

Anche in quest’ambito – non foss’altro per far emergere la limpidità e la forza liberatrice del

Vangelo – è auspicabile una crescita in comprensione del dato rivelato e un maggiore impegno di

annuncio e di testimonianza che contrasti ogni, anche dissimulata, tendenza omofobica. Non

dimentichiamo che l’omosessualità appare ancora come un tema difficile, che genera conflittualità,

a partire dall’interno stesso delle famiglie, e perfino violenze.

È da notare che, su questo aspetto, conta molto la conoscenza scientifica delle cause e della

realtà del fenomeno. Se la Sacra Scrittura non può essere una norma sulla teoria scientifica

riguardante l’eliocentrismo, non può esserlo neppure sulla teoria scientifica che riguardi

l’omosessualità. Alla Parola di Dio non ci si rivolge per la conoscenza scientifica dei fenomeni, ma

per la liberazione vera dei contesti umani, oppressi dalla schiavitù del peccato e delle sue

conseguenze sociali disumanizzanti, attraverso l’amore di Dio.

Lo stesso  catechismo dice che la genesi psichica dell’omosessualità è ancora non

definitivamente chiarita (n. 2357) e aggiunge: “Un numero non trascurabile di uomini e di donne

presenta

G.Piana e le innovazioni del ‘questionario’

bel giglio

G. Piana riflette sul ‘questionario’ che papa Francesco ha voluto mettere in mano ad ogni membro ecclesiale, vedendovi novità significative (metodo ‘democratico’, affermazione della sinodalità, della corresponsabilità) e contenutistiche (sguardo positivo sul matrimonio e attenzione ai nodi critici nella prospettiva della misericordia):

il questionario per una chiesa viva

di Giannino Piana
in “Rocca” n. 23 del 1 dicembre 2013

A poco più di sette mesi dalla elezione Papa Francesco (o meglio il nuovo vescovo di Roma, per
usare la formula da lui prediletta) non cessa di sorprendere. Tantissimi sono ormai gli interventi, fatti con
i gesti e con le parole (ma anche – non dimentichiamolo – con precise decisioni di governo), che hanno
contrassegnato di una chiara impronta innovativa il suo pontificato. La scelta preferenziale dei poveri
e l’esercizio della misericordia nei confronti delle molte situazioni difficili che l’umanità oggi
sperimenta sono i tratti qualificanti della sua azione pastorale dal timbro schiettamente evangelico, che
coinvolge a vasto raggio credenti e non credenti, risuscitando la speranza in un mondo attraversato da una
profonda crisi, non solo economica e sociale ma anche (e soprattutto) culturale e morale, e afflitto
proprio per questo dalla paura del futuro.
L’ultimo importante atto di Papa Bergoglio, che non ha mancato di suscitare vivaci e in generale
positive reazioni nell’ambito dell’opinione pubblica (non mancano tuttavia, anzi vanno moltiplicandosi,
nei confronti del Papa anche posizioni di dissenso negli ambienti della conservazione ecclesiale e della
destra politica), è stata la pubblicazione (anticipata da alcune agenzie e poi fornita ufficialmente dagli
organi della Santa Sede) del questionario inviato alle diocesi di tutto il mondo in preparazione del Sinodo
straordinario sulla famiglia, che avrà luogo a Roma nell’ottobre del 2014 e al quale parteciperanno per la
prima volta (in omaggio alla collegialità) tutti i Presidenti delle 114 Conferenze episcopali nazionali del
mondo.
dall’ Instrumentum laboris al questionario
La «novità» di questo modo di procedere è anzitutto metodologica. I sinodi, finora celebrati, dopo il
Vaticano II, sono sempre stati preceduti dalla pubblicazione di un ampio e dettagliato documento
denominato Instrumentum laboris, destinato ai vescovi, e in particolare a quelli designati a partecipare,
nonché ai periti e osservatori invitati, che riproponeva le linee fondamentali della dottrina della chiesa
attorno al tema prescelto come oggetto dell’assise sinodale e conteneva alcune domande su questioni
aperte, di carattere soprattutto pastorale, che dovevano essere fatte oggetto di discussione e di confronto.
Ora, a parte la restrizione del campo al solo ambito dei vescovi e degli esperti, in particolare dei
partecipanti ai lavori (i quali certo avevano la possibilità, di consultare, se lo volevano, sacerdoti e laici),
ad essere fatti oggetto di riflessione erano semplicemente alcuni temi che riguardavano l’applicazione della
dottrina tradizionale alle nuove situazioni o, nel migliore dei casi, l’individuazione di piste efficaci di
carattere pastorale.
Il passaggio al questionario costituisce perciò un vero e proprio ribaltamento di metodo. Non si tratta,
infatti, di procedere dall’alto, in modo deduttivo, ribadendo i principi di sempre e disponendosi ad
affrontare, a partire da essi, i problemi che vengono emergendo dalla realtà. Si tratta piuttosto di partire dal
basso, da una conoscenza approfondita della realtà, perciò facendo spazio a una consultazione di base,
finalizzata a rilevare ciò che le comunità cristiane e, in senso più ampio, gli uomini di buona volontà, pensano
per interrogarsi seriamente su come impostare l’azione pastorale, cioè su come rendere attuale l’annuncio
evangelico così da raggiungere la coscienza dell’uomo contemporaneo.
La novità consiste pertanto nell’impegno ad ascoltare anzitutto il popolo di Dio nella sua interezza – clero,
religiosi e laici – mettendo in tal modo in atto l’ecclesiologia del Concilio, che ha sottolineato con
forza la corresponsabilità di tutti i credenti nella costruzione della Chiesa e il ruolo specifico e fondamentale
dei laici nell’apertura della Chiesa al mondo. La seria considerazione di quanto si registra nelle comunità
cristiane in tema di credenze e di costume non ha, perciò, soltanto un significato sociologico, per quanto
importante; risponde, più profondamente, a un’istanza teologica, quella della ricezione del sensus
fidelium, che è un elemento essenziale dal quale il magistero non può prescindere nell’esercizio delle
proprie funzioni dottrinali e pastorali.
i contenuti del questionario
Un altro dato di grande interesse – quello senza dubbio più eclatante e ampiamente commentato dai media per gli immediati riflessi sull’opinione pubblica – riguarda i contenuti del questionario. Le
trentotto domande, suddivise in nove sezioni, affrontano un ampio spettro di questioni relative allo sviluppo
della vita matrimoniale e familiare, non eludendo i temi più scottanti senza alcuna reticenza e con un
linguaggio diretto, per nulla curiale.
La preoccupazione, che traspare dalla lettura del questionario, è anzitutto quella della trasmissione della
fede, dell’individuazione cioè delle strade per una rinnovata evangelizzazione del matrimonio cristiano, del
suo significato sacramentale e dei valori ad esso connaturati. Papa Francesco è consapevole – e lo esplicita di
continuo nei suoi interventi, soprattutto nella riflessione che svolge quotidianamente attraverso le omelie di
Santa Marta – che la situazione di marcato secolarismo nella quale viviamo, ha finito per offuscare, anche
nel mondo dei battezzati che accedono al sacramento del matrimonio, la consapevolezza del
significato che esso riveste e dei doveri che da esso scaturiscono. L’impegno prioritario delle comunità
cristiane è dunque – come risulta dalle prime sezioni del questionario – quello di restituire credibilità al
matrimonio cristiano e di alimentare la vita spirituale delle coppie e delle famiglie che fanno ad esso
riferimento, perché diano testimonianza dell’amore di Dio che si rende presente nella storia degli
uomini mediante l’esperienza del loro amore. Ma il questionario non manca di mettere a fuoco, con
grande realismo, anche alcuni nodi critici della vita matrimoniale e familiare, propri della situazione
odierna. Contraccezione, coppie di fatto, etero ed omosessuali, convivenze ad experimentum,rapporti
prematrimoniali, comunione ai divorziati risposati sono alcune delle questioni poste sul tappeto;
questioni delicate – come è facile intuire – la cui rilevanza è oggi particolarmente consistente, e che non
possono (e non devono) pertanto essere eluse sul piano pastorale. Significativo è soprattutto il modo con
cui le domande sono costruite, sia perché l’accento è posto anzitutto sull’annuncio della misericordia di
Dio (si veda la domanda che riguarda i separati e i divorziati risposati), sia perché l’attenzione
privilegiata è ai soggetti deboli, in particolare ai bambini, come risulta con chiarezza da una delle
domande (ben quattro) riferite alle «unioni di persone dello stesso sesso».
Non manca, infine – e anche questo è un dato di indubbia novità – il riferimento al giudizio sulla
legislazione civile, soprattutto laddove è in gioco il riconoscimento delle unioni di fatto omosessuali:
«Quale è – recita il questionario – l’atteggiamento delle Chiese particolari e locali sia di fronte allo Stato
civile promotore di unioni civili tra persone dello stesso sesso, sia di fronte alle persone coinvolte in
questo tipo di unione?». La domanda così posta, che ha come obiettivo la registrazione dei pareri delle
diverse Chiese locali, sembra riconoscere implicitamente la complessità di un giudizio, quello sulla
legislazione civile, la quale, in quanto riflette la situazione di una società democratica e pluralista, non
può certo assumere direttamente la concezione etica propria di una religione – di quella cattolica ad
esempio – o di una ideologia; ma, senza rinunciare a far valere l’istanza etica, deve rintracciarla tuttavia
nella possibile convergenza attorno a un denominatore comune condiviso, le diverse posizioni etiche
presenti nella società.
si avvera il sogno del cardinale Martini?
Quest’ultimo importante atto di Papa Francesco sembra dunque confermare la linea di condotta
innovatrice, che ha contrassegnato fin dall’inizio il suo pontificato. La perfetta sinergia di gesti, parole ed
atti di governo rende trasparente la scelta inequivocabile di una nuova direttrice di marcia, destinata a segnare
una svolta epocale nella vita della Chiesa. Che si avveri il sogno del cardinale Martini, che, in una delle
ultime interviste, denunciava con sofferenza l’arretratezza della Chiesa nei confronti delle trasformazioni
intervenute nella società, giungendo persino a parlare di un gap di ben duecento anni? È troppo presto per
dirlo. Ma è certo che le questioni messe a tema attraverso il questionario del Sinodo straordinario del
prossimo autunno sono le stesse alle quali egli ha ripetutamente alluso negli anni del suo episcopato milanese e
per le quali auspicava appunto la celebrazione di un Sinodo straordinario, se non addirittura (ma su questo
non si è mai espresso ufficialmente) di un nuovo Concilio.
Non c’è che da restare in attesa dei lavori sinodali per verificare quanto delle premure pastorali di Papa
Francesco verrà recepito. Ciò che, in ogni caso, appare assodato è il fatto che si respira oggi nella Chiesa
un clima nuovo e carico di attesa. L’apertura decisa alla sinodalità come forma di conduzione della
chiesa a tutti i livelli (perciò non solo come esercizio della collegialità episcopale) – la destinazione
del questionario rappresenta, a tale proposito, un segno eloquente – e la capacità di immergersi profondamente nel vivo delle vicende umane, a partire da quelle nelle quali si rende più
immediatamente trasparente la fragilità creaturale e il peso del peccato e della sofferenza per
annunciare la misericordia di Dio, sono altrettanti segni di un ritorno allo spirito del Concilio,
peraltro da Papa Francesco ripetutamente proposto come traccia sicura e irrinunciabile del cammino
della Chiesa di oggi. Sembrano tornare di attualità le parole contro i «profeti di sventura» con cui Papa
Giovanni apriva cinquanta anni fa l’assise conciliare e riaffacciarsi, dopo una stagione incerta e non
esente da tendenze involutive, una rinnovata e promettente primavera.

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