l’urlo e la lotta degli indios contro la nostra tracotanza e i nostri silenzi
gli indios stanno lottando contro la bulimia di energia
Mauro Villone
scrittore e operatore socioculturale
L’unica cosa che tutti saranno veramente costretti a fare nei prossimi decenni, se non si svegliano, è vivere in un mondo tossico, privo di valori e tradizioni, con un bassissimo livello di energia e con un alto livello di schiavitù.
Inutile inventare scuse. La vita passa in un istante e l’unica cosa sensata che rimane è pensare ai propri figli. Ma fare questo, oltre ad essere solo una traslazione nel tempo dello stesso problema, ha l’aggravante di lasciare loro, se andiamo avanti accettando tutto così, un mare di macerie solide, liquide, psichiche e gassose.
Di fatto ciò che sta accadendo è il seguente. Dall’Amazzonia al nord del Brasile, dal North Dakota fino all’Alaska gli indios stanno lottando, qua e là sostenuti da intellettuali e ambientalisti, per salvare quello che resta dei loro ultimi santuari, che poi sono gli ultimi per tutti. Numerose le violazioni dei diritti umani e alto rischio del perpetrarsi di omicidi. Tutto questo sta avvenendo in nome del fabbisogno ormai bulimico di energia. Le cause della distruzione sono il petrolio e le idroelettriche, con trivellazioni, oleodotti, dighe, ma anche piantagioni intensive e a perdita d’occhio di biomasse. Contribuiscono anche lo sviluppo turistico di bassa lega, la deforestazione per creare pascoli, la speculazione immobiliare.
Per fare alcuni esempi. 170 Guarany (50 uomini, 50 donne, 70 bambini) hanno minacciato il suicidio di massa qualora venissero deportati dal territorio sacro nel quale sono accampati ora che loro chiamano “tekoha”, cimitero ancestrale, nel Mato Grosso do Sul (Brasile). Non è una minaccia qualsiasi, avviene già da anni che molti di loro si tolgano la vita. Cinque villaggi Pataxò, nello Stato di Bahia (Brasile) saranno rasi al suolo per speculazione immobiliare.
I Krenak, violentemente danneggiati dal disastro della diga di Mariana, tragedia storica passata sotto silenzio dai media di tutto il mondo, denunciano la dolosità dell’evento in questa intervista ad Ailton Krenak, un leader della comunità. E mentre negli Stati Uniti continuano le proteste per la costruzione dell’oleodotto in un’area sacra nel Dakota, si è sollevata una ulteriore protesta in Canada per la costruzione di una idroelettrica nella Peace River Valley.
Un grande esploratore artico italiano, Ario Daniel Z’Hoo, guida alpina nelle Dolomiti, il quale ha già attraversato più volte in solitaria invernale, con temperature che possono arrivare anche a 30 o 40 gradi sotto zero e anche oltre, Scandinavia, Siberia e Alaska, sta lottando per i Gwich’in dell’Alaska. Il nord del territorio, sacro agli indigeni, ma anche santuario ecologico dove si riproducono caribù e altre specie è pieno di petrolio e dunque ad alto rischio. Di fatto sarebbe un genocidio. Ario a breve rifarà la pericolosa traversata in invernale per dare loro visibilità e sostegno.
Ma il capolavoro di scempio e corruzione è la ormai famigerata diga di Belo Monte, sul Rio Xingù in Brasile. Un disastro ambientale e umano costato 30 miliardi di reali, quattro volte il preventivo iniziale. Si calcolano 150 milioni di reali solo in mazzette (1% del guadagno). Il regista canadese naturalizzato brasiliano Todd Southgate, ha realizzato uno splendido documentario dove fa un’anatomia di questo crimine contro l’umanità, l’ambiente, gli indigeni e il popolo brasiliano, che ha pagato di tasca propria.
Le proteste degli indios sono voci che rimangono perlopiù inascoltate. Questo mio post è una patetica goccia in un oceano di mancanza di informazione su temi cruciali che prima o poi dovranno interessare tutti. La situazione è molto grave sia sul piano umano che ambientale.
Foto: @mvillone – Xowá Tapuya Fulni-ô, che presidia da anni, con il suo gruppo, un territorio minacciato in Brasilia, considerato sacro dai Fulni-o