i migranti e le esigenze basilari dell’umanità e del vangelo


«Chi respinge i migranti ignora il Vangelo e nega la democrazia». Intervista a mons. Perego

«Chi respinge i migranti ignora il Vangelo e nega la democrazia».

intervista a mons. Perego

rilasciata a Luca Kocci:

Perego

«Penso che noi italiani dovremmo un poco di più imparare a distinguere il percepire dal reale. Cosa intendo dire? Noi qui sentiamo dire e sentiamo parlare di “insopportabilità” del numero di richiedenti asilo: guardate, questo, secondo me, è un atteggiamento che viene, in questi giorni, purtroppo alimentato da questi quattro “piazzisti” da quattro soldi che pur di prendere voti, di raccattare voti, dicono cose straordinariamente insulse!»

 così mons. Nunzio Galantino, segretario generale della Conferenza episcopale italiana, lo scorso 10 agosto, in un’intervista alla Radio Vaticana al termine del suo viaggio in Giordania («la Giordania ha una popolazione che è di circa 6 milioni, 6 milioni e mezzo, ma sapete che lì ci sono due milioni e mezzo di profughi che vengono accolti?»), ha liquidato – senza fare nomi – i vari Matteo Salvini, Luca Zaia e Beppe Grillo che, anche negli ultimi giorni, hanno invocato misure draconiane contro gli immigrati che arrivano in Italia attraverso il Mediterraneo.

Il 12 agosto ha poi aggiunto a Famiglia Cristiana (che però in serata ha rimosso l’intervista dal sito internet e ha cercato di smorzare, senza tuttavia smentire: «Le dichiarazioni attribuite a mons. Galantino sono state riportate in modo esagerato nei toni all’interno di un colloquio confidenziale con il nostro giornalista»): il governo «è del tutto assente sul tema immigrazione», «non basta salvare i migranti in mare per mettere a posto la coscienza nazionale», le nostre leggi – «prima la Turco-Napolitano e adesso la Bossi-Fini» – di fatto «respingono gli immigrati e non prevedono integrazione positiva. Rispedendo al mittente – a Salvini e a Zaia – le accuse rivolte alla Chiesa di guadagnare con gli immigrati: si tratta, ha detto Galantino, «una banalità spaventosa», «ci sono vescovi che ospitano immigrati a casa propria e non si sono mai riempiti le tasche di soldi, anzi. Lo fanno anche Salvini, Zaia e Grillo?» E ribadendo: «I piazzisti sono molti, piazzisti di fanfaronate da osteria, chiacchiere da bar che rilanciate dai media rischiano di provocare conflitti».

«Non sono sorpreso dalle polemiche sollevate da alcuni esponenti politici», spiega ad Adista mons. Gian Carlo Perego, direttore generale della Fondazione Migrantes, l’organismo pastorale della Cei che si occupa di migrazioni. «Del resto già in altre occasioni alcuni esponenti della Lega Nord avevano evidenziato un vuoto assoluto di proposta politica e un’incapacità di formulare proposte concrete per fare fronte ad uno dei drammi del nostro tempo. Le parole di mons. Galantino cercano solo di contrastare qualunquismo e vuoto politico».

Insomma si tratta di piazzisti da quattro soldi…

«Ognuno colora come meglio crede le proprie espressioni e il proprio sdegno di fronte ad affermazioni insensate, pericolose per la vita delle persone e irrispettose di un diritto, che è il diritto di asilo. In ogni caso mons. Galantino non ha fatto altro che ribadire quello che sostiene anche il magistero sociale della Chiesa dalla Populorum progessio in poi : tutelare un richiedente asilo, che non può essere etichettato come clandestino prima di averlo incontrato e ascoltato, e tutelare la vita delle persone, perché respingere in mare significa uccidere. Del resto già nel 2011 l’Italia fu condannata dal Tribunale dei diritti umani dell’Europa quando furono respinti alcuni migranti che poi trovarono la morte in mare».

Salvini chiede di portare gli immigrati in Vaticano. Zaia dice che se la Chiesa interviene lo fa perché guadagna sui migranti. Come risponde?

«Noi facciamo il nostro dovere accogliere e di sostenere migranti, rifugiati, richiedenti asilo e persone in povertà. È un dovere che ci viene dal Vangelo: “Ho avuto fame – dice Gesù – e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito”, dice Gesù. Ma c’è dell’altro…».

Cosa?

«Sulla questione immigrazione, la politica sta evidenziando gravi carenze e inadempienze, per cui spesso la Chiesa, con le proprie strutture, si trova a fare opera di supplenza di uno Stato assente, che non ha saputo organizzare un piano di accoglienza, di assistenza e di asilo richiesto dagli accordi di Dublino. Sono le Prefetture che ci chiamano, ci chiedono di accogliere le persone e ci pregano di fare quello che non stanno facendo Stato, Regioni e Comuni. E anche le risorse che arrivano non vanno alla Chiesa ma sono per gli operatori, alcuni dei quali hanno trovato lavoro anche in seguito a questa situazione. Il direttore della Caritas di Bergamo, per fare un unico esempio, mi ha detto di aver assunto 70 persone impegnate nei servizi di accoglienza».

Cosa rimprovera alla politica?

«Stato centrale, Regioni e Comuni non sono capaci di collaborare per organizzare e gestire l’accoglienza. Inoltre dal 2011 ad oggi ancora non c’è stata quella pianificazione richiesta di alcuni luoghi dove tutelare il diritto di asilo. Si tratta oggi di 85mila persone che, spalmate su 8mila Comuni, non avrebbero l’impatto drammatico che si vuole far credere».

Nel mondo politico, oltre ai negligenti, ci sono anche i seminatori di odio…

«Alcuni politici e alcune forze politiche non fanno nulla perché hanno paura di perdere consenso, oppure alzano la voce e sfruttano le paure delle persone per raggranellare un po’ di voti. E questo è davvero vergognoso»

Il presidente della Regione Veneto, Luca Zaia, ha accusato la Chiesa di parlare ma di non agire, perché, per esempio, potrebbe ospitare i migranti nei conventi vuoti…

«Prima di tutto vorrei dire al presidente del Veneto che non può scaricare su altri quelli che sono compiti istituzionali propri. Quindi deve innanzitutto fare il proprio dovere, che oggi mi pare molto debole. Ripeto: oggi sta facendo supplenza alle mancanze di Stato, Regioni e Comuni, e in diversi territori, seminari e conventi sono stati aperti ai migranti, molte comunità religiose stanno adeguando alcune strutture per l’accoglienza. Poi ovviamente si può fare di più e meglio: ogni comunità, per esempio, dovrebbe riuscire a creare al proprio interno uno spazio e un luogo di accoglienza, e non limitarsi solo a fare catechesi».

La Lega Nord difende il crocefisso nelle scuole e chiede di respingere i migranti. Non le pare una contraddizione?

«Non metto in dubbio la fede dei singoli. Esprimo però il mio giudizio su alcune idee che fanno a pugni non solo con il Vangelo, ma con l’idea stessa di democrazia. Il diritto di asilo nasce con la democrazia, negarlo significa cadere in una sorta di medioevo della democrazia».

Non le sembra che in passato ci sia stata grande indulgenza da parte della Chiesa nei confronti di alcune forze politiche, come per esempio la Lega, che potevano essere utili alleati per altre battaglie su temi cari ai vescovi?

«Bisogna distinguere il magistero dalla politica. Noi oggi, di fronte al dramma dell’immigrazione, chiediamo di governare questo fenomeno, nel rispetto della dignità della persona e del diritto di asilo. Allo stesso modo, sul tema della famiglia, chiediamo la tutela della famiglia fondata sul matrimonio. E questo indipendentemente da collateralismi con una o un’altra forza politica».

La Chiesa fa politica?

«Se fare politica significa interessarsi della città, della dignità di ogni persona, della giustizia sociale allora in questo momento la Chiesa sta facendo politica, indipendentemente da qualsiasi formazione partitica. E mi rendo conto che questo può dare fastidio a chi ha idee diverse».

Quello dell’immigrazione è un problema non solo italiano ma europeo…

«E va affrontato anche a livello europeo. Rimettendo in discussione la chiusura di Mare nostrum che ha provocato il 30% di morti in più. Ridefinendo gli accordi di Dublino così da permettere una libera circolazione dei migranti in tutta Europa. E prevedendo una reale condivisione dell’accoglienza da parte di un’Europa di 500 milioni di abitanti che non può trovarsi in ginocchio per 200mila persone che arrivano dal Mediterraneo. Occorre una nuova politica europea sul tema delle migrazioni. Diversamente la chiusura e il ritorno dei nazionalismi non faranno altro che provocare un effetto domino che riporterà l’Europa indietro di 50 anni».

strani ‘cattolici’ che inchiodano croci da tutte le parti ma disprezzano i veri ‘crocifissi’

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di Luca Kocci
in “il manifesto” del 6 agosto

migranti-tuttacronaca

 inchiodano i crocefissi sulle pareti delle aule scolastiche perché sono un segno della «nostra civiltà», ma aggrediscono papa, vescovi e preti quando si schierano dalla parte degli immigrati. Rivendicano le «radici cristiane» dell’Europa, ma se qualche cristiano afferma che la “fortezza Europa” deve abbattere i muri di protezione e di separazione lo marchiano come complice degli scafisti e amico dei terroristi.

croce

È il cattolicesimo dei fascio-leghisti, sempre più compenetrati gli uni negli altri dopo la “svolta nazionale” di Salvini, a cui si sono prontamente accodati nostalgici del ventennio e residuati in camicia nera sedotti dalla possibilità di superare la barriera dello zero virgola delle loro fiacche prestazioni elettorali. Ma anche dei perbenisti borghesi che iscrivono i figli nella scuola cattolica e poi sbraitano se il vescovo decide di ospitare un gruppo di profughi vicino all’istituto frequentato dai loro rampolli. Un cattolicesimo svuotato del Vangelo, trasformato in religione civile di un’Italia «Dio, Patria e famiglia», in piena sintonia con quel pezzo di Chiesa gerarchica, conservatrice e maschilista che ha opportunisticamente lasciato fare, quando non benedetto. Poche battaglie, strumentalmente selezionate: sì alla «famiglia naturale»; sì al crocefisso e al presepe in ogni aula; sì al finanziamento pubblico delle scuole paritarie; no agli immigrati, soprattutto se islamici, quindi no alle moschee; no agli omosessuali che rivendicano i propri diritti; no alla «ideologia del gender», senza sforzarsi di capire davvero di cosa si tratta. Alcuni episodi delle ultime settimane rivelano la contraddizione di una religione senza fede, brandita come una clava dai fascio-leghisti e da quella «vecchia piccola borghesia» – cantava Claudio Lolli – «contenta se un ladro muore o se si arresta una puttana, se la parrocchia del Sacro Cuore acquista una nuova campana».

presepi

Il primo nell’ex Veneto bianco, area Marca trevigiana. A metà luglio, alcuni abitanti di Quinto di Treviso, spalleggiati dal leghista presidente della Regione Luca Zaia, protestano con veemenza e respingono il trasferimento di un centinaio di profughi in un condominio. Pochi giorni fa due vescovi, mons. Gardin (Treviso) e mons. Pizziolo (Vittorio Veneto), scrivono una lettera aperta, per condannare la rivolta: siamo cristiani «nella maniera che ci è richiesta dal Vangelo o secondo un cristianesimo accomodante che ci siamo rimodellati sulle nostre ideologie o sulle nostre chiusure?», chiedono i due vescovi, «sconcertati di fronte alla deformazione di un cristianesimo professato a gran voce, e magari “difeso” con decisione nelle sue tradizioni e nei suoi simboli, ma svuotato dell’attenzione ai poveri, agli ultimi». Non si scompone Zaia: «I vescovi, che rispetto in quanto cattolico, io li capisco perché il Vangelo predica la solidarietà, ma i veneti hanno capito che molti di questi che noi aiutiamo come profughi non sono affatto in difficoltà. I vescovi hanno dato tutto quello che potevano dare? I seminari sono tutti pieni di immigrati e di profughi? Non mi risulta. Chi è senza peccato scagli la prima pietra». Pochi giorni prima il capo di Zaia, Matteo Salvini, segretario della Lega Nord e paladino dei presepi nelle scuole, dopo aver criticato il papa sempre sul tema immigrati, se l’era presa con don Formenton, un prete veneto da anni trapiantato in Umbria, che all’indomani della protesta anti-immigrati di Quinto (e di Roma, con i fascisti di Casa Pound ad alzare le barricate contro il trasferimento di un gruppo di rifugiati in un centro di accoglienza), aveva affisso sul portone della sua parrocchia a Sant’Angelo in Mercole (Spoleto), un cartello: «In questa Chiesa è vietato l’ingresso ai razzisti, tornate a casa vostra!», e le parole di Gesù del Vangelo di Matteo «Ero straniero e non mi avete accolto… Lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno». Salvini commenta su Facebook: «Don Gianfranco Formenton attacca la Lega, parlando di razzismo, odio, squadrismo, Hitler e Mussolini “Vietato l’ingresso ai razzisti” si legge all’ingresso
della “sua” chiesa. Forse il parroco preferisce gli affaristi alla Mafia Capitale? Preferisce gli scafisti, gli schiavisti, i terroristi? Povera Spoleto e povera Chiesa, se questo è un prete…». Dalla Lega a Forza Nuova. A fine luglio alcuni militanti del movimento politico fondato da Roberto Fiore e Massimo Morsello affiggono di fronte alla cattedrale di Avezzano (Aq) un manifesto contro il vescovo, mons. Santoro, reo di una pastorale di accoglienza verso i migranti: «Per il vescovo prima i clandestini, per Forza Nuova prima gli italiani». Forza Nuova non è nuova ad iniziative di questo tipo: l’anno scorso striscioni con la scritta «No fiabe gay. Proteggiamo i nostri bambini» vennero issati davanti alle librerie Paoline di Treviso, Trieste e Verona perché negli scaffali erano i vendita alcuni libri contro la violenza di genere e l’omofobia. E qualche anno prima i neofascisti si erano arrabbiati con un altro prete, don Armando Zappolini, che nella sua parrocchia a Perignano (Pisa) accanto al presepe aveva piazzato un cartello a sostegno della legge per la cittadinanza ai bambini stranieri nati in Italia: «Gesù, bambino nato in Italia nella notte fra il 24 e il 25 dicembre da genitori palestinesi senza documenti di soggiorno, non potrà diventare cittadino italiano». Eppure Forza Nuova è movimento che rivendica la propria cattolicità: il 20 giugno era in piazza a Roma, insieme ai neocatecumenali e ad altri gruppi cattolici, “per la famiglia e contro il gender”; e l’8 agosto i forzanovisti calabresi concluderanno il proprio Campo d’azione – durante il quale è prevista la proiezione di Sodom. La rivoluzione antropologica in atto, documentario a cura dell’associazione cattolica Pro Vita – a Belmonte Calabro (Cs) con il rito del “presente” a Michele Bianchi (gerarca fascista calabrese morto nel 1930) al termine di una messa officiata da don Giulio Tam, prete lefevriano – quindi fuori dalla Chiesa cattolica – espulso anche dalla Fraternità San Pio X, che dice del proprio look: «la mia tonaca è una camicia nera taglia XXL». Il terzo episodio a Crema, dove il vescovo, mons. Cantoni, su richiesta della Prefettura, decide di accogliere in un ex convento di suore una ventina di giovani profughi extracomunitari. Ma non aveva considerato, il vescovo, che accanto al convento c’è una scuola cattolica, e che i cattolicissimi genitori dei bambini si sarebbero ribellati: proteste in Municipio e in Curia, raccolta di firme, minacce di ritirare dalla scuola i propri figli al grido «gli immigrati dove ci sono i nostri figli non li vogliamo». Il vescovo fa dietrofront, ma bacchetta le «reazioni sconsiderate e irrazionali», dettate dal «demone della paura dell’altro, del diverso da noi, dello straniero» e «dal nostro perbenismo fondato sul pensare solo a noi stessi o ai nostri figli». Si può chiedere alla Chiesa, se davvero è lontana da questo cattolicesimo antievangelico, di impiegare la stessa energia e la stessa determinazione usata in altre situazioni e contro altri “nemici” per isolare questi “buoni cattolici”?

i musulmani a Sassuolo costretti a pregare in strada

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Cari vescovi, la moschea di Sassuolo riguarda anche noi. Lettera di una comunità cristiana

 

 

niente più moschea per i musulmani di Sassuolo. E così i cattolici del gruppo Camminare insieme scrivono al vescovo e ai parroci chiedendo anche a loro di attivarsi per tentare di trovare una soluzione

così L. Kocci ricostruisce la questione di una comunità che vede chiusa ora la Moschea e l’anno scorso il proprio centro culturale:

“Adista” n. 3, 25 gennaio 2014

Luca Kocci

La questione non è nuova. Già diversi anni fa venne chiuso dal Comune un locale che la comunità islamica utilizzava come moschea. Alla fine dello scorso anno, poi, è stato chiuso anche il secondo luogo di culto cittadino dei musulmani, il Centro culturale El Medina di via Cavour, per questioni relative all’agibilità degli spazi (anche se la faccenda è piuttosto controversa). Da allora la comunità islamica prega in strada. «Egregi concittadini di Sassuolo, è con grande rammarico che ci troviamo, nostro malgrado, a dovervi porgere le nostre più sentite scuse, per gli eventuali disagi che vi dovessimo involontariamente arrecare in questi giorni», hanno scritto i musulmani in una lettera aperta ai sassuolesi. «Cogliamo l’occasione per informarvi che il Centro ha sempre dato la sua completa disponibilità a valutare collocazioni diverse da quella attuale, con la sola condizione di poter mantenere la destinazione dell’immobile ad uso di luogo di culto, per la quale abbiamo già dovuto pagare una somma ingente. Purtroppo, questa disponibilità non è stata mai presa in considerazione dalla giunta comunale, che sembra mirare ad una chiusura totale del centro, piuttosto che ad una collocazione più adatta, ed eventualmente più distante da una zona densamente abitata. Speriamo – conclude la lettera – nella vostra comprensione, auspicando che la situazione si risolva nel più breve tempo possibile».

A solidarizzare con la comunità islamica è il gruppo di dialogo interreligioso Camminare insieme –composto da famiglie cattoliche e musulmane – che ha scritto una lettera indirizzata «ai vescovi di Modena e Reggio Emilia, ai sacerdoti e alle loro comunità cristiane». Chiediamo «che quello che sta avvenendo non sia seguìto da parte di tutti da un silenzio che riteniamo potrebbe diventare “assordante”, ma possa scuotere le coscienza di tanti. Noi tutti sappiamo quale valore possa, per una persona credente, religiosa, avere la possibilità di incontrasi con altri fratelli e sorelle nella fede, per lodare insieme Dio, per far festa, per vivere momenti di formazione e studio. È vero che è importante la lode e l’adorazione personale, è vero che consideriamo momento molto utile ed edificante il pregare in famiglia, ma conosciamo anche la bellezza e l’intensità del trovarsi in assemblea a pregare tra fratelli».

«Non vogliamo entrare nello specifico degli aspetti tecnici e delle questioni burocratiche», si legge nella lettera di Camminare insieme, «ma sentiamo il bisogno di alzare la voce e chiedere a tutti e in particolare a chi professa e cerca di vivere al meglio la propria fede in Cristo, un surplus di impegno affinché si trovi una soluzione a questo problema. Ci rivolgiamo a voi sacerdoti e alle vostre comunità, perché possiate contribuire, per quello che vi è possibile, con gli strumenti e le opportunità di cui disponete, affinché la numerosa comunità musulmana che vive nel nostro territorio, uomini e donne che incontriamo ogni giorno al lavoro, o a fianco dei nostri figli a scuola, o a far la spesa nei supermercati, o seduti sulle panchine nei parchi dei nostri paesi, possa superare questo momento di tristezza e di grande precarietà».

la chiesa e il problema delle coppie di fatto

 

Le coppie di fatto scuotono la Chiesa: vescovi divisi tra favorevoli e contrari

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Il tema delle coppie di fatto oltre che scuotere il Parlamento italiano irrompe anche nella Chiesa:

”La legge non può ignorare centinaia di migliaia di conviventi. Senza creare omologazione tra coppie di fatto e famiglie, è giusto che anche in Italia vengano riconosciute le unioni di fatto”. questo è ciò che ha affermato, a “La Stampa”, il vescovo di Mazara del Vallo. Domenico Mogavero, ex sottosegretario Cei e attuale commissario per le migrazioni che poi ha aggiunto:

”Lo Stato può e deve rispettare e tutelare il patto che due conviventi hanno stretto tra loro. Contrasta con la misericordia cristiana e con i diritti universali il fatto che i conviventi per la legge non esistano. Oggi se uno dei due viene ricoverato in ospedale, all’altro viene negato persino di prestare assistenza o di ricevere informazioni mediche come se fosse una persona estranea. Mi pare legittimo riconoscere diritti come la reversibilità della pensione o il subentro nell’ affitto in virtù della centralità della persona”.

Per la chiesa ”su tutto ciò che riguarda la sfera civile e umanitaria si può arrivare ad un accordo. Senza equipararle alle coppie sposate, non ci sono ostacoli alle unioni civili”, ha ribadito il vescovo. Quanto ai figli,” in chiesa non possono esserci preclusioni in nulla per i figli di genitori non sposati. Le colpe dei padri, se di colpe si tratta, non possono mai ricadere sui figli. Perciò non si può negare il battesimo a un bambino, e non si possono indicare le coppie di fatto come persone che vivono nel peccato”. 

Ma l’opinione di Mogavero trova anche degli oppositori e tra questi il più attivo è sicuramente il vescovo di Parma Enrico Solmi, presidente della Commissione che si occupa della famiglia e della vita all’interno della Cei. Solmi, in un’intervista rilasciata a “La Repubblica” ha preso infatti una posizione diametralmente opposto affermando:

“Favorire attraverso sentenze soluzioni di fatto, in sostanza un riconoscimento delle unioni di fatto e anche delle unioni di persone omosessuali, è una deriva che non può essere accettata. Certo, diverso è se si vuole discutere e confrontarsi per arrivare a una tutela dei diritti e delle persone in quanto tali. Tali diritti vanno in considerazione anche della relazione che un uomo e una donna non sposati possono intessere, e che può essere arricchita anche dalla presenza di figli, o di una relazione di aiuto che comprenda l’assistenza sanitaria, i beni delle due persone, quindi il discorso dell’eredità”.

”Questo percorso è assolutamente fattibile facendo riferimento al codice civile e ai diritti della persona. Codice civile che può essere anche adeguatamente modificato per fare spazio a queste situazioni che da un punto di vista numerico sono significative. Le sentenze in merito alle coppie di fatto debbono considerare il dettato costituzionale degli articoli 30 e 31 della Costituzione. Una lettura serena e fruttuosa di questo consentirebbe quel dialogo che da più parti si sente come impellente”. 

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e papa Francesco cosa dice a questo proposito?

ha una sua particolare modalità di rapportarsi al problema che non può non risultare provocatoria ne confronti di tanta chiusura e immobilismo della gerarchia episcopale italiana: quello che era un tabù, soprattutto durante i pontificati di Karol Wojtyla e Joseph Ratzinger, da quando Jorge Mario Bergoglio è salito

sulla cattedra di Pietro è diventato argomento di discussione e confronto:

Il Papa apre alle coppie gay “Da loro nuove sfide educative”

così in una ricostruzione di P. Rodari:

Unioni civili in Italia

 

Svolta nell’incontro con i Superiori generali: “Dobbiamo annunciare Gesù a una generazione che cambia”.

 

L’apertura a sorpresa di papa Francesco “Le coppie gay una sfida per chi educa non allontaniamo i loro figli dalla fede” L’esortazione: impariamo a parlare a una generazione che cambia Il caso.

 Papa Francesco apre inaspettatamente alle coppie gay. Nella conversazione con i Superiori generali Bergoglio ha messo in guardia dai pericoli di non considerare la grande novità sociale costituita dalle coppie omosessuali con figli. Coppie che, ha detto, pongono “sfide educative inedite”. Il rischio, ha insistito il pontefice, è che non comprendendo questa novità, si allontanino i figli di queste coppie dalla fede. La sfida da cogliere è saper parlare a una generazione che cambia, ha concluso.

«Ricordo il caso di una bambina molto triste che alla fine confidò alla maestra il motivo del suo stato d’animo: “La fidanzata di mia madre non mi vuol bene”. La percentuale di ragazzi che studia nelle scuole e che hanno i genitori separati è elevatissima. Le situazioni che viviamo oggi pongono dunque sfide nuove che per noi a volte sono persino difficili da comprendere. Come annunciare Cristo a questi ragazzi e ragazze? Come annunciare Cristo a una generazione che cambia?». Sono parole di Papa Francesco, pronunciate nella conversazione avuta in Vaticano il 29 novembre con i superiori generali e della quale ha dato una lunga sintesi La Civiltà Cattolica. Il Papa mostra come nella Chiesa esiste una consapevolezza non banale rispetto alla realtà familiare oggi. Accanto alle famiglie tradizionali, vi sono coppie formate da persone etero e omosessuali. E questo dato di fatto, dice in sostanza il Papa, non va eluso. È un po’ quanto da tempo ripete il primate di Vienna Christoph Schönborn: la Chiesa deve rendersi conto che «oggi la famiglia è patchwork, è una famiglia fatta di divorziati, risposati, eccetera». Dice Francesco ai superiori generali: «Bisogna stare attenti a non somministrare» ai figli di coppie di fatto «un vaccino contro la fede». Per Bergoglio «l’educatore deve essere all’altezza delle persone che educa, deve interrogarsi su come annunciare Gesù Cristo a una generazione che cambia». E ancora: «Il compito educativo oggi è una missione chiave, chiave, chiave!». Non ci sono margini, in merito, per dire che il Papa intende spingersi dove i suoi predecessori non sono mai arrivati. Ieri è stato il quotidiani a smorzare gli entusiasmi, scrivendo in un editoriale che «priorità sono lavoro e Il Papa comunque non sembra voler cedere sul leitmotiv del pontificato: la Chiesa deve accogliere tutti e non chiudere. Ha spiegato recentemente Víctor Manuel Fernández, rettore dell’Università cattolica d’Argentina e amico del Papa: «Ci deve essere una proporzione adeguata nella frequenza con la quale alcuni argomenti vengono inseriti nella predicazione. Se un parroco lungo l’anno liturgico parla dieci volte di morale sessuale e soltanto due o tre volte dell’amore fraterno o della giustizia, vi è una sproporzione. Ugualmente se parla spesso contro il matrimonio fra omosessuali e poco della bellezza del matrimonio». Dice non a caso padre Antonio Spadaro, direttore de La Civiltà Cattolica: «Papa Francesco ha voluto intendere che siamo davanti a un mondo in cambiamento e la Chiesa deve capire come annunciare il Vangelo davanti a un mondo che cambia. Il Papa non vuole definire ma aprire delle finestre. La situazione di una coppia gay deve essere vissuta come una sfida, perché il Vangelo va annunciato a tutti». E le parole del Papa trovano il plauso delle associazioni gay. Dice il portavoce del Gay Center Fabrizio Marrazzo: «Sarebbe un fatto storico se il Papa incontrasse le famiglie di coppie gay. Da Bergoglio viene una riflessione che contrasta la cultura figlia dell’omofobia. La sua è un’attenzione inedita per un pontefice a cui bisogna guardare con fiducia».

Da La Repubblica del 05/01/2014.

e così in un apprezzabile articolo di Luca Kocci in “il manifesto” del 5 gennaio 2014

La sfida di Francesco

Sul tema delle coppie omosessuali il dibattito è aperto anche nella Chiesa di papa Francesco.

La posizione del magistero ufficiale non è cambiata: le relazioni omosessuali sono «gravi

depravazioni», l’unica via di salvezza resta la «castità» («gli atti di omosessualità sono

intrinsecamente disordinati» e «contrari alla legge naturale», non sono il frutto di una vera

complementarietà affettiva e sessuale, in nessun caso possono essere approvati», ricorda il

Catechismo della Chiesa cattolica). Tuttavia è innegabile che quello che era un tabù, soprattutto

durante i pontificati di Karol Wojtyla e Joseph Ratzinger, da quando Jorge Mario Bergoglio è salito

sulla cattedra di Pietro è diventato argomento di discussione e confronto.

Il tema lo ha rilanciato papa Francesco anche nel colloquio con i superiori delle congregazioni

religiose maschili pubblicato ieri da

Civilità Cattolica in un lungo articolo firmato dal direttore del

quindicinale dei gesuiti, padre Antonio Spadaro (anche se, siccome l’incontro è avvenuto il 29

novembre, interpretarlo come un inserimento papalino nel dibattito politico di questi giorni è

assolutamente fuori luogo).

Parlando dell’educatore che deve «essere all’altezza delle persone che educa» e interrogarsi su

come annunciare il Vangelo «a una generazione che cambia», Bergoglio rievoca un episodio

accaduto a Buenos Aires: «Ricordo il caso di una bambina molto triste che alla fine confidò alla

maestra il motivo del suo stato d’animo: la fidanzata di mia madre non mi vuole bene». Chiosa

Bergoglio: «Le situazioni che viviamo oggi pongono dunque sfide nuove che per noi a volte sono

persino difficili da comprendere. Come annunciare Cristo a questi ragazzi e ragazze? Bisogna stare

attenti a non somministrare ad essi un vaccino contro la fede».

Leggere queste parole come un’apertura alle coppie omosessuali — come pure qualcuno ha fatto —

pare forzato. Di sicuro però la questione viene affrontata in termini più problematici del passato.

Come del resto già papa Francesco aveva fatto in estate, di ritorno dalla Giornata mondiale della

gioventù a Rio de Janeiro, quando in aereo, parlando con i giornalisti, aveva pronunciato la frase

che innescò il dibattito: «Chi sono io per giudicare un gay?». Ribadita, e approfondita, nella lunga

conversazione con padre Spadaro pubblicata da

Civilità cattolica a settembre (e poi in un libro edito

da Rizzoli).

«Se una persona omosessuale è di buona volontà ed è in cerca di Dio, io non sono nessuno per

giudicarla. Dicendo questo io ho detto quello che dice il Catechismo», puntualizza Bergoglio. «Una

volta una persona mi chiese se approvavo l’omosessualità. Io allora — prosegue papa Francesco —

le risposi con un’altra domanda: Dio quando guarda a una persona omosessuale ne approva

l’esistenza con affetto o la respinge condannandola? Bisogna sempre considerare la persona» e

«accompagnarla a partire dalla sua condizione».

La linea sembra chiara: fermezza nella dottrina — del resto Bergoglio da vescovo di Buenos Aires

fu uno dei più strenui oppositori della legge che nel 2011 approvò le unioni tra persone dello stesso

sesso, definendola frutto della «invidia del demonio» — ma atteggiamento pastorale meno rigido e

più inclusivo.

Nel questionario preparato dal Vaticano per interpellare i cattolici di tutto il mondo su temi caldi

come le coppie omosessuali e i divorziati in vista del Sinodo straordinario dei vescovi sulla famiglia

in programma per ottobre 2014, un intero blocco di domande è dedicato alle «unioni di persone

dello stesso sesso». «Qual è l’atteggiamento delle Chiese locali di fronte alle persone coinvolte in

questo tipo di unioni? Quale attenzione pastorale è possibile avere» nei loro confronti?», viene

chiesto. E molti di coloro che hanno inviato le risposte ai loro vescovi e in Vaticano — parrocchie,

gruppi di base, singoli fedeli — hanno espresso pareri in netta difformità rispetto alle posizioni

ufficiali.

Allora proprio il Sinodo potrà essere l’occasione per verificare se le parole problematiche di papa

Bergoglio, oltre a manifestare le buone intenzioni di una prassi pastorale più inclusiva ma in un

quadro dottrinale di condanna immutato, comporteranno anche un aggiornamento delle

ermeneutiche bibliche e soprattutto del magistero. Senza questi passaggi le aperture resteranno

dimezzate.

a che punto è il ‘questionario’

Verso il Sinodo, a passo di lumaca

Le diocesi italiane rallentano la consultazione dei fedeli

sembra percepita anche da altri la sensazione di un rallentamento che le diocesi italiane operano nei confronti del ‘questionario’ composto di 38 domande che papa rancesco vuole in mano ad ogni fedele in vista del sinodo straordinario sulla famiglia

sembra addirittura quasi confermata dal segretario generale del sinodo mons. Baldisseri che in un’intervista confessa: “il testo non è stato subito distribuito”

dopo circa due mesi ancora in alcune diocesi le parrocchie non sono state ancora informate: dalle curie delle diocesi più grandi il ‘questionario’ è stato inviato solo pochi giorni fa; la diocesi di Bologna sembra aver operato perfino una ‘censura’ o quanto meno un elenco ‘selettivo’

fa un pregevole  punto della situazione Luca Kocci in un articolo che riproduco qui sotto:

“Adista”

n. 43, 7 dicembre 2013

Luca Kocci

Che in Italia la consultazione fra i cattolici in vista del Sinodo dei vescovi del prossimo ottobre sul tema della famiglia, tramite il questionario di 38 domande (più una di carattere generale) predisposto dalla Segreteria generale (v. Adista Notizie n. 40/13) proceda a rilento ormai lo ammette anche lo stesso mons. Lorenzo Baldisseri, segretario generale del Sinodo, che, intervistato dal giornalista Giovanni Panettiere per il Quotidiano nazionale (25/11), confessa: «L’invio del testo agli episcopati è recentissimo e occorre il suo tempo per diffonderlo. In Italia non è stato subito distribuito. Ma adesso non risultano lentezze».

Le tappe sono ben scandite. Nella seconda metà di ottobre dal Vaticano è partita una lettera inviata alle Conferenze episcopali di tutto il mondo contenente il documento preparatorio – reso poi noto a tutto il mondo e pubblicato sul sito internet del Vaticano il 5 novembre – per la III Assemblea generale straordinaria del Sinodo dei vescovi, sul tema “Le sfide pastorali sulla famiglia nel contesto dell’evangelizzazione”, in programma dal 5 al 19 ottobre 2014.

Allegato al documento, un questionario di 38 domande che le Conferenze episcopali avrebbero inviato alle singole diocesi affinché, dopo una consultazione con la “base”, rispondessero alle domande anche su temi particolarmente spinosi, dai divorziati alle coppie omosessuali. Entro il 31 dicembre le singole diocesi dovranno inviare le riposte alle Conferenze episcopali le quali, a loro volta, entro il 31 gennaio predisporranno una sintesi da inviare alla Segreteria del Sinodo.

Le diocesi: senza fretta, in ordine sparso

Tempi strettissimi che, affinché la consultazione sia realmente capillare e partecipata, dovrebbero richiedere una particolare sollecitudine soprattutto da parte delle diocesi. Eppure le «lentezze» che, con un certo ottimismo, Baldisseri dice essere state superate continuano ad esistere in molte diocesi italiane. Il segretario generale dalla Conferenza episcopale italiana, mons. Mariano Crociata, il 23 ottobre ha inviato una lettera a tutti i vescovi delle 226 diocesi italiani per invitarli a promuovere la consultazione. Ma dal giorno dopo le diocesi si sono mosse in ordine sparso, come risulta da un “sondaggio” effettuato da Adista non sulla totalità delle curie ma su un campione ampiamente rappresentativo: una sparuta minoranza (inferiore al 10%) sì è attivata subito, sollecitando immediatamente i parroci ad avviare la consultazione; una metà delle diocesi se l’è presa con comodo, avvisando i parroci nella seconda metà del mese di novembre; ed il restante 40% è rimasto fermo, tenendo il questionario ben chiuso nei cassetti di qualche ufficio diocesano, tanto che diversi parroci interpellati da Adista hanno risposto di aver appreso dell’esistenza del questionario solo dalle notizie circolate sulla stampa.

A Milano, per esempio, diocesi guidata dal card. Angelo Scola, la lettera ai parroci è partita dalla curia il 18 novembre. A Genova, dove c’è il presidente della Cei, card. Angelo Bagnasco – che quindi avrebbe dovuto essere l’apripista –, solo il 20 novembre. A Roma, firmata dal vicario del papa, il card. Agostino Vallini, qualche giorno prima; così come a Firenze, dove c’è mons. Giuseppe Betori.

E poi ci sono i casi particolari. A Bologna, per esempio, il card. Carlo Caffarra ha operato una selezione “a monte”, inviando ai parroci, perché ne discutessero con i fedeli, non il questionario integrale di 38 domande predisposto dalla Segreteria del Sinodo, ma una forma brevis: censura preventiva oppure semplificazione di un questionario di cui molte domande sono scritte chiaramente pensando più agli uffici diocesani che ai fedeli?

A Venezia poi, dove c’è il ratzingeriano allievo del card. Siri, mons. Francesco Moraglia, la comunicazione ai parroci è arrivata solo il 27 novembre, pregandoli però di discutere le domande del questionario solo con un ristretto gruppo di parrocchiani.E alcuni vescovi delle Marche – dove la distribuzione è tutt’altro che omogenea – riferiscono che da fonti Cei siano arrivate indicazioni secondo le quali il questionario, e quindi la discussione, «si deve fermare ad un certo livello»: meglio non coinvolgere troppo la base e i laici, dai quali potrebbero arrivare delle sollecitazioni non perfettamente in linea con il magistero.

Gruppi di base: un’occasione da cogliere

Se la maggior parte delle diocesi frena e si mostra particolarmente prudente, molti gruppi di base – pur con qualche rilievo critico – hanno invece colto l’occasione e sono partiti con slancio appena la documentazione e il questionario sono stati pubblicati sul sito internet del Vaticano (il 5 novembre): si sono già svolti e si svolgeranno nei giorni successivi incontri informali di gruppi, associazioni e comunità per confrontarsi e in molti casi elaborare delle risposte collettive. Così come alcune riviste, ad esempio il quindicinale dei dehoniani Il Regno ha inseririto sul proprio sito internet la documentazione, sollecitando i lettori a rispondere.

Anche la nostra agenzia ha pubblicato il questionario (v. Adista Segni Nuovi n. 42/13) invitando i lettori a rispondere alle domande – singolarmente o in gruppo –, inviando poi le risposte al proprio vescovo diocesano e, chi lo desidera, ad Adista che eventualmente le pubblicherà in stralci o integralmente (e-mail: info@adista.it, fax 066865898).

Boicottaggio in atto?

«Il questionario predisposto per la consultazione del Popolo di Dio in preparazione del Sinodo sulla famiglia del prossimo ottobre è un fatto nuovo e molto positivo», scrive in comunicato del 25 novembre scorso il movimento Noi Siamo Chiesa. «Per la prima volta in modo formale e generalizzato si riconosce che queste tematiche devono essere affrontate a partire dal vissuto di tutti i credenti nell’Evangelo, donne, uomini e coppie, con le loro gioie e le loro sofferenze. La proposta di discutere di queste grandi questioni esistenziali, in particolare dei loro aspetti più difficili e controversi, apre il cuore alla speranza che finalmente non si proceda più nella Chiesa sulla vecchia strada di precetti imposti e astratti dalla realtà, ma su quella che inizia dalla volontà di ascolto».

La consultazione però, prosegue Noi Siamo Chiesa, non deve «essere ristretta agli organismi diocesani e neppure solo a quelli parrocchiali, ma coinvolgere la generalità dei credenti. Essa deve essere aperta anche ai cristiani e alle cristiane di altre Chiese nonché a donne e uomini di buona volontà, che siano sensibili alle tematiche relative alla spiritualità e interessati a offrire il loro apporto costruttivo su questioni che coinvolgono la vita e gli interrogativi etici di ogni persona. Per questo – ancora la sezione italiana di Nsc – ci sembrano saggi quei parroci che hanno deciso di mettere a disposizione nelle chiese i questionari e quei vescovi di altri Paesi che hanno chiesto risposte on-line al testo. Ci dispiace invece constatare che le strutture della Chiesa italiana si stanno muovendo con troppo ritardo e con evidenti reticenze».

«Un mese è stato perso, solo in questi giorni arrivano ai parroci indicazioni dalle Curie diocesane ed esse prevedono, a quanto ci risulta, l’intervento sul questionario al massimo degli organismi parrocchiali e, in certi casi, neanche di quelli»; il quotidiano Avvenire poi «tace completamente dall’inizio sulla consultazione mentre è ben noto come sia pronto e assillante in altre “campagne”. Tutto ciò non ci sembra casuale, indica il disorientamento di molti vescovi. I tempi sono strettissimi, l’Avvento e il periodo natalizio sono già densi di impegni di ogni tipo. Ci chiediamo, allora, se non ci si trovi di fronte a un vero e proprio strisciante boicottaggio del questionario o, nel migliore dei casi, alla convinzione che si tratti solo di un dovere burocratico, inutile o quasi, da mettere in coda a tutti gli altri, necessario solo per non dire di no apertamente al Vaticano».

«La nostra opinione – conclude il comunicato del movimento – è radicalmente diversa. Ogni sede del mondo cattolico, dalle associazioni alle riviste, ai siti internet, è buona per ricevere le risposte, per elaborarle correttamente o non elaborarle e trasmetterle direttamente alla segreteria generale del Sinodo, che è un terminale abilitato a ricevere i questionari anche dai singoli. La possibilità di inviare direttamente i questionari dovrebbe sempre essere fatta presente dai nostri vescovi. Sul questionario si pronuncino i teologi, le facoltà teologiche, gli insegnanti di religione, le comunità di religiose e di religiosi, anche i monasteri di clausura, ma soprattutto le madri e i padri di famiglia, le giovani e i giovani, gli appartenenti alle minoranze sessuali, le coppie di ogni tipo e tutti quanti vivono in prima persona le tematiche esistenziali poste dal questionario. Anche i cristiani e le cristiane delle altre Chiese offrano, in spirito ecumenico, il loro apporto.

“Noi Siamo Chiesa” per esempio «elaborerà in tempi rapidi una propria risposta al questionario, accogliendo così la richiesta di papa Francesco di una partecipazione la più ampia possibile a un’iniziativa di per sé storica».

 

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