il commento al vangelo della domenica
IO SONO MITE E UMILE DI CUORE
commento al vangelo della quattordicesima domenica del tempo ordinario (9 luglio 2017) di p. Alberto Maggi:
Mt 11,25-30
In quel tempo Gesù disse: «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo. Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».
È un momento difficile nella vita di Gesù: ha iniziato la sua predicazione, ed immediatamente gli arriva un ultimatum, che ha tutto il sapore di una scomunica, da parte di Giovanni Battista, che è incarcerato, che gli manda a dire: sei tu quello che deve venire, o ne dobbiamo aspettare un altro? Evidentemente la predicazione di Gesù delude, e Gesù inizia a predicare nelle città, ma il risultato è fallimentare. E infatti Gesù si lamenta con queste città – sono tre principalmente: Corazin, Betsàida e Cafarnao – e Gesù si lamenta che, se lo stesso messaggio l’avesse portato nelle città pagane, si sarebbero convertite, queste no. Perché questa resistenza? Perché sono città dominate dall’insegnamento della sinagoga. Ed è a questo punto, siamo al capitolo 11 di Matteo, versetto 25, che Gesù esclama: “In quel tempo”, quindi in collegamento con questo, “Gesù disse: «Ti rendo lode, Padre”, Gesù non parla di Dio, parla di Padre, è importante per comprendere il suo insegnamento, “Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti”, Gesù non se la sta prendendo con le persone colte, sapienti e dotti sono immagini dei dottori della legge, degli scribi, che ragionano in termini di dottrina e di legge, ma, se con la legge, la dottrina, si può arrivare a discutere, a parlare di Dio, del Padre si può soltanto sperimentare la sua potenza d’amore imitando questo amore, ecco perché Gesù parla di Padre. Per i dotti, per i sapienti, quindi gli scribi, i dottori della legge, Dio si manifesta nella dottrina e non nella vita, come invece insegna Gesù. E, dice Gesù, quindi le hai nascoste “queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli”. Nonostante il fallimento della predicazione di Gesù, c’è un gruppo di persone che lo segue: sono gli emarginati, sono le nullità, sono gli invisibili, sono queste le persone che lo seguono ed ascoltano il suo messaggio. E continua Gesù, di nuovo ripetendo la parola Padre, “Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza”. E qui Gesù, con un tipico ragionamento teologico e rabbinico, afferma: “Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo”, cosa vuol dire con questo ragionamento Gesù? Dio, abbiamo visto, si può conoscere dalla legge, il Padre soltanto nell’amore. Allora è nell’essere profondamente umani, nell’essere sensibili ai bisogni ed attenti alle necessità, alle sofferenze degli altri, che si può sperimentare la presenza del Padre. Come abbiamo detto, Dio si può conoscere attraverso la legge, il Padre soltanto attraverso l’esperienza dell’amore. Con Gesù, Dio si è fatto uomo, e l’uomo, l’umanità, è l’unico valore sacro. E poi c’è l’invito da parte di Gesù: “Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi”, stanchi e oppressi di che cosa? Dell’osservanza della legge, dirà più avanti Gesù in questo stesso vangelo, che proprio questi dotti, questi scribi, questi dottori della legge, legano dei pesanti fardelli sulle spalle delle persone. Sono le dottrine che si accumulano, e per questo sono stanchi ed oppressi,
e dice: “e io vi darò ristoro”, il termine adoperato dall’evangelista significa far riposare, cessare dalla fatica, recuperare il fiato, potremmo dire: io sarò il vostro respiro. E poi, ecco la sfida di Gesù: “Prendete il mio giogo sopra di voi”, il gioco lo sappiamo, era quell’attrezzo che si metteva sopra i buoi per guidarli nel campo, ed era immagine della legge. La legge, la legge di Mosè, era diventata un giogo, ma un giogo pesante. Allora Gesù invita a fare una sostituzione: lasciate stare il giogo della legge, il credente non è più colui che ubbidisce a Dio osservando le sue leggi, ma colui che assomiglia al Padre praticando un amore simile al suo. “Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore”, non sta parlando Gesù di imitare il suo carattere, impossibile, ma la sua scelta sociale. I “miti”, in quel tempo, il termine indica i diseredati, il termine “umile” in greco è tapino, cioè mettetevi dalla parte degli ultimi, dalla parte degli emarginati, dalla parte degli invisibili, lì c’è la mia presenza. E infatti dice: “troverete ristoro per la vostra vita”, questa è una citazione del libro della Sapienza, che ristora le persone. E conclude Gesù: “Il mio giogo”, quindi l’accettazione dell’imitazione dell’amore del Padre, questo è il giogo, “è dolce e il mio peso leggero»”, non ci sono più pesi da portare, che schiacciano le persone come denuncerà poi San Pietro nel concilio – dice : “perché continuate a tentare Dio, imponendo sul collo dei discepoli un giogo, ed è stato il fallimento, che né i nostri padri , né noi siamo stati in grado di portare? Quindi l’osservanza della legge non ha permesso la comunione con il Padre, l’accoglienza, l’amore, la pratica del suo amore, sì.