Marcelo Barros e la ‘laudato sì’ a due anni dalla pubblicazione

a due anni dalla ‘laudato sì’ di papa Francesco

Marcelo Barros

“mai documento ha avuto una ripercussione così forte in tutto il mondo”

“Penso che mai un documento pontificio abbia avuto una ripercussione così forte in tutto il mondo, quello cristiano e quello non cristiano. Tutti si sono sentiti coinvolti in questa chiamata a un’alleanza tra umanità e ambiente, come dice il Papa, a camminare insieme per prendersi cura della vita, degli altri, di tutti gli esseri viventi”.

Lo afferma Marcelo Barros, biblista e monaco benedettino brasiliano, figura di spicco della teologia della liberazione, che in questi due anni ha dedicato molti incontri a presentare e approfondire il testo

L’Enciclica “Laudato si’” di Papa Francesco “sulla cura della casa comune” sta per compiere due anni. Pubblicata il 18 giugno 2015, porta in realtà la data del 24 maggio, solennità della Pentecoste. “Penso che mai un documento pontificio abbia avuto una ripercussione così forte in tutto il mondo, quello cristiano e quello non cristiano. Tutti si sono sentiti coinvolti in questa chiamata a un’alleanza tra umanità e ambiente, come dice il Papa, a camminare insieme per prendersi cura della vita, degli altri, di tutti gli esseri viventi”. Lo dice Marcelo Barros, biblista e monaco benedettino brasiliano, figura di spicco della teologia della liberazione, che in questi due anni ha dedicato molti incontri a presentare e approfondire il testo.   

Per Barros l’elemento centrale di “novità nella coscienza della Chiesa” è stato il fatto che “un Papa abbia assunto la nozione di ecologia integrale: l’ecologia non solo come cura dell’ambiente, ma l’unione tra la cura dell’ambiente, l’ecologia sociale e l’ecologia interiore, la conversione ecologica”. Che cosa è successo in questi due anni? “Non credo che la Laudato sì’ abbia potuto in due anni cambiare la struttura del mondo dal punto di vista economico e sociale”. Barros fa riferimento alla prima parte dell’Enciclica, in cui si “dice chiaramente chi è il colpevole di questa situazione ecologica: se continuiamo a mettere l’interesse del mercato come assoluto non c’è salvezza né per l’umanità né per l’ambiente. E questo non può cambiare miracolosamente.

Ma sta cambiando una coscienza.

Penso ad esempio a tutti i movimenti sociali e al dialogo che adesso hanno con il Vaticano. Il Papa ha fatto tre incontri con i loro rappresentanti ed è una cosa nuova ed è una conseguenza di questo appello. Credo anche che nella spiritualità, sia della Chiesa cattolica sia di quelle evangeliche, la Laudato si’ sia riuscita a indicare elementi nuovi”.

Non mancano iniziative concrete: la più recente, la “Laudato si’ challange”, la sfida tra start-up che hanno un interesse nel sociale secondo gli orientamenti dello sviluppo sostenibile dell’Onu, lanciata il 5 maggio all’Accademia Pontificia delle scienze sociali.

Altre hanno ricevuto un’accelerazione, come le esperienze di ricerca e di valorizzazione dei semi originari in Brasile e la consapevolezza dell’importanza dell’agricoltura ecologica e dell’alimentazione sana. O ancora la campagna internazionale “fossil fuel divestment” a cui stanno ora aderendo anche realtà cattoliche che decidono di ricorrere a fonti energetiche alternative.

Un altro “appello di papa Francesco nella Laudato si’ è che si crei un’alleanza ecumenica o interreligiosa dal punto di vista dell’ecologia, che le religioni si uniscano per la cura della terra”, ricorda Barros.

Il cristianesimo, che pure ha una sorgente biblica aperta a una spiritualità ecologica, ha sempre nutrito un certo pregiudizio contro la sacralizzazione della natura e per questo nella storia della spiritualità cristiana si è creato un dualismo tra natura e storia” dando la precedenza alla “manifestazione di Dio nella storia più che nella natura”. Nel superamento del dualismo le Chiese della Riforma sono arrivate prima, mentre “la Chiesa cattolica ci è arrivata con un certo ritardo”. Sono però circa trent’anni (dall’Assemblea ecumenica di Basilea nel 1989) che il tema della salvaguardia del creato è entrato a pieno titolo tra gli imperativi ecumenici. “L’ecologia è già una strada per l’ecumenismo in America latina come anche in Europa. Papa Francesco ha sempre sottolineato che l’ecumenismo si fa con gesti concreti e un cammino insieme a servizio dell’umanità. Però se questo cammino non è confermato anche da un approfondimento della dottrina e da un dialogo sulla fede, può essere superficiale. Una cosa dipende dall’altra, però la prima cosa è la praxis”.

Se sul piano dell’”ecologia ambientale” i cambiamenti climatici sono l’emergenza, in ambito di “ecologia sociale” lo è la migrazione: “Ogni popolo ha un rapporto esistenziale con la sua terra. E quando una persona deve andare via dalla sua terra, c’è qualcosa che si rompe. La migrazione non è un fenomeno spontaneo, i migranti non sono turisti, ma arrivano da noi perché non possono vivere nella loro terra per le conseguenze di un sistema economico generato dalle nazioni ricche” che foraggia le guerre ed è all’origine dei cambiamenti climatici.

“La grande ipocrisia di questo mondo è che provoca la migrazione, con un’azione intenzionale, e poi dice: come la possiamo reggere?”.

Quindi oggi è necessario “attaccare le cause di questa situazione che altrimenti prosegue o peggiora. Allo stesso tempo è necessario aprirsi alla realtà attuale che è questa e non può cambiare magicamente”. Per un verso, quindi, se l’economia è la “gestione della casa comune, significa che un’economia non può mai essere pensata in modo isolato dal bene comune, che è l’obiettivo dell’economia e dell’organizzazione della società. Se un’organizzazione sociale ha regole che non portano alla vita, che accettano la morte o la promuovono, quella regola è ingiusta e iniqua” e va cambiata. Per altro verso accogliere e vivere la solidarietà deve avvenire in modo “razionale, ben pensato, concreto e sistematico, non solo sentimentale. La sfida per i cristiani è “reimparare a tenere insieme giustizia e fede”: occorre dialogare e trovare una pedagogia che faccia di nuovo percepire “la contraddizione tra egoismo, individualismo e fede”.

i paesi che ci sembrano più poveri sono solo più impoveriti e sfruttati

 

“laudato si’ ”  in El Salvador

Tonio Dell’Olio

in Mosaico dei giorni

 

 

Non smetteremo mai di ricordarlo: i Paesi più poveri sono i più ricchi! Semplicemente sono sfruttati, depredati delle loro materie prime, ovvero delle loro immense ricchezze.

“Aiutarli a casa loro” non significa mettere in campo progetti umanitari di assistenza ma più semplicemente fare in modo che le multinazionali dell’agricoltura e dell’estrattivismo, abbandonino quei territori permettendo alle popolazioni locali di utilizzare le proprie risorse. Ma questo renderebbe più povero il Nord del mondo e non ci conviene.

Lo scorso anno la Oceana Gold (prima era la Pacific Rim Mining Corp.) aveva denunciato il governo del piccolissimo El Salvador perché negava i permessi di estrazione e per questo chiedeva un risarcimento di 250 milioni di dollari per i mancati guadagni. Per fortuna in ottobre lo Stato ha vinto la causa. Ma il problema rimane perché, secondo le Nazioni Unite, El Salvador ha il più alto grado di degrado ambientale nella regione dopo Haiti. Solo il 3% della foresta naturale rimane incontaminata, i terreni sono compromessi da pratiche agricole ed estrattive che eliminano la biodiversità, inquinano e riducono in miseria i campesinos che non hanno più nemmeno quel pezzetto di terra da coltivare per il proprio fabbisogno. Il 6 febbraio scorso i vescovi salvadoregni hanno chiesto all’Assemblea Legislativa di emanare una legge per vietare l’estrazione dei metalli da parte di compagnie minerarie transnazionali. È il risultato di una campagna della Caritas e dell’Università CentroAmericana (Gesuiti) che ha documentato i danni provocati all’ambiente e alla popolazione.

Si tratta di tradurre in pratica l’Enciclica Laudato si’.

Né più né meno.

il documento papale ‘laudato sì’ compie un anno

a un anno da “Laudato sì”

la preoccupazione del papa

di Grazia Francescato
in “l’Huffington Post”

una vera e propria ‘visione del mondo’. Si tratta di una lettura complessiva della realtà di quest’inizio millennio, un’analisi puntuale e profonda dell’intreccio tra crisi ambientale, sociale ed economica nonché un’indicazione precisa e meditata delle possibili vie d’uscita

Buon compleanno, Laudato Si’! Esattamente un anno fa, il 18 giugno 2015, l’enciclica ‘verde’ di papa Francesco veniva presentata al mondo e accolta con favore diffuso e trasversale (ma anche fatta segno di dure critiche, basti pensare agli ambienti conservatori Usa).

Nel primo anniversario, la Chiesa celebra l’evento con una grande conferenza che avrà luogo a Roma il 20 giugno, organizzata dal Pontificio Consiglio Giustizia e Pace e intitolata “Sulla cura della casa comune nell’anno della Misericordia”. A tenere le redini sarà il cardinale Peter Turkson, presidente del Pontificio Consiglio, lo stesso che ha tenuto a battesimo l’enciclica in Vaticano dodici mesi fa.

Anche lo schema del convegno riprende con convinzione il ‘format’ già collaudato il 18 giugno 2015: molta attenzione alla dimensione internazionale, in particolare al dopo Cop 21 di Parigi, con Christiana Figueres, Segretario Esecutivo dell’United Nations Framework Convention on Climate Change; forte ruolo della scienza, rappresentata qui da Maria Cristina De Sanctis, ricercatrice presso l’Istituto di Astrofisica e Planetologia Spaziale dell’ INAF; reiterato accento sul dialogo tra le religioni e sulla ‘alleanza’ con il Patriarca Ecumenico Bartolomeo I (un vero antesignano del verbo ecologista nel mondo cristiano) che ha inviato a rappresentarlo l’Archimandrita Athenagoras Fasiolo; sguardo attento alla ‘gente comune’ e alla vita vissuta, in questo caso quella dello studente Francesco Laureti,del liceo classico D’Annunzio di Pescara.Moderatore: Don Walter Insero, rettore della Chiesa degli Artisti a Roma. Un mix sapientemente dosato per riaffermare ancora una volta che la Laudato Si’ non è soltanto un’enciclica ‘verde’, come è stata frettolosamente liquidata da vari media, ma una vera e propria ‘visione del mondo’. Si tratta di una lettura complessiva della realtà di quest’inizio millennio, un’analisi puntuale e profonda dell’intreccio tra crisi ambientale, sociale ed economica nonché un’indicazione precisa e meditata delle possibili vie d’uscita. Arricchita da una dimensione etica e spirituale che costituisce l’autentica ‘anima’ dell’enciclica e la distingue in maniera netta da migliaia di pur autorevoli e interessanti contributi di scienziati,ambientalisti, esperti della questione ecologica e dalla pletora di documenti ,dichiarazioni e pronunciamenti ai vari livelli istituzionali. Quest’approccio del papa è la chiave del successo planetario della Laudato Si’ e, secondo non pochi commentatori, fa dal papa l’unico vero leader oggi presente sullo scenario mondiale. Se il verbo ‘to lead’, infatti, significa ‘guidare verso’, è indubbio che l’unico in grado di proporre una visione del mondo verso cui condurre l’umanità ,di indicare una stella polare che illumini il tormentato cammino degli esseri umani,sia appunto Francesco. Poi si può essere d’accordo o meno con il sui ”progetto per la polis’ (intesa come comunità dei viventi),ma sicuramente è un punto da cui partire, un riferimento di cui si sentiva il bisogno. Folgorati dall’alto respiro di Bergoglio non sono stati solo gli ambientalisti (che ritrovano ovviamente nel documento papale concetti cardine della cultura ecologista, come la ‘conversione ecologica’ lanciata già nei primi anni novanta dal leader ambientalista Alex Langer). Anche ambienti in teoria refrattari come certe enclaves della sinistra hanno trovato nella Laudato Sì un tema su cui riflettere; non si contano i dibattiti e gli incontri organizzati ad hoc (tra i tanti, ricordo quello promosso dall’Archivio Pietro Ingrao alla Camera il 20 aprile scorso alla presenza di Mons. Marcelo Sanchez Sorondo, cancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze e di vari esponenti della sinistra storica). Popolarità trasversale della Laudato Sì che posso testimoniare anche per esperienza personale: almeno il cinquanta per cento degli inviti che ho ricevuto quest’anno da parte di associazioni culturali, movimenti,partiti,sindacati, istituzioni per tenere conferenze e lectures riguardava la
Laudato Si’. E dopo aver pubblicato un mio commento sulle analogie tra il pensiero ambientalista e l’enciclica in un libro “Laudato Si’- Un aiuto alla lettura”, appena uscito per la LEV (Libreria Editrice Vaticana), la percentuale si é ulteriormente impennata. Ma convegni e dibattiti non bastano: nelle dichiarate intenzioni di Bergoglio,che saranno sicuramente riaffermate in quest’anniversario dal Cardinale Turkson, vero e proprio ‘padre’ della Laudato Si’, il documento non è stato redatto per restare a dormire in un cassetto o raggelarsi nell’iperuranio delle teorie,ma per essere tradotto in pratica e diventare strategia operativa nella Chiesa e nella società. Un esempio tra i tanti: a fine aprile scorso i vescovi dello Zambia hanno organizzato a Lusaka una grande conferenza sulla Laudato Si’, dal significativo titolo “Care of our common home in the context of large scale investments – Mining and Agricolture”, indirizzata quindi a due settori,attività minerarie ed agricoltura,in cui si riversano in Africa grossi investimenti delle grandi compagnie,con impatti spesso negativi sull’ambiente e sulle comunità coinvolte. Il documento finale, frutto di un confronto serrato con i dirigenti delle compagnie minerarie,con le autorità dello Zambia e con la società civile,non lascia dubbi fin dall’esordio, che riporta una frase della Laudato Si’ quantomai esplicita: “È imperativo promuovere un’economia che favorisca la diversificazione produttiva e la creatività del business. Occorre promuovere i sistemi produttivi alimentari di piccole dimensioni che nutrono la stragrande maggioranza dell’umanità, usando una limitata estensione di terra e producendo minor spreco”. Per essere ancora più chiaro, l’appello dei vescovi esprime forte solidarietà ai poveri,su cui pesano gli effetti nefasti dell’attuale modello di sviluppo e lancia una sfida al settore minerario “affinché inizi a praticare un’attività estrattiva responsabile, che prenda in considerazione le esigenze dell’ambiente e delle comunità coinvolte”. E rivolge identica sfida alle grandi compagnie del settore agricolo indicando nella promozione dell’agricoltura biologica e sostenibile la rotta da seguire nello Zambia e nel continente africano. Ma la Laudato Si’ sta ispirando,oltre che una quota delle alte gerarchie, anche molti movimenti di base della Chiesa: per esempio, la Repam (rete ecclesiastica amazzonica attiva in nove paesi che coinvolge diocesi e realtà locali impegnate nella difesa della foresta e della biodiversità) ha fatto dell’enciclica la sua bandiera nella battaglia per tutelare le etnie indigene e gli attivisti che si oppongono al taglio del legname e ad un’attività estrattiva priva di scrupoli.Tutela quanto mai urgente,visto l’incremento allarmante degli indigeni assassinati nel disperato tentativo di strappare la loro terra ancestrale dalle grinfie delle multinazionali (un caso per tutti: 138 indigeni uccisi nel 2014 soltanto in Brasile,secondo i dati del Consiglio indigenista missionario). Certo, la strada è ancora tutta in salita: che la visione di Francesco si sintonizzi profondamente con la ‘cosmovisione’ dei popoli indigeni e delle comunità rurali in tante parti della terra è un dato certo (basti pensare al rispetto per la Pacha Mama, Madre Terra) ma ovviamente non basta. I meccanismi della globalizzazione sono spietati: “Sto lavorando sul settore agrario e vedo un’agricoltura campesina ed indigena completamente abbandonata. Sto visitando l’Amazzonia in vari paesi e sono rimasto impressionato dalla sua distruzione sistematica e dalle conseguenze che ciò comporta” lamenta Padre François Houtart, sociologo novantunenne che vive a Quito e che è una delle voci più lucide di denuncia ed analisi della ‘crisi multidimensionale’ del mondo odierno. ” E’ un bene che l’enciclica di Francesco parli di questi temi, ma non so quanti l’abbiamo veramente letta”. E messa in pratica,poi……. Ce n’est qu’un debut, insomma…per rispolverare il vecchio slogan sessantottino.E ‘le combat’ si annuncia durissimo. Ma, sempre per citare l’enciclica : “Che le nostre lotte e le nostre preoccupazioni per questo pianeta non ci tolgano la gioia della speranza”. Amen.

Cristina Simonelli riflette sulla ‘laudato sì’ di papa Francesco

papa Francesco ha da poco pubblicato la prima enciclica sull’ambiente: 180 pagine ricche di riflessioni teologiche e con numerosi atti d’accusa verso i potenti e le nazioni sviluppate

la teologa Cristina Simonelli così la commenta:

 

M. Barros commenta la ‘laudato sì’ alla vigilia della Conferenza Onu sui cambiamenti climatici a Parigi

 

un’alleanza per salvare la terra

di M. Barros

Barros

 

nella sua enciclica Laudato si’ sulla cura della Terra, la nostra casa comune, papa Francesco propone un’alleanza tra tutta l’umanità, credente e non credente, per salvare il pianeta. Una proposta che già era stata avanzata da intellettuali e scienziati, come il nordamericano Edward Wilson, considerato uno dei massimi biologi della nostra generazione, autore del libro La creazione. Un appello per salvare la vita sulla Terra (Adelphi, 2008, dall’originale inglese The Creation: An Appeal to Save Life on Earth, 2006)

Barros 1

per raggiungere questo obiettivo, il papa propone concretamente un dialogo e una cooperazione tra le religioni. E in questi giorni, alla vigilia della Conferenza Onu sui cambiamenti climatici a Parigi (Cop21), possiamo interrogarci su come le religioni possano contribuire a questo sforzo dell’umanità per salvare la Terra e garantire il futuro della vita sul pianeta.

1. L’attuale relazione delle religioni con la natura

Tutte le religioni conosciute, in un modo o nell’altro, considerano la natura un luogo speciale della manifestazione del Mistero divino, con la differenza che alcune pongono maggiormente l’accento sulla sacralità della stessa natura, percepita come divina. Le più antiche religioni orientali riconoscono nell’universo un’Anima universale (Atma o Brahma) che abbraccia tutto. Altre conservano i loro miti sulla creazione, a cui guardano in modi piuttosto diversi tra loro. La maggior parte delle religioni è consapevole del fatto che la fede si esprime in termini poetici e simbolici e dunque non entra in competizione con le spiegazioni scientifiche. È possibile che queste religioni condividano quanto scrive papa Francesco: «Per la tradizione giudeo-cristiana, dire “creazione” è più che dire natura, perché ha a che vedere con un progetto dell’amore di Dio, dove ogni creatura ha un valore e un significato» (Laudato si’, n. 76).

Nelle tradizioni orientali e nelle religioni originarie dell’Africa e dei popoli indigeni americani, come pure nelle religioni abramitiche, esistono i fondamenti per una cultura del rispetto e della comunione con la natura, ma sembra che tale maniera di professare il culto e di dare senso alla vita non giunga a trasformare le relazioni economiche e sociali a un livello più ampio. La cultura d’amore che le religioni suscitano in relazione alla Terra, all’acqua e alla natura è ancora generalmente circoscritta ai culti e alle pratiche religiose. Contribuisce alla creazione di culture più rispettose nei confronti della natura, ma non si esprime ancora come indignazione etica in relazione all’attuale sistema che trasforma tutto in merce.

2. La Chiesa e l’ecologia

Non possiamo negare che l’ecologia sia sorta in ambienti estranei alla Chiesa e che, fino a mezzo secolo fa, le Chiese non solo non mostravano sensibilità per la questione ecologica, ma mantenevano anche una visione antropocentrica contraria alla cura della natura. Lo stesso sistema patriarcale e capitalista è sempre sembrato legittimarsi a partire da una visione del mondo che per convenzione è stata chiamata “cultura giudaico-cristiana”. Non a caso, diversi studiosi europei e americani hanno ricondotto a tale cultura giudaico-cristiana la mentalità dominante nella società occidentale, accusandola di aver preso troppo sul serio l’antropocentrismo esasperato della Bibbia, secondo cui Dio creò l’essere umano come “signore della creazione”, con l’ordine di soggiogare la natura e domarla a suo piacimento. Una concezione biblica che ha offerto all’essere umano il supporto per sfruttare la Terra e distruggerla, invece che per relazionarsi ad essa amorevolmente.

Tuttavia, è possibile rintracciare, partendo dalle Scritture, un profondo amore per la Terra e per la natura in cui siamo immersi, legando così fede biblica e impegno ecologico. La Bibbia mostra che tutto l’universo è sacro. Secondo il primo capitolo della Bibbia, la creazione non si completa con l’essere umano: il culmine è nell’istituzione del “settimo giorno”, lo shabat, il riposo divino, o in termini più precisi, la pienezza della relazione gratuita e amorosa del Divino con l’universo. Inoltre, la Bibbia insiste sul fatto che esiste una mutua appartenenza, una parentela cosmica, una fratellanza universale tra tutti gli esseri: nella Bibbia, infatti, all’infuori di Dio, tutto è creatura. Tutti gli esseri della Terra sono creature di Dio. Tutti hanno impresso nel proprio essere più profondo il segno del loro Creatore, una dignità specifica e meravigliosa.

3. Un richiamo alla conversione ecologica e all’alleanza eco-sociale 

Attualmente, nel cammino comune per salvare la Terra e la natura, le religioni sono chiamate a rendersi conto che non basta proclamare il fatto che la natura è sacramento del Mistero Divino o che la creazione è continua e che dietro ogni essere vivente c’è lo sguardo amorevole di Dio. È necessario organizzarsi e articolarsi per difendere questa visione contro un sistema sociale ed economico essenzialmente predatorio. All’interno di questo sistema, nessuna misura ecologica raggiungerà la profondità necessaria. In questo senso, è stata una conquista fondamentale che papa Francesco abbia posto al centro del suo pensiero sulla crisi ambientale la critica al sistema economico mondiale e mostrato come soltanto un’ecologia integrale possa rappresentare la soluzione per l’attuale crisi (Laudato si’, cap. IV, n. 137 ss).

Chi vive in America Latina, sa che la crisi ambientale non si risolverà mai senza affrontare lo scandalo delle immense disuguaglianze sociali. Per salvare l’integrità della vita sul pianeta, è urgente superare questo modello di sviluppo essenzialmente anti-ecologico e, allo stesso tempo, garantire a tutta la popolazione povera l’accesso “alla Terra, al lavoro e alla casa”, come il papa ha riconosciuto nel suo incontro con i movimenti sociali.

Senza dubbio, in questa presa di posizione salda e risoluta in difesa del pianeta, le comunità indigene e di origine afrodiscendente, secolarmente emarginate e strutturalmente povere, non avranno le stesse possibilità di far sentire la propria voce di altre comunità religiose ben più influenti nel mondo. Il papa, infatti, può parlare dinanzi all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Il Consiglio Ecumenico delle Chiese, la United Religions Initiative (URI) e il Parlamento Mondiale delle Religioni per la Pace vengono consultati dagli organismi internazionali.

In ogni modo, i cambiamenti più profondi si realizzeranno a partire dal basso, in un processo culturale che non può che essere rivoluzionario, dovendo investire tutte le dimensioni della società.

4. L’agenda di Dio nell’agenda dell’umanità

Da quando le Nazioni Unite hanno iniziato a promuovere conferenze e riunioni mondiali sui cambiamenti climatici (Stoccolma, 1972) e la società internazionale ha assunto una coscienza maggiore della crisi che il mondo attraversa, alcuni passi avanti sono stati compiuti nel controllo delle emissioni di gas tossici e nei protocolli relativi a questioni concrete come la deforestazione, la crisi idrica e il riscaldamento globale. Tuttavia, i passi sono stati timidi e non sempre le decisioni corrette sono state adeguatamente messe in pratica dai governi. Tali contraddizioni rivelano come la crisi ecologica non si risolva con misure parziali e isolate. Già molti anni fa gli scienziati affermavano che “il virus che provoca la malattia non potrà fornire il rimedio per curarla”. Ed è quanto la società civile ha espresso nelle più recenti Conferenze Onu sui cambiamenti climatici, organizzando vertici dei popoli e conferenze parallele, come avverrà anche in occasione della Conferenza di Parigi.

In tale contesto, il primo impegno delle religioni rispetto all’agenda ecologica è, anziché promuovere iniziative isolate e parallele, associarsi a questo cammino della società civile e dei movimenti e organizzazioni sociali.

All’interno di questo quadro più ampio di azione comune, nella linea di un’alleanza a favore del pianeta, spettano alle religioni alcuni importanti compiti che sono loro propri. Ne elencherò alcuni.

a) Restaurare la dignità della politica. La maggior parte di noi concorda sul fatto che, come scrive Patrick Viveret, «l’egemonia dell’economia sulla politica, nel corso degli ultimi 30 anni, ha rappresentato una catastrofe. Quando, con la crisi del 2008, tale situazione è diventata incontrollabile e senza uscita, le imprese hanno fatto nuovamente ricorso alla politica. Ma che tipo di politica?». È necessario unire tutte le persone di buona volontà e i gruppi articolati della società civile per “democratizzare la democrazia”, ossia per rendere possibile una vera partecipazione delle basi nei processi sociali e politici. Monsignor Oscar Romero definiva la politica basata sul bene comune come la “grande politica”.

b) Sostenere e divulgare la “Dichiarazione Universale del Bene Comune della Terra e dell’Umanità”, elaborata da un gruppo di intellettuali e teologi coordinati da Leonardo Boff e da Miguel d’Escoto: 24 articoli in cui si chiede il rispetto di tutti gli esseri viventi. Chi accetta e assume tale dichiarazione riconosce la Terra, l’Acqua, l’Aria, gli alimenti di base di ogni cultura, la salute e l’educazione come beni comuni non riducibili a merce.

c) Superare l’arroganza antropocentrica. Sebbene abbia una vocazione unica di vita cosciente e pensante, l’essere umano è parte di una comunità più grande che, come la definisce la Carta della Terra, è “la comunità della vita”. Come sottolinea Hans Küng, «fino ad alcuni decenni fa, la posizione comune tra gli studiosi e gli scienziati era data da un antropocentrismo radicale. Negli ultimi anni, sempre di più, tra gli scienziati più consapevoli, si fa strada la concezione biocentrica proposta dalla Cosmologia, la quale afferma che ogni elemento dell’universo ha la propria ragione di essere e la propria autonomia e ricorda che, miliardi di anni fa, molto prima dell’apparizione degli esseri umani, il cosmo già esisteva e può perfettamente continuare a esistere per miliardi di anni dopo la loro eventuale scomparsa». Tutto ciò rappresenta per l’ebraismo e per il cristianesimo una sfida a sviluppare una nuova Teologia della Creazione. Come afferma il teologo Luis Carlos Susin, «oggi, di fronte alla minaccia dell’olocausto ecologico, la Teologia della Creazione è chiamata a essere un’apologia del mondo in quanto creazione divina (…). La creazione, ossia il mondo, la terra, è, in prima e ultima istanza, di Dio».

d) Suscitare una cultura ecologica di contemplazione e di cura della natura. «Scienziati come Ilya Prigogine, Fritjop Capra e Stengens – evidenzia Adolphe Gesché – propongono un nuovo modello di scienza che non si svilupperebbe più a partire dal dominio, dal calcolo e dalla conquista della natura, ma piuttosto dall’ascolto attento e dall’alleanza». Per collaborare con questo nuovo cammino metodologico, le religioni sono chiamate a promuovere una cultura di ascolto amorevole, di cura e di comunione con la natura.

Il teologo e docente di etica Antonio Moser affermava: «Uccidendo il senso del mistero, gli esseri umani perdono il senso di riverenza nei confronti degli altri esseri e di se stessi. Per quanto il dramma ecologico non possa essere risolto senza la tecnica, di certo non potrà trovare una soluzione solamente con la tecnica. Una vera soluzione presuppone un cambiamento di mentalità, guidato da un processo di riscoperta della complessità e della dimensione di mistero che abbraccia tutte le manifestazioni della vita in tutte le situazioni, anche le più dolorose e le più precarie».

e) Seguire una linea di prudenza metodologica in relazione al futuro. Malgrado la Conferenza di Parigi sia centrata specificamente sui cambiamenti climatici, è necessario partire da uno sguardo più ampio. La prudenza metodologica rispetto a ciò che non si conosce fa senza dubbio parte del rispetto per il mistero della natura e per la cura della Terra. Non è etico approvare l’uso di sementi transgeniche e di prodotti chimici le cui conseguenze per la salute della popolazione non siano state sufficientemente valutate.

f) Assumere il principio della sostenibilità della vita e della cura ecologica come un nuovo paradigma di civiltà. Ciò significa individuare la questione ecologica come chiave di comprensione per i più diversi campi del sapere umano e dell’attività umana sulla Terra. E questo implica ripensare tutto, dall’economia alla tecnica fino ai costumi sociali quotidiani, in direzione di una nuova educazione per il buen vivir.

g) Portare tutto questo percorso di cambiamento di visione all’interno delle espressioni della fede e del culto. È urgente rivitalizzare e anche sviluppare ulteriormente la dimensione ecologica vissuta da ogni religione nella sua attività interna ed esterna. All’inizio degli anni ’80, le Chiese ortodosse aderirono alla proposta del patriarca ecumenico Dimitrios di dedicare il 1° settembre o la domenica più vicina a questa data alla preghiera e alla cura della creazione. Questa giornata per la custodia del creato, attualmente rilanciata da papa Francesco, è diventata ufficiale anche per la Chiesa cattolica ed è un ulteriore strumento per unire celebrazione e vita.

Chi crede in Dio, sa che avventurarsi per questo cammino significa lasciarsi guidare dallo Spirito che «soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai di dove viene e dove va» (Gv 3,8).

Marcelo Barros è monaco benedettino, biblista e teologo della liberazione brasiliano. Fa parte della Commissione Teologica Latinoamericana dell’Associazione Ecumenica di Teologi e Teologhe del Terzo Mondo (Asett). È autore di oltre 40 libri e tra i curatori del progetto editoriale in 5 volumi “Per i molti cammini di Dio” (pubblicato in italiano da Pazzini Editore).

aver cura della terra e dei poveri

accanto a Lazzaro

 custodire la terra con profezia ma senza demonizzazioni

da Il Re g n o – Attualità

povertà

un commento all’Enciclica Laudato si’

questo inizio di XXI secolo sarà ricordato anche per la fine della critica al capitalismo, che invece aveva caratterizzato buona parte del XX. Il capitalismo è diventato l’ambiente dentro il quale viviamo e ci muoviamo, e vi siamo talmente immersi da non avere più la capacità culturale di guardarlo per analizzarlo, criticarlo, rivolgergli le domande fondamentali dell’equità, della giustizia, della verità

Anche le varie forme d’impresa responsabile, o la stessa economia del settore non profit, si concepiscono all’interno dello stesso sistema capitalistico e sono a questo funzionali e sempre più essenziali – in Italia, ad esempio, circa la metà delle grandi organizzazioni non profit riceve direttamente o indirettamente finanziamenti dalle multinazionali dell’azzardo, inclusi importanti movimenti cattolici –. In questa povertà di pensiero critico, si comprende il valore e la portata storica della Laudato si’, che è anche una lucida e profetica critica del capitalismo finanziario e tecnologico. E lo fa a vari livelli, tutti essenziali. Innanzitutto, la Laudato si’ di Francesco è un grande discorso concreto di bene comune. Non è un discorso «sul» bene comune come categoria (di questi, tra i cattolici, ce ne sono fin troppi), ma è un esercizio di bene comune – nel linguaggio antico dovremmo dire che in questa enciclica il bene comune non è l’oggetto materiale bensì l’oggetto formale: si guarda il mondo dalla prospettiva del bene comune, che diventa criterio etico di giudizio globale. Oggi, soprattutto in Occidente, non riusciamo a vedere la questione etica del mondo proprio perché ci manca la categoria di bene comune – e quindi anche quella strettamente collegata di beni comuni –, la grande assente della nostra civiltà dei consumi e della finanza.

povertà

Eppure la nostra epoca ha conosciuto nella propria carne che cosa siano i mali comuni: guerre mondiali, pericolo atomico, epidemie e, oggi, il terrorismo globalizzato. Abbiamo imparato che cosa significhi essere anche un corpo quando cadevano le bombe sulle case dei ricchi e su quelle dei poveri, quando la follia suicidaomicida uccideva manager e operai; ma dall’esperienza del male comune non abbiamo imparato la sapienza del bene comune. Non abbiamo appreso collettivamente che il bene primo di una società (nel senso che se manca sono minacciati anche i beni secondi) è il bene comune, quello di tutti e di ciascuno. E così, giorno dopo giorno, legge dopo legge, non-legge dopo non-legge, stiamo dando vita alla «civiltà dell’interesse privato», che con ideologie sempre più sofisticate sta convincendo tutti che gli «scarti» siano un prezzo da pagare al benessere dell’élite, e che è normale e inevitabile che il 10% degli abitanti del pianeta utilizzi energia per l’aria condizionata negli appartamenti e per i SUV, e che il 90% che non ha né aria condizionata né SUV sia condannato a subire le conseguenze di un pianeta sempre più inquinato da chi è sopra di lui. Ancora una volta la storia umana conferma e amplifica la verità del Vangelo: non solo Lazzaro continua a stare sotto la tavola del ricco epulone a raccogliere le briciole della sua opulenza, ma da quella tavola sempre più imbandita con prodotti che nascono dalle terre sfruttate dei tanti poveri del pianeta ormai gocciolano sul capo di Lazzaro anche i rifiuti, le scorie, la sporcizia, che rendono immangiabili quelle poche briciole di pane.

povertà

Un umanesimo integrale Papa Francesco è capace di vedere tutto ciò e di dirlo a tutti, per renderci almeno un po’ meno tranquilli nei nostri banchetti opulenti. E lo fa con la libertà che nasce da chi ha il solo interesse di servire la verità, che non dipende dai finanziamenti delle multinazionali e della grande finanza, e quindi di dar voce a chi non ce l’ha, denunciando con una forza e un coraggio inediti l’economia dei nuovi epuloni generatori di briciole inquinate e inique. Lo sguardo migliore sul bene comune, forse il solo giusto, è quello di chi si mette sotto il tavolo accanto a Lazzaro, e da lì guarda verso l’alto. Un altro tema che ispira tutto l’impianto dell’enciclica è il rapporto uomoterra letto come relazione di reciprocità con pari dignità, perché uomo e terra sono «creazione» (c. II; Regno-doc. 23,2015,14), reciprocità tra esseri umani e reciprocità tra noi e la terra. Una sola è la custodia: custodia dell’altro uomo («Sono forse io il custode di mio fratello?»: Gen 4,9), e custodia della terra (l’Adam deve coltivare e custodire il giardino: cf. Gen 2,15). La parola ebraica che l’autore della Genesi usa in entrambe le custodie – che poi saranno negate – è la stessa (shamar), a ricordarci che se non custodisco l’altro uomo, ogni altro uomo e donna, non sarò capace di custodire né la terra né me stesso (se non custodisco l’altro divento presto incapace anche della cura di me stesso: resta solo l’edonismo nichilista). Dove non c’è la custodia il fratricidio prende il posto della fraternità e la terra viene macchiata dal sangue – ma Dio e i suoi amici veri e non ruffiani riescono ancora a sentire l’odore del sangue delle vittime («La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo»: Gen 4,10). Ed è per questa ragione che «l’ecologia integrale» (c. IV; Regno-doc. 23,2015,30) di cui parla la Laudato si’ può nascere solo da un «umanesimo integrale» (c. III; Regno-doc. 23,2015,22). L’antropocentrismo «deviato» – come il papa definisce quella visione, alimentata anche da alcune teologie cristiane parziali, che vede tutto l’universo in funzione del benessere degli esseri umani – è il primo errore da rettificare per costruire una relazione corretta con la terra e con natura, una relazione che Francesco, francescanamente, chiama di fraternità: «quando il cuore è veramente aperto a una comunione universale, niente e nessuno è escluso da tale fraternità» (n. 92; Regno-doc. 23,2015,20). Al tempo stesso, l’uomo è realmente il centro del processo di deterioramento che sta subendo la vita del pianeta, un deterioramento che non mette in discussione la sopravvivenza della terra (che nella sua storia ha superato «crisi» molto più devastanti di quella da noi prodotta) ma la sopravvivenza dell’homo sapiens. Inoltre – e questo il papa lo sottolinea in molti passaggi della sua lettera – il comportamento irresponsabile dell’uomo, invece di «accudire» depreda la terra e sta producendo una forte perdita di biodiversità nel pianeta e la morte di molte altre specie viventi. Alcuni commentatori, sedicenti amanti del libero mercato – senza spiegare che cosa intendano per «mercato» e per «libero» –, hanno scritto, in Italia e altrove, che papa Francesco è contro il mercato e contro la libertà economica, e vedono in questo un’espressione del suo anti-modernismo e magari marxismo. In realtà, se leggiamo il testo senza occhiali ideologici, troviamo cose molto importanti sul mercato e sull’economia. Francesco ci ricorda che il mercato e l’impresa sono preziosi alleati del bene comune se non diventano un tutto. Il mercato è una dimensione della buona vita sociale, essenziale oggi a ogni bene comune. Ma le parole delle economie non sono né le uniche né le prime.

La regola del mutuo vantaggio Innanzitutto, il papa denuncia lo snaturamento del mercato. Se è vero, infatti, che la legge aurea del mercato è quella del «mutuo vantaggio» – come ci ricordano Adam Smith, Antonio Genovesi e la migliore tradizione del pensiero economico – e non il vantaggio di una parte a spese dell’altra, allor quando le imprese depredano persone e terra (e lo fanno spesso), stanno negando la natura stessa del mercato. Il papa non fa altro che richiamare l’economia e il mercato alla loro vocazione più vera: il mutuo vantaggio o, nelle parole di Genovesi, «la mutua assistenza» (in Lezioni di economia civile, scritte tra il 1765 e il 1767). Infine anche riconoscendo il mutuo vantaggio come una legge fondamentale del mercato civile, e magari estendendolo anche al rapporto con altre specie viventi e con la terra (molte esperienze nel rapporto uomo-terra si possono leggere anche in questo senso), esso non deve essere l’unica legge della vita. In questo il papa è in sintonia con grandi economisti contemporanei, tra i quali il premio Nobel A.K. Sen. Sen nei suoi lavori sulla giustizia parla degli obblighi di potere, e lo fa ispirandosi anche alla tradizione religiosa indiana. Gli obblighi di potere ci spingono ad andare oltre il mutuo vantaggio e il contratto – il suo principale strumento. Il mutuo vantaggio e il contratto non sono sufficienti per la costruzione di una società giusta. Esistono altri obblighi morali e civili che non possono essere ricondotti al principio del mutuo vantaggio. In particolare, gli obblighi di potere sono fondamentali quando abbiamo a che fare con i bambini e con altre specie viventi non umane. Quando ci troviamo nella condizione d’esercitare un potere nei confronti di altri viventi più deboli e che dipendono decisamente dalla nostra potenza, dobbiamo agire sulla base del riconoscimento dell’asimmetrica possibilità di fare cose cariche di conseguenze per la vita degli altri (cf. A. Sen, The Idea of Justice, Harvard University Press, Harvard 2009; trad. it. L’idea di giustizia, Mondadori, Milano 2010). Dobbiamo agire responsabilmente nei confronti del creato perché oggi la tecnica ci ha messo nelle condizioni oggettive di poter produrre unilateralmente conseguenze molto gravi verso altri esseri viventi con i quali siamo legati. Tutto nell’universo è vivo, e tutto ci chiama a responsabilità. Molto importante, infine, è la questione del «debito ecologico» (n. 52; Regnodoc. 23,2015,12), che rappresenta uno dei passaggi più alti e profetici dell’enciclica. La logica spietata dei debiti degli stati domina la terra, mette in ginocchio interi popoli (come la Grecia ma non solo), e ne tiene sotto ricatto molti altri. Molto potere nel mondo è esercitato in nome del debito e del credito finanziari. Esiste però anche un grande «debito ecologico» del Sud del mondo nei confronti del Nord, un 10% dell’umanità che ha costruito il proprio benessere scaricando i costi sull’atmosfera di tutti, e che continua a produrre «cambiamenti climatici» che hanno effetti devastanti proprio in molti tra i paesi più poveri. L’espressione «cambiamenti» è fuorviante perché è eticamente neutrale. Il papa parla d’«inquinamento» e di deterioramento di quel «bene comune» chiamato «clima» (n. 23; Regno-doc. 23,2015,6). Il deterioramento del clima contribuisce alla desertificazione di intere regioni che influiscono decisamente sulle miserie, le morti delle bambine, dei bambini, delle donne, degli uomini, e le migrazioni (cf. n. 25). Di questo immenso «debito ecologico» e di giustizia globale non si tiene conto nei tavoli dei potenti, e si pretende magari di dare anche una vernice etica alle chiusure delle nostre frontiere verso chi arriva da noi perché prima gli abbiamo bruciato la casa. Questo debito ecologico non pesa per nulla nell’ordine politico mondiale. Nessuna troika condanna un paese perché ha inquinato e desertificato un altro. E così il debito ecologico continua a crescere sotto l’indifferenza dei grandi e dei potenti. La nostra civiltà globale ha un bisogno estremo e vitale di profezia. La profezia è sempre stata il primo alimento del bene comune, dentro e fuori le religioni. Ma dove sono, oggi, i profeti? E quei pochi, chi li ascolta? Papa Francesco è uno dei pochissimi profeti del nostro tempo, e, grazie a Dio, è anche ascoltato. Certamente è ascoltato e amato dai Lazzari. Auguriamoci che sia ascoltato anche da qualche ricco epulone: «Se non ascoltano Mosè e i profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti» (Lc 16,31).

Luigino Bruni

Cardini e il ‘raggio di sole’ papale

“LAUDATO SI’ “

un raggio di sole nella nebbia postmoderna

di Franco Cardini

 

 

  
 
“…voglio dedicare all’enciclica Laudatosi’solo poche semplici parole, come si addice a queste pagine. Parole di gratitudine per questo raggio di sole nella nebbia postmoderna, per questa rosa sbocciata nel deserto dell’egoismo e dell’ipocrisia nel quale ci sembra ormai di esserci definitivamente sperduti quando leggiamo dei buoni cristiani che desertificano e inquinano il mondo per fame e sete di profitto, dei rispettabili banchieri (cristiani anch’essi) che preferirebbero strangolare un popolo intero piuttosto che concedergli ancora qualche mese di dilazione per consentirgli di pagare i suoi debiti, degli indefessi difensori della Civiltà Cristiana che auspicano naufragi di massa di migranti nel Canale di Sicilia. E’ su questo mondo devastato dall’egoismo e dall’ingiustizia che sono cadute come una pioggia benefica le parole di papa Francesco ispirate al Povero di Assisi.
“Laudatosi’, mi’ Signore, cantava san Francesco d’Assisi. In questo bel cantico ci ricordava che la nostra casa comune è anche come una sorella, con la quale condividiamo l’esistenza. Questa sorella protesta per il male che le provochiamo, a causa dell’uso irresponsabile e dell’abuso dei beni che Dio ha posto in lei. Siamo cresciuti pensando che eravamo suoi proprietari e dominatori, autorizzati a saccheggiarla. Ogni aspirazione a cambiare e migliorare il mondo richiede di cambiare profondamente gli stili di vita, i modelli di produzione e di consumo, le strutture consolidate di potere che oggi reggono le società. L’autentico sviluppo umano possiede un carattere morale e presuppone il pieno rispetto della persona umana, ma deve prestare attenzione anche al mondo naturale”.
 
Molti (oggi viviamo stranamente in una società atea, ch’è però piena di Padreterni) hanno trovato queste parole deludenti in quanto ovvie, banali, piene di cose risapute eccetera, in tutto degne del mediocre livello delle prediche che papa Bergoglio pronunzia ogni mattina dal pulpito di Santa Marta. Dio benedica quest’ovvietà, questa banalità. Dio voglia che essa si trasformi in progetto sociale e in programma politico. Dio voglia che, dopo aver goduto della fortuna di essere governati per decenni da imprenditori, banchieri, tecnocrati, managers, e dai governi che sono diventati ormai loro comitati d’affari, riusciamo alla fine a guardar oltre la loro avida miopìa e a riacquistare la coscienza della nostra autentica identità – oggi che di “identità” tanto si parla -, quelli di custodi d’un bene che non ci appartiene ma del quale siamo responsabili, di un pianeta nel quale tutti possiamo e dobbiamo vivere con quel minimo di dignità per tutti che nasce da una ragionevole condivisione, d’un mondo nel quale sia possibile svilupparsi anche senza ricorrere a strumenti di costrizione e di corruzione come la tirannia, la guerra e la droga.
 

per ‘il Foglio’ papa Francesco è comunista

il papa è comunista?

l’enciclica degli anti capitalisti

quattro pagine speciali nel Foglio di sabato

ci mancava anche questa. Un gruppo do tromboni, con il conto pieno in banca, che danno dell’anticristo a Francesco. A loro (guarda Giuliano Ferrara) piace una chiesa comoda, che parla solo di sesso (proibendolo, tanto loro sono porconi lo stesso) e che non tocca alcun interesse. Fra l’altro lo fanno in maniera becera e anche offensiva: Basta leggere i commenti. Uno fra tutti: vorrei sapere quando Papa Francesco sposerà la Boldrini: Quando sono toccati sul vivo, loro, bvravi cattoliocio, rispettosi delle gerarchie, perdono la bussola e diventano offensivi.

di Redazione | 23 luglio 2015

 

L’attacco alla proprietà privata, il no al salvataggio a tutti i costi delle banche. Non c’è solo il clima nell’enciclica Laudato si’, il testo che ha esaltato gli anticapitalisti del pianeta, al punto da porre la domanda se il Papa sia davvero comunista. Sabato, con uno speciale di quattro pagine, il Foglio risponderà all’interrogativo. 

Giuliano Ferrara spiega la ragione per cui il Papa si presenta come un anticristo politicamente corretto (c’entra il messianesimo proletario). Da Maurizio Crippa arriveranno le istruzioni per il corretto uso di una “enciclica non ordinaria”. Umberto Minopoli confuterà i numeri che sottendono la tesi del “catastrofismo sociale”. Sulla “illusione di una sinistra ingenua” che punta a trasformare Francesco nella propria bandiera dirà la sua Massimo Cacciari. Interverranno poi l’ex governatore della Banca d’Italia, Antonio Fazio, Carlo Lottieri, Adriano Sofri, l’economista “ambientalista scettico” Bjorn Lomborg, Eugenio Somaini, Matteo Matzuzzi.

l’enciclica ‘laudato sì’ in 10 punti

10 cose che abbiamo capito dall’enciclica di papa Francesco sull’ambiente

così il sito Focus sintetizza l’enciclica di papa Francesco ‘laudato sì’:

l’enciclica “laudato si'” sull’ambiente di papa Francesco è scritta con la rabbia di un attivista, la preoccupazione per i poveri e con un atto d’accusa senza precedenti alla indifferenza dei potenti. Ecco alcuni punti più importanti:

20001

 

papa Francesco ha appena pubblicato la prima enciclica sull’ambiente: 180 pagine ricche di riflessioni teologiche e con numerosi atti d’accusa verso i potenti e le nazioni sviluppate. Ecco che cosa ci sembra di aver capito (anche grazie all’analisi di altri autorevoli giornali, dall’inglese Guardian all’americano The New York Times):

 

 

1. Pensa che dobbiamo abbandonare il carbone

In attesa di soluzioni migliori (le rinnovabili) meglio preferire il male minore. Nel caso energetico, meglio il gas del carbone.

Sappiamo che la tecnologia basata sui combustibili fossili, molto inquinanti – specie il carbone, ma anche il petrolio e, in misura minore, il gas –, deve essere sostituita progressivamente e senza indugio. In attesa di un ampio sviluppo delle energie rinnovabili, che dovrebbe già essere cominciato, è legittimo optare per il male minore o ricorrere a soluzioni transitorie.

 

2. Gli incontri sul clima dell’ONU hanno fallito

Oltre 20 anni di summit sono serviti a poco nel controllo del global warming.

Degna di nota è la debolezza della reazione politica internazionale. La sottomissione della politica alla tecnologia e alla finanza si dimostra nel fallimento dei Vertici mondiali sull’ambiente. Ci sono troppi interessi particolari e molto facilmente l’interesse economico arriva a prevalere sul bene comune e a manipolare l’informazione per non vedere colpiti i suoi progetti. 

3. Non gli piacciono i “crediti di emissione”

La strategia di compravendita di “crediti di emissione” può dar luogo a una nuova forma di speculazione e non servirebbe a ridurre l’emissione globale di gas inquinanti. Questo sistema sembra essere una soluzione rapida e facile, con l’apparenza di un certo impegno per l’ambiente, che però non implica affatto un cambiamento radicale all’altezza delle circostanze. Anzi, può diventare un espediente che consente di sostenere il super-consumo di alcuni Paesi e settori.

 

4. Ma gli piace l’energia delocalizzata

In alcuni luoghi, si stanno sviluppando cooperative per lo sfruttamento delle energie rinnovabili che consentono l’autosufficienza locale e persino la vendita della produzione in eccesso. Questo semplice esempio indica che, mentre l’ordine mondiale esistente si mostra impotente ad assumere responsabilità, l’istanza locale può fare la differenza. È lì infatti che possono nascere una maggiore responsabilità, un forte senso comunitario, una speciale capacità di cura e una creatività più generosa, un profondo amore per la propria terra, come pure il pensare a quello che si lascia ai figli e ai nipoti. Questi valori hanno radici molto profonde nelle popolazioni aborigene. 

5. Non è contro il cibo OGM (ma neanche pro)

È difficile emettere un giudizio generale sullo sviluppo di organismi geneticamente modificati (OGM), vegetali o animali, per fini medici o in agricoltura, dal momento che possono essere molto diversi tra loro e richiedere distinte considerazioni. D’altra parte, i rischi non vanno sempre attribuiti alla tecnica stessa, ma alla sua inadeguata o eccessiva applicazione. In realtà, le mutazioni genetiche sono state e sono prodotte molte volte dalla natura stessa. Nemmeno quelle provocate dall’essere umano sono un fenomeno moderno. La domesticazione di animali, l’incrocio di specie e altre pratiche antiche e universalmente accettate possono rientrare in queste considerazioni. È opportuno ricordare che l’inizio degli sviluppi scientifici sui cereali transgenici è stato l’osservazione di batteri che naturalmente e spontaneamente producevano una modifica nel genoma di un vegetale. Tuttavia in natura questi processi hanno un ritmo lento, che non è paragonabile alla velocità imposta dai progressi tecnologici attuali, anche quando tali progressi si basano su uno sviluppo scientifico di secoli.

6. Pensa che il consumo sia un problema più grave della popolazione

Incolpare l’incremento demografico e non il consumismo estremo e selettivo di alcuni, è un modo per non affrontare i problemi. Si pretende così di legittimare l’attuale modello distributivo, in cui una minoranza si crede in diritto di consumare in una proporzione che sarebbe impossibile generalizzare, perché il pianeta non potrebbe nemmeno contenere i rifiuti di un simile consumo. 

  7. Dice che gli smartphone e gli altre gadget elettronici stanno rovinando il nostro rapporto con la natura

Nello stesso tempo, le relazioni reali con gli altri, con tutte le sfide che implicano, tendono ad essere sostituite da un tipo di comunicazione mediata da internet. Ciò permette di selezionare o eliminare le relazioni secondo il nostro arbitrio, e così si genera spesso un nuovo tipo di emozioni artificiali, che hanno a che vedere più con dispositivi e schermi che con le persone e la natura. I mezzi attuali permettono che comunichiamo tra noi e che condividiamo conoscenze e affetti. Tuttavia, a volte anche ci impediscono di prendere contatto diretto con l’angoscia, con il tremore, con la gioia dell’altro e con la complessità della sua esperienza personale. Per questo non dovrebbe stupire il fatto che, insieme all’opprimente offerta di questi prodotti, vada crescendo una profonda e malinconica insoddisfazione nelle relazioni interpersonali, o un dannoso isolamento.

  8. Quale sarà il nostro regalo per le nuove generazioni? Desolazione!

Le previsioni catastrofiche ormai non si possono più guardare con disprezzo e ironia. Potremmo lasciare alle prossime generazioni troppe macerie, deserti e sporcizia. Il ritmo di consumo, di spreco e di alterazione dell’ambiente ha superato le possibilità del pianeta, in maniera tale che lo stile di vita attuale, essendo insostenibile, può sfociare solamente in catastrofi, come di fatto sta già avvenendo periodicamente in diverse regioni. 

  9. Inquinare e togliere risorse alle generazioni future è un peccato

L’ambiente è un bene collettivo, patrimonio di tutta l’umanità e responsabilità di tutti. Chi ne possiede una parte è solo per amministrarla a beneficio di tutti. Se non lo facciamo, ci carichiamo sulla coscienza il peso di negare l’esistenza degli altri. Per questo i Vescovi della Nuova Zelanda si sono chiesti che cosa significa il comandamento “non uccidere” quando «un venti per cento della popolazione mondiale consuma risorse in misura tale da rubare alle nazioni povere e alle future generazioni ciò di cui hanno bisogno per sopravvivere».

10. Anche l’inquinamento acustico è un disagio

Per poter parlare di autentico sviluppo, occorrerà verificare che si produca un miglioramento integrale nella qualità della vita umana, e questo implica analizzare lo spazio in cui si svolge l’esistenza delle persone. Gli ambienti in cui viviamo influiscono sul nostro modo di vedere la vita, di sentire e di agire. Al tempo stesso, nella nostra stanza, nella nostra casa, nel nostro luogo di lavoro e nel nostro quartiere facciamo uso dell’ambiente per esprimere la nostra identità. Ci sforziamo di adattarci all’ambiente, e quando esso è disordinato, caotico o saturo di inquinamento visivo e acustico, l’eccesso di stimoli mette alla prova i nostri tentativi di sviluppare un’identità integrata e felice.

 

 
18 Giugno 2015

papa Francesco ‘teologo della liberazione’

echi della Teologia della liberazione nell’Enciclica sull’ecologia

 in: Reporterre, le quotidien de l’écologie
Echi della Teologia della liberazione nell’Enciclica sull’ecologia

l’enciclica pubblicata il 18 giugno segna un forte impegno della Chiesa sull’ecologia. Per scriverla, il Papa si è ispirato alla teologia della liberazione, una corrente nata negli anni sessanta in America Latina, che mette i poveri al cuore della religione. Facciamo luce su un movimento d’avanguardia misconosciuto in Europa

“Quando l’ultimo albero sarà stato abbattuto, quando l’ultimo fiume sarà stato avvelenato, quando l’ultimo pesce sarà stato catturato, allora ci renderemo conto che il denaro non si mangia.” [1] Colui che così riprendeva la frase attribuita a volte a Geronimo a volte ad un indiano Cree, più di venti anni fa, non è un profeta di sventura, ma un prete brasiliano, Leonardo Boff, uno dei fondatori della Teologia della liberazione. 

Questa corrente cattolica, nata in Sud America durante gli anni sessanta, è all’avanguardia nella battaglia ecologica globale. Di conseguenza, Leonardo Boff è certamente tra gli autori che Papa Francesco deve aver riletto attentamente per preparare la sua Enciclica sull’ecologia, Laudato si, pubblicata il 18 giugno. Eppure, la teologia della liberazione non è sempre stata in odore di santità presso il Vaticano.

La centralità dei poveri

L’espressione Teologia della Liberazione appare per la prima volta presso il grande pubblico nel 1971, sulla copertina di un libro che farà il giro del mondo e firmato da un sacerdote, teologo e filosofo peruviano, Gustavo Gutierrez. L’originalità di questa nuova teologia si basa su un punto importante, tratto dal Vangelo: la centralità dei poveri. Ma a differenza di altri movimenti e personalità cattoliche che hanno dedicato la loro vita ai più indigenti, Gustavo Gutierrez e i suoi amici li considerano innanzitutto come soggetti della loro stessa emancipazione e non solo come oggetti di cure caritatevoli.

Gustavo Gutiérrez

Molto concretamente, sin dagli anni sessanta essi hanno creato forme di organizzazione di vita condivisa, sul piano materiale come su quello spirituale, chiamate comunità ecclesiali di base. Sacerdoti e, talvolta, vescovi, hanno scelto di vivere nelle baraccopoli e nei villaggi al fianco dei ”dannati della terra”. Con la teologia della liberazione, operai, contadini, donne, indiani diventano la Chiesa. Attraverso la lotta per l’emancipazione dei più poveri, dal Brasile al Messico passando per il Cile e il Perù, questi cattolici hanno attraversato un passaggio per lungo tempo tabù nella loro Chiesa: quello del discorso politico. A maggior ragione di sinistra… o addirittura di sinistra radicale.

L’ex vescovo brasiliano Dom Helder Camara, deceduto nel 1999, figura prominente di questa corrente, ripeteva una formula diventata famosa: “Quando do del pane ai poveri, dicono che sono un cristiano; quando chiedo perché sono poveri, dicono che sono un comunista”. La loro prossimità alla sinistra rivoluzionaria si è rinforzato a causa del loro impegno contro le dittature sudamericane. Cosa che costò la vita a molti di loro, come Oscar Romero, arcivescovo di San Salvador (El Salvador), assassinato nel 1980, mentre celebrava la messa, dai militari legati alla giunta al potere.

Cattolici, rivoluzionari… e presidenti

Altri hanno assunto impegni politici. Leonardo Boff è stato uno dei principali sostenitori di Lula, così come un’altra grande figura della teologia della liberazione, Frei Betto. Domenicano brasiliano, teologo, filosofo e scrittore, incarcerato per quattro anni sotto la dittatura militare, Betto è stato nominato consigliere speciale di Lula quando questi è stato eletto Presidente della Repubblica. In tale incarico ha coordinato il programma ”zero fame”, che ha fatto uscire circa 40 milioni di brasiliani dalla povertà. Bisognerebbe anche citare un certo numero di capi di stato sudamericani recenti, dal Paraguay di Fernando Lugo (2008-2012), un ex vescovo, all’Ecuador, dove l’attuale Presidente, Rafael Correa, è un devoto cattolico, così come lo era Hugo Chávez in Venezuela (1999-2013).

Da una ventina d’anni, l’influenza della teologia della liberazione si fa sentire ben al di là dell’America del Sud, esplicandosi in molteplici aree: femminismo, diritti indigeni, multiculturalismo, per dirne alcune. Ma l’area principale è l’ecologia. Anzi, per alcuni di loro, come Leonardo Boff, essa rappresenta un nuovo paradigma che trascende tutti gli altri: “La terra sanguina” egli sottolinea “specialmente attraverso quell’essere più particolare, l’oppresso, l’emarginato e l’escluso, poiché questi rappresentano la grande maggioranza del pianeta. È basandosi su di loro che bisogna ripensare l’equilibrio universale e il nuovo ordine mondiale ecologico”. [2]

Leonardo Boff

Occupazione delle terre e difesa dell’Amazzonia

Questo impegno si spiega, come in molte delle loro battaglie, con lo stile di vita che hanno scelto e che li porta a condividere realtà molto concrete. Al fianco dei contadini senza terra, per esempio. Così, la prima massiccia occupazione lanciata da questi ultimi in Brasile nello stato di Rio Grande do sul, nel 1979, è stata fortemente sostenuta dalla Pastorale della terra, emanazione della teologia della liberazione. E anche al fianco degli indiani dell’Amazzonia e delle Ande. Cosa che li ha sensibilizzati a due grandi lotte ecologiche: contro la deforestazione e contro le estrazioni minerarie.

La prima riguarda sia la conservazione della foresta amazzonica che la difesa dei lavoratori agricoli sfruttati (i seringueiros), i cui rappresentanti sindacali sono particolarmente presi di mira e spesso assassinati. Un prete francese di 86 anni, compagno di viaggio della teologia della liberazione, si è particolarmente distinto in questa lotta. Ex avvocato presso il tribunale di Parigi, poi diventato domenicano, nel 1978 Henri Burin des Roziers si è stabilito in Brasile, dove è ora chiamato “l’avvocato dei senza terra”. Minacciato di morte, nel 2007 sulla sua testa è stata messa una taglia di 20.000 euro.

La seconda lotta riguarda le strutture delle grandi società minerarie internazionali su territori spesso montuosi e isolati, come in Perù, nelle Ande meridionali. Qui, comunità cattoliche stanno combattendo attivamente da molti anni, come per esempio nei territori di Puno e Cuzco, per denunciare le conseguenze di queste estrazioni, e soprattutto quelle di rame: degrado ambientale, problemi sanitari, esproprio dei terreni, esodo delle popolazioni.

Apostoli della sobrietà condivisa

L’impegno ecologico di questi cattolici è anche la logica conseguenza di quella critica al capitalismo sviluppata dalla fine degli anni sessanta. “L’imposizione del modello di produzione e consumo capitalista rende i poveri e la natura i principali obiettivi sfruttati dalla logica del profitto. Così Leonardo Boff sottolinea il legame tra la crescente povertà e l’inquinamento», analizza Luiz Martinez Andrade, sociologo, ricercatore presso l’Università Cattolica di Lovanio (Belgio), autore di una tesi sul pensiero di Leonardo Boff.

Dopo la caduta del muro di Berlino e l’arrivo della sinistra al potere in virtualmente tutti gli stati del Sud America, la critica al capitalismo passa non tanto dalla denuncia degli Stati Uniti o la rivendicazione di analisi marxiste quanto dalla critica della globalizzazione finanziaria e dal supporto ai movimenti sociali. Troviamo per esempio un teologo della liberazione, Chico Whitaker, tra i fondatori del Forum sociale mondiale, la cui prima edizione ha avuto luogo a Porto Alegre (Brasile) nel 2001.

È in queste assemblee in particolare che questa corrente porta avanti da anni i concetti di decrescita o di sobrietà. “Bisogna produrre per soddisfare le necessità umane, ma rispettando i ritmi della natura e prendendo in considerazione la capacità di tolleranza di ogni ecosistema, affinché quest’ultimo non sia danneggiato irreversibilmente”, sostiene Leonardo Boff. “Il consumo deve essere regolato da una sobrietà condivisa: possiamo essere più con meno. (…) La scelta fondamentale è la seguente: promuovere un’alleanza globale per salvare la Terra e proteggersi reciprocamente come esseri umani. In caso contrario corriamo il rischio di una doppia distruzione, la nostra e quella della diversità della vita. Questa volta, non ci sarà alcuna Arca di Noè: o ci salviamo tutti o tutti insieme subiremo lo stesso tragico destino”. [3]


[1La terre en devenir – Pour une nouvelle théologie de la libération, Leonardo Boff, Albin Michel, 1994.

[2La terre en devenir – Pour une nouvelle théologie de la libération, Leonardo Boff, Albin Michel, 1994.

[3] Intervista rilasciata al sito www.alliancesud.ch (17 marzo 2015) (link qui)

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