papa Francesco a Lesbo tra i disperati nei lager di oggi

a Lesbo un messaggio di papa Francesco che fa Storia

papa Francesco è tornato nel centro rifugiati visitato 5 anni orsono: “È facile trascinare l’opinione pubblica instillando la paura dell’altro; perché invece, con lo stesso piglio, non si parla dello sfruttamento dei poveri?”

il papa a Lesbo contro i fili spinati

da questo inferno in terra papa Francesco ha lanciato il suo accorato appello che è anche un possente j’accuse a un mondo che chiude gli occhi di fronte a questo scempio di vite umane.

Alzando barriere non si risolvono i problemi, ripete Francesco tra la moltitudine di disperati che affolla Lesbo. E’ così. Ma in Europa e in chi la governa questa verità non passa.


Umberto De Giovannangeli     

Per passare alla storia, un messaggio deve avere tre requisiti: l’autorevolezza di chi lo lancia. Il luogo in cui avviene. La tragicità dell’evento.  

Ebbene, quello lanciato a Lesbo da Papa Francesco, ha tutti e tre questi requisiti.

Un messaggio possente 

“Chiusure e nazionalismi – la storia lo insegna – portano a conseguenze disastrose”. Così il Papa a Lesbo.

“È un’illusione – ha detto – pensare che basti salvaguardare se stessi, difendendosi dai più deboli che bussano alla porta. Il futuro ci metterà ancora più a contatto gli uni con gli altri. Per volgerlo al bene non servono azioni unilaterali, ma politiche di ampio respiro”. La storia “lo insegna ma non lo abbiamo ancora imparato. Non si voltino le spalle alla realtà, finisca il continuo rimbalzo di responsabilità, non si deleghi sempre ad altri la questione migratoria, come se a nessuno importasse e fosse solo un inutile peso”. 

“È triste sentir proporre, come soluzioni, l’impiego di fondi comuni per costruire muri, dei fili spinati. Siamo nell’epoca dei muri, dei fili spinati”, ha detto il Papa. Certo, “si comprendono timori e insicurezze, difficoltà e pericoli. Si avvertono stanchezza e frustrazione, acuite dalle crisi economica e pandemica, ma non è alzando barriere che si risolvono i problemi e si migliora la convivenza”. “È invece unendo le forze per prendersi cura degli altri secondo le reali possibilità di ciascuno e nel rispetto della legalità – ha aggiunto -, sempre mettendo al primo posto il valore insopprimibile della vita di ogni uomo”.

“È facile trascinare l’opinione pubblica instillando la paura dell’altro; perché invece, con lo stesso piglio, non si parla dello sfruttamento dei poveri, delle guerre dimenticate e spesso lautamente finanziate, degli accordi economici fatti sulla pelle della gente, delle manovre occulte per trafficare armi e farne proliferare il commercio?”. Così il Papa. “Vanno affrontate le cause remote, non le povere persone che ne pagano le conseguenze, venendo pure usate per propaganda politica! Per rimuovere le cause profonde, non si possono solo tamponare le emergenze. Occorrono azioni concertate e grandezza di visione”. 

“Non scappiamo via frettolosamente dalle crude immagini dei piccoli corpi di bambini stesi inerti sulle spiagge. Il Mediterraneo, che per millenni ha unito popoli diversi e terre distanti, sta diventando un freddo cimitero senza lapidi”. “Questo grande bacino d’acqua, culla di tante civiltà, sembra ora uno specchio di morte – ha rilevato -. Non lasciamo che il ‘mare nostrum’ si tramuti in un desolante ‘mare mortuum’, che questo luogo di incontro diventi teatro di scontro! Non permettiamo che questo ‘mare dei ricordi’ si trasformi nel ‘mare della dimenticanza’. Vi prego, fermiamo questo naufragio di civiltà!”.

Entrato nel Reception and Identification Centre di Mytilene, a Lesbo, Papa Francesco si è diretto a piedi verso il luogo della cerimonia intrattenendosi ungo il tragitto con i profughi in sua attesa, accarezzando in particolare i tanti bambini, spesso molto piccoli, stringendo mani, dispensando sorrisi, saluti e parole di conforto e incoraggiamento. Il Papa si ferma anche ad ascoltare le storie e le invocazioni di alcuni dei rifugiati, delle provenienze più diverse, dall’Asia, al Medio Oriente, all’Africa. Al termine della cerimonia ufficiale, presenti anche la presidente della Repubblica Ekaterini Sakellaropoulou e l’ordinario della diocesi, arcivescovo Josif Printezis, Francesco si fermerà ancora con alcuni rifugiati e visiterà le loro abitazioni. Circa 200, anche qui con diversi bambini, quelli che lo attendono nel luogo dell’incontro, tutti dotati di cuffiette per la traduzione simultanea delle sue parole.I rifugiati sono stati nel frattempo in parte ricollocati o trasferiti in altre isole dell’Egeo, e nel campo di Mytilene, soprannominato dai greci ‘Moria 2.0’, ve ne sono oggi alcune migliaia, con numeri che oscillano tra i 2.000-2.500 e gli oltre 4.000-4.200. Secondo la Caritas, attualmente neile baracche, tendoni e container risiedono 2.200 persone: in effetti il campo avrebbe una capacità di 8.000 persone ma in questo periodo vengono accettati meno rifugiati per ragioni legate al Covid. Le provenienze vanno dalle zone di conflitto dell’Asia e del Medio Oriente fino a quelle dell’Africa. Le condizioni di vita nel campo sono migliorate rispetto a quello di ‘Moria’, considerato una sorta di inferno, ma sempre molto dure, e le attese dei permessi di asilo in Europa lunghissime. Molte le famiglie con bambini anche in tenerissima età.

Grecia, la vergogna continua

In Grecia la detenzione amministrativa dei migranti richiedenti asilo è diventata la regola e non l’eccezione, in aperta violazione con la normativa europea. Uomini, donne e bambini sono sottoposti a condizioni di detenzione degradanti e che negano i loro diritti fondamentali, come rilevato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo.   E’ l’allarme lanciato oggi da Oxfam e Greek Refugees Council con un nuovo rapporto che fotografa una situazione a dir poco drammatica, che colpisce persone estremamente vulnerabili arrivate in Europa per trovare salvezza da guerre e persecuzioni in paesi come Afghanistan, Siria, Repubblica Democratica del Congo e molti altri.

Il dossier rileva come: già a giugno migranti in detenzione amministrativa, quindi senza nessuna accusa penale a carico erano quasi 3 mila;  7 migranti irregolari su 10 sono posti in detenzione amministrativa e la maggior parte rimane detenuta anche una volta presentata la domanda di asilo.  1 persona su 5 viene detenuta per lunghi periodi in celle anguste concepite per poche ore di fermo; donne incinta, bambini e persone con gravi vulnerabilità, vengono detenute senza un’assistenza sanitaria e legale adeguata; quasi la metà (il 46%) dei migranti vi rimane per oltre 6 mesi.

“La volontà di usare la detenzione come prassi si riflette nelle recenti politiche adottate dalla Grecia. Nonostante la normativa europea indichi la detenzione amministrativa come ultima risorsa –  osserva Paolo Pezzati, policy advisor per le emergenze umanitarie di Oxfam Italia – Nel 2019 infatti le autorità greche hanno ampliato i motivi che portano alla detenzione anche alla verifica dell’identità della persona; hanno  eliminato la possibilità di prendere in considerazione misure alternative, in determinate circostanze;  e hanno introdotto la possibilità di estendere la detenzione fino a 3 anni. Un approccio che rappresenta una chiara violazione del diritto europeo e greco”.

La detenzione amministrativa è solo un altro strumento perimpedire alle persone di cercare sicurezza e un futuro in Europa –aggiunge Vasilis Papastergiou, esperto legale del Greek Refugees Council –  Mentre le autorità greche si rifiutano di considerare altre opzioni, i tribunali greci spesso rifiutano i ricorsi e gli appelli contro la detenzione, anche da parte di donne in gravidanza. Uno status quo avvallato anche dall’Unione Europea che sta finanziando i nuovi centri di semi-detenzione in Grecia, luoghi chiusi e controllati dove i migranti vengono abbandonati a sé stessi e dimenticati. Tutto questo, la detenzione assunta come regola e non come eccezione, come non è solo contrario alle normative internazionali ed europee sulle migrazioni, ma implica anche un pesante costo morale ed economico”.

“E’ necessario che la Grecia cambi approccio politico e prenda immediati provvedimenti legislativi che la riportino in linea con lo Stato di diritto. – continua Pezzati – I principali sono: porre fine alla detenzione prolungata nelle stazioni di polizia, evitare l’uso della detenzione senza che esista una decisione di un giudice e permettere la concreta possibilità di un sostegno legale alle persone straniere. E’ inoltre inaccettabile che le stazioni di polizia, centri di pre-allontanamento o espulsione e altri luoghi di detenzione amministrativa, siano diventati luoghi di detenzione anche per i bambini.  Questa pratica deve terminare quanto prima”.

Voci dall’inferno delle carceri greche

Le testimonianze raccolte nel rapporto, riportano le esperienze dirette di chi ha vissuto sulla propria pelle periodi di detenzione lunghi e durissimi senza nessun motivo.

Detenuto perché non riusciva a presentare domanda d’asilo

Abdul (nome di fantasia) è un giovane afghano che dopo aver trascorso 2 anni in Grecia e aver tentato per più di tre mesi di presentare domanda di asiloè stato arrestato per le mille difficoltà incontrate che gli hanno impedito di terminare la procedura.  “Sono qui da solo. È la prima volta che vengo arrestato e ho molta paura. – racconta – Ho bisogno di uscire di qui, di un mio spazio vitale, desidero solo che mi venga riconosciuta la possibilità di restare qui in modo legale”.

In fuga dalla Siria e richiuso per 9 mesi in cella

Omar (nome di fantasia), cittadino siriano è stato messo in detenzione al momento di presentare la richiesta di asilo. “Siamo stati rinchiusi in cella per 22 ore al giorno, senza poter fare telefonate, ricevere visite costretti a mangiare un cibo disgustoso.  – racconta – Spesso dovevamo pregare le guardie anche solo per andare in bagno e a volte non era nemmeno possibile”.

Un ragazzo intrappolato dalla pandemia

Mohammed (nome di fantasia) era un ragazzo quando è arrivato in Grecia ed ha fatto subito domanda per ricongiungersi con la propria famiglia in un altro paese europeo. Stava per partire, ma il suo volo fu cancellato a causa della pandemia. In attesa della revoca delle restrizioni per il Covid-19, ha compiuto diciotto anni e perso la protezione riservata ai minori. Dopo un incidente, temendo per la sua sicurezza, ha chiamato la polizia, che invece di aiutarlo lo ha trattenuto in detenzione. Ci è rimasto per mesi perché l’ufficio per il ricongiungimento familiare non riusciva ad avere sue notizie a causa delle inefficienze amministrative greche. Lo stato di salute mentale di Mohammed è particolarmente grave. Ha tentato il suicidio ed è stato ricoverato in ospedale, ma poi le autorità – nonostante fosse ancora debole e provato – lo hanno rispedito in cella. Dopo otto mesi di detenzione e molti interventi da parte del Grc, gli è stato consentito di raggiungere la famiglia.

Negati farmaci salvavita a un richiedente asilo

Ad Amir-Ali (nome di fantasia), richiedente asilo iraniano, hanno negato i farmaci necessari per scongiurare il rigetto di un rene trapiantato, nonostante il parere del medico del centro di detenzione. Amir-Ali ha davvero temuto per la sua vita: dopo mesi di attesa oggi è fuori grazie a Grc e al difensore civico greco.

Sopravvissuta a violenza sessuale in Togo, ma detenuta a Kos

A Kos, le autorità mettono automaticamente in detenzione i richiedenti asilo se provengono da un paese con un tasso di riconoscimento delle domande di asilo inferiore al 33%. Gloria (nome di fantasia), per essere arrivata dal Togo, ha subito dunque questo trattamento, nonostante fosse ritenuta persona vulnerabile perché sopravvissuta a violenze sessuali e fisiche. Le autorità non le hanno offerto alcuna cura, le condizioni psicologiche sono peggiorate e anche Gloria ha tentato il suicidio. Dopo il ricovero in ospedale, di nuovo in un centro di detenzione dove è rimasta fino a quando il Grc non è riuscito a tirarla fuori.“Queste storie ci dicono quanto crudeli, scioccanti siano le condizioni di detenzione in Grecia. Le persone muoiono per malattie prevenibili, o si suicidano perché disperate. Tra i detenuti ci sono ragazzi e donne incinte. – conclude Pezzati – Tutti vivono un senso di abbandono e progressivamente perdono letteralmente la ragione. La detenzione non può essere la soluzione di default, la Grecia deve trovare alternative e smettere di punire migranti e richiedenti asilo che vogliono costruirsi una vita in Europa”.

La Grecia è firmataria della Convenzione europea sui rifugiati ed è quindi illegale rifiutarsi di accogliere una domanda d’asilo o rimpatriare dei richiedenti asilo in Paesi in cui corrono dei rischi. Secondo Eleni Takou, vicedirettore e responsabile della Ong HumanRights360, ogni giorno emergono testimonianze e vittime dei cosiddetti “push-back”, i respingimenti di migranti alla frontiera al di là del fiume Evros.

Così stanno le cose. Storie di “pizzo”, di ricatti, di milioni di disperati utilizzati come “merce” di scambio – me li tengo se tu mi riempi di miliardi -. Storia di una Europa codarda, complice, ossessionata dalla falsa narrazione dell’”invasione” di migranti. Un’invasione che non c’è ma che i sovranisti agitano strumentalmente a fini elettorali e che le forze progressiste subiscono senza colpo ferire. Includere è un verbo inesistente nel vocabolario di Bruxelles. Mentre è presente, eccome, un imperativo categorico: esternalizzare. Esternalizzare le frontiere, a tutti i costi e ogni prezzo. Anche se questo vuol dire finanziare autocrati sanguinari, sultani, presidenti-generali, aguzzini in divisa. A Sud, l’Europa ha un unico interesse: sostenere i Gendarmi delle sue frontiere. Una complicità criminale.

Donne incinte e bambini detenuti nei campi

Al loro arrivo negli hotspot delle isole, i migranti – molti dei quali in condizione di particolare vulnerabilità, come bambini, donne incinta, disabili – vengono di fatto posti in stato di detenzione senza accesso alle necessarie cure e tutele. Il sistema rende poi incredibilmente difficile l’esame delle cause che spingono i richiedenti asilo a lasciare i propri paesi di origine, spesso attraversati da guerre e persecuzioni. Le testimonianze raccolte da Grc nel campo di Moria sono ancora una volta terribili. Rawan(nome di fantasia) arrivata dall’Afghanistan in Grecia da sola con due figli minorenni, vittima di violenza di genere, ha dovuto vivere sotto una tenda per 6 mesi in una zona del campo sovraffollata dove non ci sono nemmeno i bagni.  “La situazione nel campo era già spaventosa, ma con la pandemia è diventato peggio. Se il virus arriva qui – ci dicevamo – scaveranno una gigantesca fossa in cui seppellirci. Ci hanno dato due mascherine e un pezzo di sapone, di cui non sappiamo che farcene visto che non c’è acqua. Alla distribuzione dei pasti c’era talmente tanta gente che era impossibile mantenere la distanza”.

Mesi e anni in cui si rimane intrappolati in condizioni disumane nei campi come Moria, con il bene placet dell’Unione europea; esposti a molestie e abusi, soprattutto se si è donne sole

I più indifesi tra gli indifesi

A pagarne il prezzo più alto sono i più indifesi tra gli indifesi: i bambini. La clinica pediatrica di Medici senza frontiere a Lesbo  conta più di 100 visite al giorno, tra cui bambini con gravi patologie cardiache, casi di epilessia, diabete. Soffrono di problemi respiratori, dermatologici, legati alla nutrizione e psicosomatici. Bambini “spaventati, esposti a situazioni pericolose e senza un posto sicuro dove stare – testimonia Marco Sandrone  già a  capo del progetto di Msf nell’isola. -. Si chiudono a guscio. Accogliamo genitori che ci dicono che i loro bambini non vogliono più uscire dalle tende, che hanno smesso di parlare. Oltre al trauma della guerra, della fuga, la sofferenza di vivere a Lesbo toglie ogni speranza ai nostri piccoli pazienti”. “Il diritto di essere bambini – dice il responsabile di Msf –  è qui fagocitato dalla miseria di un campo senza dignità, alle porte dell’Europa”.

Ed è da questo inferno in terra che Papa Francesco ha lanciato il suo accorato appello che è anche un possente j’accuse a un mondo che chiude gli occhi di fronte a questo scempio di vite umane.

Alzando barriere non si risolvono i problemi, ripete Francesco tra la moltitudine di disperati che affolla Lesbo. E’ così. Ma in Europa e in chi la governa questa verità non passa.

contro una politica che sa solo condannare a morte!

Lesbo: i gesti simbolici che salvano. E le politiche che condannano. Intervista a don Pierluigi Di Piazza

Lesbo: i gesti simbolici che salvano e le politiche che condannano

intervista a don Pierluigi Di Piazza

 
da: Adista Notizie n° 16 del 30/04/2016

 «L’opinione mondiale non può ignorare la colossale crisi umanitaria che ha avuto origine a causa della diffusione della violenza e del conflitto armato, della persecuzione e del dislocamento di minoranze religiose ed etniche, e dallo sradicamento di famiglie dalle proprie case, in violazione della dignità umana, dei diritti e delle libertà fondamentali dell’uomo». «Da Lesbo facciamo appello alla comunità internazionale perché risponda con coraggio, affrontando questa enorme crisi umanitaria e le cause ad essa soggiacenti, mediante iniziative diplomatiche, politiche e caritative e attraverso sforzi congiunti, sia in Medio Oriente sia in Europa».

Ecco scolpiti in due soli periodi la tragedia più grande dopo l’ultimo evento bellico mondiale e l’appello alla comunità internazionale per farvi fronte. Sono tratti dalla Dichiarazione congiunta di papa Francesco, del patriarca di Costantinopoli Bartolomeo e dell’arcivescovo di Atene Hieronymos, firmata a Lesbo il 15 aprile scorso, dove le tre autorità hanno visitato il campo profughi di Moria e, come ha detto il pontefice parlando ai giornalisti, «un cimitero: il mare». «Siamo venuti – ha detto ai rifugiati – per richiamare l’attenzione del mondo su questa grave crisi umanitaria e per implorarne la risoluzione. Come uomini di fede, desideriamo unire le nostre voci per parlare apertamente a nome vostro. Speriamo che il mondo si faccia attento a queste situazioni di bisogno tragico e veramente disperato, e risponda in modo degno della nostra comune umanità».Auspicio, quello del papa all’accoglienza insieme all’appello del 17 giugno («Chiedete tutti perdono per le istituzioni e le persone che chiudono le loro porte a gente che cerca aiuto e cerca di essere custodita»), che in qualche caso è caduto nel vuoto e respinto. In Italia, al leader del Carroccio Matteo Salvini – che su Facebook ha scritto: «Il papa vuole invitare altre migliaia di immigrati in Italia? Un conto è accogliere i pochi che scappano dalla guerra, altro conto è incentivare e finanziare un’invasione senza precedenti. Caro Santo Padre, la catastrofe è a due passi dal Vaticano, è in Italia!» – ha risposto dal telegiornale di Tv2000 (18/4) il segretario generale della Cei, mons. Nunzio Galantino, ricordando che quella del papa è «politica evangelica»: «Chi ha un minimo d’intelligenza, cioè è in grado di leggere la storia e gli eventi», ha rimarcato, «capisce che i veri motivi che spingono le persone ad uscire dalle proprie nazioni sono altri. Non è l’accoglienza, ma la guerra e le condizioni economiche disastrose. Chi incentiva e continua ancora a provocare l’immigrazione sono tutte quelle realtà; e l’Europa e gli Usa non sono assolutamente senza colpa, che hanno provocato le guerre e impoverito queste nazioni. La povertà e la guerra mettono in moto queste persone».Resta da vedere da vedere – come ha commentato il quotidiano cattolico francese La Croix (18/4) – se il gesto spettacolare di Francesco di recarsi a Lesbo e di tornarne conducendo con sé 12 migranti, peraltro tutti musulmani (tre famiglie accolte dalla Comunità di Sant’Egidio, economicamente supportata dal Vaticano), «produrrà opinione per stimolare una risposta all’altezza della crisi», come dire dalla profezia alla politica.Ne abbiamo parlato con don Pierluigi Di Piazza, del Centro di accoglienza “Ernesto Balducci” di Zugliano (Ud), la cui principale attività è l’accoglienza concreta delle persone immigrate e rifugiate. Di seguito il colloquio che abbiamo avuto con lui.

Papa Francesco insiste nel fare gesti simbolici per manifestare lo scandalo sulle stragi dei migranti, per richiamare l’attenzione sulla dignità di ogni vita umana, per scuotere le coscienze dei politici della comunità internazionale che erigono barriere e prosperano sul commercio delle armi e su interessi geopolitici spesso inconfessabili, alimentando guerre e povertà estreme che generano la migrazione di tanti esseri umani verso porti più sicuri. Il viaggio a Lampedusa, nel 2013, non ha generato nessun sussulto verso un atteggiamento di accoglienza. Lesbo riuscirà dove Lampedusa sembra aver fallito?

A mio sentire, la presenza di papa Francesco a Lampedusa nel luglio 2013 è stato un segno molto importante, profetico: l’atteggiamento penitenziale; l’incontro con le persone, la celebrazione dell’Eucarestia sulla mensa costituita da una barca, con il calice di legno; l’interrogativo drammatico rivolto a tutti di dove sono i nostri fratelli e sorelle, qual è la cura o il disinteresse nei loro confronti; il monito a non lasciarci irretire nella globalizzazione dell’indifferenza; la provocazione a riflettere se noi siamo ancora capaci di piangere o se invece diventiamo indifferenti al dramma dei tanti che muoiono in mare: sono tutte questioni che ad esempio personalmente qui nel centro Balducci di Zugliano e in tanti incontri pubblici ho ripreso diverse volte commentando come fosse importante sottoscriverle ogni giorno data la loro attualità. Ritengo che come me tante altre persone vi abbiano fatto riferimento.

Non vi hanno certo fatto riferimento i politici europei.

Se l’esito di quella presenza si constata nella posizione dell’Europa e in quella di tanti nostri territori è indubbiamente desolante. L’incapacità e la non volontà dell’Europa sono vergognose; la successione di tanti incontri inconcludenti e mortificante; l’emergere di nazionalismi, populismi; la realizzazione di muri, di fili spinati; i gas lacrimogeni, le pallottole di gomma contro i migranti, anche i bambini, costituiscono una evidente violazione dei diritti umani e della Convenzione di Ginevra sui richiedenti asilo. La situazione di Idomeni al confine fra Grecia e Macedonia, con 14mila persone di cui 4mila bambini nelle tende appoggiate sul fango costituiscono una vergogna per l’Europa e per tutta l’umanità. L’accordo con la Turchia ha realizzato la mercificazione dell’umanità di coloro che sono in fuga e vengono ricacciati; avrebbe dovuto suscitare lo sdegno di tante persone e comunità, non reazioni limitate e tiepide, com’è avvenuto, o del tutto assenti.A Lesbo papa Francesco si è recato non solo per visitare ma soprattutto per vedere e ascoltare con gli occhi e gli orecchi del cuore, coinvolgendosi con i loro sguardi. Ha concordato insieme a lui la presenza del patriarca Bartolomeo e dell’arcivescovo Hieronymus; era presente anche il presidente Alexis Tsipras. E poi in modo sorprendente per tutti ha dato la concreta possibilità a 3 famiglie, 12 persone, fra cui 6 bambini, tutti i musulmani, di andare con lui a Roma per essere accolti. Che siano tutti musulmani, ha detto, non costituisce problema perché tutti siamo figli di Dio, tutti apparteniamo alla stessa famiglia umana.

Un gesto in un certo senso caduto nel vuoto, per lo meno sinora.

A mio sentire, i commenti dei politici in genere sono stati tiepidi, dovuti, senza coinvolgimento, quelli di qualcuno poi non sono neanche oggettivabili perché anche dire squallidi è poco. Le parole e i gesti concreti di Papa Francesco intendono abbattere i muri, tagliare i fili spinati, fermare lacrimogeni e proiettili di gomma. Ma la sua provocazione può essere colta da chi è in qualche modo e per qualche aspetto già disponibile a recepirla anche se inizialmente in modo tenue ed embrionale. Se anche le ripetute stragi in mare, le migliaia di morti, centinaia di bambini, non feriscono il cuore, non scuotono le coscienze, purtroppo per tanti le parole e i gesti di papa Francesco sono considerati da lui dovuti: in ultima analisi è pur sempre il papa; anche se diverso e coraggioso a lui spettano queste posizioni e scelte, ma poi si pensa che la realtà è un’altra, il realismo anche, la politica anche.

E se il papa passasse a gesti più concreti, tipo richiamare i nunzi dai Paesi più sordi ad un trattamento umanitario dei migranti?

Papa Francesco orienta con la profezia dell’accoglienza; spetterebbe alle Chiese locali, alle diocesi e alle parrocchie riproporla nei diversi territori d’Italia e d’Europa; ugualmente anche i responsabili con le comunità di altre fedi religiose comprese certamente quelle di fede musulmana, dato anche che in grande percentuale i profughi vivono questa fede, pensando magari all’incontro, al dialogo, alla collaborazione operativa fra comunità di fede religiosa diversa. A mio avviso per chi si riferisce al Vangelo di Gesù la questione che si apre è dirimente: è possibile, e come, dichiararsi cristiani e respingere i profughi, diffondere mentalità, parole, atteggiamenti di indifferenza, di diffidenza, di razzismo? Non è possibile, è contrario al Vangelo in cui Gesù afferma: “Ero forestiero e mi avete accolto”. Nelle diocesi, nelle diverse comunità questa affermazione dovrebbe risuonare con molta forza, in tante neanche si nomina. Le strumentalità al riguardo in questi anni e ancora maggiormente oggi sono state e sono evidenti e vergognose.

Potrebbe non sorprendere, da parte di Francesco, il ricorso ad altre iniziative. Per esempio quella suggerita al papa da quattro sacerdoti (don Luigi Ciotti, fondatore dell’associazione “Libera”, don Gino Rigoldi, cappellano dell’istituto penale per minori “Beccaria”, don Virginio Colmegna, presidente della “Casa della carità”, e il missionario comboniano p. Alex Zanotelli) dalle pagine de L’Espresso di un anno fa (30/4/15): i cosiddetti “visti del papa”, permessi rilasciati dalla Santa Sede, nelle sue rappresentanze diplomatiche nei vari Paesi, un “corridoio umanitario” per salvare migliaia di bambini, donne e uomini, anche se non certo per risolvere il problema che è ormai strutturale. Il Vaticano li potrebbe accogliere in proprie strutture ed in altre ecclesiali per poi consentire loro di raggiungere con altri visti il Paese dove vogliono recarsi. Sarebbe un esempio che altri Paesi possono seguire. È pensabile questo passo in più?

Personalmente non ho la presunzione di esprimere suggerimenti, tantomeno indicazioni. Vivo da anni in questo Centro Balducci che sento come un laboratorio di convivenza fra le diversità, con 50 persone immigrate e profughe. Avverto che questo fenomeno mondiale è attualmente il criterio dirimente della lettura del mondo e di questa nostra società, e nello stesso tempo che solo una minoranza condivide questa considerazione fondamentale. Di fronte alla realtà così spesso drammatica c’è l’esigenza di scelte inedite e coraggiose che aprono nuove possibilità. Se si riuscisse ad aprire nuove strade come quelle indicate che altri possano poi seguire questo risulterebbe molto importante per le istituzioni e la politica perché farebbe emergere la vergogna della non volontà e incapacità di agire. La Chiesa del Vangelo è coinvolta nella fedeltà al Vangelo, alle storie delle persone, alla propria coscienza.

Nell’estate scorsa, il papa ha anche sollecitato diocesi e parrocchie ad ospitare, nelle possibilità di ognuno, gruppi e famiglie di migranti. Secondo lei, la risposta è stata soddisfacente?

Non sono in grado di rispondere con dati certi. Mi pare che, in Italia, molte esperienze di accoglienza si aprono nelle diocesi e nelle parrocchie; ma anche che, nello stesso tempo, una parte consistente di coloro che si dicono cristiani sono indifferenti ed esprimono contrarietà e avversione. C’è insieme un uso politico strumentale del riferimento alle radici cristiane alla cultura cattolica per fortificare identità chiuse, di per sé difensive e aggressive, che di fatto smentiscono in modo clamoroso il Vangelo a cui pretendono di riferirsi.* Campo profughi di Idomeni.

eni.

il bel gesto di papa Francesco

papa Francesco ha fatto bene a portare via da Lesbo famiglie musulmane?

dopo la visita del pontefice ai rifugiati, un sacerdote risponde così a un giovane volontario della sua parrocchia che era furibondo…

Pope Francis greets migrants and refugees at the Moria refugee camp on April 16, 2016 near the port of Mytilene, on the Greek island of Lesbos. Pope Francis received an emotional welcome today on the Greek island of Lesbos during a visit aimed at showing solidarity with migrants fleeing war and poverty.  Pope Francis, Orthodox Patriarch Bartholomew and Archbishop Jerome visit Lesbos today to turn the spotlight on Europe's controversial deal with Turkey to end an unprecedented refugee crisis.  AFP PHOTO POOL / FILIPPO MONTEFORTE / AFP PHOTO / POOL / FILIPPO MONTEFORTE

Molti hanno criticato il gesto di papa Francesco di portare con sé, tornando da Lesbo, tre famiglie musulmane.

Alcuni la ritengono un’offesa e tacciano anche di insensibilità il sostegno del Vaticano a queste famiglie di fronte alla terribile situazione dei cristiani siriani e iracheni

Bisogna ricordare che in precedenza il papa aveva ospitato due famiglie cristiane rifugiate, e che la Santa Sede sta aiutando costantemente i cristiani del Medio Oriente.

Il gesto profetico del papa è rivolto soprattutto a un Occidente insensibile, che si fa scudo delle differenze di razza o di religione per chiudere le frontiere.

Se la guida della Chiesa cattolica porta con sé dei rifugiati di un’altra religione, che scusa resta all’Occidente? Le nostre nonne dicevano molto cristianamente “Fare il bene e non guardare a chi!”

Bisogna aprire il cuore, comprendendo che i rifugiati, prima che numeri o fedeli di una religione, sono persone, volti, nomi, storie.

Un giovane volontario molto impegnato nella raccolta di donazioni per aiutare i cristiani perseguitati nel mondo ha posto una domanda al suo parroco, padre Damián: “Papa Francesco ha fatto bene a tornare dal suo viaggio a Lesbo con 12 rifugiati, tutti musulmani? E i cristiani perseguitati? Non avevano più diritto di essere aiutati?”

il sacerdote lo ha guardato negli occhi con affetto e gli ha raccontato una storia:

“Il diluvio colpì un arcipelago, terra di pescatori. Le famiglie di varie confessioni aspettavano sui tetti di essere salvate.
Le case di paglia e bambù non resistevano alla calamità. Un pescatore non esitò a salire sulla sua imbarcazione e a sfidare la tormenta. Era consapevole di non poter salvare tutti.
L’uomo si trovò davanti all’odissea di una famiglia che aveva l’acqua ormai al collo, e chiese al padre che lottava con le onde per tenere a galla un bambino piccolo: ‘Fratello, sei cristiano?’
Poi alzò la voce di fronte al rimbombo del mare: ‘Sei cristiano?’
A questa domanda insistente, il papà preoccupato non sapeva come rispondere mentre l’acqua gli entrava nella gola e le sue forze venivano meno nel tentativo disperato di salvare la creatura. Alla fine entrambi scomparvero inghiottiti dalla burrasca.
Il pescatore vide poi una donna che, aggrappata al bordo del tetto della capanna, saltò nell’acqua senza pensarci due volte, sconvolta dalla sorte del marito e del suo bambino, per non riemergere più.
Il pescatore proseguì con maggior lena la sua ricerca di cristiani da salvare. Poi un’onda anomala travolse la barca, e i remi gli sbatterono sulla testa.
L’uomo iniziò ad affogare. Poi venne una luce dal cielo e una voce di tuono gli chiese: ‘Sei cristiano?’
Stordito dai colpi, il pescatore gridò con tutte le sue forze: ‘Sì, sono cristiano, sono cristiano. Signore, sono cristiano’. La voce dal cielo gli rimbombò nella testa dicendo: ‘Perché non hai salvato i tuoi fratelli e hai lasciato che affogassero?’
Da lontano un’imbarcazione infranse le onde del mare grosso per andare a salvare l’uomo. Una mano callosa lo tirò quasi per i capelli salvandolo da una morte certa.
‘Sei un buon cristiano! Ti ha mandato il Signore!’, disse con gioia il pescatore. L’uomo lo guardò sorpreso dicendo: ‘Non sono cristiano’.
E aggiunse; ‘Ma sono certo che tu avresti fatto lo stesso per me’. E il pescatore iniziò a piangere senza riuscire a fermarsi”.
Il giovane volontario è rimasto senza parole. Stringendolo in un abbraccio, il sacerdote gli ha detto: “Ricordati del buon samaritano”.

 

lo schiaffo di papa Francesco al mondo che neanche se ne accorge …

quella carezza schiaffo al mondo

di Alberto Melloni

lesbo

in “la Repubblica” del 17 aprile 2016

con la visita a Lesbo papa Francesco ha deciso di esporre, sul fronte politico più caldo di questo momento, tutta la sua forza e tutta la sua impotenza

Ha compiuto un gesto che s’iscrive nel quadro dei grandi gesti profetici e apocalittici mancati ai decenni recenti e affidati ad una impossibile storia dei “se”: se Pio XII fosse andato a Palazzo Salviati a via della Lungara, la sera del 16 ottobre 1943, dove erano stati portati gli ebrei di Roma…; se Giovanni Paolo II in visita in Cile avesse chiesto a Pinochet di accompagnarlo al forte “Silva Palma” a Valparaiso, dove si torturavano i desaparecidos… La ricerca storica ci insegna la ragioni per cui questo non accadde: la convinzione di dover agire diplomaticamente, di poter far meglio dialogando con quei poteri, qualche illusione politicistica, e via dicendo. Davanti al dramma di popoli in fuga da un segno apocalittico come la guerra – «a bello fame et peste», dicevano le litanie – è accaduta, invece, la visita di Francesco a Lesbo. Dove arriva una disperazione che non ha nulla di comparabile alla Shoah, che non ha dietro la spietatezza della realpolitik americana: ma che imponeva anche al papato delle scelte. E Francesco ha fatto le sue. Ha compiuto un atto liturgico di intercomunione con l’ortodossia, toccando insieme la carne del Cristo povero nei poveri. Ha scelto di compiere un gesto di umiliazione: e alla propaganda jihadista sui crociati mostra un credente disarmato che può solo carezzare qualche viso di quelli che hanno vissuto per decenni sotto le bombe e devono fuggire portandosi la vita come bottino. E ha compiuto un grande gesto politico.

papa Lesbo1 Che consiste nel girare le spalle alla politica, volgersi dalla parte delle vittime e parlare (anche alla politica) solo rimanendo lì, accanto al corpo di Abele: l’Abele dei morti distesi sul fondo dei mari che separano le terre della guerra dalle terre della paura; l’Abele degli innocenti vivi e piangenti che gli sono parati innanzi con gesti che mimavano gli episodi stessi del Vangelo. «Troverete qualche lacrima da asciugare» disse papa Giovanni la sera del discorso della Luna; Francesco è andato a dare la carezza del Papa ai bambini che piangevano disperati, che si sono prostrati davanti a lui in un gesto straziante che consegnava ad un uomo andato a dire «non perdete la speranza», tutta la disperazione inconsolabile di chi è in fuga e rischia di essere ributtato nelle mani di chi ha caricato i propri campi di profughi da usare come arma e come leva di un ricatto che ha funzionato benino. Da quel punto-Abele ha lanciato un messaggio politico che denuncia l’impotenza di un’Europa che si misura con questi drammi, o facendosi portare dagli amici – Tajani ne ha fatto un mestiere – simpatici capi religiosi che rassicurano una società secolarizzata sulla bontà delle “religioni” o facendo qualche domanda sbagliata alla sociologia religiosa di solito francese… La soluzione che Francesco ha “implorato” infatti non è fatta di principi: legge naturale, norme morali, concetti di civiltà; ma di una prossimità reale di cui ha dato l’esempio andando solo (si portasse il presidente della conferenza episcopale europea non sarebbe male) insieme al Patriarca Ecumenico e ai suoi metropoliti.

lesbo3 Esattamente come ha imposto ai vescovi cattolici di prendere in mano le situazioni “cosiddette irregolari” così ha fatto coi migranti. Il Papa ha stabilito che i vescovi debbano prender in mano personalmente quei drammi e i disastri degli amori estinti non perché pensi che i vescovi sappiano dire parole appropriate: ma perché pensa che sia indispensabile ai vescovi per essere vescovi. E allo stesso modo il papa sa che non saranno le parrocchie dello staterello Vaticano o gli episcopi che aprono qualche stanza ad alcune famiglie a risolvere il dramma di milioni di persone cacciate da casa da guerre lucrose e da lucrosi maneggi politico-petroliferi: sa, però, che aver vicino anche solo un poco di quel disastro rende umano chi lo fa, e disumano chi non lo fa. «Chi alza muri non è cristiano» ha detto rispondendo a una battuta di Trump che credeva di poter fare lo strafottente col vescovo di Roma.

lesbo1 A Lesbo ha spiegato che chi non vuol vedere la sofferenza del carcerato – che “è” il Cristo dice Matteo 25 – non è umano.
Perché come dice Francesco «siamo tutti migranti»: e a forza di muri e confini questo continente che ha inventato le guerre di religione, la guerra totale, il colonialismo, i totalitarismi, lo sterminio e la pulizia etnica, finirà per ripetersi. E perché come dice Bartholomeos «la società sarà giudicata per come vi tratta»: in senso etimologico una Europa “se-cura” – cioè che si libera dal prendersi “cura” degli altri – è una utopia destinata a dar frutti malvagi. Per una Europa che si “cura” della pace e della giustizia di terre dimenticate, dove i grandi affari generano grandi cinismi, non basta il disegno di un bambino afghano messo sul tavolo del Papa. Le tre famiglie che diventano rifugiati in Vaticano non sono “la” soluzione di questo dramma epocale: hanno senso se sono un promemoria, un gesto che suscita qualche santa emulazione nei vescovi, nei credenti, negli europei.

il forte gesto di papa Francesco a Lesbo

papa Francesco a Lesbo

«Siamo tutti migranti»

di Mariano Giustino
in “il manifesto” del 17 aprile 2016

papa lesbo 2

Forte il gesto di Papa Francesco che alla fine della toccante visita a Lesbo ha voluto portare con sé, in aereo, 12 rifugiati bloccati in un campo dalla cinica indifferenza di un’Unione europea che non ha ancora saputo dare risposte adeguate dinanzi alla tragedia di persone in fuga.

Bergoglio è giunto su quell’isola greca, che come Lampedusa è diventata simbolo della fuga di centinaia di migliaia di disperati dall’orrore della guerra, per dire loro di non perdere la speranza e che non sono soli; e ha compiuto un gesto che rimarrà scolpito sulla coscienza di quei governi che si illudono di poter affrontare l’emergenza alzando muri e barriere di filo spinato. Francesco, che così era invocato dai rifugiati del campo di accoglienza di Moria, è tornato in Vaticano con tre famiglie siriane, musulmane, e i loro sei figli. Dodici rifugiati, scelti tra chi era già presente nel campo profughi a Lesbo prima della firma del recente accordo sui rinvii tra Ue e Turchia, entrato in vigore il 20 marzo scorso. Il direttore della sala stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi, ha detto che il papa ha voluto fare un gesto di accoglienza e di solidarietà a favore dei rifugiati e che l’iniziativa era stata organizzata e resa possibile durante un vertice tra Segreteria di Stato vaticana, le autorità greche e quelle italiane. Due delle tre famiglie provengono da Damasco e la terza da Deir Ezzor, un’area controllata dal cosiddetto Stato islamico. Le loro case sono state distrutte dai bombardamenti. Sant’Egidio fornirà un iniziale ricovero, il Vaticano sosterrà il costo degli alloggi e si prenderà cura di loro.papa Lesbo

Il momento più intenso

Il momento più intenso della visita del papa si è verificato la mattina, al campo di identificazione e di espulsione di Moria. Il pontefice ha toccato con mano, come ama fare lui, la sofferenza delle oltre 3000 persone che secondo l’ultimo report dell’Unhcr vi sono recluse. Il suo è stato un incontro denso di commozione con i rifugiati inginocchiati ai suoi piedi; alcuni piangevano, mostrando tutta la loro disperazione. Un’immagine forte, drammatica, un monito severo per un’Unione europea che ha smarrito i suoi valori e la sua funzione. Bergoglio è apparso molto commosso, così come il patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo I, e l’arcivescovo di Atene e di tutta la Grecia, Ieronymos, che lo accompagnavano in questa visita. Un altro segnale lanciato al mondo: quello dei leader cristiani unitisi tra i rifugiati per condividerne le sofferenze. Cattolici e ortodossi insieme non per discutere di questioni ideologiche, ma per un impegno umanitario verso coloro che soffrono. Più di un milione di rifugiati ha attraversato l’anno scorso il breve tratto di Egeo che divide la costa turca da quella dell’Unione europea, e circa la metà di essi è approdata sull’isola di Lesbo, per poi dirigersi verso i paesi del nord Europa Le spiagge sono ancora disseminate di giubbotti di salvataggio di colore arancione.

Una struttura al collasso

Sull’isola attualmente sono presenti settemila profughi. Il flusso si è interrotto all’inizio di quest’anno dopo che Austria e Paesi balcanici hanno imposto severi controlli alle loro frontiere per poi sbarrare il passaggio, lasciando circa 50 mila persone bloccate in condizioni disumane in Grecia. Il campo di Moria, come denunciano varie ong, è una struttura al collasso. Prima dell’accordo tra Ankara e Bruxelles sul rinvio dei rifugiati in Turchia che sarebbero giunti sulle  isole greche a partire dal 20 marzo scorso, questo campo era un centro di identificazione per migranti che poi venivano trasferiti in nave ad Atene, e da qui proseguivano nel loro viaggio in Europa. Ora è un vero e proprio centro di detenzione, con doppio muro di cinta sormontato da filo spinato e torrette di guardia armate.papa Lesbo1

Detenuti in modo arbitrario

L’accesso ai media è interdetto e i numerosi volontari presenti sull’isola sono testimoni dell’impatto devastante che l’accordo Ue-Turchia sta avendo su uomini, donne e bambini che versano in condizioni di grande vulnerabilità; detenuti, secondo loro, in modo arbitrario. In condizioni agghiaccianti, secondo le organizzazione umanitarie, un struttura sovraffollata in cui sono carenti i servizi essenziali. I migranti sono privi di notizie, sul loro destino, disperati e angosciati circa il futuro che li attende.

Il sole che piange

Duecentocinquanta rifugiati hanno accolto Papa Francesco in un grosso tendone, nel piazzale all’interno della struttura. Vi erano anche 150 giovani profughi tra gli 8 e i 16 anni di età. A ognuno Francesco ha stretto la mano e rivolto qualche parola; dinanzi alle donne con il velo islamico si è inchinato in segno di rispetto. Un bambino gli ha offerto in dono alcuni disegni, che lui ha detto di volere mettere sulla sua scrivania. Raffiguravano un sole che piange e un bambino che annega. Il papa ha descritto la sua visita a Lesbo come un evento segnato da grande tristezza. Ai 50 giornalisti e operatori dei media che lo accompagnavano durante il volo diretto a Lesbo ha sottolineato che in generale durante le visite apostoliche vi è la «gioia dell’incontro», ma che questa visita è diversa dalle altre: «Siamo qui per incontrare la peggiore catastrofe umanitaria che si è verificata dopo la seconda guerra mondiale – ha detto -. Vedremo molte persone che soffrono, che non sanno dove andare, che sono in fuga». E infine: «Sarà una visita ad un cimitero: il mare». Al porto di Mitylini, nel pomeriggio, Bergoglio ha voluto ringraziare gli abitanti di Lesbo per la loro preziosa opera di soccorso e assistenza ai rifugiati, «vittime di viaggi disumani e sottoposti alle angherie di spietati aguzzini». E ha salutato i volontari accorsi da tutto il mondo per sopperire alla politica dell’indifferenza. «Siamo tutti migranti – ha aggiunto il Papa -, migranti verso la speranza, con amore», e «l’accoglienza è un dovere dell’essere umano». Con una chiara allusione a quanto di irresponsabile vi è nel recente accordo tra Turchia e Ue, Francesco ha ammonito che «non bisogna inseguire le emergenze» ma «bisogna costruire la pace e impedire che il cancro della guerra possa espandersi». «La tragedia umanitaria che si sta consumando davanti ai nostri occhi – ha aggiunto – in parte l’abbiamo prodotta noi con l’indifferenza e con le guerre che ai nostri confini abbiamo concorso a fare esplodere col traffico degli armamenti».

Uniamo le nostre voci

E nella dichiarazione congiunta, rilasciata lasciando il campo di Moria con il patriarca Bartolomeo e con l’arcivescovo Ieronymos, emerge un grande appello alle istituzioni europee e al mondo: «Insieme imploriamo solennemente la fine della guerra e della violenza in Medio Oriente, una pace giusta e duratura e un ritorno onorevole per coloro che sono stati costretti ad abbandonare le loro case. Chiediamo alle comunità religiose di aumentare gli sforzi per accogliere, assistere e proteggere i rifugiati di tutte le fedi e affinché i servizi di soccorso, religiosi e civili, operino per coordinare le loro iniziative. Esortiamo tutti i Paesi, finché perdura la situazione di precarietà, a estendere l’asilo temporaneo, a concedere lo status di rifugiato a quanti ne sono idonei, ad ampliare gli sforzi per portare soccorso e ad adoperarsi insieme a tutti gli uomini e le donne di buona volontà per una fine sollecita dei conflitti in corso. (…) Siamo venuti per richiamare l’attenzione del mondo su questa grave crisi umanitaria, per implorarne la risoluzione. Come uomini di fede desideriamo unire le nostre voci».

L’orgoglio di Tsipras

Il primo ministro greco Alexis Tsipras al termine dell’incontro privato avuto in mattinata col papa ha parlato di una Lesbo che porta «il peso dell’Europa sulle sue spalle. Sono orgoglioso di questa visita, soprattutto mentre i nostri partner, anche in nome di un’Europa cristiana, alzano muri e filo spinato per impedire a persone disarmate di trovare una vita migliore. Per questo la visita del pontefice è storica e importante».

presto sull’isola greca di Lesbo la solidarietà di papa Francesco ai migranti

informazioni dal sito ‘il sismografo’   

Papa Francesco potrebbe andare presto sull’isola greca di Lesbo, addirittura forse già il 15 aprile, per portare la sua vicinanza e il suo sostegno ai profughi e ai migranti.
È quanto sostengono media greci, citando come fonte una nota del Santo Sinodo della Chiesa ortodossa di Grecia.

Secondo quanto riportato dal sito internet Sismografo, solitamente ben informato, Papa Francesco potrebbe recarsi assieme al patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo I sull’isola di Lesbo il prossimo 15 aprile, a seguito di una proposta da parte di Hyeronimus, arcivescovo di Atene e di tutta la Grecia, che ha avuto il sostegno del Santo Sinodo della Chiesa ortodossa greca.

Lesvos.jpg
Lesbo2.jpg

Anche fonti del governo greco hanno confermato la notizia.

Interpellato dall’agenzia Ansa, padre Federico Lombardi ha affermato: «È un argomento di cui si sta parlando, ci sono contatti in corso. Non smentisco le voci ma al momento non posso dichiarare altro perché non ci sono decisioni, date né programmi definiti».

Stando a quanto riportato dal sito Vatican Insider: «La cifra del viaggio papale, che può essere iscritta tra le “trasferte mensili” in luoghi della sofferenza che Papa Francesco ha deciso di realizzare una volta al mese durante l’Anno Santo della Misericordia, è ovviamente connessa alla tragedia dei migranti che cercano di attraversare il Mare Nostrum per raggiungere l’Europa».

I precedenti viaggi
Se queste informazioni dovessero essere confermate e Papa Francesco dovesse recarsi su Lesbo, si tratterebbe del secondo viaggio compiuto assieme a Bartolomeo, dopo quello in Terra Santa del maggio 2014.

Da ricordare anche che si tratterebbe del secondo viaggio di un Pontefice in Grecia (dopo Giovanni Paolo II nel 2001) e il secondo viaggio di Papa Francesco in un’isola del Mediterraneo per incontrare profughi e rifugiati dopo quello dell’8 luglio 2013 a Lampedusa dove celebrò la Messa nel campo sportivo “Arena”.

L’attenzione ai migranti
Oltre al viaggio a Lampedusa, ci sono stati innumerevoli gesti che Papa Francesco ha compiuto per testimoniare la sua prossimità al dramma dei migranti: l’ultimo il 24 marzo scorso, Giovedì Santo, con la lavanda dei piedi ai richiedenti asilo ospitati nel Centro richiedenti asilo di Castelnuovo di Porto. Il 6 settembre 2015, inoltre, durante l’Angelus il Papa rivolse una appello a tutte le parrocchie d’Europa affinché ciascuna accogliesse una famiglia di profughi “a iniziare da Roma e dal Vaticano”. Un invito che è stato accolto: a oggi sono transitati per le strutture ecclesiastiche in Italia 45 migranti, e 22mila di questi sono accolti al momento.

image_pdfimage_print