un non credente scrive al papa una lettera di sostegno alla sua attività di pulizia dentro la chiesa

lettera aperta (e dura)

a papa Francesco

Papa Francesco

di PAOLO ERCOLANI

 

San­tità,

chi scrive non pos­siede il dono della fede. In que­sto senso fatico non poco anche a defi­nirmi ateo, per­ché ritengo la posi­zione di chi esclude cate­go­ri­ca­mente l’esistenza di un’entità supe­riore, biso­gnosa di un’altra fede quan­to­meno equi­va­lente alla prima.

In buona sostanza, insomma, la que­stione prin­ci­pale non è tanto l’esistenza o meno di un’eventuale divi­nità, quanto la mia pro­pen­sione ad affi­darmi alla ragione evi­tando atteg­gia­menti fideistici.

Que­sta ragione, e non la fede, mi sug­ge­ri­sce due ele­menti ben precisi.

FEDE E RAGIONE

Il primo riguarda l’impossibilità dell’uomo di con­se­guire una posi­zione certa rispetto all’esistenza o meno di una o più divi­nità (agnosticismo).

Certo, gli atei scien­ti­sti si oppon­gono a que­sta posi­zione, soste­nendo che un atteg­gia­mento scien­ti­fico richiede che si por­tino prove per soste­nere l’esistenza di una pre­sunta verità affer­mata. Men­tre non è richie­sto nulla di simile per negarla, quella pre­sunta verità.

Ma, dall’altra parte, biso­gna pur dire che una ragione «ragio­ne­vole» (o una scienza umana e quindi uma­ni­stica) deve fare i conti con il dato rile­vato dallo stesso Car­te­sio: ossia l’originaria, insop­pri­mi­bile, costante idea che alberga nell’uomo di «per­fe­zione», ovvero di divi­nità, che da qual­che parte deve pur provenire.

E qui arri­viamo al secondo dato sug­ge­ri­tomi dalla ragione. Cioè che l’essere umano, dalla notte dei tempi, è un «homo reli­gio­sus», ossia costi­tu­zio­nal­mente por­tato a cer­care rife­ri­menti ulte­riori, appi­gli meta­fi­sici, con­forti ultramondani.

Certo, in virtù del primo dato egli non potrà mai pos­se­dere la cer­tezza di un’effettiva esi­stenza di tale divi­nità, ma cio­non­di­meno sarà comun­que spinto a cer­care rispo­ste e con­forto rispetto a un’esistenza in cui è stato get­tato dispe­ra­ta­mente privo di quelle mede­sime rispo­ste e di quel conforto.

Il fatto è che quelle rispo­ste e quel vano motivo di con­forto l’uomo con­ti­nua a cer­carli imper­ter­rito. E spesso, spe­cie nei momenti di crisi delle grandi reli­gioni, fini­sce per tro­varli in entità terrene.

Che sia un Par­tito, un Lea­der, il Mer­cato o per­sino la Tec­nica, quando ciò è avve­nuto sono seguiti sem­pre degli eventi dram­ma­tici e sanguinosi.

Por­tare Dio in terra, o illu­dersi di costruire il Para­diso nel nostro mondo, para­fra­sando Pop­per, ha sem­pre avuto come seguito ine­vi­ta­bile la crea­zione di un inferno terreno.

CIELO E TERRA

La dei­fi­ca­zione, con con­se­guente ido­la­tria, di qual­che essere umano o di qual­che entità ter­rena, ha sem­pre finito per con­sen­tire a un grande dit­ta­tore e alla sua ple­tora di cor­ti­giani di assur­gere a un potere tal­mente incon­tra­stato da rive­larsi distrut­tivo per il genere umano.

In un modo molto simile, la Chiesa, lad­dove ha ope­rato un pro­gres­sivo e ine­so­ra­bile allon­ta­na­mento dal rife­ri­mento divino (e da que­gli stessi Coman­da­menti e dogmi di cui essa stessa è stata l’indiscussa testi­mone in terra), si è costi­tuita sem­pre più alla stre­gua di una potenza ter­rena volta alla gestione del potere e del denaro, non­ché allo sfrut­ta­mento dei poveri e degli oppressi (e della loro difesa a parole) per otte­nere finan­zia­menti pub­blici e pri­vati di dimen­sioni esor­bi­tanti e oscene.

Quando il cielo è «vuoto», la terra si popola e riem­pie delle bestie peg­giori. Anche porporate.

Fondi, è appena il caso di dirlo, che anche in que­sti giorni sco­priamo essere stati uti­liz­zati all’interno della Chiesa per fini per­so­nali di qual­che alto pre­lato, per inve­sti­menti finan­ziari di enorme por­tata, per la costi­tu­zione di un patri­mo­nio immo­bi­liare di dimen­sioni inimmaginabili.

Sì, ha letto bene San­tità, ho scritto «anche in que­sti giorni», gra­zie alla docu­men­ta­zione pre­cisa e inquie­tante for­nita dai libri in uscita di Emi­liano Fit­ti­paldi («Ava­ri­zia», Fel­tri­nelli) e Gian­luigi Nuzzi («Via cru­cis», Chiarelettere).

Da cui emerge un uti­lizzo dell’enorme denaro pub­blico ita­liano (Otto per mille, in par­ti­co­lare) per fina­lità e in quan­tità tali da ren­dere risi­bile l’accusa di pecu­lato rivolta nei con­fronti dell’ex Sin­daco Marino.

Curioso il fatto che il «pecu­lato» (cioè il reato di appro­pria­zione inde­bita di denaro pub­blico), nel diritto romano come nel Dige­sto di Giu­sti­niano, fosse acco­stato al «sacri­le­gio», il reato di appro­pria­zione inde­bita di cose sacre. Per entrambi era pre­vi­sta la pena capitale.

LA STORIA CHE SI RIPETE

Ver­rebbe anche da chie­dersi som­mes­sa­mente, ma temo che nes­suno lo farà, se lo Stato ita­liano (nelle cui vicende la Chiesa entra con legit­tima ma discu­ti­bile auto­rità), non pos­segga gli stru­menti per rivol­gersi alle vie legali, visto che le abbon­danti elar­gi­zioni che esso fa alla Chiesa sono pre­vi­ste dal Con­cor­dato, ma per fina­lità che non sono pro­pria­mente quelle mala­vi­tose emerse in que­sti giorni.

Già, in que­sti giorni. Ma è una sto­ria che si ripete.

Lei ricor­derà cer­ta­mente, infatti, l’articolo del quo­ti­diano inglese «Guar­dian» (How the Vati­can Built a Secret Pro­perty Empire Using Mussolini’s Mil­lions, 21 gen­naio 2013), in cui si par­lava di un capi­tale immo­bi­liare di dimen­sioni ecce­zio­nali tra Fran­cia e Inghil­terra (in aggiunta a quello, ster­mi­nato, in Ita­lia), uffi­cial­mente inte­stato a una società off-shore (con tutti i bene­fici fiscali del caso, quindi).

L’ingente somma di denaro con cui il Vati­cano aveva potuto costi­tuire que­sto capi­tale immo­bi­liare immenso (circa 650 milioni di euro, per l’epoca), era stato il frutto di soldi ancora una volta ver­sati dallo Stato ita­liano, nella per­sona di Benito Mus­so­lini, nel 1929 (per inciso, anno della fune­sta crisi eco­no­mica che ridusse sul lastrico milioni di fami­glie), con lo scopo di «risar­cire la Chiesa della per­dita del potere temporale».

Ovvero, fuori dal buro­cra­ti­chese: lo Stato ita­liano pagava per la sua nascita (avve­nuta nel 1861), che era costata alla Chiesa la per­dita dello Stato Pon­ti­fi­cio e del potere tem­po­rale su buona parte del ter­ri­to­rio italiano.

QUALI VALORI?

Da que­sto punto di vista susci­tano ila­rità que­gli ana­li­sti (spesso legit­ti­ma­mente e ben com­pren­si­bil­mente appog­giati dalla Chiesa stessa), che sosten­gono di voler difen­dere l’identità nazio­nale, non­ché di voler com­bat­tere (a chiac­chiere) un capi­ta­li­smo che si è dato l’obiettivo di uni­for­mare il genere umano ope­rando la distru­zione dei valori, dei dogmi e delle isti­tu­zioni cri­stiane (a comin­ciare dalla famiglia).

Per­ché que­sti ana­li­sti nulla dicono di un’istituzione, la Chiesa appunto, che in buona parte non solo si fa beffe dello Stato ita­liano uti­liz­zando per fini per­so­nali, mala­vi­tosi e impro­pri i tanti soldi che esso gli elar­gi­sce ogni anno; ma che anche dimo­stra di essere ben inse­rita in quelle logi­che per­verse e anti­so­ciali (per non dire anti­u­mane) del capi­ta­li­smo finan­zia­rio più spinto. Igno­rando (o comun­que depo­ten­ziando for­te­mente), per fare ciò, la piena assi­stenza ai poveri, agli emar­gi­nati non­ché a quelle fami­glie sul cui valore la Chiesa insi­ste tanto e giustamente?!

Abbiamo apprez­zato in molti, San­tità, e io fra quelli, la Sua corag­gio­sis­sima enci­clica (la «Lau­dato si’»), in cui fra molte cri­ti­che al capi­ta­li­smo finan­zia­rio emerge una pro­po­sta forte affin­ché la poli­tica (e quindi l’etica, il bene comune) torni a eser­ci­tare un «governo» sull’economia e sugli inte­ressi egoistici.

Ma que­sto apprez­za­mento sem­bra stri­dere con la Sua rea­zione di que­sti giorni, appa­ren­te­mente volta a con­dan­nare non tanto il dato ogget­tivo (di una Chiesa gra­ve­mente preda della cor­ru­zione) quanto la fuga di noti­zie (si parla per­sino di una pos­si­bile richie­sta di ritiro dal com­mer­cio dei due libri summenzionati).

Con­cludo là dove ho ini­ziato. L’uomo è sostan­zial­mente «homo reli­gio­sus», biso­gnoso di tro­vare un legame con la dimen­sione trascendente.

La cura di que­ste anime dal desi­de­rio più che legit­timo (e sono la stra­grande mag­gio­ranza), spet­tano a una Chiesa che sap­pia essere dav­vero «povera», «umile», dalla parte degli ultimi e degli emarginati.

Che essa rie­sca in tale obiet­tivo (se non vogliamo che venga sosti­tuita da divi­nità ter­rene assai più fune­ste), è inte­resse di tutti noi. Cre­denti e non credenti.

Per que­sto mi sento di appog­giare la dif­fi­cile bat­ta­glia che Lei, San­tità, sostiene di com­bat­tere con ama­rezza e vigore per espel­lere ser­penti e fari­sei dal con­sesso ecclesiastico.

Credo che siamo in tanti a farlo, cre­denti e non, pra­ti­canti e non.

Sol­tanto, San­tità, abbiamo biso­gno di mag­giore tra­spa­renza e coe­renza, di una Chiesa che non tenta di oscu­rare le pro­prie debo­lezze ma che piut­to­sto le affronta con forza e aper­ta­mente, per­ché come inse­gnava San Tom­maso, l’anima dell’uomo richiede un nutri­mento che dia forza alla sua fede ma anche alla sua ragione.

E quest’ultima, se sa di non poter cono­scere con cer­tezza le cose divine, è tut­ta­via molto abile a com­pren­dere le mise­rie terrene.

lettera al papa di sapore golpista?

tredici cardinali hanno scritto al papa

ecco la lettera

ma Francesco ha respinto in blocco le loro richieste 

e intanto dal programma del sinodo è sparita la “Relatio finalis”

di Sandro Magister


lunedì 5 ottobre, all’inizio dei lavori del sinodo sulla famiglia, il cardinale George Pell ha consegnato a papa Francesco una lettera, firmata da lui e da altri dodici cardinali, tutti presenti in quella stessa aula sinodale.

i tredici firmatari ricoprono ruoli di prima grandezza nella gerarchia della Chiesa. Tra di essi vi sono, in ordine alfabetico:

– Carlo Caffarra, arcivescovo di Bologna, Italia, teologo, già primo presidente del Pontificio istituto Giovanni Paolo II per studi su matrimonio e famiglia;
– Thomas C. Collins, arcivescovo di Toronto, Canada;
– Timothy M. Dolan, arcivescovo di New York, Stati Uniti;
– Willem J. Eijk, arcivescovo di Utrecht, Olanda;
– Gerhard L. Müller, già vescovo di Ratisbona, Germania, dal 2012 prefetto della congregazione per la dottrina della fede;
– Wilfrid Fox Napier, arcivescovo di Durban, Sudafrica, presidente delegato del sinodo in corso come già della precedente sessione dell’ottobre 2014;
– George Pell, arcivescovo emerito di Sydney, Australia, dal 2014 prefetto in Vaticano della segreteria per l’economia;
– Robert Sarah, già arcivescovo di Konakry, Guinea, dal 2014 prefetto della congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti;
– Jorge L. Urosa Savino, arcivescovo di Caracas, Venezuela.

nella lettera, concisa e chiarissima, i tredici cardinali sottoponevano all’attenzione del papa le serie “preoccupazioni” loro e di altri padri sinodali circa le procedure del sinodo, a loro giudizio “configurate per facilitare dei risultati predeterminati su importanti questioni controverse”, e riguardo all'”Instrumentum laboris”, ritenuto inadeguato come “testo guida e fondamento di un documento finale”

ecco qui di seguito il testo della lettera, tradotto dalla stesura originale in inglese:

 

Santità,

mentre ha inizio il sinodo sulla famiglia, e con il desiderio di vederlo fruttuosamente servire la Chiesa e il Suo ministero, rispettosamente Le chiediamo di prendere in considerazione una serie di preoccupazioni che abbiamo raccolto da altri padri sinodali, e che noi condividiamo.

Il documento preparatorio del sinodo, l'”Instrumentum laboris”, che pure ha degli spunti ammirevoli, ha anche sezioni che trarrebbero vantaggio da una sostanziale riflessione e rielaborazione. Le nuove procedure che guidano il sinodo sembrano assicurare un’influenza eccessiva sulle deliberazioni del sinodo e sul documento sinodale finale. Così com’è, e poste le preoccupazioni che abbiamo già raccolto da molti dei padri sulle sue varie sezioni problematiche, l'”Instrumentum” non può adeguatamente servire da testo guida o da fondamento di un documento finale.

Le nuove procedure sinodali saranno viste in alcuni ambienti come mancanti d’apertura e di genuina collegialità. Nel passato, il processo di presentare proposizioni e di votarle serviva allo scopo prezioso di misurare gli orientamenti dei padri sinodali. L’assenza di proposizioni e delle relative discussioni e votazioni sembra scoraggiare un dibattito aperto e confinare la discussione ai circoli minori; quindi ci sembra urgente che la redazione di proposizioni da votare dall’intero sinodo dovrebbe essere ripristinata. Il voto su un documento finale arriva troppo tardi nel processo di completa revisione e di aggiustamento del testo.

Inoltre, la mancanza di una partecipazione dai padri sinodali alla composizione della commissione di redazione ha creato un notevole disagio. I suoi membri sono stati nominati, non eletti, senza consultazione. Allo stesso modo, chiunque farà parte della redazione di qualsiasi testo a livello dei circoli minori dovrebbe essere eletto, non nominato.

A loro volta, questi fatti hanno creato il timore che le nuove procedure non siano aderenti al tradizionale spirito e finalità di un sinodo. Non si capisce perché questi cambiamenti procedurali siano necessari. A un certo numero di padri il nuovo processo sembra configurato per facilitare dei risultati predeterminati su importanti questioni controverse.

Infine, e forse con più urgenza, vari padri hanno espresso la preoccupazione che un sinodo progettato per affrontare una questione pastorale vitale – rafforzare la dignità del matrimonio e della famiglia – possa arrivare ad essere dominato dal problema teologico/dottrinale della comunione per i divorziati risposati civilmente. Se così avverrà, ciò solleverà inevitabilmente questioni ancora più fondamentali su come la Chiesa, nel suo cammino, dovrebbe interpretare e applicare la Parola di Dio, le sue dottrine e le sue discipline ai cambiamenti nella cultura. Il collasso delle chiese protestanti liberali nell’epoca moderna, accelerato dal loro abbandono di elementi chiave della fede e della pratica cristiana in nome dell’adattamento pastorale, giustifica una grande cautela nelle nostre discussioni sinodali.

Santità, offriamo questi pensieri in uno spirito di fedeltà, e La ringraziamo per la loro presa in considerazione.

Fedelmente suoi in Gesù Cristo.

 

un attacco di sapore golpista

commenti sulla lettera dei cardinali al papa

«Con il desiderio di vedere fruttuosamente il Sinodo sulla famiglia servire la Chiesa, rispettosamente le chiediamo di prendere in considerazione una serie di preoccupazioni». Così recita la lettera di alcuni cardinali consegnata a papa Francesco, il 5 ottobre scorso, il giorno di inizio del Sinodo, secondo quanto riportato dal giornalista Sandro Magister sul suo blog il 12 ottobre, che ne ha pubblicato la trascrizione del testo. La lettera, che suscita dubbi di vario genere – dei firmatari originari cinque si sono dissociati – e che sarebbe stata consegnata dal card. George Pell, uno dei sottoscrittori, esprime gravi dubbi circa la correttezza delle procedure sinodali, sospettate di essere «configurate per facilitare dei risultati predeterminati su importanti questioni controverse», e riguardo all’Instrumentum laboris, giudicato «inadeguato come testo guida e fondamento di un documento finale».

I misteri sulla lettera non sono pochi, riguardano in primo luogo i firmatari, ma anche le circostanze in cui è stata redatta. Come osserva lo storico Massimo Faggioli sull’Huffington Post (13/10), «al momento la lista dei firmatari oscilla: quella pubblicata lunedì sera (ora americana) dal settimanale dei gesuiti statunitensi America riportava i nomi di Caffarra (Bologna), Collins (Toronto), DiNardo (Houston), Dolan (New York), Eijk (Utrecht), Müller (prefetto della Congregazione della Dottrina della Fede in Vaticano), Napier (Durban, Sudafrica), Njue (Nairobi, Kenia), Pell (prefetto del Segretariato per l’economia in Vaticano), Rivera Carrera (Città del Messico), Sarah (prefetto della Congregazione per la liturgia e i sacramenti in Vaticano), Sgreccia (già prefetto della Pontificia Accademia per la vita in Vaticano), e Urosa Savino (Caracas, Venezuela). Ma è possibile che vi siano lettere in parte diverse o versioni diverse della stessa lettera, altri firmatari, e perfino (non è da escludere) firmatari a loro insaputa (quattro altri firmatari – i cardinali Erdö, Scola, Piacenza, e Vingt-Trois – hanno smentito ieri)» e un quinto si è sfilato oggi, il card. Rivera Carrera, affermando di non aver mai sottoscritto la missiva.

Tuttavia, a prescindere dai suoi contenuti, la lettera, commenta Faggioli, «va considerata per quello che è. Non è una questione di merito o di metodo circa i lavori del Sinodo, ma un attacco alla legittimità della direzione impressa alla Chiesa da papa Francesco e quindi un attacco al papa stesso»: «Il fatto che la lettera sia stata consegnata al papa il 5 ottobre, primo giorno del Sinodo – spiega lo storico – è prova che si tratta di un’iniziativa coordinata ben prima dell’inizio dell’assemblea a Roma (ed è a questa iniziativa che Francesco rispose col discorso sulla “ermeneutica cospirativa” del 6 ottobre in aula sinodale). È anche chiaro che mentre Francesco era in visita negli Usa, alcuni vescovi americani, tra un abbraccio e l’altro al papa, stavano preparando contro Bergoglio un attacco che non si sarebbero mai sognati di fare contro i “sinodi per finta” di Wojtyla e Ratzinger». Il problema più grave, insomma, è che i cardinali in questione accusino il papa «di manipolare l’assemblea di vescovi».

Ma la lettera, continua Faggioli, svela le «ipocrisie dei firmatari»: «La critica a un Sinodo già predeterminato si poteva rivolgere ai Sinodi precedenti, quelli di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI, ma non a quello di Francesco. La vera critica della lettera è in realtà a una teologia che su alcuni punti è legittimamente diversa da quella di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, ai quali i firmatari della lettera riconoscono legittimità teologica al contrario di quello che fanno per papa Francesco». In secondo luogo, la critica alle regole del Sinodo di papa Francesco fa finta di ignorare che il Sinodo dei Vescovi ha «degli elementi fissi (per esempio, il tipo di membership del Sinodo) e degli elementi che possono cambiare (in particolare, circa i documenti finali). Infatti il Sinodo è per definizione, dalla sua fondazione nel 1965 ad oggi, uno strumento del primato pontificio, in cui la collegialità dei vescovi si esprime ma senza mai varcare la funzione consultiva (almeno fino ad oggi: in futuro potrebbe cambiare)». Insomma, la lettera non sarebbe altro che «un pronunciamento di vago tenore golpista che vorrebbe mettere sotto ipoteca il primato papale», su temi che quest’ultimo ha riaperto quando i conservatori speravano fossero ormai archiviati.

«I nemici del papa, e ve ne sono a vari livelli nella Chiesa e nei media – scrive il vaticanista Robert Mickens sul settimanale statunitense National Catholic Reporter (12/10) – hanno colto al volo l’isteria reale e presunta dei vescovi per creare la narrazione secondo cui il pontificato di Francesco, al suo trentunesimo mese, corre ora il rischio di andare completamente in rovina. Ma c’è un altro intreccio che riguarda ciò che sta emergendo in questi primi giorni» del sinodo, ossia, spiega Mickens, «per la prima volta in cinquant’anni di esistenza del Sinodo c’è un papa che, sempre più chiaramente, sembra intenzionato a sviluppare, finalmente, il potenziale di questo organismo permanente e di renderlo un elemento costitutivo del governo della Chiesa universale». Ciò, evidentemente, «allarma molti vescovi e spaventare a morte la vecchia guardia nella Curia romana. Almeno quelli che sono stati attenti».

caro papa amiamo un prete

gruppo di preti

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ventisei donne italiane, a nome proprio (‘piccolo campione’) ma anche di tante che ‘vivono nel silenzio’, scrivono al papa dicendogli chiaramente di amare e di essere amati da altrettanti sacerdoti e chiedendogli da essere da lui ricevuti “per portare davanti a te umilmente le nostre storie e le nostre esperienze”

poichè riflettere su questo è per moltissime persone di estrema rilevanza e attualità ho ritenuto importante dare spazio alla ricostruzione che che alla lettera danno i primi due articoli che ad essa fanno riferimento: il primo, di G.G. Vecchi (Corriere della Sera), il secondo, di A. Tornielli (La Stampa)

faranno seguito i link ad altri quattro articoli come aiuto all’approfondimento di queste tematiche segnalando in modo particolare quello di V. Mancuso che più volte su questo si è espresso per rivendicare il diritto del prete alla sua affettività e al matrimonio contro la celibatarizzazione forzata:

«Siamo ventisei donne innamorate di preti» 

lettera a papa Francesco: 

«Caro Papa Francesco, siamo un gruppo di donne da tutte le parti d’Italia (e non solo) che ti scrive per rompere il muro di silenzio e indifferenza con cui ci scontriamo ogni giorno. Ognuna di noi sta vivendo, ha vissuto o vorrebbe vivere una relazione d’amore con un sacerdote, di cui è innamorata».
Inizia così una lettera inviata per raccomandata in Vaticano e firmata da 26 donne che sostengono di essere «un piccolo campione» a nome di tante che «vivono nel silenzio». Le donne chiedono a Bergoglio di rivedere la regola del celibato sacerdotale e di essere ricevute «per portare davanti a te umilmente le nostre storie e le nostre esperienze».
Nel testo, inviato in copia e diffuso ieri dal sito Vatican Insider del quotidiano La Stampa , le
firmatarie scrivono che le alternative alla situazione che vivono «sono l’abbandono del sacerdozio o la persistenza a vita di una relazione segreta»: ma nel primo caso «anche noi donne desideriamo che la vocazione sacerdotale dei nostri compagni possa essere vissuta pienamente», nel secondo «si prospetta una vita nel continuo nascondimento, con la frustrazione di un amore non completo che non può sperare in un figlio». E concludono che il servizio «a Gesù e alla comunità» sarebbe svolto «con maggiore slancio» da un sacerdote «supportato da moglie e figli».
In passato Bergoglio non si è sottratto al tema del celibato, ma con una impostazione assai diversa.
Nel libro scritto da cardinale con l’amico rabbino Abraham Skorka spiegava che la tradizione
celibataria «è una questione di disciplina, non di fede» e «si può cambiare», ma aggiungeva: «Per il momento, io sono a favore del mantenimento del celibato, con tutti i pro e i contro che comporta, perché sono dieci secoli di esperienze positive più che di errori». Sulle relazioni dei preti era chiaro: «Se un sacerdote mi dice che ha messo incinta una donna, io lo ascolto e cerco di tranquillizzarlo e poco a poco gli faccio capire che il diritto naturale viene prima del suo diritto in quanto prete. Di conseguenza deve lasciare il ministero e farsi carico del figlio, perché quel bambino ha anche diritto ad avere un padre con un volto… Io mi impegno a regolarizzare i suoi documenti a Roma, ma lui deve lasciare tutto». Nella Chiesa cattolica esistono già preti sposati. La disciplina del celibato vale per la Chiesa latina, non in quelle cattoliche orientali. Esiste la possibilità che in futuro si vada verso una «doppia disciplina» anche nella Chiesa latina. Magari con le stesse regole: solo i celibi possono essere vescovi. Non è un tabù. Il cardinale Martini propose di «ordinare uomini sposati che abbiano esperienza e maturità». Il Segretario di Stato Pietro Parolin ha spiegato a settembre che il celibato «non è un dogma della Chiesa e se ne può discutere». Ma senza generalizzare: Bergoglio diceva che «se la Chiesa dovesse rivedere tale norma, non sarebbe una regola valida per tutti»: «Tratterebbe la cosa come un problema culturale di un luogo specifico, non in modo universale ma come un’opzione personale».

 uido Vecchi
in “Corriere della Sera” del 18 maggio 2014

 

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L’appello delle donne che amano un prete

“Rivedere il celibato”

vivendo, ha vissuto o vorrebbe vivere una relazione d’amore con un sacerdote, di cui è innamorata».

Inizia così la lettera firmata – con il solo nome di battesimo, ma nella raccomandata spedita in Vaticano c’era un cognome con dei recapiti telefonici – da ventisei donne di diverse età sentimentalmente legate a dei preti che chiedono al Papa di rivedere il celibato sacerdotale obbligatorio.
«Ben poco – scrivono – si conosce della devastante sofferenza a cui è soggetta una donna che vive con un prete la forte esperienza dell’innamoramento. Vogliamo, con umiltà, porre ai tuoi piedi la nostra sofferenza affinché qualcosa possa cambiare non solo per noi, ma per il bene di tutta la Chiesa».

«Noi amiamo questi uomini, loro amano noi – scrivono le donne – e il più delle volte non si riesce pur con tutta la volontà possibile, a recidere un legame così solido e bello, che porta con se purtroppo tutto il dolore del “non pienamente vissuto”. Una continua altalena di “tira e molla” che dilaniano l’anima. Quando, straziati da tanto dolore, si decide per un allontanamento definitivo, le conseguenze non sono meno devastanti e spesso resta una cicatrice a vita per entrambi. Le alternative sono l’abbandono del sacerdozio o la persistenza a vita di una relazione segreta».
«Nel primo caso la forte situazione con cui la coppia deve scontrarsi viene vissuta con grandissima sofferenza da parte di entrambi: anche noi donne desideriamo che la vocazione sacerdotale dei nostri compagni possa essere vissuta pienamente, che possano restare al servizio della comunità».

«Nel secondo caso, ovvero nel mantenimento di una relazione segreta – si legge ancora nella lettera – si prospetta una vita nel continuo nascondimento, con la frustrazione di un amore non completo che non può sperare in un figlio, che non può esistere alla luce del sole. Può sembrare una situazione ipocrita, restare celibi avendo una donna accanto nel silenzio, ma purtroppo non di rado ci si vede costretti a questa dolorosa scelta».

Jorge Mario Bergoglio, da cardinale, dopo aver assistito sul letto di morte l’ex vescovo argentino Jerónimo Podestá, era rimasto in contatto con la vedova Clelia Luro. Ma nel dialogo con il rabbino Skorka si era espresso in favore «del mantenimento del celibato, con tutti i pro e i contro che comporta, perché sono dieci secoli di esperienze positive più che di errori. La tradizione ha un peso e una validità». Bergoglio si era espresso in modo chiaro contro la doppia vita dei sacerdoti: «Se uno viene da me e mi dice che ha messo incinta una donna, io lo ascolto, cerco di tranquillizzarlo e poco a poco gli faccio capire che il diritto naturale viene prima del suo diritto in quanto prete. Di conseguenza deve lasciare il ministero e farsi carico del figlio, anche nel caso decida di non sposare la donna. Perché come quel bambino ha diritto ad avere una madre, ha anche diritto ad avere un padre con un volto».
«Ora – aggiungeva il futuro Papa – se un prete mi dice che si è lasciato trascinare dalla passione, che ha commesso un errore, lo aiuto a correggersi… Alcuni purtroppo non vengono nemmeno a dirlo al vescovo». E concludeva: «La doppia vita non ci fa bene, non mi piace, significa dare sostanza alla falsità». Non va dimenticato infine che anche nelle Chiese ortodosse che per tradizione hanno clero sposato, non è mai stato concesso a un prete già ordinato di prendere moglie e continuare a fare il prete, ma si sono ammessi al sacerdozio uomini che erano già sposati.

 Andrea Tornielli
in “La Stampa” del 18 maggio 2014

 

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Nicolini: «Sono consapevole che la tradizione della Chiesa latina non è questa, ma si tratta di un’ipotesi che andrebbe tenuta aperta. Ho visto delle comunità dell’Oriente con preti insieme alle loro spose che servono Dio in maniera splendida. Ed erano bellissimi».
“Il prete (diminutivo di presbitero, cioè “più anziano”) esiste in funzione della comunità, di cui è chiamato a essere “il più anziano”, cioè colui che la guida in quanto dotato di maggiore saggezza ed esperienza di vita. Ora la questione è: la celibatizzazione forzata favorisce tale saggezza e tale esperienza?” Per alcuni sì, per altri no.
“«I consigli peggiori me li hanno dati in monastero. Erano arrivati anche a “giustificare” la mia relazione. Mi dissero che ero priore, che avevo tante responsabilità, che forse avevo bisogno di uno sfogo, insomma “Fai quello che vuoi, ma di nascosto”. L’importante era che non si sapesse in giro»”
“«Ben poco – scrivono – si conosce della devastante sofferenza a cui è soggetta una donna che vive con un prete la forte esperienza dell’innamoramento. Vogliamo, con umiltà, porre ai tuoi piedi la nostra sofferenza affinché qualcosa possa cambiare non solo per noi, ma per il bene di tutta la Chiesa»”

le donne fanno domande ‘impertinenti’ al papa

 

Tre domande sulle donne a Bergoglio

 

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sette donne giovani e meno giovani, credenti e laiche scrivono al Papa sull’ultimo numero della rivista Leggendaria, in “pagina99” del 12 febbraio 2014

a nome loro Giovanna così scrive, con simpatia ma anche con franchezza:

 Caro Francesco,

non si preoccupi, se mai vedrà queste righe, né si preoccupino le lettrici: non si tratta di una vera missiva. È difficile rivolgere delle domande in astratto. Dunque la lettera è la forma retorica che meglio si attaglia alle mie impertinenze. Si, perché sarò impertinente. Dunque, per farmi perdonare, premetto una captatio benevolentiae. Sincera, però. Lei mi è molto simpatico. Dirò di più, la sua vicinanza (la sua casa dista dalla mia una sola fermata di trenino urbano) mi ispira un senso di protezione e di quiete. Mi capita talvolta di percepirlo. Sarà la mia senescenza, sarà la totale assenza di autorevolezza maschile in questo nostro povero Paese, fatto sta che lei mi piace molto. Lei penserà che sono una credente o una convertita. In realtà non sono niente. E il niente è un luogo dove molti spiriti religiosi sostengono che non è troppo scomodo stare. Penso, come il Cardinal Martini, che «il mondo, più che tra credenti e non credenti, si divida fra pensanti e non pensanti» e credo anche, come i miei amici del monastero di Bose, che tutti a tratti siamo credenti e a tratti non lo siamo. I miei tratti da credente sono molto brevi, ma mi portano   intuire qualcosa, forse, di elementare: che gli atei portano in sé un’ingenua invidia per i  redenti, l’invidia per l’illusione dell’immortalità, e che questa invidia li rende aggressivi o  sufficienti.

1. Perché non capisce che il concetto di parità e quello di differenza non sono in conflitto l’uno con l’altro? Non mi è piaciuta per nulla la sua risposta a un giornalista della Stampa: «Nominare una donna Cardinale sarebbe una forma di clericalizzazione; non dobbiamo clericalizzare le donne». Guardi, questa è un trappola infernale. L’unica sua attenuante è che persino il femminismo le offre un alibi: troppo spesso ha usato il pensiero della differenza per sottrarsi alle durissime sfide dell’uguaglianza. Nomini le donne cardinali, le metta a capo delle congregazioni, si decida all’ordinazione sacerdotale in tempi storici, visto che nulla osta in termini di dogma e di dottrina. Poi, se le consacrate o le principesse della chiesa sapranno esprimere una differenza, saranno in grado di rendere la Chiesa più democratica e inclusiva, più comunità dei credenti e meno Curia, tanto meglio così. Io, a dirle la verità, sarei pronta a scommetterci, se praticherete la  giustizia e l’uguaglianza come conviene a una comunità che aspira alla virtù. Del resto, il  trucco della diversa vocazione femminile lo conoscono anche i laici e benissimo: hanno dovuto rinunciarci obtorto collo perché nel contratto sociale la tradizione non è un valore. Ma deve sbrigarsi.

2. Il suo linguaggio è molto bello. Misericordia, custodia, dialogo, discernimento, frontiera. Non so quale di queste parole mi piace di più e mi incanta il suo modo di dipanarle come una gomitolo nell’intervista con Antonio Spadaro. Lei di sicuro non è un pretino ingenuo: ha anche studiato di psicoanalisi sui testi di Michel De Certeau, allievo di Lacan. Ma allora come le viene in mente di dire, sempre nell’intervista a Spadaro: «Credo in Maria […] quel volto meraviglioso […] che voglio conoscere e amare»? Mi ha fatto venire le bolle. Ma insomma, proprio lei che dice magnificamente che «la verità è relazione» non ha nessuna relazione con il suo inconscio? Non le viene il dubbio che in un mondo e in una vita fatta tutta di uomini e fra uomini quella «vergine bella più che creatura» sia una sua proiezione irrisolta del femminile, una parte di Anima, direbbe uno junghiano, che lei non ha integrato? Meister Eckhart, un grande mistico diceva: «Prego Dio che mi liberi da Dio». Penso intendesse dalle incrostazioni antropologiche dell’immagine del divino. Lo si potrebbe pregare anche per essere liberati dalla Madonna? O è blasfemo?

3. Ancora non mi rassegno al fatto che, nel congedarsi da Eugenio Scalfari, lei abbia detto «rivediamoci per parlare del ruolo delle donne nella Chiesa». Ma cosa vuole che ne capisca Scalfari delle donne e delle donne nella Chiesa? Un anziano patriarca burbanzoso. Ascolti Francesco, parli con noi. Non ha che l’imbarazzo della scelta. Dal Vaticano II in poi la scienza teologica e la competenza delle donne si è moltiplicata e ormai esiste una tradizione di parole femminili sul divino. Per non dire delle cosiddette non credenti, schiere di creature colte e intelligenti. Si faccia vivo, non ci sottrarremo. Se vuole possiamo portare un’anfora come la Samaritana e darle da bere se ha sete.

lettera di un gay a papa Francesco

due omo

Caro Francesco: dissolvi il buio che eclissa il Natale ai gay cattolici

di Aurelio Mancuso

A. Mancuso, in occasione del Natale, scrive a papa Francesco per rappresentargli il travaglio interiore di un gay credente e il suo isolamento rispetto anche alla comunità cristiana e questo pone un problema intimo alla chiesa cattolica, che è stata allo

stesso tempo rifugio e persecutrice di schiere innumerevoli di omosessuali. E questo ha prodotto

drammi storici, e le incrostazioni di pratiche volte a mantenere e accrescere poteri, ricattando e

rovinando la vita dei propri simili sottoposti:

 

Caro Francesco,

la fede non la decidono le gerarchie cattoliche, né tantomeno le

associazioni lgbt, dove resistono

ampie sacche di discriminazione nei confronti dei gay e lesbiche credenti, in particolare se cattolici.

La confusione tra adesione a schemi, dottrine, canoni della chiesa cattolica e sentimento personale

di appartenenza all’ecclesia è sempre viva, purtroppo alimentata dai giudizi sommari sia da parte di

vescovi e sia da diversi leader del movimento lgbt.

Per questo, molte lesbiche e gay cattolici affrontano un percorso di fede che non si accontenta di far

parte di gruppi di ascolto e aiuto (molto importanti e che sono ancora oggi una frontiera profetica),

ma studiano, si confrontano in approfondimenti esegetici e teologici. Sono insomma cristiani

informati sulla complessità del dibattito in corso sulla morale sessuale e non solo, e non si

accontentano dei dotti pronunciamenti delle teologie progressiste e di base, affrontano con sapienza

tutto il ventaglio di opinioni in campo. Si tratta di una gloriosa minoranza, che solitaria testimonia

una volontà di non abbandonare una chiesa che ancora oggi la sospinge alla marginalità, in alcuni

casi alla discriminazione. Da cattolico che si è formato nell’accidentata storia delle comunità

cristiane di base e da omosessuale visibile, militante e praticante, ho incontrato tanti preti

straordinari, troppi vescovi ipocriti, tanto popolo di Dio che non cade nell’inganno della pietosa

comprensione.

Come vescovo di Roma, papa dei cattolici,

 

già arcivescovo nelle contrade più povere, sai benissimo

che esiste una “

questione omosessuale” anche dentro la chiesa; tantissime consacrati, molte

religiose, e un numero importante nel popolo di Dio, sono omosessuali, preoccupati di non essere

scoperti, pena possibili ricatti, emarginazioni, espulsioni.

Nel Natale ormai prossimo, milioni di cattolici omosessuali saranno lontani dalla luce della Nascita,

pur affollando altari e navate. Il loro angoscioso silenzio, l’accostarsi all’Eucarestia rompendo il

divieto, interroga prima di tutto me stesso, che pur non concordando con le disposizioni in materia

(su cui la gran parte dei teologici critica modalità ed effetti) le rispetta, rimanendo in fondo alle

belle chiese, non confessandomi e non comunicandomi. Il più delle volte la messa la guardo a casa,

o quando ho possibilità in luoghi a me cari e spiritualmente vicini. La fede cattolica è però l’esatto

contrario della solitudine, dell’auto esclusione dalla vita comunitaria, della repulsione delle

reciproche differenze. Purtroppo l’alternativa pratica è l’ipocrisia della rimozione che trasforma il

‘messaggio’ in ideologia, in conformismo che desertifica l’amore per Dio e oscura in noi tutte e tutti

la sua Luce.

Caro papa Francesco non ho nulla da chiederti,

sei già troppo impegnato in un’opera di

rinnovamento

 

che seguo con grande interesse e diffidenza. Recentemente hai promosso un inedito

questionario nelle chiese locali sui temi riguardanti la morale sessuale e le nuove forme familiari.

Non di meno quel tuo “chi sono io per giudicare” rispetto ai gay, è stato un segno di un rispetto e

attenzione mai ascoltati. Poi rimane la quotidianità.

Tra le tante ragnatele che impediscono i Sacri Palazzi di godere del sole nella sua pienezza, c’è

l’incapacità di discernere rispetto a immaginifiche lobby interne ed esterne gay, pronte a inzozzare

le linde e lucide stanze. La realtà è assai più semplice: dopo millenni di nascondimento le persone

omosessuali abitano il giorno e questo pone un

problema intimo alla chiesa cattolica, che è stata allo

stesso tempo rifugio e persecutrice di schiere innumerevoli di omosessuali. E questo ha prodotto

drammi storici, e le incrostazioni di pratiche volte a mantenere e accrescere poteri, ricattando e

rovinando la vita dei propri simili sottoposti.

In attesa che davvero qualcosa cambi, ti auguro di conoscere meglio chi da omosessuale si è

trasformato percorrendo strade pericolose, in gay, vive felicemente in unione, ha addirittura

generato figli, non propone rivoluzioni, esprime la sua soggettività tra gioie e dubbi, e va avanti

iman da papa Francesco

 

Lettera a Papa Francesco
Papa Francesco 
Il filosofo e scrittore MAREK HALTER accompagnerà da Bergoglio una delegazione di imam francesi. Da lui parte un appello al dialogo interreligioso

“Purtroppo, noi europei, abbiamo imparato a conoscere l’Islam con gli islamisti, ma la stragrande maggioranza dei musulmani detesta il terrorismo”, sostiene Marek Halter. Per dar forza a questa idea, e per promuovere il dialogo tra le religioni, il filosofo francese accompagnerà una delegazione di venti imam da Papa Francesco a San Pietro. Nella lettera che indirizza al Santo Padre alla vigilia della sua visita, e che pubblichiamo assieme al New York Times, El Pais, le Figaro, Clarin e Die Welt, Halter spiega come da ebreo fu salvato da due vescovi cattolici polacchi durante i primi giorni del ghetto di Varsavia.   Santo Padre,   ci incontreremo domani a Roma. Ha avuto la gentilezza di concedermi  un’udienza, a cui verrò accompagnato da una delegazione di imam  francesi.
Ci siamo già incrociati, Santo Padre, molto tempo fa. All’epoca lei era  Jorge Mario Bergoglio, rettore dell’università di teologia di San  Miguel. Ci presentò il primo presidente argentino democraticamente  eletto, Raúl Alfonsín. Io mancavo dall’Argentina da anni, tenuto lontano  dalla giunta militare che torturò e assassinò la mia cuginetta,  Anna-Maria de Kumiec. A quel tempo avevo organizzato un vasto movimento  di solidarietà internazionale insieme alle madri di Plaza de Mayo.
Santo Padre, oggi mi rivolgo a lei, convinto che l’azione più urgente  deve concentrarsi sul dialogo interreligioso. La violenza comincia dove  finisce la parola. Sfortunatamente conosco bene l’orrore della guerra. E  la guerra di religione è la peggiore di tutte.   Nel nostro mondo in crisi, l’uomo ha più che mai bisogno di speranza. I  nostri padri, i nostri nonni, hanno avuto grandi speranze laiche. Sono  tutte fallite e perciò sempre più uomini e donne si rivolgono alla  religione. Alle religioni.
Nel momento in cui i fanatici prendono di mira i cristiani, a Nairobi e a  Peshawar, il suo incontro, Santo Padre, con la delegazione degli imam  francesi riveste un’importanza molto particolare. Ad accompagnare questa  delegazione sarò io, scrittore francese, ebreo, salvato durante i primi  giorni del ghetto di Varsavia da due cattolici polacchi. Che simbolo!   L’islam gode di pessima stampa in Occidente. Anche prima degli  ultimissimi avvenimenti, ogni attentato, a Tolosa o a Boston, ogni  autobomba che esplodeva in Iraq o in Siria faceva risuonare in noi  l’appello del muezzin. Ma centinaia di milioni di musulmani, in ogni  parte del mondo, sono esattamente come noi: vogliono vivere nel rispetto  delle regole democratiche, pensano al futuro dei loro figli e sperano  in un mondo più giusto e più solidale.   Gli imam che voglio presentarle domani rispecchiano questa schiacciante  maggioranza: rigettano la violenza, la condannano pubblicamente.  Dobbiamo loro considerazione e riconoscenza.
Il male è rumoroso e il bene modesto, diceva Pascal. Troppo modesto. Lo  scoppio di una bomba non ha bisogno di amplificatore. Una parola di  saggezza, sì. Il nostro incontro di domani, Santo Padre, sarà, spero,  quell’amplificatore di cui abbiamo tanto bisogno.
Come sapete, io e il suo predecessore, papa Giovanni Paolo II, eravamo  molto legati. Questo mi ha dato modo, e ne vado orgoglioso, di suggerire  a papa Wojtyla di introdurre in una delle fessure del Muro Occidentale   –  il Muro del Pianto  –  un foglietto di carta contenente un voto per  il futuro dell’umanità. È il gesto che hanno ripetuto quasi cento  generazioni di ebrei dal momento della distruzione del Tempio.  Quell’immagine ha segnato la storia.
Ho appreso, Santo Padre, che ha in programma di recarsi prossimamente a  Gerusalemme. Pensa di andare al Muro del Pianto? Perché non compiere un  atto tanto forte in compagnia di una cinquantina di cardinali in  rappresentanza soprattutto delle Chiese d’Oriente, di una cinquantina di  rabbini venuti dal mondo intero e di una cinquantina di imam in  rappresentanza della terza religione monoteista? Insieme, di fronte a  quelle pietre millenarie, pronuncereste una preghiera per la pace.
Sono convinto che quella preghiera sarà ascoltata. Almeno sarà ascoltata

 

  dai milioni di uomini e donne che in tutto il mondo attendono da  moltissimo tempo una luce di speranza da Gerusalemme.
Nel mio libro Faites-le! (Fatelo), che domani le consegnerò, Santo  Padre, racconto di aver chiesto udienza a papa Francesco per conto di  una delegazione di imam di Francia. Domani, dopo il nostro incontro,  potrò dire, non senza fierezza: “Grazie a Dio, l’ho fatto!”.
(Traduzione di Fabio Galimberti)

lettera a papa Francesco

il papa

Arnaldo ‘presbitero’ scrive al papa all’indomani della GMG per ringraziarlo della sua presenza e il suo messaggio di speranza

scrive anche per invitarlo a riflettere su alcuni aspetti che effettivamente hanno rappresentato il limite di impostazione di questa giornata

davvero un’ottima opportunità di riflessione!

Caro Papa Francesco,

pace e bene!

Ti scrivo oggi, lunedì 29 di luglio 2013 in cui la Chiesa fa la memoria di Santa Marta, e tu sei tornato a Santa Marta, in Vaticano. Vorrei aiutarti in una riflessione sulla Giornata Mondiale della Gioventù di Rio de Janeiro 2013, che è appena terminata. E’ stata una settimana di grazia, di incontri, di evangelizzazione, di preghiera, di sacrifici, perfino di silenzi e contemplazione. Di tutto questo vogliamo ringraziare il Signore, datore di tutti i beni.
Voglio anche ringraziare te, che hai salvato la GMG con i tuoi messaggi, evitando che la settimana fosse uno show della fede. Dico questo perché i cristiani più impegnati e attenti sono stanchi di assistere ai vari show della fede – tanto cattolici come evangelici – che passano in tv.
E qui mi permetto di accennare ai lati d’ombra della GMG.
– I nostri vescovi hanno subappaltato la GMG ai movimenti ecclesiali (rinnovamento dello spirito con i padri cantautori, neocatecumenali…) che, rispondendo a un tempo caratterizzato dal pentecostalismo (e dall’era dell’acquario?), sono rampanti, pieni di entusiasmo. Essi, in tempo di globalizzazione, dove l’omissione dei governi porta al fai-da-te, mostrano che molto si può fare collocando piena fiducia in Gesù Cristo e riunendosi (pur senza unirsi). Così essi trasmettono gioia e speranza. E “convertono”. Ma i movimenti non sono tutta la Chiesa cattolica brasiliana.
– Con il monopolio dei movimenti, abbiamo avuto una GMG che ha fatto di Rio un no-logo, uno spazio neutro. La settimana poteva essere trasferita senza ritocchi in qualsiasi altra metropoli. C’è stata, sì, l’accoglienza calorosa, e poi il mare, il Corcovado, la favela, ma del popolo brasiliano non c’era traccia. Qual è la realtà sociale, che coinvolge la gioventù brasiliana? Nell’intervista per la Globo, tu stesso ti sei scusato dicendo che non sapevi perché i giovani brasiliani stanno da un mese e mezzo protestando, in tutte le città. Non c’è stata la presenza delle culture di cui il Brasile è un crogiulo. Non ci sono stati momenti per una presenza forte di indios, afro-brasileiros, donne (così importanti per il Brasile), nuovi immigrati… Anche le espressioni artistiche del Brasile sono state ignorate. Era tutto secondo la mega-cultura post-moderna, come evento mondiale globalizzato.
– La chiesa tradizionale e la religiosità popolare – caratteristiche della realtà brasiliana – sono state presenti solo nella devozione affettuosa a Maria (nb. l’adorazione al Santissimo in Brasile è stata introdotta col progetto di romanizzazione). Certi canti popolari – passati e recenti – avrebbero “incendiato” i tre milioni di giovani (p.e. Jesus Cristo eu estou aqui di Roberto Carlos e Erasmo C). Sappiamo infatti che i canti pentecostali sono individuali-e-di-massa, ma non di comunità.
– Anche più grave è stata l’esclusione della chiesa profetica brasiliana. A partire dalla fine degli anni sessanta, c’è stata una primavera della Chiesa in Brasile e nell’America Latina: l’opzione per i poveri, le Comunità Ecclesiali di Base (CEBs) e la teologia della liberazione, considerate una pentecoste. Adesso pentecoste sono i movimenti carismatici. Eppure, i vescovi in Aparecida, nella V Conferenza Latinoamericana hanno rilanciato le CEBs e i documenti più recenti della CNBB parlano di urgenze come: fare della parrocchia una comunità di comunità, e impegnarsi nella difesa della vita (impegno socio-politico). L’esclusione della chiesa profetica è stata un retrocesso politico per nulla evangelico.
– Mi fermo qui senza entrare nei temi dell’ecumenismo e della propria strategia dei “mega eventi”, come questo, che possono essere provvidenziali ma anche nutrire illusioni.
Francesco, ho perfino pensato che quando tu eri serio, forse lo eri non a motivo della stanchezza ma della perplessità. Non voglio dire che tu fosti strumentalizzato, non permetteresti mai. In te sono evidenti l’immediatezza, la sincerità, la semplicità creativa dei gesti e delle parole… Ma – voglio essere sincero, non irritarti della mia impertinenza – la tua sensibilità sociale arriva alla solidarietà della carità e alla proposta di promozione umana. C’è anche la denuncia contro la dittatura del denaro. Ma non trovo messaggi sul cambiamento delle strutture di peccato. Dirai che segui la spiritualità francescana (e lucana) di rivoluzionare senza volere lo scontro; ma non puoi dimenticare la spiritualità martiriale (e giovannea) in situazione di grave conflitto e ingiustizia.
Tutto questo ho voluto scriverti per tolgliermi un peso dalla coscienza. Chiedi tanto di pregare per te e prometto che lo farò. Il Signore ti benedica e ti protegga. Memento.
Arnaldo, presbitero.

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