altri nove nuovi comuni di Lucca accolgono i profughi

70 profughi trasferiti dal campo delle Tagliate

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 la Prefettura di Lucca, con l’ausilio della diocesi, ha coinvolto 9 nuovi comuni della provincia che fino ad ora non avevano ospitato profughi, riuscendo a trasferire 70 migranti ospitati nel campo di prima accoglienza della Croce Rossa in via delle Tagliate

E’ iniziata la fase di alleggerimento del campo di accoglienza per migranti di via delle Tagliate, con il trasferimento di 70 ospiti in strutture comunali sparse in tutta la provincia. La prefettura, come preannunciato nei giorni scorsi, ha coinvolto la quasi totalità dei comuni  trovando, anche grazie all’ausilio della Diocesi di Lucca, 70 posti letto e riuscendo a coinvolgere anche numerosi comuni versiliesi, che in un primo tempo erano stati accusati di  scarsa collaborazione rispetto al tema dell’accoglienza.

Le nuove disponibilità riguardano i comuni di Barga, con 12 posti, Camaiore con 8 Capannori con 5, Massarosa con 11, Pieve Fosciana con 6, così come Porcari. Seguono Vagli di Sotto con 8 posti e Forte dei Marmi e Viareggio con 10.

Restano ancora da sciogliere i nodi dei comuni che ancora non hanno dato disponibilità di posti, primi tra tutti Altopascio, Montecarlo e Pietrasanta, e per i quali la Prefettura sta ancora mediando per riuscire a riportare la struttura di via delle Tagliate ad un massimo di 60 persone smistabili in pochi giorni.

Lucca accoglie i migranti

migranti, ecco la mappa delle nuove strutture per accoglierne altri 192 a Lucca

da ‘la Nazione’ 11 agosto 2015:

un terzo dei comuni di Lucca non vuole migranti

Lucca ospita 155 rifugiati

altri 13 comuni non li vogliono

LUCCA Il capoluogo ritiene di aver fatto il proprio ruolo fino in fondo, ora si punterà a convincere le amministrazioni recalcitranti . Solo 13 comuni su 33 hanno accettato di accogliere i migranti richiedenti asilo sul proprio territorio. Un fatto che circola da giorni nelle stanze di Palazzo Orsetti e della Prefettura senza però avere sufficienti spiegazioni. Tanto che i lavori del tavolo provinciale sull’immigrazione per il mese di agosto saranno dedicati a una vera e propria opera di sensibilizzazione nei confronti degli enti meno attivi. Lo dice l’assessore comunale Antonio Sichi, che precisa:

«La maggior parte dei comuni della nostra provincia non accoglie – spiega – proprio per questo martedì sera col Prefetto è stato deciso di andare nella direzione di sensibilizzare maggiormente chi non sta partecipando all’accoglienza. Nella stessa sede è stato concordato che il comune di Lucca ha fatto la sua parte in questo periodo, adesso è il momento che anche gli altri smettano di essere inadempienti. A settembre vedremo quello che si è mosso e riapriremo il tavolo

nella grafica sotto si può vedere lo stato dell’arte comune per comune:

la situazione a Lucca

ad oggi sul nostro comune sono presenti 84 migranti già inseriti in 12 strutture e un altro centinaio che vive, in modo del tutto temporaneo, nella tensostruttura della Croce Rossa in via delle Tagliate, per un totale di quasi 400 persone accolte su tutto il territorio provinciale. Ripartizione decisa dal Governo attraverso le prefetture: Lucca deve partecipare con un quoziente del 10,5 per cento sul numero complessivo di migranti accolti nella nostra regione.

le disparità

Ma poi accade che c’è chi accoglie e chi non lo fa. Con squilibri evidenti: Viareggio, con i suoi 60mila abitanti, ha dato disponibilità per sole 6 persone, al pari di Fabbriche di Vergemoli che, però, di cittadini residenti ne ha a malapena 820, Gallicano è impegnato con 40 richiedenti asilo, a fronte di una popolazione di 3800 abitanti. «Le assenze che pesano di più – spiega Sichi – sono Altopascio e diversi comuni della Versilia, che partecipa al tavolo dell’accoglienza in formazione estremamente ridotta. È bene chiarire che la quota del 10,5% spetta alla provincia di Lucca indipendentemente dal numero dei comuni che accolgono i migranti – spiega Sichi – Questo significa che chi decide di non partecipare alla gestione dell’emergenza, carica gli altri comuni di un lavoro maggiore e di un numero più alto di migranti. Prendiamo per esempio il comune di Lucca: anche se decidessimo di non accogliere nessuno, avremmo comunque la tensostruttura della Croce Rossa strapiena di persone in attesa di trovare un alloggio».

progetti futuri

Dal mese di settembre i migranti del comune di Lucca saranno impegnati in lavori socialmente utili. O meglio, lavori civici: progetti, la cui partecipazione è gratuita e volontaria, che hanno come finalità il miglioramento delle zone dove i richiedenti asilo vivono. «Insieme alle associazioni della rete dell’accoglienza – conclude Sichi – stiamo individuando i monumenti o i luoghi più significativi dei paesi e dei quartieri dove questi ragazzi vivono: loro penseranno a ripulirli, a prendersene cura, a migliorare l’ambiente circostante». Un modo concreto per mostrarsi per quello che sono: persone.

Nadia Davini

il futuro dei sinti e dei rom a Lucca

 

rom e sinti a Lucca: i progetti dell’amministrazione comunale

 nuovo campo di ‘transito’ e chiusura della Scogliera

a ‘Buongiorno con Noi’ l’assessore Sichi ha esposto le intenzioni del Comune sui campi nomadi: la Scogliera sarà smantellata per esaurimento, le Tagliate potrebbero diventare un campo di ‘transito’

di seguito l’intervista all’assessore Sichi (viene comunque da dire: se son rose fioriranno! non si ha però, di primo acchito, un’impressione così rosea del progetto, sia perché sembra la millesima riespressione dell’idea che in trent’anni e più si sente dire, sia soprattutto perché sembra formulato così sopra la testa della gente che non viene neanche in mente, a chi vagheggia tali idee, di interpellare coloro che dovrebbero essere i fruitori di tale progetto):

Individuare un campo di ‘transito’ per Rom e Sinti e arrivare gradualmente alla chiusura del campo della Scogliera. Queste le intenzioni del Comune di Lucca sui campi nomadi, così come le ha esposte l’assessore alle politiche abitative Antonio Sichi nel corso del programma ‘Buongiorno con Noi’.

Sichi ha spiegato che nell’ambito del piano strutturale si deciderà dove individuare il nuovo campo di transito per rom e sinti, alla stregua di quelli già in attività negli altri capoluoghi. Non è escluso che si decida di scegliere la zona dove il campo c’è già, cioè alle Tagliate. Il campo però a quel punto sarà regolamentato, ha detto Sichi. Ci sarà un determinato numero di posti e non sarà più consentita una permanenza a tempo indeterminato.

Per quanto riguarda la Scogliera, Sichi ha detto che si va verso lo smantellamento per esaurimento della parte pubblica demaniale del campo. Già tre delle otto famiglie insediate hanno maturato il diritto alla casa pubblica e il Comune impedirà che altre famiglie prendano il loro posto

E le casette costruite invece sui terreni privati? L’assessore ha detto che si tratta di abusi edilizi perchè realizzate in area golenale e quindi bisognerà trovare delle forme di compensazione urbanistica per i residenti, senza però specificare che soluzioni saranno trovate.

Sichi in ogni caso ha rivendicato l’impegno concreto dell’amministrazione nel tentare di risolvere una situazione che non è mai stata affrontata prima.

 

Sui nuovi alloggi popolari Sichi ha confermato che ne saranno acquistati altri sette a Montuolo, due dei quali dovrranno essere riservati alle situazioni di emergenza abitativa. Confermato anche che il Comune va avanti sugli alloggi a Pontetetto perchè, ha detto l’assessore, non possiano rinunciare a 14 case di fronte ad una richiesta di case popolari di seicento famiglie.

 

 

 

 

Fiorello, un ‘normale’ sinto di Lucca

 

Storia di Fiorello, un rom “normale”

 

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Il primo appuntamento telefonico va a vuoto. Fiorello, o il signor Lebbiati, mi risponde dallo scooter dicendo che deve correre a casa, è in ritardo per il pranzo e non vuole «prendersi un cicchetto» (rimprovero, in toscano) dalla compagna. Ci risentiamo la sera stessa, da una casa famiglia per donne in difficoltà di Lucca. Lavora lì, sta facendo la notte. Fiorello Lebbiati, italiano di 33 anni, vive e lavora tra Lucca e Capannori, ha una figlia di undici anni, si è sposato, divorziato e ora convive con la nuova compagna in una casa in affitto che sogna prima o poi di acquistare. Cosa c’è di “strano”? La madre di Fiorello è una rom italiana, il padre è figlio di un sinto lombardo e di una sinta piemontese. Italiani da secoli.

Nella storia della sua famiglia, non mancano le tracce della discriminazione: il nonno materno (di origine montenegrina), intagliatore di rame, è uno dei sopravvissuti ai campi italiani di concentramento per “zingari” della Seconda guerra mondiale (Prignano, Tossiccia, Boiano, Gonars e altri, tutti dimenticati), mentre negli anni Sessanta il padre ha frequentato a Lucca le scuole speciali per soli “nomadi”, quando la pedagogia teorizzava che i bambini rom e sinti dovessero studiare in aule separate. Fiorello nacque nel 1982 a Fucecchio, il paese di Indro Montanelli, e ha pure un secondo nome: Miguel, dalla passione della mamma per Miguel Bosè. Allora la famiglia girava con la roulotte tra le provincie toscane. Il padre lavorava un po’ in nero, la madre vendeva canovacci, centrini e fiori come ambulante.

Racconta: «Non so quante scuole ho dovuto cambiare; facevo amicizia con i nuovi compagni, tornavo a casa e, dopo pranzo, ci mandavano via». Si ricorda ancora di un appuntamento dato un pomeriggio ad alcuni suoi amici: «Al parco, per mostrare una nuova mossa di arti marziali, di cui ero un campione. Non ci potei andare perché arrivò la polizia per allontanarci». Eppure, oltre a prendere la terza media, cambiare scuola volle anche dire avere tanti amici in giro per la Lucchesia: «Conosco mezza Lucca», riassume. Più avanti, Fiorello ha fatto la scuola serale e dei brevi corsi di economia, di animazione e di gestione gruppi. Ora ha tre lavori: operatore in Caritas, dove coordina un progetto sul recupero del cibo avanzato nelle mense scolastiche, educatore nei laboratori di falegnameria e arti istintive in una scuola media e collaboratore dell’Associazione 21 luglio di Roma.

Ce ne sarebbe anche un quarto – «Ho appena fatto una comparsa in Zoolander II di Ben Stiller» – ma non può svelare per quale parte. Con la sua compagna (gagia, come sono chiamati i non rom), medico podologo, vivono in una casa alle porte di Lucca: «Abbiamo voluto che avesse il giardino, per coltivare l’orto e – Fiorello fa pure lo scultore – modellare il marmo». I genitori, invece, abitano nella casa popolare ottenuta negli anni Novanta. Fiorello si definisce un attivista, «colui che attiva il mondo intorno a sé». «Da un lato – spiega – occorre far crescere la consapevolezza dei propri diritti ai rom e sinti; dall’altro si sa pochissimo del mio popolo, solo immagini negative. Vorrei offrire una chance di conoscenza ai non rom, anche a chi poi sceglierà di odiarci. Io stesso, se avessi come unica immagine dei rom quella della metro di Roma, non ne penserei bene».

Insieme ad altri attivisti, Fiorello ha scritto una lettera ai media; tra i firmatari, ci sono Sead che lavora e fa il rappresentante sindacale a Rovigo, Ivana che sta per finire Scienze della Formazione all’Università di Torino, Dolores di Melfi che sta conseguendo la seconda laurea… Chiedono di raccontare la realtà nella sua complessità, quella di un Paese dove i rom e sinti sono pochi (lo 0,23%), la metà italiani, tutti non più nomadi, più della metà ragazzini (il 40% in età scolare) e dove solo 40mila su 200mila vivono in situazioni di disagio abitativo, che siano baracche, container, centri d’accoglienza o edifici fatiscenti occupati. La maggior parte, invece, non vive nei campi, ma nelle case, affrontando i problemi quotidiani come tutti.

Solo nella “sua” Lucca, Fiorello cita il ragazzo rom che sta laureandosi come infermiere, il sinto che ha aperto una paninoteca, quello che sta finendo di pagare il mutuo… Nella lettera, hanno spiegato di aver paura. Non per sé, ma per l’Italia. «La paura – scrivono – è che tante persone per bene gradualmente assimilino l’odio, a causa dei messaggi negativi diffusi dai media. Anche noi, mettendoci nei panni di chi non sa niente del nostro antichissimo popolo, inizieremmo a crederci e a non voler più rom e sinti nella nostra Italia. E se fossimo bambini, che cosa impareremmo? Sicuramente, con un germoglio di odio nel cuore così potente e annaffiato bene tutti i giorni, da grandi non solo li odieremmo, ma saremo pronti a ucciderli, non per cattiveria, ma per difenderci e per difendere la “Nostra” Italia dai cattivi e sporchi rom e sinti».


a Lucca la giornata onu di solidarietà al popolo palestinese

SEMPLICEMENTE APARTHEID
Quel giorno non potremo dire ‘non sapevamo’

 

la ricostruzione di Nandino Capovilla:

 

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“Una cosa va detta subito e senza esitazione: quello che Israele, il mio Paese, vuole fare è accaparrarsi più terra possibile. E questa non è una questione complessa, come spesso si dice. E’ molto semplice: dal ’48 gli ebrei colonizzano la terra palestinese e le loro politiche non sono cambiate. E questo ha un nome: colonialismo. Oggi, poi, dobbiamo parlare chiaramente di un vero regime di apartheid”.

Già dalle prime parole che il grande giornalista israeliano GIDEON LEVY ha pronunciato di fronte ad una sala gremita, sabato 29 novembre a Lucca, si comprende la portata politica di ciò che ha rappresentato il suo contributo alla GIORNATA ONU 2014.

 

“Con il mio lavoro voglio documentare tutto perchè un giorno, quando tutto sarà finito, gli israeliani non possano dire ‘non sapevamo’. Sono nato e vissuto a Tel Aviv sentendomi una vittima e non certo un occupante e ho pensato questo fino agli anni ’80, quando ho cominciato a lavorare per Haarez, che mi ha inviato nei Territori Occupati. Solo lì ho cominciato a vedere e a capire. Come chiamereste un regime in cui uno dei due popoli gode di tutti i diritti mentre l’altro non ha nulla? Io lo chiamo apartheid”.

La voce di questo coraggioso testimone ha fatto diventare, in questo Anno Internazionale per la Palestina, internazionalmente rilevante l’annuale Convegno con cui Pax Christi celebra nella Giornata Onu per i diritti del popolo palestinese.
Ma già incontrando gli studenti delle scuole, al mattino, aveva scosso l’uditorio:

“Da israeliano devo tragicamente ammettere che per gli israeliani un palestinese non sarà mai un essere umano uguale a loro. Sembra eccessivo ma è esattamente questo il primo grande confine tra i due popoli: un confine culturale, sociale, psicologico. Anche gli israeliani più aperti sotto sotto pensano ai palestinesi come ad esseri inferiori. L’israeliano vive in pace con se stesso perchè semplicemente non ritiene che i palestinesi abbiano i suoi stessi diritti”.

La Giornata ONU di Lucca ha registrato una grande partecipazione di persone da ogni parte d’Italia e dal Convegno si leverà nelle prossime settimane la precisa richiesta al Parlamento italiano di seguire i sempre più numerosi Paesi europei che stanno riconoscendo lo Stato di Palestina. D’altra parte Gideon Levy ha rilevato che “la comunità internazionale sa benissimo cosa dovrebbe fare. Con il Sudafrica dell’apartheid l’ha fatto. Ed ora le differenze in Palestina sono minime.

Il problema -ha incalzato Levy- è che, pur non essendoci una censura vera e propria in Israele, sono i media stessi che si autocensurano. Il che è anche peggio, a pensarci. Fanno un lavaggio del cervello incredibile agli israeliani, demonizzando e disumanizzando i palestinesi. Cercano di nascondere sempre le atrocità commesse dall’esercito. Israele nega tutto, vivendo in una continua menzogna. Il linguaggio che usiamo stravolge la realtà. Così, per esempio, in Israele si parla distinguendo coloni moderati o estremisti, gli avamposti illegali e le colonie legali, ma secondo il diritto internazionali non esistono colonie legali. Tutte sono illegali.

palest e isreal

Negli anni immediatamente successivi all’occupazione, gli stessi Territori Occupati non venivano definiti così e chi usava questa espressione era definito traditore. Li chiamavano piuttosto ‘liberati’. Insomma, dipende da come Israele interpreta ciò che accade: quando un blindato entra in un campo profughi spargendo terrore, per noi è solo il bambino che tira la pietra a violare la legge. Quando Abbas chiede aiuto all’Onu, è lui ad essere considerato violatore dello status quo. Israele invece può fare e fa sempre ciò che vuole. Quando dei palestinesi uccidono un colono con un coltello sono terroristi ma quando un aereo militare bombarda Gaza, è autodifesa. Chiunque è a favore dell’occupazione militare vuole il bene di Israele e chiunque si appella al diritto internazionale è antisemita. Quando un palestinese di 6 anni viene ucciso dai soldati israeliani è definito ‘un giovane’, ‘un adolescente’, o semplicemente ‘un palestinese’; quando viene ucciso un 18enne israeliano è ‘nostro figlio’”.

La Newsletter BoccheScucite e l’omonimo sito www.bocchescucite.org , pubblicheranno presto tutti gli interventi della Giornata di Lucca, proprio a partire dalla fortissima denuncia di questa “bocca scucita” israeliana che ha ammesso quanto il suo lavoro sia sempre più a rischio in Israele:

Durante l’operazione dell’esercito a Gaza, quest’estate -ha confidato Levy- 3000 lettori hanno disdetto l’abbonamento al quotidiano Haarez a causa di un mio articolo. Per fortuna il mio giornale non scende a compromessi, e va avanti. D’altra parte, se a Gaza quest’estate sono state uccise oltre 2000 persone palestinesi in nome della sicurezza israeliana io mi chiedo semplicemente: ma chi pensa alla sicurezza dei palestinesi, che si trovano molto più a rischio degli israeliani?

Nandino Capovilla, Campagna Ponti e non muri, nandino.capovilla@gmail.com

Miguel, ragazzo sinto orgogliosamente tale,ma anche ‘lucchese’

Miguel

«Macché integrato, io sono lucchese»

si racconta, Miguel, in questo dialogo con la giornalista del Tirreno, racconta la sua origine a Lucca, la bellezza e la difficoltà di dovere da sempre alternare una vita in appartamento a una vita al campo dei sinti in momenti di grande povertà
non sembra molto convinto nel rispondere, a precisa domanda, sulla sua ‘integrazione’: sembra suonargli un po’ equivoca questa parola e deludendo l’intervistatrice che vorrebbe fargli riconoscere come positiva e apprezzabile questa condizione, fa un deciso passo indietro con un sonoro ‘macché
è contento , però, della casa dove si trova ora, ma è contento soprattutto del percorso di ‘attivista’ che sta facendo e vorrebbe in seguito coinvolgersi in un impegno attivo di superamento delle difficoltà che sta vivendo il suo popolo a Lucca:
La storia di Miguel, storia di un’integrazione riuscita. Anche se, in realtà, alla parola “integrazione”,      Miguel cambia sguardo e precisa. «Ma integrazione di che? Io sono italiano, sono lucchese. Tifo Juve, tifo l’Italia ai      Mondiali, mi emoziono a sentire l’inno di Mameli, lavoro, ho amici, ho una mia vita». Fiorello Miguel Labbiati, all’anagrafe      Fiorello, al campo, tra i parenti e tra gli amici conosciuti fuori la scuola, Miguel, che era il nome preferito dalla mamma,      proprio come Miguel Bosè. Per gli amici stretti, invece, solo Vè. Trentun’anni, una figlia di dieci, fidanzato con      una ragazza “gagi”. Cioè non nomade, il modo con cui i sinti identificano coloro che non sono rom e che non      sono sinti. Miguel è nato a Fucecchio, da madre di Empoli e papà di Castelnuovo. Annovera dentro e prima di sé      ben quattro discendenze sinte (tedesca, lombarda, piemontese e francese) e una rom, da parte di nonno. È cresciuto tra      il campo di Nave, quello di Sant’Anna in via delle Tagliate e la casa della nonna, a San Vito. Da un po’ vive in una casa      sua e da quattro mesi convive con Martina. «La vita in casa mi piace molto – racconta – non ho avvertito      il distacco dal campo, perché fin da piccolo sono stato in un appartamento; a periodi vivevo con mia nonna che abitava      a San Vito nelle case popolari. La mia casa è il mio mondo e non la cambierei con qualcos’altro, anche se a volte ripenso      alla campina (la roulotte). Non ho ricordi negativi della vita con mia mamma al campo, anche quando non c’era la luce e si      stava con le candele per giorni. La casa è un’altra cosa: ho il giardino, un pezzo di terra dove posso fare l’orto, ho      i miei spazi per dipingere e realizzare sculture. «Da piccolo mi sono spostato tante volte – continua – Questo      perché cambiavamo città o più semplicemente quartiere. No, le superiori non le ho fatte, ma a settembre vorrei      iscrivermi al serale per prendere il diploma. Lavoro da quando ho 16 anni, facendo ogni tipo di attività: ho iniziato      nel calzaturiero e guadagnavo 300mila lire al mese. Poi sono entrato nell’edilizia, all’inizio mi facevano fare le pulizie.      Dopodiché ho cominciato a fare lo stucchino, nel frattempo sono diventato papà. Per un periodo ho fatto ogni tipo      di lavoro, poi è arrivata la crisi, l’edilizia è morta e sono entrato anche io in crisi. «Preso dalla disperazione      andai al Culto Evangelico a Pisa dove c’era un incontro per parlare della condizione dei rom e dei sinti. Un signore diceva      come non ci fossero rom e sinti nelle giunte comunali e come i sinti non fossero interessati alla politica. Pensai: ma che      dice questo? Ho fatto manifestazioni nella mia città, mi sono sempre interessato di politica, ma come italiano, non come      rom. Ci parlai, poi mi richiamò dopo una settimana e mi propose la possibilità di partecipare a uno scambio culturale      in Romania con altri ragazzi di diversi paesi europei sulla questione rom e sinti. E lì è cambiato tutto: in dieci      giorni mi è montata una voglia incredibile di raccontare il mio popolo e di lavorare per i sinti e per i rom». Così      a 29 anni ha preso parte all’Avs (anno di volontariato sociale) in Caritas, ha seguito diversi progetti, soprattutto con i      bimbi disabili e fino a entrare in Caritas con un contratto. Ora segue il corso di formazione per attivisti rom e sinti, organizzato      e promosso dall’Associazione 21 luglio che ha sede a Roma. «Vado nelle scuole, parlo dei rom e dei sinti. Per me è      un orgoglio la mia appartenenza, lo dico sempre a tutti. Ho sempre lavorato e non mi sono mai guadagnato da vivere rubando.      Quando parlo nelle scuole mi chiedono perché gli zingari rubano. Non mi dà fastidio, perché è vero che      esiste l’illegalità. Anche nella mia famiglia. Ed è vero che ci sono persone in carcere o agli arresti domiciliari      per furto o per spaccio. Per me non esiste il male o il bene di per sé, esistono le opportunità, le necessità,      le condizioni di vita e le amicizie. Una persona non è che ruba in quanto rom. Io sono un sinto che ha voglia di fare      e sono fortunato. Secondo me l’istruzione è tutto, con le scuole speciali per rom e sinti hanno alimentato l’emarginazione      e creato generazioni di analfabeti e delinquenti». E per il futuro? «Finito il corso per attivista – conclude      – vorrei occuparmi della situazione di Lucca. Mi sto accorgendo che le realtà fuori da Lucca sono tremende e molto      peggiori. Qua la situazione è abbastanza positiva, ci sono tanti ragazzi che conducono una vita normale e che si sono      inseriti nella città, anche se per alcune cose siamo indietro. «Questo, secondo me, è un momento maturo per      creare una situazione definitiva per le famiglie che vivono al campo, partendo da un percorso condiviso e partecipato con      le famiglie stesse. È importante farli sentire importanti. Mi piacerebbe che la mia città diventasse un’avanguardia      e un esempio per tutta Italia, ne ha le carte. Basta che creda nei suoi giovani sinti e rom».
Nadia Davini – il Tirreno

celebrazioni per don Baroni

Autorità civili e religiose celebrano Don Baroni, il prete di rom e circensi. E gli intitolano un parcheggio a Segromigno

Da sinistra: Gianfranco Perego della Fondazione Emigrantes, il sindaco di Lucca Tambellini, Michelangelo Giannotti dell'Arcidiocesi di Lucca e l'assessore comunale Vietina

una giornata tutta dedicata a don Baroni nel 29° anno dalla sua morte e in un contesto di grande polemica scatenata dalla destra supportata da ‘la Nazione’ per un progetto di risistemazione di un’area di sosta nei pressi del cimitero urbano (polemica cui risponde in modo vibrato il sindaco Tambellini)
così il giornalista Stefano Giuntini ricostruisce la giornata su ‘lo Schermo’:

 

Sono passati 29 anni dalla morte di Don Franco Baroni e gli immigrati in Italia sono passati da 250mila a circa 5 milioni, provenienti da 200 diverse nazioni e che saranno celebrati domenica prossima nel corso della centesima edizione della “Giornata mondiale del migrante e del rifugiato”. Fra questi i rom e sinti – ovvero una comunità particolarmente cara a Don Baroni – sono circa 170mila (di cui 100mila bambini), ossia il numero più basso d’Europa.

In un recente sondaggio in cui si chiedeva “Chi non vorreste mai come vicini di casa?” il 90 per cento degli italiani ha risposto proprio questi ultimi, già oggetto di persecuzione sotto il nazismo (500mila morti) e priorità per quanto riguarda le leggi razziali fasciste (i primi a essere colpiti furono 2500 bambini rom).

Ed è proprio l’impegno di Don Baroni nei confronti di queste persone – come pure dei circensi e, più in generale, degli emarginati – che sono state dedicate le celebrazioni di oggi (16 gennaio), nel giorno dell’ottantesimo anniversario della sua nascita organizzato dall’associazione che porta il nome del prete e articolato in sue momenti: l’intitolazione a Don Baroni del parcheggio di Segromigno nei pressi della sua casa Natale e un pranzo conviviale sotto il tendone della Croce Rossa di via delle Tagliate.

Insomma, un’intera mattinata di celebrazioni, a cui hanno partecipato, assieme alla sorella Piera Baroni, autorità – politiche, religiose e legate al mondo del volontariato – come il sindaco di Lucca Alessandro Tambellini (Leggi l’intervento cliccando qua), quello di Capannori Giorgio del Ghingaro, il presidente della Provincia Stefano Baccelli, l’assessore del Comune di Lucca Ilaria Vietina, il vicario generale dell’Arcidiocesi di Lucca Michelangelo Giannotti, il presidente e il vicepresidente del Centro nazionale del volontariato – rispettivamente Eduardo Patriarca e Andrea Bicocchi -, oltre a monsignor Gianfranco Perego della Fondazione Migrantes della Cei.

Ma andiamo con ordine, partendo dalla prima parte della giornata, svoltasi presso la scuola elementare Don Franco Baroni (appunto) e che ha visto il sindaco di Capannori fare gli onori di casa.

“Abbiamo scelto di intitolare proprio un parcheggio a Don Franco perché rappresenta un luogo di passaggio – ha detto il primo cittadino –, quindi significativo di colui che per tutta la vita si è occupato dei nomadi, ossia di portare l’attenzione verso persone che di solito non la ricevono. Il fatto che questo parcheggio si trovi di fronte a una scuola rientra nell’opera di sensibilizzazione dei bambini nei confronti delle categorie più deboli della società, tanto care a Don Baroni. Un riconoscimento dovuto dal Comune di Capannori”.

E mentre Michelangelo Giannoni ha ricordato l’importanza della figura di Don Baroni nella “nell’allargamento dell’azione della Chiesa territoriale al mondo tramite l’attenzione al mondo dei nomadi, dei circensi e delle missioni”, Stefano Baccelli ha espresso la sua gratitudine nei confronti del prete celebrato, nonché di tutti gli altri prelati che “nella storia hanno testimoniato il messaggio cristiano più semplice e concreto: essere vicini agli ultimi”.

Il presidente della Provincia, parlando di Don Baroni, ha ricordato anche Don Aldo Mei e le figure religiose che dalla guerra in poi hanno servito la comunità: “E’ proprio nel loro nome che alcuni anni fa abbiamo consegnato la Pantera d’oro, ossia il più alto riconoscimento della Provincia, al Vescovo di Lucca”.

Concetti come “progettare per la comunità costruire sostegno”, “vicinanza e urgenza” e “sensibilizzazione dello Stato nei confronti di chi ha bisogno” sono invece stati la chiave dell’intervendo di Patriarca, che ha asserito come “sia impossibile parlare di ripresa della nazione, se tale crescita non riguarda tutta la popolazione”. Secondo il presidente del Cnv “finchè ci saranno 18 milioni di cittadini che arrivano a stento infondo al mese ciò non accadrà mai, per questo gli interventi sociali sono tutt’altro che marginali per rialzare economicamente l’Italia”.

Andrea Bicocchi ha invece ripercorso la storia di Baroni ricordando in particolare la vicenda legata ai popoli migranti, ossia “uno dei punti dove la sensibilità di Don Franco e Maria Eletta Martini, fondatrice del Cnv, si incontrò, con il fondamentale apporto di Maria Eletta alla convenzione fra diversi soggetti, in primis il Ministero della Pubblica Istruzione e l’Ente Circhi, per realizzare le scuole nei circhi. Sembra un dettaglio della storia, ma è invece un esempio di come le battaglie per la civiltà e li sviluppo umano integrale passino da ogni luogo, soprattutto da quelli che sono ritenuti ‘periferici’ o marginali”.

Un concetto, questo, allargato dall’assessore Vietina nel suo intervento, in cui ha descritto ai presenti le differenze fra una società chiusa e una aperta attraverso la messa da parte di termini come “stranieri” e “ospiti” a favore di quello di “concittadini”, ponendo così l’accento sull'”inclusività” per arrivare a parlare della sua idea di Lucca: “La nostra città – ha dichiarato – non deve avere periferie o persone che vivono in periferia, ma tutti i cittadini devono essere ugualmente al centro della vita sociale”.

Stefano Giuntini

 

“Questione nomadi”, Tambellini tuona alle celebrazioni di Don Baroni: “Fieri del coraggio affrontarla in un contesto ostile”

Un momento del discorso del sindaco di Lucca

 

“Siamo fieri di aver il coraggio di affrontare il tema dell’integrazione in un contesto ostile”. Queste sono le parole, pronunciate con determinazione e fermezza dal primo cittadino Alessandro Tambellini oggi, in occasione della commemorazione di Don Franco Baroni (presso il tendone della Croce Rossa di via delle Tagliate), dove ha presenziato assieme ad altri esponenti politici e del mondo del volontariato lucchese.

Parole che si riferiscono, neanche a dirlo, alla “questione rom”, una polemica legata ai finanziamenti al campo nomadi che da settimane infuria su tutte le testate giornalistiche e che ha attirato sulla maggioranza un vero e proprio tsunami di critiche, che però – a quanto pare – hanno tutt’altro che demotivato il sindaco dalla sua linea politica.

Anzi.

“Ricordo volentieri Don Franco Baroni in un momento come questo – ha ribadito al microfono il primo cittadino – in un momento in cui siamo costantemente sulle pagine dei giornali solo per aver presentato un progetto sui nomadi, ma crediamo che non si debba indulgere a certe istanze che fanno capo alla peggiore interiorità umana sono il segno di una concezione diversa alla nostra del concetto di convivenza civile”.

Secondo il sindaco, infatti, è necessario partire dalla figura di Don Baroni – “che è stato cappellano di nomadi e circensi, vivendo il Concilio e la nuova aura che esso ha portato alla Chiesa cattolica” – per tradurre il suo impegno al servizio di “coloro che sono ritenuti ai margini della società civile, sulla base del puro insegnamento cristiano: la necessità di stare vicini a tutti, soprattutto a chi ha di meno”.

Alessandro Tambellini, a riguardo, ha ricordato al pubblico “l’importanza del concetto di fratellanza, non solo a Lucca, ma in tutta Italia, in un momento storico come questo in cui qualcuno si permette addirittura di paragonare un ministro della Repubblica a una scimmia solo sulla base del colore della pelle”.

Per il primo cittadino la risposta a questo degrado “non può essere basata su idee che si riferiscono all’esclusione e al razzismo”.

Insomma, l’intervento del sindaco è stato prettamente basato sull’evidente conflitto d’interesse fra i dettami religiosi – “nonostante ci vantiamo di essere la città delle cento chiese” – e la loro applicazione pratica, quando si chiede di applicare la solidarietà a certe etnie, rispetto ad altre.

Un vero cortocircuito.

E infatti a pensarci bene qualcuno, in tempi non sospetti e prima delle leggi regionali incriminate, aveva detto “sono tutti uguali agli occhi del Signore”, “ama il tuo prossimo come te stesso”, ma anche e soprattutto (per i possibili “falchi cattolici” che lamentano una condotta lesiva da parte dei rom nei confronti della comunità ospitante) “porgi l’altra guancia”.

Certo – e non è per fare la morale -, nella città delle contraddizioni si può anche essere cristiani e massoni allo stesso tempo, oppure andare ogni domenica alla Santa Messa e poi non ricordarsì né tutti Dieci Comandamenti, né i nomi di ognuno dei sette nani.

Capita.

Ma tant’è: la fede non è prescritta dal dottore e d’altronde non tutti i lucchesi sono religiosi. Però, come dicevano i Monty Python ne “Il senso della vita” (film premiato a Cannes nel 1983), “se avete scelto di aderire alla religione più quotata del pianeta ci sono certe regole a cui attenersi”.

Al di là di questo – sempre per parlare di coerenza – il sindaco ha fatto presente che “ricordare un personaggio come Don Baroni significa ribadire i suoi principi e il senso dei suoi insegnamenti all’interno dell’idea cristiana, altrimenti otteniamo solo una sterile celebrazione. Ricordarlo significa riportare alla memoria ciò che ha testimoniato con la sua vita”.

A proposito: la biografia di Don Franco Baroni la trovate direttamente a questo link. Oggi sarebbe stato il suo ottantesimo compleanno.

Stefano Giuntini

 vedi anche: in memoria di don Baroni

il contratto coi sinti per poter … esistere!

Pulizia, bimbi a scuola, cani vaccinati e niente roghi o schiamazzi. Il contratto stipulato tra il Comune e i nomadi

La prima pagina dello 'schema del contratto'

così  Silvia Senette ricostruisce il ‘contratto’ tra il Comune di Lucca e i sinti che da sempre sono a Lucca:

LUCCA, 28 agosto

Nella conversazione avvenuta ieri e riportata nell’articolo sull’inaugurazione dei contatori singoli al campo nomadi di via delle Tagliate, il dirigente del servizio alle politiche sociali del Comune di Lucca, Graziano Angeli, aveva riferito di un precedente importante nei rapporti tra la pubblica amministrazione locale e gli ospiti ormai stanziali su suolo pubblico lucchese.

“Il primo passo”, ci aveva raccontato Angeli, “era stato, lo scorso novembre, l’introduzione di una contribuzione forfettaria mensile di cinque euro a testa per ciascuno degli ospiti residenti, minori inclusi, e la sottoscrizione di un contratto condiviso per il rispetto di poche ma fondamentali norme di comportamento”. Una serie di regole e punti fermi destinati a cambiare gli assetti della permanenza della comunità rom e sinti e a migliorare l’integrazione con i regolari contribuenti.

E il decisivo passaggio alle utenze singole e regolarmente saldate dai consumatori era già incluso nel documento sottoposto ai nomadi dal Comune e sottoscritto dai titolari di ciascuna delle 23 piazzole data in usufrutto per la durata di un anno. Il contratto, datato ottobre 2012, è intitolato “atto di autorizzazione alla permanenza temporanea sull’area di via delle Tagliate e concessione provvisoria di uso della piazzola” e a farsi garante per l’amministrazione civica è lo stesso dirigente del servizio.

Presso la sede comunale di via S.Giustina, Angeli ha incontrato i capofamiglia a cui sono stati illustrati punto per punto i contenuti del contratto, anticipati dalla seguente premessa: “Sull’area di via delle Tagliate, fin dagli anni novanta, sono stati realizzati – anche con specifici contributi della Regione Toscana – manufatti ad uso comune per consentire temporaneamente l’ospitalità di roulotte, camper e case mobili di nuclei familiari formati prevalentemente da rom e sinti, nell’ambito di piazzole appositamente delimitate; i nuclei ospitati sono stati individuati, nel tempo, con ordinanza del sindaco, periodicamente rinnovata sulla base delle indicazioni del servizio sociale”.

Chiarito e sanato il pregresso, il documento entra nel vivo esplicitando che, archiviando quanto è stato, da ora “si rende necessario convenire impegni diretti tra il Comune e ciascuno dei nuclei familiari che si trovino ad essere ospiti dell’area”. Da qui in poi, il contratto enuncia gli otto articoli fondamentali destinati a regolare i rapporti tra le parti. Il primo e l’ultimo, come espressamente citato in calce al documento, racchiudono i fondamenti imprescindibili dell’accoglienza.

“Articolo 1: entro il 30 novembre 2013 il servizio sociale verificherà il permanere delle condizioni che hanno determinato l’autorizzazione iniziale allo scopo di poter valutare la conferma dell’ospitalità sull’area anche per l’anno successivo, tenendo conto – in particolare – dell’impegno profuso dagli adulti e dai minori che abbiano assolto l’obbligo scolastico nella ricerca di un’occupazione o in un percorso di formazione professionale e, comunque, del positivo inserimento nel contesto della città oltre che del rispetto delle condizioni che regolano la permanenza e le corrette modalità di utilizzazione dell’area e della piazzola”.

Vale a dire che, se si vuole sperare in un rinnovo della concessione, c’è tempo un anno (ormai manca un solo trimestre) per dimostrare di essersi dati da fare – i grandi sul fronte occupazionale, i piccoli su quello scolastico – e di aver rispettato l’area assegnata. Il concetto di “rispetto” viene chiarito nei sei punti successivi: “auto e furgoni devono essere parcheggiati al di fuori del campo”, il transito è consentito “solo per carico e scarico, e comunque a velocità inferiore a 30 km orari”, ogni nucleo familiare è responsabile della piazzola e deve “provvedere alla cura, alla pulizia ed alla buona manutenzione della stessa, eseguendo a proprie spese eventuali riparazioni per i danni causati”,  i componenti del nucleo familiare devono “obbligatoriamente comunicare al dirigente del settore politiche sociali eventuali periodi di allontanamento”, si possono ospitare persone estranee al campo, purché “in regola con la vigente legislazione italiana” e per un tempo massimo di 30 giorni, comunicando i nominativi “tempestivamente al dirigente”.

Infine, ciascun firmatario si è impegnato nero su bianco a “garantire la frequenza a scuola dei figli sottoposti all’obbligo scolastico”, “tenere i cani vaccinati e iscritti all’anagrafe canina”, “non accumulare rifiuti negli spazi comuni dell’area”, “non custodire più di due bombole di gas piene per ogni roulotte”, “non accendere fuochi”, “non costruire tettoie o strutture abitative o ricreative”, “non danneggiare le strutture né manomettere gli impianti di servizio” e “non effettuare schiamazzi o rumori molesti, in particolare nella fascia oraria 24-6”.

L’articolo 4 è il più sintetico ma anche il più chiaro ed è il presupposto che ha portato ieri Geal ad attivare i contatori singoli per l’addebito del flusso idrico: “Il nucleo familiare si fa carico dei consumi di acqua ed elettricità”.

A chiudere l’asettico documento, il decisivo articolo 8: “In caso di mancato rispetto delle regole di cui alla presente scrittura, il nucleo familiare verrà formalmente richiamato a ripristinare le condizioni in un termine non superiore ai trenta giorni. In ogni caso, qualora, nei termini del richiamo, non siano ripristinate le condizioni relative agli impegni assunti, la presente scrittura privata sarà immediatamente ed unilateralmente risolta da parte della amministrazione comunale con conseguente decadenza della autorizzazione alla permanenza nell’area e della concessione della piazzola”.

Un contratto chiaro, inequivocabile e ricco di prescrizioni e clausole precise, in grado di contemplare nelle cinque pagine di scrittura ogni possibile infrazione o situazione si possa presentare, anticipando effetti e decisioni in capo a Palazzo Orsetti. Ciò nonostante nessuno dei 23 capofamiglia ha battuto ciglio e, ben consapevole del fatto che la concessione delle piazzole è tutto tranne che atto dovuto, gli ospiti del campo di via delle Tagliate hanno sottoscritto il documento impegnandosi per sé e per i propri familiari al rispetto delle regole di convivenza.

Regole che, a quanto ci risulta, nei nove mesi appena trascorsi non hanno visto deroghe o infrazioni clamorose. Neppure quando, ieri, sono stati installati i contatori singoli per la lettura dei consumi di acqua.

Silvia Senette

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