per una spiritualità radicalmente nuova – la ‘mistica ribelle’ di M. Fox

per diventare mistici ribelli

da: Adista Documenti n° 31 del 17/09/2016

è appena uscito il libro di Matthew Fox La spiritualità del creato. Manuale di mistica ribelle, (curato dal teologo anglicano Gianluigi Gugliermetto, pubblicato  dalla casa editrice Il Segno dei Gabrielli), celebre teologo statunitense, ex frate domenicano espulso dall’ordine nel 1993 per volontà dell’allora cardinale Ratzinger e fondatore dell’Institute of Culture and Creation Spirituality in California, autore, tra molto altro, del capolavoro Original Blessing, per l’appunto, “benedizione originale” (tradotto in italiano dalla casa editrice Fazi con il titolo In principio era la gioia), con cui il teologo ribaltava in maniera completa il tradizionale itinerario verso Dio del cattolicesimo ufficiale, il cui punto di partenza è il peccato, rimettendo all’origine e al centro il bene, la gioia, la grazia, la lode (C. Fanti).fox1

 

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LA NUOVA STORIA DELLA CREAZIONE DELL’UNIVERSOfox

La poetessa e vasaia M. C. Richards ha parlato di ciò che accade quando la scienza e la religione si separano, come è accaduto effettivamente tre secoli fa: «La disunione è palpabile, e questa frattura blocca la coscienza poetica, è una malattia caratteristica della nostra società […]. L’anima si ritira dentro di sé, si nasconde nel sottosuolo, si separa dalla parte che continua a camminare sulla superficie. La vitalità si rattrappisce, i disturbi psichici si fanno più acuti, i suicidi più frequenti».

Se questa descrizione della malattia della nostra cultura vi sembra appropriata, immaginate allora che cosa può accadere quando la scienza e la spiritualità si uniscono di nuovo insieme. Questa possibilità costituisce, di fatto, la notizia migliore e più rivitalizzante del nostro tempo. Oggi la scienza ci fornisce una nuova storia cosmica riguardo alle nostre origini. È una storia sacra che ci riempie di meraviglia quando la ascoltiamo. Nelle righe che seguono cercherò di raccontarla a modo mio. È una storia di doni, perché tutti noi proveniamo da una discendenza di doni cosmici:

All’inizio c’era il dono.

E il dono era con Dio, e il dono era Dio.

E il dono venne a porre la sua tenda in mezzo a noi,

dapprima nella forma della palla di fuoco primordiale,

che bruciò senza sosta per 750.000 anni

e nel suo immenso forno cosmico forgiò adroni e leptoni.

Questi doni riuscirono a stabilizzarsi abbastanza

per dare alla luce le prime creature atomiche:

l’idrogeno e l’elio.

Un miliardo di anni di rimescolamenti e ribollimenti,

e i doni dell’idrogeno e dell’elio

diedero alla luce le galassie – e queste galassie vive,

rotanti, vorticanti, crearono triliardi di stelle,

luci celesti e fornaci cosmiche,

che a loro volta crearono altri doni

esplodendo violentemente, enormi supernove,

brucianti di luce e più radiose di miliardi di stelle.

Un dono dopo l’altro, un dono che crea un altro dono,

doni che esplodono, doni che implodono,

doni di luce, doni di oscurità.

Doni cosmici e doni sub-atomici.

Tutto che gira e ruota in un vortice,

nasce e muore,

nell’ambito di un vasto piano segreto,

che era esso stesso un dono.

Una di queste supernove esplose a modo suo

e produsse nell’universo un dono unico

che più tardi, nel tempo, altre creature

avrebbero chiamato “Terra”,

la loro casa.

Anche la biosfera fu un dono,

che avviluppava la Terra di bellezza e dignità

fornendole il giusto livello di protezione

dalle radiazioni del sole

e dal freddo cosmico. E dalla notte eterna.

Questo pianeta speciale venne così incastonato

come un gioiello

nel suo posto preciso, un posto squisito,

alla distanza di 100 milioni di miglia

dalla sua stella madre, il sole.

Sorsero altri doni, mai visti prima nell’universo:

rocce, oceani, continenti,

creature multicellulari che si muovevano di forza propria.

Nasceva la vita!

I doni che prima avevano preso la forma

della palla di fuoco,

dell’elio, delle galassie e delle stelle, delle rocce e dell’acqua,

ora prendevano la forma della vita!

La vita era un nuovo dono dell’universo,

era un nuovo dono nell’universo.

Fiori di ogni colore e profumo, alberi che stavano diritti.

Foreste che offrivano possibilità di prosperare

a tutti i tipi di esseri.

Esseri che strisciano e che si arrampicano.

Esseri che volano, che saltano e che nuotano.

Esseri che corrono su quattro zampe.

E, alla fine, esseri che stanno in piedi su due zampe sole,

e che camminano. E che hanno pollici opponibili per creare

ancora di più, mettendo al mondo ancora altri doni.

L’essere umano stesso divenne un dono,

ma anche una minaccia,

perché il suo potere creativo era unico

sia nel suo potenziale distruttivo

come nel suo potenziale di guarigione.

Come avrebbero usato gli umani questi doni?

Che direzione avrebbero preso?

La Terra attendeva una risposta, e sta ancora aspettando.

Sta tremando.

Vennero diversi maestri e maestre, incarnazioni del divino,

che sorsero dalla Terra: Iside e Esiodo, Buddha e Lao Tzu,

Mosè e Isaia,

Sara e Ester, Gesù e Paolo, Maria e Ildegarda,

il capo Seattle e Buffalo Woman.

Vennero per insegnare le strade umane della compassione.

Ma la Terra continuò ad attendere

per vedere se l’umanità era un dono o una maledizione.

E tremava.

Vi è mai successo di donare qualcosa e poi pentirvene?

La Terra si meraviglia e aspetta,

perché il dono è stato fatto carne

e si trova in mezzo a noi, dappertutto,

ma noi perlopiù non ce ne accorgiamo.

Lo trattiamo non come un dono,

ma come un oggetto.

Un oggetto da usare, abusare, schiacciare sotto i piedi –

crocifiggere addirittura.

Ma a coloro che lo ricevono come un dono,

è promessa ogni cosa.

Saranno chiamati figli e figlie del dono,

saranno figli e figlie della grazia.

Per tutte le generazioni.

UNA SPIRITUALITÀ DI MERAVIGLIA

Che cos’è la spiritualità del creato?

Qualche anno fa mi trovavo in una camera d’albergo di New York con una giornalista del New York Times, una donna afroamericana che mi stava intervistando. La sua prima domanda fu questa: «Vede, io sono cresciuta nei quartieri poveri di Chicago e adesso vivo qui a Manhattan. Che cosa dice a me la spiritualità del creato? Si tratta di visitare parchi e di andare a vedere gli animali?». A quel punto la invitai a guardare fuori dalla finestra e a dirmi che cosa vedeva. Eravamo al diciottesimo piano e la finestra era incorniciata da mattoni. Ma che cos’è un mattone? È argilla che gli esseri umani hanno portato su fino al diciottesimo piano. E che cosa tiene su questi mattoni? Delle travi di acciaio, anch’esse dono del pianeta Terra. Andammo alla finestra e guardammo giù insieme. Sotto di noi c’erano moltissimi taxi, tutti fatti di acciaio, che correvano veloci su gomme (il cui materiale viene dall’albero della gomma) spinte dall’energia di un combustibile derivante da piante e animali morti centinaia di milioni di anni fa. Una città, per stupefacente che sia, è anche suolo, è materia naturale riciclata da esseri umani, i quali a loro volta sono terra, anche se stanno su due gambe, hanno pollici opponibili e un’immensa immaginazione.

La spiritualità del creato può essere un’esperienza urbana tanto quanto un’esperienza rurale, sempre che abbiamo voglia di accorgerci della provenienza delle cose e della relazione tra di loro. (…).

Che cos’è il creato?

Il creato siamo noi e tutte le cose. Siamo noi in relazione a tutto il resto. “Tutti i nostri parenti”, così dicono i Lakota nelle loro preghiere ogni volta che fumano la sacra pipa o entrano o escono dalla capanna sudatoria (un’antica pratica spirituale di purificazione e guarigione propria dei nativi americani, ndr). “Tutti i nostri parenti”: questo significa tutti gli esseri, tutte le cose, quelle visibili e quelle invisibili, le galassie rotanti e i soli sfrenati, i buchi neri e i microorganismi, gli alberi e le stelle, i pesci e le balene, i lupi e i delfini, i fiori e le rocce, la lava fusa e la neve che troneggia sulle cime dei monti, i figli che mettiamo alla luce e i loro figli, e i loro figli, e i loro figli.

La madre single che è disoccupata e lo studente universitario, il bracciante e l’imprenditore agricolo, la rana nello stagno e il serpente nell’erba alta, i colori di un’accesa giornata di sole e l’oscurità totale di una foresta pluviale di notte, il piumaggio brillante dei pappagalli e i colpi di un tamburo africano, i kiva (stanze rituali) degli Hopi e le meraviglie della cattedrale di Chartres, la frenesia di New York e la disperazione delle prigioni sovraffollate: ci sta dentro tutto.

Il creato è tutto lo spazio e tutto il tempo. Tutte le cose presenti, passate e future. Ma tra queste tre modalità di concepire il tempo, è la modalità del presente quella verso cui si concentra di più il creato, perché il tempo più significativo tra tutti è adesso, è quello che è stato definito “eterno presente”. Il passato influenza il futuro per mezzo delle scelte che noi compiamo nel momento presente. A che cosa decidiamo di dare vita in questo momento? Se il futuro porterà con sé maggiore bellezza oppure maggiore dolore, è un fatto che dipende dalle nostre scelte, a come rispondiamo al nostro ruolo di co-creatori all’interno di una creazione che continua a svilupparsi ed espandersi. Il passato e il presente convergono in noi per dare vita al futuro. (…).

Dunque il creato è, nella sua essenza, nient’altro che relazione. È l’atto sorprendente di relazionalità, di comunione, di risposta, di abbandono, è l’essere stesso che si muove a spirale, danzando, accovacciandosi, saltando in piedi. L’essere è relazione. Meister Eckhart dice che «la relazione è l’essenza di tutto ciò che esiste» e che «l’essere di per sé è Dio». Tutto il creato dunque è una traccia, un’orma, una realtà che discende dalla Divinità. Il creato non è altro che il passaggio della Divinità nella forma dell’essere. È l’ombra di Dio in mezzo a noi. Il creato è sacro. Tutte le nostre relazioni sono sacre. (…).  I cristiani e tutti gli altri credenti devono reimparare la sacralità del creato. Senza questo come “primo articolo di fede” siamo perduti. (…).

Il creato è, da molti punti di vista, ciò che la nostra specie fa di esso qui sulla terra. La Divinità ha giocato d’azzardo nel darci un così grande potere, divino e demoniaco allo stesso tempo. Ma noi che ne facciamo? Siamo spiritualmente pronti per questo compito meraviglioso che consiste nel fare giustizia, una giustizia che le scienze chiamano “omeostasi” cioè la ricerca di armonia che è già insita in tutte le cose, che consiste nel relazionarsi con ogni cosa al livello della giustizia e non del dominio, come se dovesse esserci sempre un vincitore che sconfigge un perdente? Abbiamo davvero superato la guerra, la guerra contro noi stessi, contro i nostri corpi, contro i giovani, contro il suolo, contro gli alberi? Gli esseri umani hanno una grande capacità di commettere peccati contro il creato, di fallire il bersaglio nel senso di non riconoscere qual è il loro compito su questo pianeta e nell’universo. In questo senso, il peccato è voltare le spalle al creato e al suo sommo Autore divino che dimora in ogni cosa. Alcune volte pecchiamo di omissione, quando non ci accorgiamo o non vogliamo ammettere che esistano i peccati contro la biosfera (giustamente definiti ecocidio) o contro le specie terrestri (biocidio) o contro il suolo (geocidio). Questi sono davvero peccati mortali, perché portano la morte alle generazioni che verranno.

Che cos’è il creato? È la novità che accade quando ci nasce una figlia o un figlio, è la resurrezione che sperimentiamo quando torniamo alla vita dopo le profondità del dolore e della disperazione, è la pace che è al di là di ogni comprensione quando una persona buona fa una buona morte, è il sorgere dello spirito comunitario, un evento che avviene quando la solidarietà si oppone alla paura e così la potenza della preghiera e della speranza si radicano di nuovo in noi.

Il creato è ciò che risveglia i mistici e ciò per cui lottano i profeti. Il creato è l’oggetto della ricerca scientifica e dell’impegno mistico, è la fonte di ogni celebrazione e lo scopo di ogni etica. (…). Il creato è il nostro comune progenitore, dove “nostro” indica tutte le cose. Il creato è la madre di tutti gli esseri ed è il loro padre, è generante e generatore. Il creato è santissimo, è colmo di stupore, dal più piccolo dei semi di cipolla alla sequoia troneggiante. Il creato è potentissimo e fa risorgere. Se una sola persona è risorta dalla morte, tutte lo sono, e il creato è l’erede di questa e altre sorprese divine. Il creato non è mai finito, non è mai soddisfatto, non è mai stufo, non è mai passivo. Il creato nasce sempre di nuovo e sempre si rinnova. (…).

Come è possibile che un così grande affresco drammatico venga messo a rischio come avviene oggi? Può accadere soltanto perché la nostra specie, con le sue religioni, i suoi sistemi educativi, le sue moralità, i suoi governi e le sue economie, ha perso il senso del creato. Quando questo avviene, niente più è sacro, niente sembra degno della lotta per la giustizia che è necessaria per preservarlo. La società muore, e le relazioni non esistono più.

La spiritualità del creato non è basata sulla psicologia, perché non riguarda l’umano separato da tutte le altre sue relazioni. Si concentra invece sulla benedizione, dove “benedizione” indica il dono che tutto il creato è per noi. (…). 

Il creato è la benedizione originaria, e tutte le benedizioni successive, quelle che impartiamo a coloro che amiamo e quelle che lottiamo per impartire attraverso la guarigione, la festosità e l’opera della giustizia, sono prefigurate nella benedizione originaria che è il creato stesso, una benedizione talmente incondizionata, talmente colma di grazia, che è difficile vivere senza accorgersene. (…).

Ciononostante, il creato è così follemente generoso che ha dato vita, nel suo sforzo di amore effusivo, a una specie che sta mettendo in pericolo la sua stessa casa. Nella sua umiltà, il creato si è reso esso stesso soggetto alle azioni di una delle sue creature, la specie umana. Quanto stravagante, quanto saggio, e tuttavia quanto fragile è il creato! Come risponderà al saccheggio umano della sua espressione terrestre?

Che cos’è la spiritualità?

Lo Spirito è vita, ruah, respiro, vento. (…). La spiritualità è un sentiero pieno di vita, un modo di vivere pieno di Spirito. (…). Tutti quelli che intraprendono un sentiero spirituale devono aver voglia di imparare e di lasciar andare; devono sapere che nessuno di noi ha tutte le risposte, e tuttavia che nessuno di noi è lontano dal divino; devono essere capaci di abbandonare l’amarezza o la rabbia prolungata. (…). Per camminare sul sentiero della spiritualità dobbiamo essere svuotati, e naturalmente è il camminare stesso che compie un sorprendente svuotamento.

(…). Ogni sentiero è una via di solidarietà, una via di condivisione della bellezza con gli altri che si trovano in cammino, e riguarda anche la condivisione del dolore e della lotta con tutti gli altri che sono in cammino.

Ciò che è comune a tutti i sentieri spirituali è, ovviamente, lo Spirito: il respiro, la vita, l’energia. È per questo che tutti i sentieri sono, essenzialmente, uno solo, perché c’è un solo Spirito, un solo respiro, una sola vita, una sola energia in tutto l’universo. Esso non appartiene a nessuno di noi perché appartiene a tutti. Tutti ne partecipiamo. La spiritualità non ci rende oltremondani, ci rende più pienamente vivi. Il sentiero che prende la spiritualità è un sentiero che lascia la superficialità per inoltrarsi nelle profondità; lascia la “persona esteriore” per entrare nella “persona interiore”; lascia il privato e l’individualistico per inoltrarsi in ciò che è profondamente comunitario. (…). 

La spiritualità del creato, un sentiero che decidiamo di intraprendere in quanto distinto da altri sentieri che ci vengono offerti, inizia dalla creazione e dal cosmo. Soltanto più tardi giunge alla storia umana, che a questo punto ci attrae come un gioiello incastonato nel vasto dramma della creazione stessa. Non ci può essere un’antropologia senza una cosmologia. L’essere umano non esiste senza le stelle. La storia umana non può essere separata dalla storia planetaria, dalla storia galattica, e da tutta la storia del creato che continua a svilupparsi. Gli elementi del nostro corpo, le sensazioni di tristezza e di dolore che proviamo e quelle di estasi e di gioia, che sono vaste e cosmiche, tutto questo è parte della storia e delle dimensioni dell’universo. Noi abbiamo dimensioni galattiche.

Una prova di queste nostre dimensioni si trova non solo nel fatto che siamo capaci di apprendere le enormi dimensioni dell’universo in cui viviamo, fatto di un miliardo di galassie, ma anche nel fatto che oggi sappiamo che era necessario che l’universo esistesse per 15 miliardi di anni e che si espandesse tanto da contenere un miliardo di galassie perché apparisse la nostra specie. Come lo sappiamo? Perché lo spazio e il tempo si sono evoluti insieme, e se la sequenza temporale è stata essenziale perché noi potessimo apparire, questo deve essere vero anche per le dimensioni spaziali dell’universo.

anche M. Fox dice la sua sul dialogo di papa Francesco coi laici

abbracio papale

anche M. Fox dice la sua sul nuovo taglio che papa Francesco sta dando alla chiesa cattolica

Il dialogo e la verità da vivere
di Matthew Fox
“la Repubblica” del 2 ottobre 2013

È un piacere poter prendere parte all’importante dialogo ispirato dallo scambio di lettere tra Eugenio Scalfari e papa Francesco. Nel corso del lavoro preparatorio per il mio libro Lettere a papa Francesco ho letto il libro che riporta le conversazioni tra Bergoglio e il rabbino argentino (e scienziato) Skorka, per cui so bene quanta importanza attribuisca il nuovo pontefice al dialogo e a un profondo scambio di idee, e soprattutto quanto sia «vulnerabile» all’ascolto attento e all’apprendimento. È questa, a mio parere, la chiave del dialogo: parlare e ascoltare per imparare, non semplicemente per «segnare dei punti». È questo che fa di papa Francesco, una boccata d’ossigeno dopo trentaquattro anni di papi che sembravano più inclini a dettare le risposte e anche le domande, senza dare quasi mai la sensazione di avere qualcosa da imparare. La modestia del pontefice attuale è palese non solo dal suo rifiuto di trasferirsi nei palazzi pontifici, ma anche dalla sua disponibilità a prendere la penna in mano e rispondere con sincerità, dal profondo del cuore, alle domande poste da Scalfari. Papa Francesco, come molti gesuiti, conserva la smania di apprendere, e questo per me è motivo di lode. Sono i saccenti, che avvolgono tutte le loro risposte in dogmi rigidi e congelati e domande preconfezionate, che tradiscono il significato più profondo e lo spirito di avventura che una religione sana dovrebbe avere.

La verità, che la si apprenda da una persona che si autodefinisce «atea», o «laicista», o «credente », o «agnostica», o «non credente», non è vincolata a un’unica espressione. Quello che conta nel dialogo è quella parte di verità che impariamo gli uni dagli altri. La verità è qualcosa che viviamo, non qualcosa che congeliamo in dogmi e credenze liofilizzati. E poiché la viviamo, siamo in grado, a prescindere dalla nostra ideologia, di provare un’ammirazione comune per persone che ci hanno mostrato, attraverso la vita che hanno vissuto, la verità della giustizia, della bellezza, della gioia o della generosità.
La domanda diventa: in che genere di Dio crediamo? Che genere di Dio rifiutiamo? Cantiamo le lodi di un Dio del Controllo e degli imperi? O di un Dio dei poveri e di chi non ha voce? Un Dio del razzismo, del sessismo, dell’omofobia o dell’antropocentrismo, oppure un Dio della Condivisione, dei poveri, della giustizia razziale. Voglio proporre qualche altro genere di Divinità che vale la pena di venerare.

La Divinità apofatica è il Dio del silenzio, della contemplazione, dell’ascolto attento, del niente più proiezioni, il Dio che è «oscurità sovraessenziale, che non ha nome e non avrà mai nome» (Eckhart). Questo Dio ci insegna a tacere, ad apprezzare il silenzio e ad andare in profondità, e a non presumere più che chiunque di noi conosca la grandezza di Dio. In questo modo ci aiuta a placare il cervello rettile (sì, la «bestia» che è in tutti noi) lasciando spazio alla nostra intelligenza più recente, la Compassione.

Un’altra dimensione della Divinità su cui vale la pena dialogare è quella della Luce. Con la scienza che oggi ci insegna che «la materia è luce congelata » (parole del fisico David Bohm), possiamo fare piazza pulita del pericoloso dualismo tra materia e spirito, perché lo Spirito in tutte le culture del pianeta è definito come «Luce » (vedi il Buddha – «Sii una luce per te stesso» – e il Cristo – «Io sono la luce del mondo»), ma la materia secondo la scienza odierna incorpora la luce. L’incarnazione dello spirito è ovunque, anche nella materia in tutte le sue dimensioni. Vale la pena discuterne e dialogarne.

Naturalmente, l’insegnamento che Dio è Giustizia (Tommaso d’Aquino: «Dio è giustissimo») è un terreno comune, in questo momento critico della storia della Terra e dell’umanità, dove tantissime cose sono messe a rischio dai cambiamenti climatici e da sistemi economici che favoriscono i ricchi e rendono i poveri più numerosi e più poveri. La giustizia ecologica, la giustizia di genere, la giustizia economica: sono tutti nomi di lavoro per Dio, il Dio della giustizia. Quanto alla giustizia ecologica, il poeta Bill Everson commenta che «la maggioranza della gente conosce Dio nella natura o non lo conosce affatto». La natura è sacra. Dio è dentro la natura, non al di sopra o al di là di essa. È questo che significa lo spirito; è questo, sicuramente, che significa l’Incarnazione.

Sono stato felice di leggere Enzo Bianchi, nel suo contributo a questo scambio, parlare di Dio in quanto Vita e di come «ognuno di noi sia uno specialista, un esperto della vita». Dio è intrinseco alla natura e alla storia, alla materia e alla vita, perché la vita è sempre qualcosa di nuovo, qualcosa di meraviglioso, qualcosa di straordinario, qualcosa di bello.
Un modo utile per definire attraverso il linguaggio le nostre esperienze del Dio in quanto Vita è dare nome al dispiegarsi e svelarsi (la rivelazione) del Dio in quanto Vita come la Via Positiva (le nostre esperienze di sgomento, meraviglia, gioia, bellezza), la Via Negativa (le nostre esperienze di silenzio, oscurità e anche dolore, sofferenza e cuore spezzato), la Via Creativa (l’impeto di co-creazione e ceatività, e lo sgomento che si genera in questo processo) e la Via Trasformativa (l’opera di giustizia, compassione, guarigione e clebrazione). Dio non è un sostantivo. Dio è un verbo. Se non sperimentiamo queste dimensioni della Divinità siamo destinati a parlare soltanto e non agire: solo parole e niente cammino.

Voglio proporre alcuni modi per tenere vivo questo importante dialogo e celebrare la vita in tutte le sue variazioni e meravigliose dimensioni, e gli aspetti Sacri legati a tutto questo. Sì, siamo in parte «bestia» e la nostra avidità, la nostra brama di potere, la nostra invidia, la nostra capacità di odiare parlano alle nostre ombre e alla nostra necessità di autoesaminarci e cercare assistenza nella psicologia, oltre che nella religione, per guarire e trovare perdono e cambiare nel profondo.
Dialoghiamo fra noi e impariamo le lezioni profonde e spesso antiche dei nostri antenati: possiamo innalzarci al di sopra del nostro cervello rettile e dare corpo al nostro cervello mammifero, che è compassionevole. Non mi dite qual è l’ideologia di cui vi ammantate. Ditemi piuttosto quale contributo date alla Vita, la Vita Sacra. Questo è il tipo di dialogo che cerco.

(Traduzione di Fabio Galimberti)

Matthew Fox interviene nel dialogo fra papa Francesco e E. Scalfari

dialogo e la verità da vivere

di Matthew Fox
in “la Repubblica” del 2 ottobre 2013

È un piacere poter prendere parte all’importante dialogo ispirato dallo scambio di lettere tra Eugenio Scalfari e papa Francesco. Nel corso del lavoro preparatorio per il mio libro Lettere a papa Francesco ho letto il libro che riporta le conversazioni tra Bergoglio e il rabbino argentino (e scienziato) Skorka, per cui so bene quanta importanza attribuisca il nuovo pontefice al dialogo e a un profondo scambio di idee, e soprattutto quanto sia «vulnerabile» all’ascolto attento e all’apprendimento. È questa, a mio parere, la chiave del dialogo: parlare e ascoltare per imparare, non semplicemente per «segnare dei punti». È questo che fa di papa Francesco una boccata d’ossigeno dopo trentaquattro anni di papi che sembravano più inclini a dettare le risposte e anche le domande, senza dare quasi mai la sensazione di avere qualcosa da imparare. La modestia del pontefice attuale è palese non solo dal suo rifiuto di trasferirsi nei palazzi pontifici, ma anche dalla sua disponibilità a prendere la penna in mano e rispondere con sincerità, dal profondo del cuore, alle domande poste da Scalfari. Papa Francesco, come molti gesuiti, conserva la smania di apprendere, e questo per me è motivo di lode. Sono i saccenti, che avvolgono tutte le loro risposte in dogmi rigidi e congelati e domande preconfezionate, che tradiscono il significato più profondo e lo spirito di avventura che una religione sana dovrebbe avere. La verità, che la si apprenda da una persona che si autodefinisce «atea», o «laicista», o «credente », o «agnostica», o «non credente», non è vincolata a un’unica espressione. Quello che conta nel dialogo è quella parte di verità che impariamo gli uni dagli altri. La verità è qualcosa che viviamo, non qualcosa che congeliamo in dogmi e credenze liofilizzati. E poiché la viviamo, siamo in grado, a prescindere dalla nostra ideologia, di provare un’ammirazione comune per persone che ci hanno mostrato, attraverso la vita che hanno vissuto, la verità della giustizia, della bellezza, della gioia o della generosità. La domanda diventa: in che genere di Dio crediamo? Che genere di Dio rifiutiamo? Cantiamo le lodi di un Dio del Controllo e degli imperi? O di un Dio dei poveri e di chi non ha voce? Un Dio del razzismo, del sessismo, dell’omofobia o dell’antropocentrismo, oppure un Dio della Condivisione, dei poveri, della giustizia razziale. Voglio proporre qualche altro genere di Divinità che vale la pena di venerare. La Divinità apofatica è il Dio del silenzio, della contemplazione, dell’ascolto attento, del niente più proiezioni, il Dio che è «oscurità sovraessenziale, che non ha nome e non avrà mai nome» (Eckhart). Questo Dio ci insegna a tacere, ad apprezzare il silenzio e ad andare in profondità, e a non presumere più che chiunque di noi conosca la grandezza di Dio. In questo modo ci aiuta a placare il cervello rettile (sì, la «bestia» che è in tutti noi) lasciando spazio alla nostra intelligenza più recente, la Compassione. Un’altra dimensione della Divinità su cui vale la pena dialogare è quella della Luce. Con la scienza che oggi ci insegna che «la materia è luce congelata » (parole del fisico David Bohm), possiamo fare piazza pulita del pericoloso dualismo tra materia e spirito, perché lo Spirito in tutte le culture del pianeta è definito come «Luce » (vedi il Buddha – «Sii una luce per te stesso» – e il Cristo – «Io sono la luce del mondo»), ma la materia secondo la scienza odierna incorpora la luce. L’incarnazione dello spirito è ovunque, anche nella materia in tutte le sue dimensioni. Vale la pena discuterne e dialogarne. Naturalmente, l’insegnamento che Dio è Giustizia (Tommaso d’Aquino: «Dio è giustissimo») è un terreno comune, in questo momento critico della storia della Terra e dell’umanità, dove tantissime cose sono messe a rischio dai cambiamenti climatici e da sistemi economici che favoriscono i ricchi e rendono i poveri più numerosi e più poveri. La giustizia ecologica, la giustizia di genere, la giustizia economica: sono tutti nomi di lavoro per Dio, il Dio della giustizia. Quanto alla giustizia ecologica, il poeta Bill Everson commenta che «la maggioranza della gente conosce Dio nella
natura o non lo conosce affatto». La natura è sacra. Dio è dentro la natura, non al di sopra o al di là di essa. È questo che significa lo spirito; è questo, sicuramente, che significa l’Incarnazione. Sono stato felice di leggere Enzo Bianchi, nel suo contributo a questo scambio, parlare di Dio in quanto Vita e di come «ognuno di noi sia uno specialista, un esperto della vita». Dio è intrinseco alla natura e alla storia, alla materia e alla vita, perché la vita è sempre qualcosa di nuovo, qualcosa di meraviglioso, qualcosa di straordinario, qualcosa di bello. Un modo utile per definire attraverso il linguaggio le nostre esperienze del Dio in quanto Vita è dare nome al dispiegarsi e svelarsi (la rivelazione) del Dio in quanto Vita come la Via Positiva (le nostre esperienze di sgomento, meraviglia, gioia, bellezza), la Via Negativa (le nostre esperienze di silenzio, oscurità e anche dolore, sofferenza e cuore spezzato), la Via Creativa (l’impeto di co- creazione e creatività, e lo sgomento che si genera in questo processo) e la Via Trasformativa (l’opera di giustizia, compassione, guarigione e celebrazione). Dio non è un sostantivo. Dio è un verbo. Se non sperimentiamo queste dimensioni della Divinità siamo destinati a parlare soltanto e non agire: solo parole e niente cammino. Voglio proporre alcuni modi per tenere vivo questo importante dialogo e celebrare la vita in tutte le sue variazioni e meravigliose dimensioni, e gli aspetti Sacri legati a tutto questo. Sì, siamo in parte «bestia» e la nostra avidità, la nostra brama di potere, la nostra invidia, la nostra capacità di odiare parlano alle nostre ombre e alla nostra necessità di autoesaminarci e cercare assistenza nella psicologia, oltre che nella religione, per guarire e trovare perdono e cambiare nel profondo. Dialoghiamo fra noi e impariamo le lezioni profonde e spesso antiche dei nostri antenati: possiamo innalzarci al di sopra del nostro cervello rettile e dare corpo al nostro cervello mammifero, che è compassionevole. Non mi dite qual è l’ideologia di cui vi ammantate. Ditemi piuttosto quale contributo date alla Vita, la Vita Sacra. Questo è il tipo di dialogo che cerco.
Matthew Fox è l’autore di “In principio era la gioia”, Creatività e, di prossima pubblicazione, “Lettere a Papa Francesco”, entrambi di Fazi Editore. (Traduzione di Fabio Galimberti)

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