il commento al vangelo della domenica

RAGAZZO, DICO A TE, ALZATI!  

commento al vangelo della domenica decima del tempo ordinario (5 giugno 2016) di p. Alberto Maggi:

maggi20

Lc 7,11-17

In quel tempo, Gesù si recò in una città chiamata Nain, e con lui camminavano i suoi discepoli e una grande folla.  Quando fu vicino alla porta della città, ecco, veniva portato alla tomba un morto, unico figlio di una madre rimasta vedova; e molta gente della città era con lei. 
Vedendola, il Signore fu preso da grande compassione per lei e le disse: «Non piangere!». Si avvicinò e toccò la bara, mentre i portatori si fermarono. Poi disse: «Ragazzo, dico a te, àlzati!». Il morto si mise seduto e cominciò a parlare. Ed egli lo restituì a sua madre.  Tutti furono presi da timore e glorificavano Dio, dicendo: «Un grande profeta è sorto tra noi», e: «Dio ha visitato il suo popolo». 
Questa fama di lui si diffuse per tutta quanta la Giudea e in tutta la regione circostante.  

L’episodio che ora leggiamo e commentiamo lo troviamo soltanto nel vangelo di Luca. E’ assente negli altri vangeli. Eppure è un caso clamoroso, un caso sensazionale. Vediamo cosa ci scrive l’evangelista. In seguito si recò in una città chiamata Nain.  Nain è una cittadina che si trova 10 chilometri a sud di Nazaret, una cittadina piccolina, che non appare mai nei libri della Bibbia, nell’Antico Testamento. 
Il suo nome probabilmente ha un’etimologia popolare e indica “la graziosa”, ciò che è grazioso. Facevano la strada con lui i discepoli e grande folla. Quindi l’evangelista ci presenta questo corteo di Gesù che si avvia verso questa città seguito dai discepoli e una grande folla. Ebbene come contrasto l’evangelista un altro corteo. Quindi Gesù con i suoi discepoli e la folla si avvia verso la città, ma dalla città ecco che esce un altro corteo, un corteo di morte.
L’evangelista presenta la contraddizione tra questi due cortei. Infatti quando fu vicino alla porta della città, (era una città con mura), ecco, veniva portato al sepolcro un morto, figlio unico di madre vedova; E’ una tragedia assoluta, a una madre che è vedova muore il figlio unico significa che non ha più nessun maschio che possa provvedere a lei, nessun uomo che possa provvedere al suo sostentamento, alla sua economia, alla sua stessa vita.   
Quindi non è soltanto la morte del figlio, ma è in pericolo anche la vita della stessa madre. E molta gente della città era con lei. L’evangelista, scrivendo questo episodio, ha senz’altro in mente un famoso episodio che troviamo nel primo libro dei Re, quando il profeta Elìa resuscita il figlio defunto della vedova Sarepta. 
Vedendola, il Signore ne ebbe compassione. E’ per la prima volta che nel vangelo di Luca appare questa espressione “vedere e avere compassione” che è esclusiva di Dio. Mentre nel linguaggio ebraico gli uomini hanno misericordia, è esclusivo di Dio avere compassione perché avere compassione significa comunicare un’energia di vita, restituire vita a chi vita non ce l’ha.
Tre volte appare quest’espressione della compassione nel vangelo di Luca, la prima volta è qui, la seconda nella parabola del Samaritano, quando il Samaritano, vedendo il malcapitato ne ebbe compassione. Quindi Gesù attribuisce a quest’uomo, ritenuto il più lontano da Dio, gli stessi sentimenti e azioni divine. E, infine, l’ultima volta nella parabola del figliol prodigo quando il padre vede il figlio e ne ha compassione, quel figlio che era pianto come morto il padre gli restituisce la vita.
Le disse: «Non piangere!». E, accostatosi… Qui c’è’ un particolare che sorprende… Toccò la bara. Perché Gesù ha toccato la bara? Non era necessario. Per l’azione che lui fa … Leggiamo Mentre i portatori si fermarono. Poi disse: «Giovinetto, dico a te, alzati!». Gesù poteva usare quest’espressione senza bisogno di toccare la bara. Poteva semplicemente dire: “Giovinetto, dico a te àlzati!” Perché Gesù ha toccato la bara? Perché era proibito. 
Se uno tocca il luogo del morto diventa impuro. Quindi secondo il libro dei Numeri, al capitolo 19, versetti 11-16, è proibito toccare una bara.
Allora qual è il significato che ci dà l’evangelista? Che la trasgressione della legge a quel tempo si riteneva causasse la morte degli individui, per Gesù la trasgressione della legge è quello che invece che causa la vita. Ecco perché l’evangelista ci presenta questo Gesù che trasgredisce la legge toccando la bara, e non era necessario.
«Giovinetto, dico a te, àlzati!». Ed è un imperativo quello che Gesù adopera. Il morto si levò a sedere e cominciò a parlare. Il parlare indica una prova certa del ritorno in vita. Ed egli lo diede alla madre.  Qui l’azione che l’evangelista ci presenta non è tanto quella rivolta da Gesù verso il figlioletto, ma quanto rivolta verso la madre. E’ la madre che con la morte di questo figlio aveva perso ogni speranza di vita.
I personaggi sono anonimi e quando nel vangelo i personaggi sono anonimi significa che sono rappresentativi. Attraverso questo episodio l’evangelista non ci illustra un semplice fatto di cronaca, ma una verità molto più profonda. Chi è questa madre che non ha più speranze perché l’unico figlio è morto? E’ il popolo di Israele. Il popolo di Israele che si trova ormai senza speranza. Ebbene Gesù è colui che può risuscitare la vita e la speranza in questo popolo. 
Vediamo la reazione delle persone. Tutti furono presi da timore (c’è in corso un’azione divina) e glorificavano Dio, dicendo: «Un grande profeta è sorto tra noi». Perché questa esclamazione? Perché si credeva che non esistessero più profeti. Dio era talmente arrabbiato, talmente offeso, talmente irato con il suo popolo, che non c’erano più i profeti, coloro che ne comunicavano i voleri, la volontà. 
C’è un salmo, il salmo 74 che a versetto 9 recita: Non ci sono più profeti e tra noi nessuno sa fino a quando. Quindi era il lamento del popolo. Ebbene vedono che la comunicazione tra Dio e l’umanità attraverso Gesù è ripresa. Ecco perché riconoscono Gesù non solo come un profeta, ma come un grande profeta. Non solo annunzia la volontà di Dio, ma comunica la stessa vita divina. 
E: «Dio ha visitato il suo popolo». All’inizio del suo vangelo nel cantico di Zaccaria, nel Benedetto, si era scritto che Dio aveva visitato e redento il suo popolo. Allora qui la gente comprende che questa visita di Dio attraverso Gesù al suo popolo è per portarlo alla piena liberazione. E conclude l’evangelista: 
La fama di questi fatti (letteralmente di questo messaggio). E qual è questo messaggio? Che in Gesù si può ritrovare la speranza di vita. In Gesù si può ritrovare la certezza di un futuro. Gesù ha assicurato l’avvenire a questa famiglia e a questa vedova.
La fama di questi fatti si diffuse in tutta la Giudea e per tutta la regione. La comunicazione di vita che Gesù ha fatto al figlio di questa vedova, e che va interpretata proprio come la speranza di vita che Gesù ha fatto a tutto il popolo, dilaga in tutto Israele.

 

il commento al vangelo della domenica

TUTTI MANGIARONO A SAZIETA’  

commento al vangelo della domenica del ‘corpus Domini’ (29 maggio 2016) di p. Alberto Maggi:

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Lc 9,11-17

In quel tempo, Gesù prese a parlare alle folle del regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure.
Il giorno cominciava a declinare e i Dodici gli si avvicinarono dicendo: «Congeda la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo: qui siamo in una zona deserta».
Gesù disse loro: «Voi stessi date loro da mangiare». Ma essi risposero: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente». C’erano infatti circa cinquemila uomini.
Egli disse ai suoi discepoli: «Fateli sedere a gruppi di cinquanta circa». Fecero così e li fecero sedere tutti quanti.
Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla.
Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste.

Nella solennità del SS Corpo e Sangue di Cristo la liturgia ci presenta l’evangelista Luca al capitolo 9, versetti 11-17. Gesù con i suoi discepoli si è ritirato a Betsaida, fuori dal territorio Giudeo. Ma le folle vennero a saperlo e lo seguirono. Le folle si sentono attratte da Gesù perché sentono nel suo messaggio la risposta di Dio al bisogno di pienezza che ogni persona si porta dentro.
Egli le accolse e prese a parlare loro del Regno di Dio. Gesù non parla loro del regno di Israele, Gesù non è venuto a restaurare il regno di Israele, ma ad inaugurare il regno di Dio, un regno senza confini perché l’amore di Dio non tollera nessuna barriera.
E a guarire quanti avevano bisogno di cure. Ecco di fronte al male, di fronte alle malattie, Gesù non ha parole di consolazione, ma azioni che curano, che eliminano questo male. Questo è un effetto del regno di Dio. Nel regno di Dio il bene e il benessere dell’uomo sono al primo posto.
Il giorno cominciava a declinare e i Dodici gli si avvicinarono.  L’evangelista sottolinea una differenza. Mentre le folle seguono Gesù – e Gesù aveva invitato i suoi discepoli, i dodici, a seguirlo – i dodici gli sono lontani, tengono quasi un distanza di sicurezza, gli si devono avvicinare, ma gli si avvicinano per un motivo che è negativo … Dicendo … “ E l’evangelista adopera un verbo all’imperativo, quindi comanda quasi a Gesù: “Congeda (cioè manda via) la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo: qui siamo in una zona deserta”.
I dodici trattano Gesù quasi da sprovveduto come se non sapesse che era in una zona deserta, che non c’era da mangiare, quindi la loro preoccupazione è mandare via la gente. Non si dice che la gente si fosse stancata di ascoltare l’insegnamento di Gesù, sono i discepoli che pensano soltanto a se stessi.
Gesù disse loro: “Voi stessi date loro da mangiare”. Letteralmente l’evangelista scrive: “Date voi stessi da mangiare”. Il significato è duplice. Oltre a quello ovvio “procurate voi stessi da mangiare” c’è il significato “datevi voi da mangiare”. L’evangelista sta qui anticipando quello che sarà il significato dell’eucaristia, dove Gesù, il figlio di Dio, si fa pane, alimento di vita, perché quanti lo accolgono, lo mangiano e lo assimilano, siano poi capaci a loro volta di farsi pane, alimento di vita per gli altri.
Ecco però l’obiezione dei dodici.  Ma essi risposero: “Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare …” C’è un contrasto tra l’invito di Gesù “date”, cioè “condividete”, e la mentalità dei discepoli, “comprare”. Ancora non hanno compreso il messaggio di Gesù, della condivisione. “… viveri per tutta questa gente”, letteralmente popolo, ed è un termine dispregiativo. Gli apostoli vedono quasi con fastidio tutta questa folla che segue Gesù.
C’erano infatti circa cinquemila uomini. Perché questo numero? Perché la primitiva comunità cristiana, secondo gli Atti degli Apostoli, era composta da circa cinquemila persone. Allora l’evangelista vuole dire che questa è l’azione che costituisce la comunità.
Egli disse ai suoi discepoli: “Fateli sedere”. Mentre gli apostoli hanno usato l’imperativo “Mandali via, congedali”, Gesù risponde con un altro imperativo contrario: “Fateli sedere”, letteralmente sdraiare. Nei pranzi festivi, nei pranzi solenni, si mangiava sdraiati su dei lettucci, ma chi poteva mangiare così? I signori quelli che avevano dei servi che provvedevano a loro. Allora Gesù chiede alla comunità dei discepoli di far sì che i presenti si sentano come dei signori perché loro si mettono al loro servizio.
“A gruppi di cinquanta circa”. In questo brano del vangelo ci sono molti numeri. I numeri della Bibbia hanno sempre un significato figurato, simbolico, mai matematico o aritmetico.  Cinquanta è l’azione dello Spirito. Pentecoste è il cinquantesimo giorno, quindi cinquanta e i suoi multipli indicano l’azione dello Spirito. 
 Fecero così e li fecero sedere tutti quanti. Quindi tutti i partecipanti a questa azione vengono trattati come dei signori. E qui l’evangelista anticipa quelli che saranno i gesti di Gesù nell’ultima cena.
Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, (in comunione con Dio) recitò su di essi la benedizione, … rendere grazie, far comprendere che non si possiede più questo pane e questi pesci ma che sono un dono di Dio e i doni di Dio vanno condivisi per moltiplicare gli effetti della sua azione creatrice.
Li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla. I discepoli non sono i padroni, i proprietari di questo pane, ma sono servi il cui compito è distribuire questo pane alla folla. Non sta a loro decidere chi è degno e chi no di prendere questo pane, di partecipare o no a questa mensa, il loro compito è soltanto quello di distribuire.
Risalta l’omissione di un rito molto importante nel pasto giudaico: la purificazione. Perché Gesù non chiede alla folla di purificarsi per essere degna di mangiare questo pranzo? L’evangelista anticipa quella che è la grande novità di Gesù: mentre la religione insegna che l’uomo deve purificarsi per essere degno di accogliere il Signore, con Gesù è accogliere il Signore quello che lo purifica e lo rende degno di lui.
Conclude l’evangelista: Tutti mangiarono a sazietà. Quando si condivide c’è l’abbondanza per tutti.
 E furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste. E’ l’ultimo dei numeri apparso in questo vangelo. Perché dodici? Dodici è il numero delle tribù che compongono Israele. L’evangelista vuole dire che attraverso la condivisione dei pani si risolve il problema della fame. Fintanto che le persone accaparrano per sé, trattengono per sé, c’è l’ingiustizia e c’è la fame, quando quello che si ha non si considera come esclusivamente proprio ma lo si condivide per moltiplicare l’azione creatrice del Padre, si crea sazietà e abbondanza.

il commento al vangelo della domenica

TUTTO QUELLO CHE IL PADRE POSSIEDE E’ MIO

LO SPIRITO PRENDERA’ DEL MIO E VE LO ANNUNCERA’

commento al vangelo della domenica della ss. Trinità (22 maggio 2016) di p. Alberto Maggi:

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Gv 16,12-15

In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli:   «Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso.  Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future.  Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà».

Per la festa della Trinità la liturgia ci propone il vangelo di Giovanni, capitolo 16 dai versetti 12 al 15. Scrive l’evangelista: In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: “Molte cose…”, letteralmente “molto”, “ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso.”
Cosa vuol dire Gesù? Che può comprendere il suo messaggio solo chi come lui è pronto al dono della vita. I discepoli ancora non sono capaci di donare la vita per gli altri. Questo vale anche per tutta la comunità dei credenti, per la crescita dei seguaci di Gesù. Si comprende il suo messaggio soltanto nella misura in cui si innalza il proprio livello d’amore, non verso Dio, ma verso gli altri.
Tanto più è l’amore verso gli altri tanto più è la comunicazione divina verso l’uomo. Ma è importante qui l’evangelista scrive: “ho ancora da dirvi”, cioè Gesù parla, parla realmente. Questo era tanto vero che nelle primitive comunità c’era per esempio Sant’Ignazio che nella lettera agli Efesini scrive “voi non fate caso a nessuno se non a Gesù messia che continua a parlare realmente”. Gesù continua a parlare. Continua a parlare nella liturgia eucaristica, continua a parlare attraverso i suoi profeti, occorrono orecchie e cuori che lo ascoltino.
E continua Gesù: “Quando verrà lui, lo Spirito della verità…”. Questa verità viene nominata per ben tre volte. “… Vi guiderà a tutta la verità”. Lo Spirito Santo viene chiamato lo spirito della verità e guida a tutta la verità. Il tema della verità è molto caro all’evangelista. Gesù nella risposta a uno dei discepoli, a Tommaso, aveva detto: “Io sono la via, la verità e la vita”. Gesù è la verità, non ha la verità. Ed è importante.
Che cos’è questa verità nel vangelo? Non è una dottrina che si possiede, perché chi ha la verità, chi possiede una dottrina, inevitabilmente si separa da chi non la pensa come lui e si ritiene in diritto di giudicarlo. Questa verità si è e si fa.
E cosa significa essere e fare la verità? La verità non si esprime attraverso formule dottrinali, ma attraverso azioni con le quali si comunica vita gli altri. Essere nella verità significa essere in piena sintonia con il dinamismo d’amore del creatore, che ha cura della vita delle sue creature. “Vi guiderà a tutta la verità perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future.”
Cosa significa questo annunzio di cose future? Non è una nuova relazione di Dio da parte dello Spirito, ma l’attualizzazione dell’unico stesso identico messaggio di Gesù in modi e forme nuovi per tutta la comunità.
La comunità cambia, la comunità muta, cresce, sorgono nuove necessità, sorgono nuovi problemi, ebbene l’azione dello Spirito farà comprendere, grazie al messaggio di Gesù, come andare incontro a questi bisogni. Quindi la garanzia dello Spirito presente nella comunità è che di fronte alle nuove esigenze, ai nuovi bisogni della comunità, si troveranno sempre nuove risposte. Non si devono dare le risposte vecchie, bisogna sempre essere capaci, grazie al messaggio di Gesù, l’unico messaggio di Gesù, di dare nuove risposte.
“Egli mi glorificherà”. Glorificare significa rendere ogni volta sempre più evidente l’amore di Gesù per i suoi. “Perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà”. Quindi non un nuovo messaggio, ma la comprensione dello stesso. “Tutto quello che il Padre possiede è mio”. Quello che Gesù e il Padre possiedono è lo Spirito, la pienezza d’amore.
“Per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà”. E il verbo annunziare è ripetuto per tre volte. Il significato di questo brano molto importante è che quello che è Dio e quello che è l’uomo non può essere conosciuto se non attraverso gradi di conoscenza e di esperienza sempre più profondi. C’è una di amore ricevuto e amore comunicato: tanto più grande è l’amore comunicato, tanto più grande è la possibilità di ricevere questo amore da parte del Padre.

 

il commento al vangelo della domenica

 

LO SPIRITO SANTO VI INSEGNERA’ OGNI COSA 

commento al vangelo della domenica di Pentecoste (15 maggio 2016) di p. Alberto Maggi 

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Gv 14,15-16.23-26

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre. Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato. Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto».

La festa della Pentecoste segna il passaggio dall’antica alleanza. Infatti del giorno in cui la comunità giudaica celebrava il dono della legge sul monte Sinai a Mosè, proprio in quel giorno irrompe sulla comunità dei credenti in Gesù l’azione dello Spirito. Inizia un rapporto nuovo con Dio. Con Gesù, e con l’azione di questo Spirito, il credente non è più colui che obbedisce a Dio osservando le sue leggi, quelle date da Mosè, ma colui che assomiglia al Padre praticando un amore simile al suo. Ecco il dono dello Spirito. In questo giorno di Pentecoste la liturgia ci presenta il vangelo di Giovanni, capitolo 14, dal versetto 15 e ci sono altri versetti che poi vengono più o meno come aggiustati per dare un testo unitario. Dopo avere reso i discepoli capaci di amare nell’ultima cena attraverso il lavaggio dei piedi, Gesù chiede il loro amore. Scrive l’evangelista: “Se mi amate”… è la prima volta in cui Gesù chiede amore, ma lo fa soltanto dopo aver reso i suoi discepoli capaci di amare. “… osserverete i miei comandamenti”. Gesù nell’ultima cena ha lasciato un unico comandamento. Ha detto: “Vi lascio un comandamento nuovo”,  nuovo non significa aggiunto agli altri, ma di una qualità migliore che sostituisce tutti gli altri. E qual è il comandamento? Che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi”. Quindi c’è un unico comandamento. Come mai ora Gesù dice: “Osserverete i miei comandamenti”? Quindi sono i suoi comandamenti, non quelli di Mosè. C’è un unico comandamento, che è quello dell’amore, la sua manifestazione esterna in tutte le occasioni in cui si esprime, questi sono i comandamenti. Pertanto non sono dei precetti esterni all’uomo, ma manifestazioni esteriori di una profonda realtà interiore. “E io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito”. Questo è un termine greco che è intraducibile nella nostra lingua. Nella precedente edizione della CEI si era tentato di tradurlo in maniera errata, inesatta, con “consolatore”, che proprio non rende. Infatti si ritorna al termine greco “Vi darà un altro Paràclito”. Che cos’è il paraclito? Il paraclito è una persona che viene chiamata in aiuto. Allora si può tradurre in vari modi, ma ognuno di questi non rende in pienezza il termine greco. Si può tradurre forse con “soccorritore”, è quello che più si avvicina. Sarebbe il patrocinatore in tribunale, cioè l’avvocato difensore, l’intercessore. E comunque paraclito non è un nome, ma una funzione, che è l’azione dello Spirito. Quindi traduciamo in maniera comprensibile con “soccorritore”, colui che viene in soccorso. Ma con una differenza. Mentre paraclito è colui che viene chiamato in soccorso, questa azione del paraclito, dello Spirito nella comunità cristiana avviene affinché “rimanga per sempre”. Cioè la presenza dello Spirito non è dovuta a situazioni di pericolo, ma è costante. Questa la garanzia che ha la comunità di Gesù, che Dio non viene incontro nei momenti di bisogno o di necessità, nei momenti di sofferenza della comunità, ma Dio è sempre presente e anticipa la sua azione. Quindi l’azione del soccorritore non si realizza soltanto quando viene invocato, quando viene chiamato, ma è costante e presente nella comunità. E continua Gesù: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui”. L’evangelista nel Prologo aveva scritto che il Verbo aveva messo la sua tenda fra noi. Ora Gesù lo realizza. Quando c’è questa comunità d’amore, quando questo amore ricevuto da Dio si comunica in amore ai fratelli, dice Gesù “Il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui”. L’uomo diventa l’unico vero santuario dal quale si irradia e si manifesta l’amore, la compassione, la misericordia del Padre. Il Dio di Gesù non è un Dio che chiede offerte, ma è lui che si offre all’uomo, chiede di essere accolto nella sua vita, per dilatare la sua capacità d’amare, e renderlo l’unico vero santuario. E’ importante questa dichiarazione di Gesù. Dio non si trova più nel tempio, un tempio dove le persone dovevano andare sottoponendosi a determinati riti di purificazione, un tempio dove alcune persone non potevano mettere piede perché si ritenevano escluse, ebbene questa funzione del nuovo tempio che è la persona, la comunità dei credenti in Gesù, avrà proprio come orientamento di andare verso gli esclusi, verso gli emarginati, verso i rifiutati. Quelli che non hanno potuto avere accesso al tempio ora saranno il tempio di Dio che andrà verso di loro. E continua Gesù: “Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato.”

 La parola del Padre è una parola che ha un’energia e una forza creatrice. Quindi è l’accoglienza di questa parola che fa fiorire la vita nella comunità. E conclude Gesù: “Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi.” Siamo verso la fine, fra poco Gesù sarà arrestato, ma ecco che torna di nuovo questo termine Paraclito. “Ma il Paràclito, lo Spirito Santo”. Per la prima volta Gesù lo chiama “santo”, che non indica soltanto la qualità eccelsa di questo Spirito, ma l’attività, quella di santificare, cioè di separare chi lo accoglie dalla sfera del male per attrarlo e condurlo alla sfera del bene. “Che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto”. Non è un nuovo messaggio, ma una più ampia comprensione del messaggio di Gesù. L’azione e la presenza dello Spirito Santo nella comunità le darà la capacità di offrire sempre nuove risposte di fronte ai nuovi bisogni delle persone.

il commento al vangelo della domenica

ASCENSIONE DEL SIGNORE

 8 maggio 2016

MENTRE LI BENEDICEVA VENIVA PORTATO VERSO IL CIELO

 commento al vangelo della domenica dell’Ascensione (8 maggio 2016) di p. Alberto Maggi:

p. MaggiLc 24,46-53

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni. Ed ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto». Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo. Ed essi si prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia e stavano sempre nel tempio lodando Dio.

Per comprendere la festa liturgica dell’Ascensione bisogna rifarsi alla cultura dell’epoca, alla cosmologia, com’era concepito il rapporto tra il cielo e la terra. Dio era lontano dagli uomini e stava in cielo, e gli uomini naturalmente erano sulla terra. Pertanto tutto ciò che proveniva da Dio scendeva dall’alto, scendeva dal cielo, mentre tutto quel che andava verso Dio saliva verso il cielo. Questo è importante per comprendere questo brano, nel quale l’evangelista, con l’Ascensione di Gesù, non vuole indicarci una separazione di Gesù dagli uomini, ma un’unione ancora più intensa. Con l’Ascensione Gesù non si allontana dal mondo, ma si avvicina; la sua non è un’assenza, ma una presenza ancora più intensa. Ma vediamo il brano che la chiesa ha scelto per questa festa. E’ il brano finale del vangelo di Luca, capitolo 24, versetti 46-53, ma partiamo dal 45 perché è importante. E’ la premessa che l’evangelista ci dà e ci indica per comprendere quello che scrive. Infatti Luca scrive: Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture. Per comprendere le scritture non basta leggerle, bisogna che venga aperta la mente, cioè aprirsi verso il nuovo. Chi si rifà a schemi, modelli e formule del passato e non apre la mente per comprendere il nuovo può leggere le scritture, ma non le può comprendere.  E Gesù disse loro: “Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno”. Gesù conferma che il messia, l’inviato da Dio, avrebbe patito e sarebbe risorto per sempre – il numero tre sappiamo che nella cultura ebraica indica quello che è definitivo. Ed ecco il mandato che Gesù dà ai suoi discepoli e ai credenti di tutti i tempi. “E nel suo nome”, nel nome di questo Gesù salvatore, “saranno predicati a tutti i popoli”, il termine adoperato dall’evangelista indica tutte le nazioni pagane, quindi il messaggio di Gesù non è riservato a un popolo, ma è rivolto a tutta l’umanità perché è la realizzazione del disegno d’amore di Dio per la sua creazione. “Saranno predicati a tutti i popoli la conversione”, cioè un cambiamento di mente che comporta un cambio nel comportamento. La conversione nel vangelo ha questo significato: se fino ad ora hai vissuto per te, adesso orienta la tua vita per il bene degli altri. “La conversione per il perdono dei peccati”. Il cambio radicale nel proprio comportamento, dove l’uomo non pensa più a sé, ma pensa agli altri, non pensa ai propri bisogni, ma alle necessità degli altri, questo comporta la cancellazione del peso dei peccati che gravavano sulle sue spalle. E Gesù aggiunge: “Cominciando da Gerusalemme”. Quello che Gesù sta affermando è clamoroso, perché era a Gerusalemme, nel tempio, attraverso sacrifici, offerte e riti, che si concedeva il perdono dei peccati. Con Gesù il ruolo del tempio è concluso, è finito. Il perdono dei peccati non si ha più in un rito, ma nella vita, non attraverso sacrifici o offerte, ma orientando la propria vita per il bene degli altri. E Gesù dice “questo cominciate a farlo proprio da Gerusalemme”, la sede dell’istituzione religiosa dove nel tempio si concedeva il perdono dei peccati in nome di Dio. Ecco la novità, l’apertura che Gesù proclama e che i suoi discepoli devono far conoscere al mondo intero. E poi Gesù annunzia: “Io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso, ma voi restate in città finché non siate rivestiti di potenza dall’alto”. Gesù annunzia la venuta dello Spirito Santo, e questo spirito Luca lo fa coincidere proprio con il giorno in cui la comunità giudaica festeggiava il dono della legge data da Dio a Mosè sul monte Sinai, nel giorno di Pentecoste. Nel mondo in cui la comunità giudaica celebrava e ringraziava per la legge, sulla comunità scende lo spirito, l’amore di Dio. E’ il nuovo orientamento della comunità, la relazione con Dio ora sarà diversa. Il credente, con Gesù, non sarà più colui che obbedisce a Dio osservando la sua legge, ma colui che assomiglia al Padre praticando un amore simile al suo, quindi non più la legge, ma un rapporto d’amore. Poi li condusse … il verbo è lo stesso dell’esodo, quindi deve cominciare questa liberazione da questa istituzione, verso Betania, e alzate le mani, li benediceva, questo particolare è importante perché si rifà al libro dell’Esodo, all’episodio di una guerra, quando Mosè alzava le mani, gli Israeliti vincevano, quindi è un segno di vittoria, quindi non è una sconfitta, ma un segno di vittoria. Si staccò da loro e veniva portato su in cielo. Come abbiamo detto all’inizio l’evangelista adopera il linguaggio culturale della sua epoca, in cui Dio era in alto, per cui tutto ciò che va verso Dio va in alto. L’evangelista vuole dire che in Gesù si manifesta la pienezza della condizione divina. Quell’uomo che le  autorità religiose avevano condannato come bestemmiatore e al quale avevano inflitto la pena riservata ai maledetti da Dio, in realtà era Dio. Chi bestemmiava non era Gesù, ma l’istituzione religiosa che, per il proprio interesse, lo ha assassinato. La conclusione del vangelo di Luca è molto deludente. Infatti scrive: Ed essi si prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia e – sorpresa finale -stavano sempre nel tempio lodando Dio. L’evangelista vuole dire che non avevano capito assolutamente niente. Il tempio, il luogo che per Gesù era quello di massimo pericolo, il luogo che Gesù aveva detto essere un covo di ladri e che sarebbe stato distrutto, per i discepoli è il luogo di massima sicurezza. Ci vorrà la discesa dello Spirito Santo, la potenza di Dio, per farli uscire dal tempio e andare verso l’umanità, verso tutti i popoli pagani, come Gesù aveva loro richiesto.

il commento al vangelo della domenica

 

LO SPIRITO SANTO VI RICORDERA’ TUTTO CIO’ CHE IO VI HO DETTO

 commento al vangelo della sesta domenica di pasqua (1 maggio 2016) di p. Alberto Maggi:

p. Maggi

Gv 14,23-29

In quel tempo, Gesù disse [ ai suoi discepoli ]: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato. Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto. Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore. Avete udito che vi ho detto: “Vado e tornerò da voi”. Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande di me. Ve l’ho detto ora, prima che avvenga, perché, quando avverrà, voi crediate».

Ci sono tre domande poste da tre discepoli a Gesù, il numero tre lo sappiamo che indica quello che è completo – quindi non sono tanto tre discepoli, quanto tutta la comunità che si esprime attraverso di loro. E queste tre domande sono obiezioni, Tommaso che gli chiede “Signore dove vai?” E Gesù risponderà che lui è la via da seguire, Filippo che gli dice: “Mostraci il Padre e ci basta” e Gesù risponderà: “Chi ha visto me ha visto il Padre”, e Giuda (non l’Iscariota ma l’altro discepolo) che gli chiede: “Signore com’è accaduto che devi manifestarti a noi e non al mondo?” E’ una tentazione che gli fa. Giuda vuole che Gesù si manifesti come il messia atteso. Ed ecco in questo brano di questa domenica la risposta di Gesù, una risposta che contiene uno dei vertici del vangelo di Giovanni e un’affermazione che, se compresa, cambia radicalmente il rapporto con Dio e di conseguenza con gli altri. Ascoltiamo cosa ci dice Giovanni. Gli rispose Gesù: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola”, osservare la parola di Gesù significa, come lui, fare della propria vita un dono d’amore a servizio degli altri. Ebbene, la risposta di Dio è: “E il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui.” Questa di Gesù non è una 1 promessa per l’aldilà, ma la risposta del Padre a quanti danno adesione a Gesù. All’inizio del suo vangelo nel Prologo l’evangelista aveva scritto che Dio, questo Verbo, aveva posto la sua tenda fra noi, in noi. Ora Gesù sta dicendo qualcosa di straordinario: a chi lo ama, quindi chi, come lui, orienta la propria vita per il bene degli altri, è oggetto dell’amore del Padre e lui e il Padre vengono in questo individuo e prendono dimora presso di lui. Dio chiede ad ogni persona di essere accolto nella sua vita per fondersi con lui, dilatare la sua capacità d’amare e rendere ogni individuo e ogni comunità l’unico vero santuario dal quale si irradia l’amore misericordioso di Dio. Quindi non c’è più un tempio dove risiede il Signore, ma ogni creatura è il tempio dove Dio si manifesta. Questa affermazione di Gesù ha una grandissima importanza. Per la vita Dio non è qualcosa di esterno, Dio non è un’entità lontana, ma Dio è intimo all’uomo e questo Dio che intimo all’uomo, nel profondo dell’uomo, si manifesta ogniqualvolta l’uomo è più umano. Tanto più l’uomo è umano tanto più manifesta il divino che è in lui. Ma questa affermazione di Gesù non riguarda soltanto la vita dell’individuo, ma anche il passaggio attraverso la morte. Si usa dire che quando muore una persona va in cielo, è tornata alla casa del Padre, no, non si va in cielo perché il cielo è in noi, non si va alla casa del Padre perché noi siamo questa casa. Quindi questa è l’affermazione straordinaria di Gesù. E continua: “Chi non mi ama, non osserva le mie parole”, chi non fa della propria vita un servizio d’amore per il bene degli altri non ha nulla a che vedere con Gesù. “E la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato.” Le autorità tendevano a dividere Gesù dal Padre, e Gesù qui afferma invece che c’è perfetta unità, c’è perfetta sintonia, perché insieme continuano l’azione creatrice nel comunicare vita, nel restituire vita, nell’arricchire la vita degli altri. E continua Gesù: “Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito…” Cos’è questo Paràclito? Nella precedente traduzione della CEI si era preferito tradurre con “consolatore”, ma poi si è visto che questo termine non rendeva la pienezza del termine greco per cui si è preferito tornare alla traslitterazione di questo termine greco come “colui che viene in soccorso, il protettore”. Quindi questa è l’azione dello Spirito. Non è un’azione che viene nel momento d’emergenza, ma un’azione che la precede. Quindi Gesù invita alla piena serenità la sua comunità e conferma lo Spirito Santo “che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto. “ Questa è la garanzia per la comunità cristiana, per la chiesa. Avendo lo Spirito Santo, questo protettore, questo soccorritore al proprio interno, sarà sempre capace di dare nuove risposte ai nuovi bisogni che emergeranno nella società. E’ questo il significato di Gesù con le parole “vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che vi ho detto”, comprendere, prendere piena coscienza del messaggio di Gesù e saperlo riformulare in una forma completamente nuova di fronte alle nuove situazioni che emergono nella comunità. E poi Gesù afferma: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace”. Non é un augurio. Gesù non  dice “La pace sia con voi”, ma è un dono, laddove la pace è tutto ciò che concorre alla pienezza della vita. E poi afferma: “Non come la dà il mondo, io la do a voi.” La pace era il saluto che si faceva nel momento dell’addio. Per Gesù non è un addio, ma una presenza ancora più intensa. Ecco perché dice: “Non come la dà il mondo”. “Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore.” Gesù non vuole che nei suoi ci sia il timore, ma l’amore. “Avete udito che vi ho detto: “Vado e tornerò da voi”. Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande di me”. Gesù qui non sta pensando alle sue sofferenze, ma soltanto al bene dei suoi. Perché dice: “Se mi amaste vi rallegrereste che io vado al Padre”? Perché nella piena dimensione divina con il Padre, l’azione di Gesù sarà ancora più incisiva con i suoi. Andando al Padre Gesù non solo non si separa dai suoi, ma rende più intensa questa presenza. Poco fa abbiamo visto “Io e il Padre mio verremo e prenderemo dimora in lui”, quindi andare al Padre non significa un allontanarsi di Gesù, ma una presenza nell’individuo che emergerà attraverso le azioni della vita della persona. “Ve l’ho detto or a che avvenga, perché, quando avverrà, voi crediate”. E Gesù propone una sfida. Sarà condannato come un maledetto da Dio. Allora Gesù chiede ai discepoli di decidere a chi credere, o al sommo sacerdote o a lui. Se credono in Gesù non crederanno più nel sommo sacerdote. Se credono in Gesù non crederanno più nelle istituzioni religiose che hanno condannato a morte il figlio di Dio

 

 

 

 

 

il commento al vangelo della domenica

 

 

VI DO UN COMANDAMENTO NUOVO, CHE VI AMIATE GLI UNI GLI ALTRI

commento al vangelo della quinta domenica di pasqua (24 aprile 2016) di p. Alberto Maggi:

p. Maggi

Gv 13,31-35

Quando Giuda fu uscito [dal cenacolo], Gesù disse: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito. Figlioli, ancora per poco sono con voi. Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri».

Nel capitolo 13 del vangelo di Giovanni, l’evangelista presenta l’ultima cena di Gesù con i suoi discepoli e Gesù fino all’ultimo prova a offrire il suo amore anche al discepolo che lo tradirà, a Giuda. Gli offre il pane, che rappresenta la sua vita, ma Giuda non mangia questo pane, cioè non assimila Gesù. Lo prende ed esce. L’evangelista dice che “sprofondò nella notte”. Quando Giuda fu uscito [dal cenacolo], quindi ha preso il boccone, non l’ha assimilato, ma è andato per tradire la persona di Gesù, Gesù disse: “Ora …” In tutto il vangelo è stata annunziata questa ora di Gesù e l’evangelista dice che adesso si sta realizzando. “Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato”. Perché Gesù afferma questo dopo che Giuda l’ha tradito per farlo condannare a morte? Perché nell’amore incondizionato che viene offerto anche al nemico lì si manifesta la gloria di Dio, cioè la gloria è la manifestazione visibile di quello che Dio è. E cos’è Dio? Dio è amore che si offre anche al nemico, al traditore. Gesù parla di se stesso come del “Figlio dell’Uomo”, perché usa questa espressione che gli è molto cara? “Figlio dell’Uomo” significa l’uomo con la condizione divina. Quindi Gesù è il figlio di Dio, Dio nella condizione umana, ed è il figlio dell’Uomo, cioè l’uomo con la condizione divina. “E Dio è stato glorificato in lui”. L’evangelista presenta una continua dinamica nella vita di Gesù, che deve essere anche quella del credente, di amore ricevuto e amore comunicato. Poi c’è un versetto che è omesso in molti manoscritti, dove l’evangelista non fa altro che ripetere lo stesso concetto. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito. Come lo glorificherà 1 subito? Dandogli la capacità di affrontare la morte, dove non sarà una fine, ma un inizio, perché nella morte di Gesù si effonderà lo Spirito sulla sua comunità. Poi Gesù, per la prima volta, l’unica volta, ha un’espressione di tanta, profonda tenerezza verso i suoi discepoli. Li chiama “Figlioli”, letteralmente “figliolini o bambini miei”. “Figlioli, ancora per poco sono con voi. Voi mi cercherete, ma come ho detto ai Giudei – ecco qui Gesù sta equiparando i discepoli ai suoi avversari, le autorità – ora lo dico anche a voi: “Dove vado io voi non potete venire”. Perché non possono andare? Perché i discepoli sono pronti a morire per Gesù, ma non a morire come Gesù, a dare al vita con lui e come lui. Ecco perché Gesù dice che per adesso non possono andare dove lui va. E poi ecco la conclusione di questo capitolo straordinario, il capitolo 13, la novità di Gesù. “Vi do un comandamento nuovo”. Gesù non dice: “Vi do un nuovo comandamento”, cioè ci sono quelli di Mosè e adesso vi do il mio. “Vi do un comandamento nuovo”, il termine greco che indica “nuovo” significa il migliore, che sostituisce tutto il resto. L’evangelista l’aveva detto nel Prologo “La legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù”. Il nuovo rapporto che Gesù ha instaurato con il Padre e i discepoli non poteva rientrare nei termini dell’antica alleanza e ha bisogno di una nuova alleanza che si esprime in un unico, nuovo comandamento. Quindi “nuovo” in quanto la qualità di questo comandamento eclissa tutti gli altri. “Che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi”. E’ importante che Gesù non parla con verbi al futuro, non dice “come io vi amerò”. Gesù non sta annunziando la morte, il sacrificio totale che lui farà sulla croce, ma dice “come io vi ho amato”. E com’è che Gesù ha amato? Siamo nel contesto dell’ultima cena secondo Giovanni, quando Gesù si mise a lavare i piedi ai discepoli. L’amore non è reale se non si trasforma in un servizio che purifica la vita degli altri. Questo è l’amore che Gesù ci richiede. “Come io ho amato voi”. “Così amatevi anche voi gli uni gli altri”. Il servizio è l’unico distintivo del credente della comunità di Gesù e infatti Gesù conferma: “Da questo”, cioè dall’amore che si fa servizio, “Tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri”. Gesù, con questa dichiarazione molto chiara, esclude ogni altro distintivo. Quindi NO a stemmi, abiti, segni o decorazioni che vogliono mostrare la relazione che uno ha con il Signore, ma soltanto un amore che si mette a servizio degli altri. E quando si ricorre a questi surrogati è una lampadina d’allarme che si accende, una spia che si accende, che forse questo amore che si trasforma in servizio non è talmente abituale da essere l’unico distintivo della comunità cristiana. Quindi Gesù lascia un unico comandamento, lui che l’evangelista aveva presentato come la parola di Dio, il verbo si fece carne, e questa parola di Dio si formula e si esprime con un unico comandamento che eclissa tutti gli altri. 

il commento al vangelo della domenica

ALLE  MIE PECORE IO DO LA VITA ETERNA

  commento al vangelo della domenica quarta di pasqua (17 aprile 2016) di p. Alberto Maggi:p. Maggi

Gv 10,27-30

In quel tempo, Gesù disse: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola».

Ogni volta che Gesù, il figlio di Dio, e Dio lui stesso, si trova nel tempio di Gerusalemme, il luogo più sacro della terra, il luogo più santo di Gerusalemme, il luogo dove si riteneva fosse presente Dio stesso, bene, ogni volta che Gesù si trova nel tempio è sempre una situazione di conflitto. Nel brano che vedremo è l’ultima volta che Gesù si trova nel tempio, nel santuario di Gerusalemme, e questa volta addirittura tenteranno di lapidarlo.
Vediamo cosa è successo. Dobbiamo inserire questi pochi versetti della liturgia di oggi nel contesto più ampio nel quale l’evangelista li inserisce. E’ una delle feste più importanti di Israele, la festa della dedicazione, cioè la riconsacrazione del tempio, fatta da Giuda il Maccabeo nel 165 a.C.
Per l’occasione si accendeva un grandissimo candelabro ed era chiamata la festa delle luci. Chiaramente c’è un conflitto tra questa festa delle luci e Gesù che si presenta lui come luce del mondo. Già l’ha detto.
Infatti quando Gesù entra nel tempio viene subito accerchiato dalle autorità che gli chiedono letteralmente: “Fino a quando ci togli la vita?” La missione di Gesù di restituire vita al popolo significa toglierla alle autorità che dominano questo popolo. Ebbene, questa volta Gesù rivolte alle autorità religiose, i rappresentanti di Dio, parole molto severe. Gesù dice: “Voi non credete perché non fate parte delle mie pecore”. Gesù si era presentato come il vero pastore inviato da Dio per adunare il popolo, il gregge, eppure Gesù dice che ci sono alcuni che non fanno parte di questo gregge.
Proprio le autorità religiose, i capi spirituali, quelli che ritenevano per diritto di essere i più vicini a Dio, Gesù dice che sono esclusi. Ed ecco i versetti che la liturgia ci presenta. Gesù afferma: “Le mie pecore…”, quindi Gesù sottolinea ancora una volta che le pecore sono sue, lui è il vero pastore, perché il pastore è  colui che dà la vita per le proprie pecore. “Le mie pecore ascoltano la mia voce”. La voce di Gesù, che è la voce di Dio, è la risposta di Dio al bisogno di pienezza di Dio che ogni persona si porta dentro. Quello che caratterizza la voce di Gesù è che il messaggio d’amore non viene imposto, ma viene offerto, semplicemente proposto.
“Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco …” è importante in questo brano l’uso del verbo “conoscere”. Indica una conoscenza veramente intima, profonda dei suoi. “Ed esse mi seguono.” Lo seguono perché trovano in Gesù la risposta al proprio ideale di vita, cosa che invece non trovano i capi, perché Gesù aveva detto: “Almeno credete alle opere”. Ma loro non possono credere in queste opere perché le opere di Gesù sono tutte tese a restituire vita al popolo. E loro sono quelli che invece soffocano questa vita.
E Gesù continua: “Io do loro la vita eterna”. E’ un tema caro all’evangelista questo. La vita eterna non è un merito ma è un dono da parte di Dio e si chiama eterna non tanto per la durata, indefinita, ma per la qualità, che è indistruttibile.
“E non andranno perdute in eterno”, cioè mai, “e nessuno le strapperà dalla mia mano. Ecco Gesù dà un avviso molto severo, molto chiaro alle autorità religiose che non tentino di strappare queste pecore dalla sua mano. Lui sarà il pastore che darà la vita per le sue pecore. “Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti”. Questo è un versetto un po’ difficile e complesso. Ci sono ben cinque varianti perché il problema è capire cos’è più grande, il padre o il gregge?
Il senso, il significato, in fondo non cambia. Noi proponiamo la versione in cui quello che è più grande, più importante è il gregge, che il Padre ha dato al figlio. Quindi il Padre che ha dato questo popolo a Gesù, è il dono più grande che poteva fargli. E se prima Gesù aveva parlato della sua mano, che nessuno le può strappare dalla sua  mano, ora arriva a dire “E nessuno può strapparle dalla mano del Padre”. Quindi non si può distinguere tra Gesù e Dio come facevano le autorità religiose. Dio e Gesù sono la stessa cosa.
E il gregge sta nella mano di Gesù che è la mano del Padre. E nessuno tenti di rubare di nuovo questo gregge come avevano fatto le autorità. Ed ecco la frase che gli sarà fatale, la bestemmia, subito dopo la quale scatterà l’azione di linciare Gesù, di lapidarlo.  Gesù afferma:  “Io e il Padre siamo una cosa sola”. La traduzione non è corretta. Il testo dice: “Io e il Padre siamo uno”.
Uno nella simbologia biblica è il numero che indica la divinità. Cioè Gesù sta dicendo che lui è Dio, come il Padre è Dio. “Io e il Padre siamo uno”. Questa è una bestemmia insopportabile. L’evangelista qui realizza quello che aveva scritto all’inizio del suo vangelo nel prologo quando aveva affermato che Dio nessuno l’ha mai visto, solo il figlio ne è la rivelazione. Gesù non è un inviato da Dio, Gesù non è un profeta di Dio, Gesù è la manifestazione visibile e terrena di quello che Dio è.
Ed ecco perché Gesù dice: “Io e il Padre siamo uno”. Ebbene dopo di questo succede il finimondo. Scriverà l’evangelista che le autorità, i capi, prenderanno delle pietre per lapidarlo e diranno il motivo: “Non ti lapidiamo per un’opera buona, ma per una bestemmia. Perché tu che sei uomo ti fai Dio”.
 Quello che era il progetto di Dio sull’umanità, che ogni creatura diventasse suo figlio e avesse la sua stessa vita divina, per le autorità religiose che dovevano far conoscere questo progetto al popolo, era in realtà una bestemmia da punire con la morte.

il commento al vangelo della domenica

VIENE GESU’, PRENDE IL PANE E LO DA’ A LORO, COSI’ PURE IL PESCE  

commento al vangelo della domenica terza di pasqua (10 aprile 2016) di p. Alberto Maggi:

p. Maggi

Gv 21,1-19

[ In quel tempo, Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberìade. E si manifestò così: si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Dìdimo, Natanaèle di Cana di Galilea, i figli di Zebedèo e altri due discepoli. Disse loro Simon Pietro: «Io vado a pescare». Gli dissero: «Veniamo anche noi con te». Allora uscirono e salirono sulla barca; ma quella notte non presero nulla. Quando già era l’alba, Gesù stette sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù. Gesù disse loro: «Figlioli, non avete nulla da mangiare?». Gli risposero: «No». Allora egli disse loro: «Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete». La gettarono e non riuscivano più a tirarla su per la grande quantità di pesci. Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: «È il Signore!». Simon Pietro, appena udì che era il Signore, si strinse la veste attorno ai fianchi, perché era svestito, e si gettò in mare. Gli altri discepoli invece vennero con la barca, trascinando la rete piena di pesci: non erano infatti lontani da terra se non un centinaio di metri. Appena scesi a terra, videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane. Disse loro Gesù: «Portate un po’ del pesce che avete preso ora». Allora Simon Pietro salì nella barca e trasse a terra la rete piena di centocinquantatré grossi pesci. E benché fossero tanti, la rete non si squarciò. Gesù disse loro: «Venite a mangiare». E nessuno dei discepoli osava domandargli: «Chi sei?», perché sapevano bene che era il Signore. Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede loro, e così pure il pesce. Era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli, dopo essere risorto dai morti. ] Quand’ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pasci i miei agnelli». Gli disse di nuovo, per la seconda volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pascola le mie pecore». Gli disse per la terza volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene?». Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli domandasse: «Mi vuoi bene?», e gli disse: «Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene». Gli rispose Gesù: «Pasci le mie pecore. In verità, in verità io ti dico: quando eri più giovane ti vestivi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi». Questo disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E, detto questo, aggiunse: «Seguimi».

Quando Gesù risuscitato si era manifestato ai suoi discepoli li aveva inviati. Aveva detto: “Come il Padre ha mandato me, così io mando voi. Andate a testimoniare un amore di Dio per l’umanità, pieno, totale e incondizionato”.
Ma a quanto pare i discepoli non hanno capito o non hanno alcuna voglia di andare a manifestare questo amore e infatti tornano alle loro occupazioni di sempre. Leggiamo il capitolo 21 del vangelo di Giovanni.
Dopo questi fatti Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberìade. E’ la terza volta che Gesù risuscitato si manifesta. Il numero non va inteso in maniera aritmetica o matematica, ma significa la completezza, la pienezza delle apparizioni, delle esperienze di Gesù risuscitato.
E si manifestò così: si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Dìdimo, Natanaèle (l’ultimo dei discepoli chiamati da Gesù) di Cana di Galilea, i figli di Zebedèo e altri due discepoli. L’evangelista vuole raggiungere il numero sette che indica la totalità dei discepoli.
Disse loro Simon Pietro: «Io vado a pescare». Pietro continua ancora nel suo desiderio di essere il leader. E’ lui che prende le decisioni. Gli dissero: «Veniamo anche noi con te». E’ una caratteristica nel vangelo che i discepoli nei momenti difficili, nei momenti di crisi, anziché essere con Gesù sono con Simon Pietro. E i risultati sono catastrofici. Allora uscirono e salirono sulla barca; ma quella notte non presero nulla. Gesù aveva detto: “Senza di me non potete far nulla” e aveva detto che “Quando viene la notte nessuno può operare”. Ma i discepoli ancora non hanno capito.
Ecco allora l’azione paziente di Gesù che rinnova il suo invito alla missione. Quando già era l’alba, quindi quando già comincia la luce, immagine di Gesù, Gesù stette sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù. Gesù disse loro: “Figlioli”, termine pieno di dolcezza, di tenerezza, di delicatezza, “non avete nulla da mangiare?”. Letteralmente “il companatico”, quindi qualcosa da mettere sul pane. Gli risposero: «No». Allora egli disse loro: «Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete». La gettarono e non riuscivano più a tirarla su per la grande quantità (letteralmente moltitudine) di pesci.
E’ importante questo termine “moltitudine” perché l’evangelista l’aveva adoperato nel capitolo 5 nell’episodio della guarigione nel tempio di Gerusalemme, nella piscina di Betesda, quando c’era una moltitudine di ciechi, zoppi e paralitici che erano gli esclusi, gli emarginati. Cosa vuol dire l’evangelista? Che la missione del gruppo di Gesù si deve rivolgere agli esclusi, gli emarginati, i rifiutati e gli allontanati. E’ lì che la pesca sarà abbondante.
Allora quel discepolo che Gesù amava – il discepoli anonimo che continua la sua presenza in tutto questo suo vangelo –  disse a Pietro: «È il Signore!». Lui ha l’esperienza del Signore e subito lo riconosce. Simon Pietro, appena udì che era il Signore, si strinse la veste attorno ai fianchi (letteralmente si cinse la veste, che significa atteggiamento di servizio, come Gesù quando si è messo a lavare i piedi ai discepoli), perché era svestito. Era nudo. E’ strano che il discepolo che era nudo si metta la veste per poi gettarsi in acqua. L’evangelista naturalmente sta dando un significato figurato a tutto questo. Nudo perché non ha il distintivo del servizio di Gesù, perché è il servizio quello che rende discepoli di Gesù.  E si gettò in mare. Gli altri discepoli invece vennero con la barca, trascinando la rete piena di pesci: non erano infatti lontani da terra se non un centinaio di metri.
Appena scesi a terra, videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane. Questo fatto del pane e del pesce ricorda la condivisione dei pani e dei pesci che è immagine dell’eucaristia.
Disse loro Gesù: «Portate un po’ del pesce che avete preso ora». Allora Simon Pietro salì nella barca e trasse a terra la rete piena di centocinquantatré grossi pesci. E benché fossero tanti, la rete non si squarciò. Gesù disse loro: «Venite a mangiare». E’ la delicatezza di Gesù che si propone come colui che offre la vita, come colui che propone questa vita.
E nessuno dei discepoli osava domandargli: «Chi sei?», perché sapevano bene che era il Signore. Nell’amore che si fa dono si percepisce la presenza del Signore. Gesù si avvicinò, prese il pane – gli stessi gesti che gli evangelisti mettono nella cena eucaristica – e lo diede loro, e così pure il pesce. Era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli, dopo essere risorto dai morti. ] L’eucaristia è l’alimento che ristora e comunica forza. Ed è a questo punto che finalmente l’evangelista risolve il problema di Simon Pietro. Gesù quando aveva incontrato Simone non l’aveva invitato a seguirlo, in questo vangelo. Allora ecco l’ultimo scontro drammatico tra Gesù e questo discepolo.
Quand’ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: «Simone, figlio di Giovanni”. Figlio significa discepoli, di Giovanni Battista. Lui è rimasto con l’idea del Giovanni Battista. “Mi ami più di costoro?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Ma Gesù gli ha chiesto se lo ama. Lui sa che non può rispondere che lo ama, infatti dice che gli vuole bene. Ma Gesù accetta la risposta. Gli disse: «Pasci i miei agnelli» cioè gli elementi più deboli della comunità. E poi torna alla carica. Gli disse di nuovo, per la seconda volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Due volte Gesù gli chiede se lo ama e due volte Pietro risponde che gli vuole bene.
Gli disse: «Pascola le mie pecore». Gli disse per la terza volta, (e il numero tre al povero Simone ricorda il suo tradimento con il canto del gallo): «Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene?». Per due volte Gesù gli ha chiesto “mi ami?” e per due volte Simone ha risposto “ti voglio bene”, ora la terza volta Gesù lo incalza e gli dice “mi vuoi bene?” Ecco finalmente il crollo di Simone. Pietro rimase addolorato (finalmente era ora, non lo era al momento del tradimento) che per la terza volta gli domandasse: «Mi vuoi bene?», e gli disse: «Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene». Lui che pensava di conoscersi meglio di Gesù. Quando Gesù aveva detto “Tutti mi tradirete, tutti mi abbandonerete”, lui aveva detto “No io sono pronto a dare la mia vita per te”. Pensava di conoscersi meglio di Gesù, ora finalmente ammette: “Tu conosci tutto”.
Gli rispose Gesù: «Pasci le mie pecore. In verità, in verità io ti dico: quando eri più giovane ti cingevi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi». E l’evangelista commenta. Questo disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. Pietro aveva seguito Gesù pensando di seguire un leader vittorioso, il messia trionfante, e Gesù gli fa capire invece che seguire lui significa passare attraverso l’ignominia, attraverso il disprezzo, attraverso la croce. Ora finalmente questo discepolo ha capito e accoglie questo invito di Gesù. E, detto  questo, aggiunse: «Seguimi». Per la prima volta Gesù a Simone alla fine del vangelo lo invita a seguirlo. Quando finalmente ha compreso che seguire Gesù non prevede una strada di onori, di successi, di potere, ma di amore e di servizio e anche di umiliazioni e sofferenze, soltanto a questo punto Gesù dice al discepolo “seguimi”.

il commento al vangelo della domenica

OTTO GIORNI DOPO VENNE GESU’ cristo risorto

commento del vangelo della seconda domenica di pasqua (3 aprile 2016) di P. Alberto Maggi:

maggi

Gv 20, 19-31

La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il
Signore.
Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».
Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo». Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!». Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.

Non si può credere che Gesù è risuscitato perché c’è un sepolcro vuoto, ma perché lo si incontra vivo, vivente e vivificante nella propria esistenza e nella propria esperienza.
E’ quanto ci scrive l’evangelista Giovanni nel capitolo 20 dal versetto 19. Scrive l’evangelista:  La sera di quel giorno, il primo della settimana, si richiama il primo giorno nel libro del Genesi, il giorno della creazione. Con Gesù risuscitato c’è una creazione nuova che non vedrà la fine e la morte, ma continuerà la sua esistenza.
Mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, ricordiamo che l’ordine di cattura era per tutto il gruppo di Gesù, non soltanto per Gesù. Non era pericoloso  soltanto il maestro, era pericolosa la sua dottrina, quindi l’ordine di cattura era stato per tutto il gruppo. E’ stato Gesù che, in una posizione di forza, ha barattato la salvezza dei suoi discepoli. Ha detto: “Se cercate me lasciate che questi se ne vadano”. Ma il timore rimane.
 Venne Gesù, stette in mezzo. E’ una caratteristica importante che gli evangelisti ci danno dell’incontro con Gesù. Gesù si pone al centro. Gesù non si pone né davanti, né in alto. Non c’è una gerarchia di persone che sono più o meno vicine a lui. Ma Gesù si pone in centro così tutti hanno la stessa relazione con lui.
 E disse loro: «Pace a voi!». Questo di Gesù non è un invito, infatti non dice “La pace sia con voi”, cioè un augurio, ma è un dono. Quando Gesù si manifesta al centro della sua comunità dona la pace, cioè tutto quello che concorre alla felicità dell’uomo.
Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. Secondo la cultura ebraica la pace doveva essere sempre accompagnata da qualcosa di concreto. Allora Gesù quando dona questa pace fa vedere anche il motivo perché mostra le mani e i fianchi, i simboli della sua tortura e della sua passione. Vuole dire “Ecco l’amore che mi ha spinto a dare la vita per voi e a morire in croce, questo continua a rimanere”. Quindi “non vi preoccupate di nulla”. E’ questo il dono della pace che Gesù fa.
E i discepoli, che erano chiusi per timore dei Giudei, adesso gioiscono al vedere il Signore.
Gesù disse loro di nuovo: “Pace a voi!” Di nuovo questo dono della pace, “Come il Padre ha mandato me … il Padre ha mandato il figlio a dimostrare un amore totale, incondizionato per tutti gli uomini …, “anche io mando voi”. Quindi Gesù manda i suoi discepoli a dimostrare lo stesso amore incondizionato del Padre per l’umanità. Detto questo, soffiò. E c’è il richiamo alla creazione, del primo uomo quando Dio soffiò e mise la vita nella sua creatura. E disse loro: “Ricevete lo Spirito Santo”, cioè la stessa forza, la potenza e la capacità d’amare di Dio. “A coloro a cui perdonerete (letteralmente cancellerete) i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».
Gesù li invita a prolungare nel tempo l’offerta di vita che lui ha fatto. Quello che Gesù sta dicendo in questo momento, le azioni che sta facendo, non sono la concessione di un potere ad alcuni, ma una capacità e una responsabilità per tutto il gruppo dei discepoli: portare un’offerta di vita che, se accolta, cancella immediatamente il passato peccatore.
Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo … Didimo significa “gemello”. Perché è chiamato gemello? Perché è l’unico che aveva capito al tempo della risurrezione di Lazzaro, dicendo “andiamo a morire con lui” … è colui che ha gli stessi sentimenti di Gesù. Ma non era con loro quando venne Gesù. Perché Didimo non è chiuso a chiave a chiave con loro? Perché lui non ha paura di fare la stessa fine di Gesù. Lui non è pauroso come gli altri discepoli che stanno chiusi.
Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo». Quella di Tommaso non è una negazione, è il desiderio e l’impossibilità di credere a qualcosa di meraviglioso. L’espressione di Tommaso va intesa un po’ come quando ci viene data una  bellissima, inaspettata notizia. Qual è la nostra reazione? Diciamo: “no, non è vero!” Non è che neghiamo la notizia, è che è talmente bella che ci sembra impossibile. Oppure quando diciamo: “no, non ci posso credere!” Non è che non ci vogliamo credere, ma è una notizia talmente bella … E’ questo l’atteggiamento di Tommaso.
Otto giorni dopo … Di nuovo ritorna il rito dell’eucaristia, dell’incontro con Gesù …  i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo … ecco di nuovo la caratteristica di Gesù dello stare in mezzo e dice per la terza volta in questo brano: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!».
Qui l’evangelista presenta la più grande manifestazione, attestato di fede di tutti i vangeli. Gli altri discepoli attraverso Pietro erano arrivati a credere che Gesù era il figlio di Dio, il figlio del Dio vivente, ma Tommaso è l’unico che, rivolto a Gesù, gli dice: “Mio Signore e mio Dio!”
L’evangelista nel prologo aveva detto che Dio nessuno lo ha mai visto e il figlio ne era la rivelazione, ed ecco che ora Tommaso manifesta la pienezza della fede. Quindi Tommaso, passato stranamente alla storia come il discepolo incredulo, in realtà è quello proclama ed esplode nella più alta manifestazione di fede dei vangeli.
Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!». E’ l’ultima beatitudine, ce ne sono due nel vangelo di Giovanni. La prima è la beatitudine del servizio, e ora è la beatitudine della fede. Il servizio, liberamente e volontariamente esercitato per amore verso gli altri, rende possibile nella propria vita l’esperienza del Cristo risorto.
Gesù qui proclama beati quelli che credono senza bisogno di vedere, a quanti vogliono dei segni per vedere, per credere, Gesù propone: “No, credi e tu diventi un segno che gli altri possono vedere”!
E poi conclude l’evangelista: Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. E’ un invito che l’evangelista fa: scrivete il vostro libro, scrivete il vostro vangelo, noi vi trasmettiamo la nostra esperienza, voi fatela vostra e poi scrivete il vostro vangelo. Era quello che succedeva almeno fino al IV secolo nelle primitive comunità cristiane.
Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome. La fede in Gesù dona una vita di una qualità tale da superare la morte. L’evangelista usa per il termine “vita” ciò che indica la vita eterna, una vita che si chiama eterna non tanto perché per la durata indefinita, ma per la qualità indistruttibile. Accogliere Gesù nella propria esistenza significa realizzarla pienamente.

 

 

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