meglio morto che risorto?

meglio morto che risorto

sul senso profondo della Pasqua di Alberto Maggi


 di Alberto Maggi

Se Cristo non è risorto, vuota allora è la nostra predicazione, vuota anche la vostra fede”, afferma perentorio Paolo ai Corinti (1 Cor 15,14). Eppure nessun evangelista dà la descrizione del momento della risurrezione del Cristo. Questo fatto creò così tanto imbarazzo nelle comunità cristiane primitive che si rimediò a questa lacuna con un falso d’autore che ebbe un grande successo. Infatti, l’immagine tradizionale del Cristo Risorto, che esce trionfante dal sepolcro, con le guardie tramortite, non appartiene ai vangeli riconosciuti ispirati, ma a un testo apocrifo del secondo secolo, conosciuto come il Vangelo di Pietro: “Durante la notte nella quale spuntava la domenica, mentre i soldati montavano la guardia a turno, due a due, risuonò in cielo una gran voce, videro aprirsi i cieli e scendere di lassù due uomini, in un grande splendore, e avvicinarsi alla tomba. La pietra che era stata appoggiata alla porta rotolò via da sé e si pose a lato, si aprì il sepolcro e c’entrarono i due giovani” (Vang. Pietro 9,35-37).

Nessuno ha potuto descrivere la risurrezione del Cristo, perché neanche un solo discepolo era presente, nonostante Gesù avesse insistentemente affermato che sì, sarebbe stato ucciso, e nel modo più infamante, la crocifissione, ma poi dopo tre giorni sarebbe risuscitato (Mt 16,21; 17,22; 20,19). Ma nessuno ci ha creduto, perché nessuno desiderava veramente la sua risurrezione. La prova che il Messia era quello inviato da Dio, era che non poteva morire, perché “il Cristo rimane in eterno” (Gv 12,34). Pertanto, se Gesù era morto, e in quel modo infamante, con la morte dei maledetti da Dio (Dt 21,23; Gal 3,13), pazienza, voleva dire che si erano sbagliati, e c’era solo da attendere il vero Messia, quello che avrebbe sbaragliato i nemici, sottomesso i popoli pagani e inaugurato il regno d’Israele. Del resto non era la prima volta che qualche esaltato si era proclamato l’atteso liberatore, aveva iniziato la rivolta contro gli odiati Romani e il tutto era finito in un bagno di sangue, come insegnava il tragico epilogo delle insurrezioni capitanate dai vari Teuda e Giuda il Galileo, sedicenti Messia che convinsero la gente a seguirli, e quelli che lo fecero “furono dissolti e finirono nel nulla” (At 5,36-37). In fondo meglio morto che risuscitato. Perché se Gesù era morto, era segno che non era il Messia e bisognava attenderne un altro. Ma se era risuscitato, allora addio sogni di gloria, di restaurazione del defunto regno del re Davide, della supremazia sui popoli pagani, dell’accumulo delle ricchezze delle altre nazioni, come i profeti avevano vagheggiato (“Vi nutrirete delle ricchezze delle nazioni, vi vanterete dei loro beni”, Is 61,6).

Pertanto, morto Gesù, i suoi discepoli, delusi (“Speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele…”, Lc 24,21), erano tornati alle due occupazioni di sempre, e il Risorto li deve andare a cercare uno a uno per far sperimentare loro che era veramente risorto, rimproverandoli “per la loro incredulità e durezza di cuore” (Mc 16,14; Lc 24,25). Inutilmente Gesù nella sua vita terrena aveva parlato ai suoi discepoli del regno di Dio, perché questi capivano regno di Israele. Gesù parlava di servizio e i discepoli pensavano al potere, il Maestro insegnava a mettersi a livello degli ultimi e i discepoli litigavano tra loro per assicurarsi il posto più importante, il Signore li invitava a scendere e essi pensavano solo a salire.
Per questo il Risorto, una volta riunito i suoi, tiene loro una sorta di corso intensivo durato ben quaranta giorni “parlando delle cose riguardanti il regno di Dio” (At 1,3). Ma niente da fare: quando l’ideologia religiosa è intrecciata con quella nazionalista, anche se si hanno orecchie per udire non si ode, e se si hanno occhi per vedere non si vede (Mc 8,18). Infatti, al quarantesimo giorno, i discepoli, che evidentemente non erano interessati a questo tema del regno di Dio, gli domandarono: “Signore, è questo il tempo nel quale ricostituirai il regno per Israele?” (At 1,6). Scrive l’evangelista che a questo punto “una nube lo sottrasse ai loro occhi” (At 1,9). Il Cristo non se n’è andato, ma sono i discepoli che sono incapaci di vederlo. Chi è mosso dal potere non può percepire l’Amore, chi pensa a sé non può riconoscere la presenza dell’Altro. Ci vorrà ancora del tempo, e quando finalmente i discepoli comprenderanno che il pane non va accumulato, ma solo spezzato e condiviso, allora si apriranno i loro occhi e riconosceranno il Cristo risorto (At 24,31) che li accompagnerà nella loro missione (Mc 16,20).

 (fonte: Il libraio)

il commento al vangelo della domenica

BENEDETTO COLUI CHE VIENE NEL NOME DEL SIGNORE 

commento al Vangelo della domenica delle palme (20 marzo 2016) di P. Alberto Maggi:

p. Maggi

Lc 19,28-40

In quel tempo, Gesù camminava davanti a tutti salendo verso Gerusalemme. Quando fu vicino a Bètfage e a Betània, presso il monte detto degli Ulivi, inviò due discepoli dicendo: «Andate nel villaggio di fronte; entrando, troverete un puledro legato, sul quale non è mai salito nessuno. Slegatelo e conducetelo qui. E se qualcuno vi domanda: “Perché lo slegate?”, risponderete così: “Il Signore ne ha bisogno”».
Gli inviati andarono e trovarono come aveva loro detto. Mentre slegavano il puledro, i proprietari dissero loro: «Perché slegate il puledro?». Essi risposero: «Il Signore ne ha bisogno». Lo condussero allora da Gesù; e gettati i loro mantelli sul puledro, vi fecero salire Gesù. Mentre egli avanzava, stendevano i loro mantelli sulla strada. Era ormai vicino alla discesa del monte degli Ulivi, quando tutta la folla dei discepoli, pieni di gioia, cominciò a lodare Dio a gran voce per tutti i prodigi che avevano veduto, dicendo:
«Benedetto colui che viene, il re, nel nome del Signore. Pace in cielo e gloria nel più alto dei cieli!». Alcuni farisei tra la folla gli dissero: «Maestro, rimprovera i tuoi discepoli». Ma egli rispose: «Io vi dico che, se questi taceranno, grideranno le pietre».

Nella domenica delle Palme la chiesa ci presenta nella liturgia l’ingresso di Gesù a Gerusalemme secondo il vangelo di Luca capitolo 19, dai versetti 28 al 40. Per comprendere quello che l’evangelista ci scrive dobbiamo tener presente la profezia nel libro del profeta Zaccaria, capitolo 9 versetto 9.
Leggiamo questa profezia che ci fa comprendere quanto poi l’evangelista svilupperà. Esulta grandemente figlia di Sion, cioè Gerusalemme, ma indica anche tutto il popolo, giubila figlia di Gerusalemme. Ecco a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso.
E fino a qui era l’attesa del re, del messia, del liberatore di Israele, ma poi Zaccaria presenta una novità, un’immagine clamorosa. Umile cavalca un asino, un puledro figlio d’asina. La cavalcatura regale normalmente era la mula o il cavallo. Non si era mai visto un re cavalcare un puledro d’asino. Il profeta vuole indicare che c’è una modalità di essere messia completamente differente da quella che era l’attesa. Un messia modesto, un messia umile, un messia che cavalca la cavalcatura che era quella del popolo, ma non solo. Farà sparire i carri da Efraim e i cavalli da Gerusalemme. I carri sono i carri da guerra. L’arco di guerra sarà spezzato, annuncerà la pace alle genti.
Questa era la profezia di Zaccaria. Ma una profezia che era stata come accantonata, come dimenticata, perché il messia che doveva venire doveva essere il figlio di Davide, cioè uno che, come il grande re che riuscì ad unificare le tribù di Israele, attraverso il potere, la forza e la violenza, restaurasse il defunto regno di Israele.
Allora leggiamo a questo punto come l’evangelista ci presenta tutto questo.
Dette queste cose, si riferisce alla parabola delle mine, la parabola dei talenti, nelle quali c’è un gruppo di persone che non desidera che un tale venga nominato loro re. Quindi c’è il rifiuto della regalità, anticipa quello che sarà il rifiuto da parte del popolo di Gesù come re.
Gesù camminava davanti a tutti salendo verso Gerusalemme. E’ la tappa finale del suo viaggio. Quando fu vicino a Bètfage e a Betània… E’ una caratteristica di tutti gli evangelisti mai alludere alla morte di Gesù senza poi mettere un riferimento alla sua risurrezione. Se Gerusalemme sarà la città in cui Gesù sarà assassinato, Betania sarà il luogo della risurrezione e dell’ascensione di Gesù.
Presso il monte detto degli Ulivi, inviò due discepoli dicendo: “Andate nel villaggio di fronte”. Il villaggio nei vangeli ha sempre un significato negativo, il villaggio è il luogo della tradizione, il luogo dove le novità vengono sempre viste con sospetto, quindi quest’immagine del villaggio è quella di un luogo attaccato al passato e che rifiuta il nuovo.
Entrando, troverete un puledro legato, sul quale non è mai salito nessuno, (letteralmente nessuno mai degli uomini). Slegatelo e conducetelo qui. E’ importante in questo brano l’uso del verbo slegare che sarà ripetuto per ben quattro volte. Qual è il significato che l’evangelista vuole dare a questo che di per sé sembra illogico. Cos’è che devono slegare? Devono slegare questa profezia che era stata come incatenata, come legata, perché non volevano un messia modesto, un messia di pace. Questo devono slegare. Ma per primi sono i discepoli che si devono convincere di questo.
E se qualcuno vi domanda: “Perché lo slegate?”, risponderete così: “Il Signore ne ha bisogno”».  Gli inviati andarono e trovarono come aveva loro detto. Abbiamo detto che il discorso sembra irreale, illogico. Questi che arrivano lì e slegano questo puledro e, scrive l’evangelista, mentre slegavano il puledro, i proprietari dissero loro: «Perché slegate il puledro?». Essi risposero: «Il Signore ne ha bisogno». “Ah va bene!” Quindi è un discorso irreale. Ma l’evangelista, attraverso questa illogicità della narrazione, ci vuol far comprendere il significato: Gesù slega questa profezia che era rimasta legata perché a nessuno interessava un re così.
E mentre i signori (cioè i proprietari) legano, il Signore Gesù è colui che scioglie.
Lo condussero allora da Gesù; e gettati i loro mantelli sul puledro… il mantello nella simbologia ebraica indica la persona, l’identità della persona, allora i discepoli accettano questo messia di pace e lo  gettano sul puledro, questo veicolo di pace. Mentre egli avanzava, stendevano i loro mantelli sulla strada. Cioè ci sono altri che non comprendono questo, allora si rifanno al gesto di intronizzazione del re quando il popolo stendeva il mantello – il mantello come abbiamo detto indica la persona – sulla strada e il re ci passava sopra, o a cavallo o a piedi, e significava sottomissione.
Questa ambiguità nel testo porterà alla fine tragica di  Gesù quando verrà abbandonato. Quando si accorgono che non è il re, il messia, il liberatore, il trionfatore con la violenza, lo stesso popolo che ora lo acclama, sarà quello che griderà poi: “Crocifiggi!”
Era ormai vicino alla discesa del monte degli Ulivi, quando tutta la folla dei discepoli, pieni di gioia, cominciò a lodare Dio a gran voce per tutti i prodigi che avevano veduto, dicendo … E qui c’è la citazione di un salmo, il salmo 118, quello dell’intronizzazione del messia:
“Benedetto colui che viene, il re, nel nome del Signore.” E poi l’evangelista ci aggiunge l’annuncio che gli angeli hanno fatto a pastori per indicare la nascita di Gesù.
“Pace in cielo e gloria nel più alto dei cieli!». Gesù è un messia di pace, è un messia che è il dono di Dio. Questa acclamazione da parte dei discepoli provoca la reazione furibonda dei farisei. Alcuni farisei tra la folla gli dissero: “Maestro, rimprovera i tuoi discepoli”. Questo verbo rimproverare si usa per i demoni, gli indemoniati. Per i farisei è come se i discepoli fossero posseduti da un’ideologia demoniaca acclamando un messia non violento, non l’accettano.
Ma egli rispose: “Io vi dico che, se questi taceranno, grideranno le pietre”.   E si rifà ad una profezia conosciuta, quella del profeta Abacuc in cui le pietre gridano contro l’ingiustizia. L’ingiustizia sarà la morte del messia liberatore.

 

il commento al vangelo della domenica

CHI DI VOI E’ SENZA PECCATO, GETTI PER PRIMO LA PRIETRA CONTRO DI LEI 

commento al vangelo della quinta domenica di quaresima (13 marzo 2016) di p. Alberto Maggi: 

p. Maggi

Gv  8,1-11

In quel tempo, Gesù si avviò verso il monte degli Ulivi. Ma al mattino si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui. Ed egli sedette e si mise a insegnare loro. Allora gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adulterio, la posero in mezzo e gli dissero: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?». Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo.
Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra. Tuttavia, poiché insistevano nell’interrogarlo, si alzò e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». E, chinatosi di nuovo, scriveva per terra. Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani.
Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo. Allora Gesù si alzò e le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». Ed ella rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù disse: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più».

Nel vangelo di Luca ci sono undici versetti che, per molto tempo, nessuna comunità cristiana voleva al suo interno. Ai primi tempi i vangeli non erano riuniti. Ogni comunità aveva il suo vangelo e lo trasmetteva alle altre comunità. Ebbene, quando in una comunità arrivava il vangelo di Luca venivano tolti questi undici versetti.
Sono i versetti che poi hanno trovato alloggio e ospitalità nel vangelo di Giovanni, al capitolo otto, dal primo versetto all’undicesimo. In realtà se togliessimo questo brano dal vangelo di Giovanni e lo inserissimo al suo posto originario, nel capitolo 21 dopo il versetto 38 del vangelo di Luca, vedremmo che era quello il suo contesto.
Ma come mai nessuna comunità ha voluto questo brano, addirittura per un secolo, e per cinque secoli questo brano di vangelo non è apparso nella liturgia e fino al 900, quindi sono passati tanti anni, non è stato commentato dai padri di lingua greca? Ebbene, abbiamo la testimonianza preziosa di S. Agostino, quindi nel IV secolo che scrive: Per timore di concedere alle loro mogli l’impunità di peccare, tolgono (i componenti delle comunità cristiane) dai loro codici (cioè il testo del vangelo) il gesto di indulgenza che il Signore compì verso l’adultera, come se colui che disse “d’ora in poi non peccare più” avesse concesso il permesso di peccare.
Quindi erano gli uomini, i mariti, che non volevano questo brano, perché l’indulgenza di Gesù verso la donna adultera sembrava mettesse in pericolo la loro famiglia, la loro unità coniugale.
Ma leggiamo questo brano importante che, ripeto, anche se oggi si trova nel vangelo di Giovanni, in realtà è di Luca, il linguaggio è di Luca.
Gesù si avviò verso il monte degli Ulivi. Ma al mattino.., letteralmente all’alba. E’ importante quest’indicazione temporale… si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui. Ormai l’abbiamo visto, ogni volta che il popolo va verso Gesù e Gesù tenta di liberare, di far crescere, di far maturare il popolo, ecco subito la reazione delle autorità religiose.
Loro vogliono sottomettere il popolo, non renderlo indipendente. Infatti gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adulterio. Sappiamo che è l’alba quindi probabilmente avevano spiato questa situazione.
La posero in mezzo e gli dissero: «Maestro…” E questa è l’ipocrisia delle persone religiose, non vogliono apprendere da Gesù, vogliono solo ingannarlo, vogliono condannarlo.
“questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa.” Notiamo il disprezzo per questa creatura.
“Tu che ne dici?». Dal fatto che la pena richiesta sia la lapidazione, si comprende che questa donna è nella prima fase del matrimonio. Il matrimonio in Israele avveniva in due tempi. Il primo quando la ragazza aveva dodici anni e il maschio diciotto, c’era la fase chiamata lo sposalizio, un anno dopo cominciava la convivenza e questa seconda fase erano le nozze.
Se la donna commetteva adulterio nella prima fase, quella dello sposalizio, veniva lapidata. Se, al contrario, l’adulterio era commesso nella seconda fase, veniva strozzata. Il fatto che chiedono per questa ragazza, per questa ragazzina, la lapidazione, significa che è una ragazzina tra i dodici e i tredici anni.
“Tu che ne dici?» E’ una trappola. Gesù comunque risponda si dà la zappa sui piedi. Perché se dice: “Bene ubbidiamo alla legge divina”, tutto questo popolo che ha seguito Gesù perché ha sentito in lui un afflato diverso, ha sentito l’eco dell’amore e della misericordia di Dio, rimane deluso e lo lascia. Se al contrario Gesù dice: “No, non lapidiamola”, siamo nel tempio, c’è la polizia, e Gesù può essere arrestato perché contravviene la legge divina, la legge di Mosè.
Infatti l’evangelista commenta: Dicevano questo per metterlo alla prova … letteralmente “tentarlo”, è il verbo è che l’evangelista adopera per il diavolo, quindi questi zelanti difensori della tradizione e dell’ortodossia in realtà per l’evangelista non sono altro che strumenti del diavolo. E per avere motivo  di accusarlo.  L’evangelista è feroce: le autorità religiose svolgono l’azione del diavolo. Chi è il diavolo? Colui che tenta, colui che accusa.
Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra. Quale può essere il significato di questo silenzio di Gesù e l’azione di scrivere? E’ probabilmente un rimando al profeta Geremia, capitolo 17, versetto 13 dove si legge: “Saranno scritti nella terra, nella polvere, quanti hanno abbandonato il Signore”. E’ la denuncia di Gesù: questi zelanti difensori dell’ortodossia, della tradizione, queste persone tanto religiose, in realtà hanno abbandonato il Signore perché covano sentimenti di odio, covano sentimenti di morte.
Nella prima lettera di Giovanni si dirà poi bene: “Chi non ama rimane nella morte”.
Tuttavia, poiché insistevano nell’interrogarlo, si alzò e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo una pietra contro di lei». Non si tratta, come a volte vediamo nelle immagini o nei film la gente che prende la pietra e la lancia. La prima pietra era quella che lanciavano i testimoni dell’accusa, era un masso che doveva pesare circa 50 Kg, e veniva gettato sulla donna che era stata calata in una fossa, e in pratica era la pietra che la uccideva. Quindi Gesù dice “Chi è senza peccato esegua la sentenza di morte”.
E, chinatosi di nuovo, scriveva per terra. Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani.  Il termine adoperato dall’evangelista non vuole indicare tanto “i vecchi, gli anziani”, ma il termine greco è “presbitero”, che sono i componenti del sinedrio, quelli che giudicavano. Il sinedrio era il massimo organo giuridico di Israele, composto dai sommi sacerdoti, dagli scribi e dai presbiteri. Sono quelli che giudicavano, sono questi che se ne vanno.
Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo. Il finale è carico di grande tenerezza.
Allora Gesù si alzò e le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». Ed ella rispose: «Nessuno, Signore». Gesù si rivolge con grande rispetto a questa donna. E Gesù disse … Gesù è l’unico in cui non c’è peccato, l’unico che poteva condannarla, scagliare la prima pietra e poteva rimproverarla, ma Gesù non rimprovera e dice: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più».
Gesù non perdona la donna, perché la donna è già perdonata da Dio, ma le comunica la forza per tornare a vivere. Gesù non scaglia su questa donna la pietra che la schiaccia, ma le offre la sua parola che l’aiuti a continuare a vivere.

chi è Gesù?

COSA SIGNIFICA CHE GESÙ È IL DIO-CON-NOI?

di Alberto Maggi

maggi
che con Gesù, Dio non è più da cercare, ma da accogliere e con Lui e come Lui andare verso gli uomini. Mentre prima di Gesù la direzione degli uomini era orientata verso Dio, e tutto quello che si faceva si faceva per Dio e Dio era al primo posto e l’uomo al secondo: amerai il Signore Dio tuo con tutta la tua anima, con tutte le tue forze, con tutto te stesso cioè l’amore a Dio era totale, l’amore al prossimo no: amerai il prossimo tuo come te stesso perciò un amore limitato, un amore relativo. Quindi prima di Gesù l’umanità era orientata verso Dio: tutto quello che faceva lo faceva per Dio; con Gesù tutto questo cambia. Con Gesù l’uomo non vive più per Dio ma vive di Dio e con Lui e come Lui non andrà più verso Dio, perché Dio è con noi, ma andrà verso gli uomini. Quindi nei Vangeli l’unico valore assoluto, l’unico valore veramente non negoziabile è il bene dell’uomo. Non c’è altro valore più importante del bene dell’uomo, questo è il significato del Dio-con-noi

l’importanza del portafoglio per valutare la mia fede

la fede e il portafoglio

(Mt 5,20.6,19-34) 

di Alberto Maggi

articolo pubblicato su NIGRIZIA n.3/2011

quali sono i parametri per verificare la fede, per sapere se si è credenti o no? Per molti, i criteri di giudizio riguardano la pratica religiosa. Ma questi sono criteri poco obiettivi. Come si fa a misurare il grado di fede di una persona dalla sua partecipazione alle cerimonie liturgiche o dalle sue devozioni?

Nella Chiesa si è sempre stati unanimi nell’individuare, come fondamento della fede del credente, la risurrezione di Gesù, perché, “Se Cristo non è risorto, vuota allora la nostra predicazione, vuota anche la vostra fede” (1 Cor 15,14).

Ma testimoniare la fede nella risurrezione del Cristo è arduo. Come è possibile essere i garanti di una realtà che non può essere mostrata? Eppure, negli Atti degli Apostoli si legge che la testimonianza della risurrezione del Cristo si doveva a una realtà che tutti potevano toccare con mano, e non esigeva pericolose acrobazie teologiche o violenze dell’intelletto: “Con grande forza gli apostoli davano testimonianza della risurrezione del Signore Gesù… Nessuno infatti tra loro era bisognoso…” (At 4,34). La prova che il Cristo non solo è risorto, ma è vivo e operante all’interno della sua comunità, è che nessuno dei suoi componenti è bisognoso, perché ciascuno si sente responsabile non solo del bene, ma anche del benessere del fratello. Una comunità dove nessuno è bisognoso, dove non esistono creditori e debitori, è la prova evidente che in essa c’è qualcosa di speciale: la presenza viva e vivificante del Signore.

l’indicatore della propria fede è il portafoglio

Non certo per quel che contiene, ma per quel che è capace di dispensare. Avere fede significa fidarsi talmente del Padre da non preoccuparsi più per i propri bisogni, ed essere liberi di occuparsi delle necessità dei fratelli, certi che nel momento della necessità il Padre provvederà in maniera più abbondante di quel che si può desiderare, perché il Signore regala vita a chi comunica vita e, con chi è generoso, il Padre sarà abbondantemente generoso (Mt 10,8; Lc 6,38).

Ma l’insegnamento di Gesù sull’importanza del fare della propria vita un dono generoso, condividendo non solo quel che si è, ma anche quel che si ha, sembra essere disatteso proprio da quanti pretendono di essere suoi seguaci. Per questo Gesù ammonisce che “Nessuno può servire due padroni… non si può servire Dio e mammona” (Mt 6,24). Ma il più delle volte sono proprio le persone religiose quelle che riescono a servire Dio e i propri interessi (Lc 16,14), arrivando a usare Dio per il proprio lucro, come gli scribi, denunciati da Gesù come coloro che, con il pretesto delle preghiere, “divorano le case delle vedove” (Mc 12,40).

Gesù è molto chiaro: la fede nel Padre non si vede da ortodossi attestati di fedeltà alla dottrina, e neanche dal rispetto delle regole religiose, ma dalla capacità di essere generosi, di donare senza calcolo.

Quanti accumulano ricchezze, quanti speculano, quanti agiscono in base alla loro convenienza non credono in Dio, ma confidano nel suo rivale, mammona (vocabolo aramaico che indica il patrimonio, ed è passato a significare la ricchezza come base per la sicurezza dell’uomo).

L’istinto alla sopravvivenza, fa sì che l’uomo pensi di assicurare la sua esistenza mediante l’accumulo di beni. Ma Gesù avverte i suoi che la sete di possesso anziché portare serenità è causa di ansia, fonte inesauribile di inquietudine che divora l’animo della persona, così come le tarme e la ruggine consumano i tesori ammassati. La ricchezza infatti è paradossalmente fattore di apprensione, sia perché non sembra mai sufficiente, sia perché si teme il suo calo e la sua perdita (le tarme, la ruggine e i ladri, che minacciano il capitale, oggi hanno il nome di inflazione, di banche, di borsa). E comunque, anche se un uomo riuscisse ad accumulare e a conservare tutto quel che è riuscito ad ammassare, a che gli serve? A che giova, ammonisce Gesù, “guadagnare il mondo intero” e poi smarrire se stessi? (Mt 16,26; Lc 12,20). Per Gesù il valore della persona sta nella sua generosità: “La lampada del corpo è l’occhio; perciò se il tuo occhio è semplice, tutto il tuo corpo sarà luminoso: ma se il tuo occhio è cattivo, tutto il tuo corpo sarà tenebroso” (Mt 6,22-23). Nel linguaggio dell’epoca l’occhio limpido indicava la generosità della persona, in contrapposizione all’occhio cattivo, immagine della sua taccagneria (Dt 15,9; Mt 20,15). Nel rapporto che ha con il denaro si gioca l’esistenza dell’uomo: la generosità, espressa nella condivisione, lo porta a essere luce, l’egoismo che si manifesta nell’avarizia a essere tenebre.

Gesù dà molta importanza alla capacità dell’uomo di essere generoso, perché è da questo atteggiamento che dipendono la sua felicità o l’infelicità, la sua riuscita o il suo fallimento. Perché ciò sia ben compreso, Gesù lo insegna con argomenti a tutti accessibili: “Guardate gli uccelli del cielo: non seminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre” (Mt 6,25). Di tutti gli animali che nel Talmud venivano benedetti dagli uomini, gli uccelli erano esclusi, perché ritenuti insignificanti oltreché nocivi. Eppure, dichiara Gesù, anche gli elementi irrilevanti della creazione sono oggetto della premura del Creatore amante della vita.

L’altro esempio Gesù lo prende dalla bellezza dei “gigli del campo”, e arriva a dichiarare che neanche l’ambizioso re Salomone, con tutta la sua boria, “vestiva come uno di loro” (Mt 6,28-30).

L’assicurazione di Gesù, che il Padre si occupa degli uccelli, che non “seminano, non mietono e non raccolgono nei granai” (Mt 6,26), e dei fiori, che “non faticano né filano” (Mt 6,28), non è un invito al fatalismo e all’inattività, ma alla fede nell’azione provvidenziale del Signore, che sarà ancora tanto più efficace negli uomini, che seminano e mietono, filano e faticano. Gesù non invita a non occuparsi, ma a non preoccuparsi. È questo che per Gesù differenzia il credente dal pagano. Quanti sono sempre in ansia per la loro vita (Che mangeremo? Che berremo?) e cercano nell’accumulo dei beni la risposta alla loro inquietudine sono la chiara dimostrazione che non credono nel Padre, ma negli idoli, nelle false divinità che, come mammona, ingannano, promettendo quel che non possono dare e, non avendo la capacità di trasmettere vita, comunicano solo morte.

Gesù offre un’alternativa a questo comportamento che è causa di rovina per l’uomo e di ingiustizia nella società. E invita gli uomini a sostituire l’affanno dell’accumulo dei beni con la scoperta gioiosa del dare (“Si è più beati nel dare che nel ricevere”, At 20,35). Per Gesù si possiede veramente solo quel che si dona. La vera ricchezza, quella che rimane per sempre e non può essere distrutta, consiste in quel che si è donato, e il bene fatto è l’unico bagaglio che l’uomo porta con sé entrando nella vita definitiva (Ap 14,13).

Quel che si trattiene non si possiede, ma possiede l’uomo, come insegna l’episodio del ricco, che ha rifiutato l’invito di Gesù a sbarazzarsi dei suoi beni perché “possedeva molte ricchezze” (Mt 19,22). Credeva di possedere le ricchezze, in realtà erano queste a possederlo. E per questo era triste. Quel che doveva dargli serenità era invece causa di afflizione.

L’invito di Gesù è di porre nella propria vita, come valore prioritario, “il regno e la sua giustizia” (Mt 6,33). Scegliere il regno significa aderire al programma di Gesù di cambiare le basi stesse della società e offrirle un’alternativa. Si tratta di rinunciare alla bramosia di possedere e scoprire la gioia del condividere. Questa è la scelta del regno, quella che può cambiare radicalmente la vita della persona e farle sperimentare che, quando si vive per il bene degli altri, si permette al Padre di prendersi cura del bene dei suoi figli. Allora, all’ansia per il domani si sostituisce la profonda fiducia nel presente, sperimentando che sarà “il domani a preoccuparsi di se stesso”, togliendo dalla vita del credente ogni ansia, inquietudine e aprendolo a una fiducia sempre più grande nel Padre.

il commento al vangelo della domenica

LASCIARONO TUTTO E LO SEGUIRONO 

commento al vangelo della domenica quinta del tempo ordinario (7 febbraio 2016) di p. Alberto Maggi:

p. Maggi

Lc 5,1-11

In quel tempo, mentre la folla gli faceva ressa attorno per ascoltare la parola di Dio, Gesù, stando presso il lago di Gennèsaret, vide due barche accostate alla sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti. Salì in una barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedette e insegnava alle folle dalla barca.
Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: «Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca». Simone rispose: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti». Fecero così e presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano. Allora fecero cenno ai compagni dell’altra barca, che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche fino a farle quasi affondare.
Al vedere questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: «Signore, allontànati da me, perché sono un peccatore». Lo stupore infatti aveva invaso lui e tutti quelli che erano con lui, per la pesca che avevano fatto; così pure Giacomo e Giovanni, figli di Zebedèo, che erano soci di Simone. Gesù disse a Simone: «Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini».
E, tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono.

Secondo il profeta Ezechiele l’abbondanza della pesca era segno della benedizione divina. Nel capitolo 47 lui immagina questi pescatori che hanno una pesca abbondante e la pesca abbondante è per l’acqua che esce dal tempio di Gerusalemme. Ebbene l’evangelista Luca nel capitolo 5 del suo vangelo ci presenta una pesca abbondante non più per l’acqua che esce dal tempio, ma per la parola di Gesù.
Leggiamo quello che ci scrive Luca. Mentre la folla gli faceva ressa attorno per ascoltare la parola di Dio – quindi Gesù manifesta questa parola di Dio –  … E qui c’è un repentino strano cambio di scena, perché abbiamo lasciato Gesù in Giudea, l’evangelista aveva concluso il capitolo 4 scrivendo “E andava predicando nelle sinagoghe della Giudea”, Gesù stando, in piedi, presso il lago di Gennèsaret … quindi ci troviamo immediatamente proiettati in Galilea …  vide due barche presso il lago. I pescatori erano scesi e  lavavano le reti. Più volte in questo brano troveremo questa allusione ai pescatori, citazione del profeta Ezechiele con la pesca abbondante.
Salì in una barca, che era di Simone. Gesù conosce già Simone perché gli ha guarito la suocera, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedette – è la posizione del maestro –  e insegnava alle folle dalla barca.
Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone… E qui è strano perché Gesù è un uomo di paese, dell’entroterra, che si permette di dare lezioni di pesca a uno che della pesca aveva fatto il suo mestiere, la sua vita, Simone appunto. Infatti dice a Simone: «Prendi il largo” (letteralmente “il profondo”), “e gettate le vostre reti per la pesca». Ebbene Simone accetta. Simone rispose: «Maestro (letteralmente “capo”, ha un rapporto gerarchico nei confronti di Gesù), abbiamo faticato tutta la notte”, quindi nonostante il tempo propizio per la pesca … il tempo non si riferisce al giorno perché il tempo propizio è la notte …  “e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti».
Ricordo che l’evangelista ha presentato la parola come “la parola di Dio”. Quindi Simone si fida, accetta questa sfida.
Fecero così e presero una quantità enorme di pesci. L’evangelista non vuole raccontarci soltanto un episodio di cronaca, ma una riflessione teologica. Il termine che qui è tradotto con “quantità”, letteralmente significa “moltitudine” e indica la primitiva comunità cristiana. Quindi, seguendo la parola del Signore, un invito a gettare le reti verso gli emarginati, gli esclusi, è lì che la pesca sarà abbondante. E le loro reti quasi si rompevano. Allora fecero cenno ai compagni dell’altra barca, che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche fino a farle quasi affondare.
L’evangelista Luca è quello che ha scritto che nulla è impossibile a Dio. Quindi dopo una notte infruttuosa, andare a pescare di giorno è impossibile. Eppure accogliendo la parola di Dio quello che era impossibile diventa realtà. Al vedere questo … E qui l’evangelista aggiunge al nome il soprannome negativo che indica la sua testardaggine, la sua durezza, quella della Pietra … Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: «Signore, allontànati (letteralmente “esci”, lui quasi si ente posseduto da lui) da me, perché sono un uomo peccatore».
Ecco Simone è in contraddizione con Gesù, che ha detto di essere venuto a chiamare i peccatori, invece lui quasi lo rifiuta.
Lo stupore infatti aveva invaso lui e tutti quelli che erano con lui, per la pesca dei pesci (una sottolineatura dell’evangelista) che avevano fatto; così pure Giacomo e Giovanni, figli di Zebedèo, che erano soci di Simone. Ed ecco la novità portata da Gesù, Gesù disse a Simone: «Non temere”. A Gesù non interessa che sia peccatore o meno, quello che riguarda il suo rapporto con Dio, il suo passato. Gli interessa il suo rapporto con gli uomini, il futuro.
Allora Gesù dice a Simone: “Non temere,  d’ora in poi – quindi guarda il futuro non quello che è ora sarai pescatore di uomini». 
Pietro ha detto “allontanati da me”, “esci da me perché sono peccatore”, evidenziando il rapporto con Dio. Gesù lo invita ad un rapporto con gli uomini. “Pescatori di uomini” letteralmente l’evangelista dice “prenderai i vivi”. Cosa significa? Sappiamo che pescare un pesce significa togliere il pesce dal suo habitat vitale per dargli la morte. Pescare un uomo che sta nell’acqua, al contrario, significa toglierlo dall’ambito che gli può dare la morte e portarlo in un ambito vitale.
Allora l’invito che Gesù fa a Simone è questo: tirare fuori gli uomini dagli ambiti di morte dove rischiano di affogare, di morire. 
E, tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono. Inizia a costituirsi la comunità attorno a Gesù, una comunità non di pastori, Gesù non li invita ad essere pastori, ma una comunità di uomini, cioè comunicatori di vita verso quanti ne hanno bisogno.

 

il commento al vangelo della domenica

GESU’ COME ELIA ED ELISEO E’ MANDATO NON PER I SOLI GIUDEI

commento al vangelo della quarta domenica del tempo ordinario (31 gennaio 2016) di p. Alberto Maggi:

p. Maggi

Lc   4,21-30

In quel tempo, Gesù cominciò a dire nella sinagoga: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato».
Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?». Ma egli rispose loro: «Certamente voi mi citerete questo proverbio: “Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella tua patria!”».
Poi aggiunse: «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elìa, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elìa, se non a una vedova a Sarèpta di Sidòne. C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro».
All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino.

Il vangelo di questa domenica ci presenta la prima fallimentare predica di Gesù a Nazaret. L’evangelista – già l’abbiamo visto domenica scorsa – presenta un Gesù a Nazaret che si alza e legge un famoso brano, conosciutissimo, atteso, quello del capitolo 61 del profeta Isaia, che indicava la venuta del Messia. Ma, arrivato al punto in cui dice “proclamare l’anno di grazia del Signore”, Gesù interrompe la lettura e non prosegue con quello che era il versetto più atteso: “e la vendetta del nostro Dio”.
Era quello che il popolo aspettava, dominato dai romani. Allora vediamo il proseguimento di questo brano, il capitolo 4 di Luca, dal versetto 21 al 30. Allora cominciò a dire loro nella sinagoga: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato».  E l’evangelista continua aggiungendo: “Con i vostri orecchi”. Gesù, alludendo a una citazione del profeta Ezechiele che dice che il popolo ha orecchi ma non ascolta, perché è una genia di ribelli, prepara quello che segue.
Tutti, cioè tutti i presenti nella sinagoga … E qui bisogna tradurre bene questo termine, gli davano testimonianza. Il verbo “testimoniare” in greco è martireo, da cui il termine “martire” che conosciamo tutti. Dal contesto dipende se è una testimonianza a favore o contro. Qui è chiaramente una testimonianza contro. Quindi è meglio tradurre Tutti gli erano contro.
Ed erano meravigliati, sconvolti. Da che cosa? Delle parole di grazia, perché Gesù non ha parlato della vendetta contro i dominatori, ma soltanto di grazia.
Che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?». Non stanno mettendo in dubbio la paternità di Giuseppe, perché, come ha scritto l’evangelista, era figlio, come si credeva, di Giuseppe. Ma “figlio”, nella cultura del tempo, non indica soltanto colui che è nato dal padre, ma colui che gli assomiglia nel comportamento. Quindi evidentemente Gesù non assomiglia al padre nel comportamento. Probabilmente anche Giuseppe partecipava di questi ideali nazionalisti, violenti. Nei testi ebraici del tempo l’appellativo “Giuseppe” significava addirittura “il pantera”, quindi dà l’idea di qualcosa di bellicoso.
Quindi Gesù non assomiglia al padre. Ebbene Gesù, anziché calmare gli animi, rincara la dose.  Ma egli rispose loro: «Certamente voi mi citerete questo proverbio: “Medico, cura te stesso”. Sarà poi quello che gli diranno sulla croce, “Ha salvato gli altri, salvi se stesso”.
Quanto abbiamo udito che accadde … E qui Gesù rincarando la dose parla di una città rivale di Nazaret, usando un termine dispregiativo “in quella Cafarnao”, fallo anche qui, nella tua patria!”. Usando il termine “patria” l’evangelista vuol far comprendere che quanto accade a Nazaret sarà poi rappresentativo di tutto quello che accadrà nella sua terra.
Poi aggiunse: «In verità” … Quindi è un’affermazione solenne … “ io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria”. Perché? Il profeta chi è? E’ quell’individuo che, in sintonia con Dio, non ripete le cose del passato, ma crea le nuove. Ecco allora che sarà sempre vittima dell’avversione e dell’opposizione della classe sacerdotale al potere. E poi Gesù fa quello che non doveva fare. C’erano due episodi della storia di Israele che si preferiva tenere nel dimenticatoio, nel passato. Erano episodi nei quali, di fronte a delle emergenze, Dio ha soccorso non gli ebrei, quelli che avevano dei diritti, dei privilegi, ma è andato a soccorrere niente meno che i disprezzati, i pagani.
Erano due episodi che si preferiva dimenticare. Gesù invece li toglie dal dimenticatoio. “Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elìa, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese – quindi anche in Israele – ma a nessuna di esse fu mandato Elìa, se non a una vedova a Sarèpta di Sidòne. Quindi in terra pagana. Gesù sta indicando che l’amore di Dio è universale, che non significa soltanto “estensione”, cioè ovunque, ma “qualità”, cioè per tutti.
L’amore di Dio non è attratto dai meriti delle persone, ma dai loro bisogni.
E poi Gesù rincara ancora la dose. C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro». Un altro pagano, se non addirittura un nemico di  Israele. E’ troppo. Infatti, all’udire queste cose, tutti nella sinagoga… I “tutti” sono gli stessi dei quali l’evangelista diceva “tutti gli davano testimonianza” cioè “tutti gli erano contro”.
Tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno, letteralmente “schiumarono” di ira. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città. L’evangelista sta anticipando quella che poi sarà la sua fine quando verrà ucciso fuori della città santa di Gerusalemme.
E lo condussero fin sul ciglio del monte. Il monte qui richiama il monte Sion dov’è costruita Gerusalemme, quindi l’evangelista in questo episodio ci sta anticipando quella che poi sarà la fine di Gesù, il rifiuto totale da parte del suo popolo.
Sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. La prima volta che Gesù predica in una sinagoga il risultato è che tenteranno di ammazzarlo. Per Gesù, che non correrà mai pericolo con i peccatori, con la gentaglia, con la feccia della società, i luoghi e le persone più pericolosi saranno quelli religiosi. Saranno questi che cercheranno di ammazzarlo, di lapidarlo, di eliminarlo.
Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino. Perché l’evangelista scrive questo dato che sembra un po’ strano. Tutta la folla dei presenti in sinagoga che cerca di catturare Gesù e di ucciderlo e lui come fa a passare in mezzo a loro? L’evangelista sta anticipando il fatto della risurrezione: la morte non si è impadronita di Gesù, ma egli continua il suo cammino.
E conclude il brano con si mise in cammino. In cammino verso dove? Verso Gerusalemme. Quindi Gesù da questo primo rifiuto poi nella sua terra ha compreso che incontrerà soltanto opposizione, incontrerà pericolo di morte. Ma Gesù non si arrende, lui deve essere testimone del perdono di Dio, dell’amore del Padre anche a scapito della propria vita.

 

il commento al vangelo della domenica

OGGI SI E’ COMPIUTA QUESTA SCRITTURA 

commento al vangelo della terza domenica del tempo ordinario (24 gennaio 2016) di p. Alberto Maggi :

p. Maggi

Lc  1,1-4; 4,14-21

Poiché molti hanno cercato di raccontare con ordine gli avvenimenti che si sono compiuti in mezzo a noi, come ce li hanno trasmessi coloro che ne furono testimoni oculari fin da principio e divennero ministri della Parola, così anch’io ho deciso di fare ricerche accurate su ogni circostanza, fin dagli inizi, e di scriverne un resoconto ordinato per te, illustre Teòfilo, in modo che tu possa renderti conto della solidità degli insegnamenti che hai ricevuto.
In quel tempo, Gesù ritornò in Galilea con la potenza dello Spirito e la sua fama si diffuse in tutta la regione. Insegnava nelle loro sinagoghe e gli rendevano lode. Venne a Nàzaret, dove era cresciuto, e secondo il suo solito, di sabato, entrò nella sinagoga e si alzò a leggere. Gli fu dato il rotolo del profeta Isaìa; aprì il rotolo e trovò il passo dove era scritto:
«Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi e proclamare l’anno di grazia del Signore».
Riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all’inserviente e sedette. Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui. Allora cominciò a dire loro: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato». 

La liturgia di questa domenica ci presenta l’inizio del vangelo di Luca e poi passa a presentare la prima predica di Gesù nel suo paese, Nazaret, che fu un grande fallimento. Ma vediamo quello che ci scrive l’evangelista.
Poiché molti hanno cercato di raccontare con ordine gli avvenimenti che si sono compiuti in mezzo a noi… Luca prende quasi due terzi del vangelo di Marco e lo mette nella sua opera. Luca, dagli studi più recenti, appare come un rabbino, quindi una persona molto colta, molto a conoscenza di tutta la storia e la tradizione del suo popolo. 
Come ce li hanno trasmessi coloro che ne furono testimoni oculari fin da principio e divennero ministri – letteralmente “servitori”, è importante questo termine – della Parola. I credenti sono servi di questa parola, non devono dominare questa Parola, non ne sono i padroni. Si mettono a servizio di questa parola perché giunga ad ogni creatura.
Così anch’io ho deciso di fare ricerche accurate su ogni circostanza, fin dagli inizi, quindi si vede proprio lo scrupolo del rabbino, l’attenzione, e di scriverne un resoconto ordinato per te. Ed ecco questa opera che viene dedicata all’illustre Teòfilo. Letteralmente “illustre”, eccellentissimo, era un titolo che veniva riservato ai grandi personaggi, negli Atti degli Apostoli sono i governatori romani. Teòfilo. Il nome Teofilo significa amico di Dio, o amato da Dio. Chi è questo Teofilo? Gli studio più recenti, dagli inizi del 2000, confermano che questo Teofilo è il terzo figlio di Anna, il sommo sacerdote, ed è stato anche lui sommo sacerdote fra il 37 e il 41 ed era il cognato di Caifa.
Quindi Luca rivolge la sua opera a un sommo sacerdote che, con la sua famiglia, ha avuto un’importante storia nella vita di Gesù.
 In modo che tu possa renderti conto della solidità degli insegnamenti che hai ricevuto. Ecco ci fa comprendere che questo sommo sacerdote ha accolto Gesù come messia della sua vita. Allora l’evangelista gli vuole mostrare l’origine, la profondità di questo messaggio. Poi la liturgia salta e ci porta addirittura al capitolo 4.
Gesù ritornò in Galilea, la Galilea era la regione disprezzata, ricordiamo nel vangelo di Giovanni, con che disprezzo ci si riferisce a questa regione quando i farisei, i sommi sacerdoti, dicono: “Non sorge profeta dalla Galilea”, quindi una regione ignorata da Dio.
 Con la potenza dello Spirito e la sua fama si diffuse in tutta la regione. Insegnava nelle loro sinagoghe e gli rendevano lode. Mai l’evangelista afferma che Gesù sia andato in una sinagoga per il culto, Gesù va nelle sinagoghe per insegnare il suo messaggio, libera dall’insegnamento che gli scribi impartivano proprio nelle sinagoghe.
E naturalmente questo non poteva che essere occasione di incidenti. La prima delle quattro volte che Gesù entra in una sinagoga è sempre in una situazione di conflitto.  Venne a Nàzaret, dove era cresciuto, e secondo il suo solito, di sabato, entrò nella sinagoga e si alzò a leggere. Nella liturgia sinagogale c’era – come da noi – un ciclo triennale di letture. Si iniziava con un salmo, il salmo 92, poi c’era la lettura di brani della Legge, dal libro del Deuteronomio, e poi si terminava con quella che era la lettura del saluto, la lettura di un profeta.
Quindi Gesù si alza per leggere, gli fu dato il rotolo del profeta Isaìa – quel sabato toccava leggere questo profeta, ma Gesù qui fa una prima trasgressione. Scrive l’evangelista: aprì il rotolo e trovò (viene tradotto con “trovò” ma il verbo giusto è “cercò”). Il verbo greco è eurisko, da cui viene la famosa esclamazione di Archimede che tutti quanti conosciamo, Eureka! Cosa significa? Ho trovato. Ma ho trovato quello che ho cercato. Quindi Gesù non è d’accordo con quello che la liturgia gli presenta in quel giorno, ma va in cerca di ubrano particolare.
E qual è? E’ il brano della consacrazione del messia, il capitolo 61 del profeta Isaia. “Lo Spirito del Signore è sopra di me” Nella liturgia ebraica i testi erano letti nella lingua sacra, l’ebraico, ma siccome il popolo non comprendeva più questa lingua sacra, c’era un traduttore che, ad ogni versetto, traduceva il brano.
Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione; ecco “unzione”, in ebraico messiah, da cui deriva messia, quindi consacrato con l’unzione da Dio. E mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio. Qual è il lieto annunzio che i poveri attendono? La fine della povertà. E sarà questo l’obiettivo di Gesù, creare una società alternativa dove le persone, anziché accumulare per sé, condividano con gli altri.
A proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; i ciechi erano i prigionieri che vivevano in grotte sotterranee. A rimettere in libertà gli oppressi e proclamare l’anno di grazia del Signore», l’anno di grazia è il giubileo, quello della liberazione nel paese di tutti gli abitanti. E Gesù interrompe la lettura, non poteva essere interrotta, perché il versetto continuava con quella che era l’attesa del popolo: il giorno di vendetta del nostro Dio.
E’ questo che la gente s’attende. Gesù non è d’accordo con Isaia. Da parte di Dio c’è soltanto una parola d’amore, di grazia, ma non di vendetta. La tensione è al massimo.
Scrive l’evangelista:  Riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all’inserviente e sedette. Quindi la lettura è finita. Nella sinagoga, gli occhi di tutti, quindi c’è grande tensione, erano fissi su di lui. Ebbene Gesù incomincia con quella che poi causerà un’esplosione di ira. Cercheranno di ammazzarlo.
Allora cominciò a dire loro: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato». E l’evangelista aggiunge “con i vostri orecchi”. Perché? Prepara il rifiuto, con la citazione del profeta Ezechiele, che dice: Figlio dell’Uomo tu abiti in mezzo a una genia di ribelli che hanno occhi per vedere e non vedono, hanno orecchi per udire e non odono, perché sono una genia di ribelli.
Prepara il rifiuto che vedremo nella prossima puntata

il commento al vangelo della domenica

QUESTO A CANA DI GALILEA, FU L’INIZIO DEI SEGNI COMPIUTI DA GESU’

commento al vangelo della seconda domenica del tempo ordinario (17 gennaio 2016) di p. Alberto  Maggi:

p. Maggi
Gv 2,1-12

In quel tempo, vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli.
Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno vino». E Gesù le rispose: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora». Sua madre disse ai servitori: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela».
Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri. E Gesù disse loro: «Riempite d’acqua le anfore»; e le riempirono fino all’orlo. Disse loro di nuovo: «Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto». Ed essi gliene portarono.
Come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto – il quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano preso l’acqua – chiamò lo sposo e gli disse: «Tutti mettono in tavola il vino buono all’inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora». Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui.

I vangeli non sono stati scritti per essere letti dalla gente. Perché? Perché la gente, nella stragrande maggioranza, era analfabeta. I vangeli sono delle opere letterarie, teologiche, spirituali, molto molto complesse, dense, ricche di significati e venivano inviati in una comunità dove il lettore, cioè il teologo di quella comunità, non si limitava a leggerlo agli altri, ma lo interpretava.
E per interpretarlo seguiva quelle chiavi di lettura, quelle indicazioni che l’evangelista, l’autore metteva nel testo. E’ quello che cerchiamo di fare noi, per far fiorire il brano di oggi, il capitolo 2 del vangelo di
Giovanni, i primi undici versetti, conosciuto come le nozze di Cana. Faremo fiorire questo testo e vedremo cosa l’evangelista ci vuol dire.
Vediamo subito la prima indicazione che l’evangelista infatti pone. Il terzo giorno vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea. Il terzo giorno, a un ebreo del tempo, richiamava subito il giorno dell’alleanza, il giorno in cui Dio a Mosè sul Sinai donò l’alleanza con il suo popolo.
Quindi l’evangelista vuole dire: attenzione tutto questo brano è in chiave dell’alleanza con Dio. E le nozze! Quest’alleanza tra Dio e i suoi profeti veniva raffigurata attraverso un matrimonio; Dio era lo sposo e il popolo, Israele, la sposa.
A Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. Anche in questo brano tutti i personaggi sono anonimi. Quando un personaggio è anonimo – l’abbiamo già visto per altri brani del vangelo – significa che è un personaggio rappresentativo. L’unica persona che in questo brano ha un nome è Gesù.
Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. Venuto a mancare il vino … nel rito matrimoniale il momento culminante è quando lo sposo e la sposa bevono da un unico calice di vino, il vino rappresenta l’amore. Ebbene qui c’è un matrimonio dove manca l’elemento più importante, manca il vino.
La madre di Gesù gli disse: «Non hanno vino». La madre di Gesù che pure apparteneva alle nozze, non dice, come ci saremmo aspettati: “Non abbiamo vino”, ma dice “Non hanno vino”, la madre di Gesù rappresenta quell’Israele fedele che ha sempre conservato questo amore con Dio. E la risposta di Gesù può sembrare strana, addirittura sgarbato, se pensiamo è rivolta da un figlio alla madre.
E Gesù le rispose: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora». Ma vediamo anche qui di comprendere che cosa l’evangelista vuole esprimere. “Donna” significa “moglie, donna sposata”. Sono tre i personaggi femminili ai quali Gesù in questo vangelo si rivolge con questo appellativo. Sono le immagini delle spose di Dio.
Per cui la madre di Gesù rappresenta la sposa fedele dell’Antico Testamento; l’altro personaggio femminile al quale Gesù si rivolgerà chiamandolo “donna”, cioè “moglie, donna sposata”, è la donna samaritana, cioè l’Israele adultero che lo sposo riconquista con un’offerta ancora più grande d’amore. E, infine, in questo vangelo l’ultimo personaggio al quale Gesù si rivolgerà chiamandolo “donna” sarà Maria di Magdala, che rappresenta la sposa della nuova alleanza.
Allora Gesù richiamando la sua caratteristica di sposa fedele dice: “Che vuoi da me”? Cioè che cosa ci importa? Non è ancora giunta la mia ora”.
La madre di Gesù crede che il messia vada ad annunciare nuova vita alle antiche istituzioni. Ma Gesù non è venuto a mettere nuova vita nelle antiche istituzioni, ma a formularne una nuova, che adesso vedremo.
Quindi Gesù dice: “Non ci interessa questo”. Ma sua madre disse ai servitori… Il termine diaconi, coloro che liberamente, volontariamente, per amore, si mettono a servizio, e qui l’evangelista mette in bocca
alla madre quando nel libro dell’Esodo aveva risposto il popolo a Mosè: “Quanto il Signore ha detto noi lo faremo”.
Qui sua madre disse ai servitori: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela». Quindi vede in Gesù come il nuovo legislatore, il nuovo Mosè che è da ascoltare. E qui la descrizione ora va all’ambiente.
Vi erano là sei anfore di pietra, non anfore di coccio, come a volte nelle rappresentazioni i pittori ci fanno vedere, ma sei anfore di pietra, quindi grosse inamovibili, di pietra come le tavole della legge. Per cosa dovevano servire? Per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri. Quindi in questo ambiente familiare ci sono queste anfore che dovevano contenere ben seicento litri d’acqua per la purificazione.
Ecco perché non hanno vino. Una religione che inculca il senso di colpa, di indegnità, che fa sentire l’uomo sempre bisognoso di chiedere perdono, di purificarsi, sempre impuro, è una religione che impedisce di scoprire e di accogliere l’amore di Dio. Ecco il bisogno sempre quindi di purificarsi.
E Gesù disse loro: «Riempite d’acqua le anfore»; e le riempirono fino all’orlo. Disse loro di nuovo: «Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto».  C’era un incaricato. Questi pranzi di nozze duravano giorni, a volte anche una settimana. E c’era un incaricato che doveva stare attento all’ordinamento, a che non mancassero i cibi e soprattutto il vino.
Costui non se ne occupa. Qui rappresenta i capi religiosi che non si occupano e non si preoccupano del fatto che il popolo non abbia questa relazione con Dio.
Ed essi gliene portarono.  Come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino… Le anfore non conterranno mai il vino di Gesù, ma l’acqua diventa vino quando viene versata dalle anfore. Colui che dirigeva il banchetto – il quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano attinto all’acqua … e quindi le anfore non contengono mai il vino di Gesù ma contengono l’acqua, – chiamò lo sposo.
Ma vediamo di comprendere prima della reazione. Cosa significa questo cambio? E’ la nuova alleanza che Gesù ci propone. Un nuovo rapporto con Dio, non più basato sull’obbedienza alla legge, che fa sentire sempre indegni e impuri, ma sull’accoglienza del suo amore. Con Gesù l’amore di Dio non è più concesso per i meriti delle persone, soltanto quelli che lo meritano, ma per i bisogni, quindi concesso a tutti quanti.
Chiamò lo sposo, e lo rimprovera. «Tutti mettono in tavola il vino buono all’inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono”. E’ normale. In un pranzo che dura parecchie ore, o addirittura parecchi giorni, all’inizio si serve il vino buono e poi quello più scadente.  “Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora».
Per le autorità il vino nuovo appartiene al passato. Le autorità sono incapaci di comprendere che il bello e il buono deve ancora venire. Bene, a conclusione di questo episodio, e qui l’evangelista ci sta dicendo: “Attenti! Non vi sto raccontando una storiella, ma qualcosa di più profondo”, l’evangelista dice: Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria. L’unica volta nella
quale si scrive che Gesù manifestò la sua gloria. Non viene detto quando Gesù risuscita Lazzaro, un morto da quattro giorni, ma qui l’evangelista ci dice: “Attenzione! Questo non è un racconto di un’acqua cambiata in vino o per ospiti già alticci, ma ci parla del cambio dell’alleanza. Non più il bisogno di purificarsi per accogliere l’amore di Dio, ma accogliere l’amore di Dio, che è quello che purifica l’uomo.

 

il commento al vangelo della domenica

MENTRE GESU’, RICEVUTO IL BATTESIMO, STAVA IN PREGHIERA, IL CIELO SI APRI’

 commento al vangelo della domenica del Battesimo del Signore (10 gennaio 2016) di p. Alberto Maggi:

p. Maggi

Lc 3,15-16.21-22

In quel tempo, poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco».
Ed ecco, mentre tutto il popolo veniva battezzato e Gesù, ricevuto anche lui il battesimo, stava in preghiera, il cielo si aprì e discese sopra di lui lo Spirito Santo in forma corporea, come una colomba, e venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento». 

Giovanni Battista nel deserto aveva annunziato un battesimo in segno di conversione, cioè cambiamento di vita, per il perdono dei peccati. La risposta è inaspettata: tutto il popolo accorre a lui. Il popolo ha compreso che il perdono dei peccati non può avvenire al tempio, con un atto liturgico, con un sacrificio al Signore, ma attraverso un cambiamento di vita.
Ma se il popolo ha creduto e accorre a Giovanni Battista, le autorità religiose, i capi no, sempre refrattari a qualunque invito al cambiamento.
Allora leggiamo il vangelo di questa domenica, il capitolo 3 di Luca, dal versetto 15. Poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, cioè il messia.
Il popolo crede di aver individuato in questo profeta nel deserto l’atteso liberatore di Israele. Ma Giovanni chiarisce subito che lui non lo è. Giovanni rispose a tutti dicendo “Io vi battezzo con acqua”, cioè vi immergo in un liquido che è esterno all’uomo, che è un segno di cambiamento di vita per ottenere il perdono dei peccati. “Ma viene colui che è più forte di me”, e qui l’evangelista adopera un’espressione che va inserita nel contesto che va inserita nel contesto culturale dell’epoca per comprenderla. “Non sono degno di slegare i lacci dei sandali”.
Cosa vuol dire Giovanni Battista con questa espressione? C’era una legge nell’istituzione matrimoniale del tempo, che si chiamava “del levirato”. In cosa consisteva questa legge? Quando una donna rimaneva vedova senza figli, il cognato aveva l’obbligo di metterla incinta. Il bambino nato avrebbe portato il nome del marito defunto.
Era la maniera per perpetuare il nome della persona. Quando il cognato si rifiutava di mettere incinta questa donna probabilmente per motivi di interesse perché la donna senza figli, senza prole, veniva rimandata al suo clan familiare. Colui che nella scala sociale, giuridica, aveva il diritto dopo di lui, procedeva alla cerimonia dello scalzamento, sfilava i sandali di questa persona, li prendeva, ci sputava sopra. Era un gesto simbolico che significava “il tuo diritto di mettere incinta questa vedova, spetta a me”.
Ecco allora il significato di questa espressione di Giovanni Battista, che ritroviamo nell’antico testamento, nelle storie di Ruth e nei vari libri. Non sono degno di slegare i legacci dei sandali quindi significa “non sono io che devo fecondare questa vedova”, il popolo di Israele veniva considerato come una vedova, “ma colui che viene dopo di me”.
Perché “Egli vi battezzerà in Spirito Santo”. Mentre io vi ho immerso nell’acqua, simbolo di un cambiamento di vita, lui vi inzupperà, vi immergerà, vi impregnerà della stessa vita divina. “E fuoco”.
Poi qui la liturgia taglia dei versetti che indicano l’eliminazione di Giovanni Battista. E’ la risposta del potere alla conversione. I potenti non vogliono mai cambiare. Ma è anche la stupidità del potere perché la persecuzione fa sempre fiorire la vita, non la estingue. Ogni volta che i potenti vogliono spegnere una voce, ecco che ne sorge una ancora più potente, più forte.
Ecco riprendiamo la nostra lettura al versetto 21. Ed ecco, mentre tutto il popolo veniva battezzato … quindi il popolo ha compreso, tra Gerusalemme, il tempio dove, attraverso un sacrificio al Signore si otteneva il perdono dei peccati, e il deserto attraverso un rito di immersione, il popolo ha compreso che lì c’è la verità.
Ecco che compare Gesù, che va anche lui a farsi battezzare. Ma perché Gesù si battezza? Il battesimo era un simbolo di morte per la gente. Morire al passato, a quello che era uno stato, per iniziare una vita nuova. Anche per Gesù il battesimo è un segno di morte, non ad un passato di peccato che lui non ha, ma l’accettazione di morte nel futuro. Gesù dirà più avanti in questo stesso vangelo che c’è un battesimo nel quale deve essere battezzato ed è angosciato finché non arriverà questo momento.
Si tratta della sua morte. Quindi per Gesù andare a farsi battezzare significa: per la fedeltà all’amore di Dio accettare la persecuzione e anche la morte. Gesù, ricevuto anche lui il battesimo, stava in preghiera, il cielo si aprì. Cosa significa questo cielo che si apre? E’ la comunicazione permanente e definitiva dell’uomo con Dio. Il cielo indica la realtà divina.
Quando c’è un uomo che si impegna a manifestare fedelmente l’amore di Dio, ecco che la comunicazione tra Dio e l’uomo è continua. Con Gesù questa comunicazione sarà ininterrotta. 
E discese sopra di lui lo Spirito Santo, l’articolo determinativo indica la totalità. Lo Spirito è la forza, l’energia dell’amore di Dio, che scende su Gesù. Perché l’evangelista indica in forma corporea? Per dire realmente, pienamente; come una colomba. L’immagine della colomba richiama vari elementi, riguarda la creazione quando lo Spirito di Dio aleggiava sopra le acque e nell’interpretazione rabbinica si diceva che era come una colomba, quindi in Gesù c’è la nuova creazione. Richiama soprattutto la colomba che esce dall’arca di Noè, dopo il diluvio, in segno di perdono.
Gesù è il perdono di Dio. Ma richiama anche un proverbio palestinese che dice: “come amor di colomba al suo nido”. La colomba è quell’animale che rimane affezionato, attaccatissimo al suo nido originario. Gli si può cambiare il nido, farne uno nuovo, ma lei non ne vuole sapere. Quindi Gesù è il nido dello Spirito, è là dove si manifesta la pienezza dell’amore di Dio.
E, venne una voce dal cielo, quindi da Dio. E qui l’evangelista fa un collage di vari testi dell’antico testamento, dal profeta Isaia, un salmo, il libro della Genesi: “Tu sei il Figlio mio, l’amato – l’amato indica l’erede, colui che eredita tutto dal padre – “in te ho posto il mio compiacimento”. 
Quindi Dio conferma che in Gesù c’è tutta la sua stessa realtà, e il popolo lo deve soltanto accogliere.

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