il commento al vangelo dell’Epifania

SIAMO VENUTI DALL’ORIENTE PER ADORARE IL RE

commento al vangelo della festa dell’epifania (6 gennaio 2016) di fra Alberto MAGGI: 

p. Maggi

l’evangelista vuole significare che l’amore universale di Dio si estende ovunque, non soltanto per la sua estensione, appunto, ma anche per la sua qualità: l’amore di Dio è per tutti, anche per le categorie che possiamo pensare come più lontane o disprezzate

Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme e dicevano: «Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo». All’udire questo, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme.
Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Cristo. Gli risposero: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta: “E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero l’ultima delle città principali di Giuda: da te infatti uscirà un capo che sarà il pastore del mio popolo, Israele”».
Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme dicendo: «Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo».
Udito il re, essi partirono. Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese.

Il giorno dell’Epifania la chiesa ci propone il capitolo 2 di Matteo, un capitolo che, per essere gustato a pieno, esige uno sforzo da parte nostra: prendere le distanze dalla tradizione e dal folclore e anche dall’immagine – bella di per sé – del presepio.
Vediamo infatti cosa ci scrive Matteo.
Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode.
Erode è un re illegittimo, perché non aveva sangue ebraico nelle vene, e quindi non poteva essere re degli ebrei. Ed era talmente sospettoso che qualcuno gli potesse prendere il trono, che arrivò a uccidere i suoi stessi figli.
Ecco. Quando c’è questa espressione “ecco”, l’evangelista attira l’attenzione per qualcosa di imprevisto, qualcosa di improbabile che appare.
Ecco alcuni Magi che vennero da Oriente, letteralmente “maghi”. Chi sono questi maghi pagani?
Con il termine “mago” si intendeva a quel tempo l’indovino, ma anche l’ingannatore, l’astrologo ma anche il corruttore e ciarlatano. E comunque è un’attività che viene proibita nella Bibbia. Nel libro del Levitico (19,26) viene proibita severamente l’attività del mago, e anche nel cristianesimo non godrà di buon nome, tanto che nel primitivo catechismo della chiesa cristiana, che si chiama Didac» (Didaché) (2,2), l’esercizio del mago verrà collocato tra il divieto di rubare e quello di abortire.
Quindi abbiamo, in quanto maghi, persone disprezzate anche dalla Bibbia, e in quanto pagani i più lontani da Dio. L’evangelista vuole significare che l’amore universale di Dio si estende ovunque, non soltanto per la sua estensione, appunto, ma anche per la sua qualità: l’amore di Dio è per tutti, anche per le categorie che possiamo pensare come più lontane o disprezzate.
A Gerusalemme. Sbagliano posto. Vanno nel luogo meno adatto per trovare Gesù. A Gerusalemme, la città santa, Gesù non nasce. A Gerusalemme, il figlio di Dio sarà ammazzato, sarà messo a morte.
E dicevano: “Dov’è colui che è neonato, il re dei Giudei?” L’evangelista contrappone Erode, re dei Giudei, a Gesù, il neonato re dei Giudei.
Abbiamo visto spuntare la sua stella – letteralmente abbiamo visto la sua stella da Oriente).
Questa stella di cui parla Matteo non va cercata nel cielo, ma va cercata nella Bibbia. Infatti l’evangelista si rifà ad una profezia contenuta nel libro dei Numeri (24,17) dove Balaam, un indovino, profetizza “Una stella sorge da Giacobbe, uno scettro si eleva da Israele”. Quindi non è un avvenimento che accade nel cosmo, è un avvenimento teologico quello che l’evangelista ci vuole segnalare.
Più avanti ne avremo la conferma. A quel tempo si pensava che quando una persona nasceva, sorgeva anche una nuova stella che poi si sarebbe spenta il giorno della sua morte.
E siamo venuti ad adorarlo”. All’udire questo il re Erode restò turbato – e si capisce! Il re Erode è un uomo che ha usurpato il trono e ha paura di perderlo. Ma sorprende il seguito: – e con lui tutta Gerusalemme.
Anche Gerusalemme resta turbata, spaventata, perché Erode ha usurpato il trono, Gerusalemme ha usurpato il ruolo di Dio. Quindi Erode ha paura di perdere il trono, ma Gerusalemme ha paura di perdere il tempio dove presenta un’immagine di Dio falsa, che corrisponde per nulla al Padre che Gesù presenterà.
Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Cristo, cioè il messia.
E’ questo che Erode teme, il messia liberatore. Erode lo teme e Gerusalemme non lo attende.
Gli risposero – i capi dei sacerdoti e gli scribi, quindi l’élite sacerdotale e teologica – “A Betlemme di Giudea perché così è scritto per mezzo del profeta”. Vediamo che l’evangelista è polemico. La conoscenza della scrittura non è garanzia di conoscenza del Signore. Una conoscenza che non si traduce nella vita è sterile, è nociva, come in questo caso.
E qui l’evangelista cita, modificandola, una profezia contenuta nel libro del profeta Michea, al capitolo 5, v. 1: “E tu Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero l’ultima delle città principali di Giuda: da te infatti uscirà un capo” … Michea aveva scritto “dominatore”, ma l’evangelista censura questo termine.
Gesù non sarà un dominatore, allora sostituisce il termine con “capo”, colui che guida, che conduce.
E, per farlo comprendere meglio, aggiunge alla profezia di Michea un’espressione estratta dal secondo libro di Samuele (5,2), Che sarà il pastore del mio popolo Israele. Quindi Gesù non dominerà, ma sarà il pastore, colui che cura il bene del suo gregge.
Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella.
E’ preoccupato che altri possano aver visto questo segno che indicava la nascita del re dei Giudei. E li inviò a Betlemme, e qui l’evangelista ci presenta un’immagine del potere che è sempre menzognero e assassino. E’ menzognero perché impone con la menzogna il suo potere, e assassino perché lo difende con la violenza.
Infatti Erode dice: “Andate e informatevi accuratamente sul bambino, e quando l’avrete trovato, fatemelo sapere perché anch’io venga ad adorarlo”. In realtà lo vuole eliminare. Il potere è sempre menzognero e assassino. L’evangelista ci invita a prenderne le distanze.
Udito il re, essi partirono. Ed ecco – qui c’è di nuovo la sorpresa – la stella che avevano visto in Oriente li precedeva.
Loro non hanno seguito la stella per andare a Gerusalemme, hanno visto sorgere la stella, ma hanno sbagliato strada. Sono andati nel luogo sbagliato, a Gerusalemme, dove Gesù sarà assassinato, e non a Betlemme dove Gesù è nato.
Allora questa volta la stella ha il ruolo come di Dio nel deserto che guida il suo popolo, come il pastore che guida il suo gregge. E’ la stella che li guida.
Li precedeva, finché giunse e si fermò, letteralmente, sopra dove si trovava il bambino.
E’ chiaro che l’evangelista non è così ingenuo da presentare un astro che si muove e si ferma in un luogo. E’ impossibile che una stella possa indicare dove sta un bambino. Quindi, come abbiamo detto all’inizio, questa stella non va ricercata in cielo, nel cosmo, ma nella Bibbia.
Al vedere la stella provarono una gioia grandissima. E’ la prima volta che appare l’espressione di una grande, incontenibile gioia. L’ultima volta apparirà nelle donne, nell’incontro con il risuscitato.
I pagani e le donne sono i più distanti da Dio, secondo la concezione dell’epoca, eppure sono quelli che lo riconoscono e lo accolgono.
Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre – l’evangelista presenta la coppia regale – si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono …
I doni dei maghi sono simbolici e indicano che on c’è più un’esclusività di un popolo, Israele, ma una possibilità per tutta l’umanità.
• Infatti offrono ORO, che era simbolo della regalità. L’evangelista vuole anticipare il fatto che il regno di Dio sarà anche per i pagani. Non c’è più il regno di Israele, limitato a una nazione, a un popolo, a una religione, ma il regno di Dio, l’amore universale, è per tutti, anche per i pagani.
• Offrono INCENSO. L’offerta dell’incenso era riservata ai sacerdoti. La caratteristica esclusiva di Israele era di essere un popolo sacerdotale, cioè di avere contatto con Dio. Anche questa prerogativa non sarà più solo del popolo di Israele, ma essere popolo sacerdotale – nel senso di comunicazione diretta con Dio – sarà per tutta l’umanità.
• Infine offrono MIRRA, che era il profumo della sposa. La si trova nel Cantico dei Cantici. Ebbene il privilegio di Israele di essere considerato la sposa di Dio non è più soltanto per questa nazione, ma per tutta l’umanità.
Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese.
“Per un’altra strada” è un’espressione molto rara che troviamo nella Bibbia, nel primo libro dei Re , in cui indica il santuario di Betel dove veniva adorato il vitello d’oro. L’evangelista vuole indicare che ormai Gerusalemme è una città idolatrica dalla quale bisogna prendere le distanze




il commento al vangelo della domenica

la buona  notizia è per tutti

il commento aal vangelo della seconda domenica di natale (3 gennaio 2016) di p. A. Maggi:

p. Maggi




il commento al vangelo del primo giorno del’anno

MARIA MADRE DI DIO

I PASTORI TROVARONO MARIA E GIUSEPPE E IL BAMBINO 

DOPO OTTO GIORNI GLI FU MESSO NOME GESU’

commento al vangelo del primo giorno dell’anno (1 gennaio 2016) di fra Alberto Maggi 

p. Maggi
Lc 2,16-21

<Ebbene, quando Dio si incontra con i peccatori, smentisce quello che la religione ha insegnato. Non li rimprovera, non li punisce, non li incenerisce nel fuoco della sua ira, ma li avvolge del suo amore. Infatti i pastori vengono avvolti dalla luce del Signore. Quindi loro annunciano questo: per essi è nato un salvatore, colui che li viene a salvare.
E’ lo scandalo della misericordia che sarà il filo conduttore di tutto il vangelo di Luca.>


[In quel tempo, i pastori] andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro.
Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore.
I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro.
Quando furono compiuti gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall’angelo prima che fosse concepito nel grembo.

Il primo giorno del nuovo anno si apre con la buona notizia.
E qual è questa buona notizia?
Quelli che la religione considera i più lontani da Dio, in realtà per Gesù, per il vangelo, sono i più vicini a Dio. Questa è la buona notizia che Luca l’evangelista ci riporta nel brano della visita dei pastori a Betlemme.
Scrive Luca: “andarono senza indugio e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ci che del bambino era stato detto loro”.
Che cosa era stato detto loro? Cos’era questa grande novità, la buona notizia?
L’angelo aveva annunziato loro una grande gioia per loro, che era nato per loro il salvatore. Quindi non un giustiziere.
I pastori, lo sappiamo, erano considerati una categoria di gente lontana da Dio perché viveva in uno stato continuo di impurità, di furti. Erano selvatici come le bestie che accudivano. Quindi i pastori erano nella lista degli individui che il messia, alla sua venuta, avrebbe dovuto eliminare in quanto peccatori.
Ebbene, quando Dio si incontra con i peccatori, smentisce quello che la religione ha insegnato. Non li rimprovera, non li punisce, non li incenerisce nel fuoco della sua ira, ma li avvolge del suo amore. Infatti i pastori vengono avvolti dalla luce del Signore. Quindi loro annunciano questo: per essi è nato un salvatore, colui che li viene a salvare.
Ebbene, nessuna gioia da parte di quelli che ascoltano. La gioia dei pastori non è condivisa, ma, scrive Luca “tutti quelli che udivano si stupirono”. C’è qualcosa di nuovo, qualcosa di inaudito in quello che viene detto. E’ lo scandalo della misericordia che sarà il filo conduttore di tutto il vangelo di Luca.
Gesù con la sua misericordia scandalizzerà tutti quanti, specialmente le persone pie, quelle che pensano che l’amore di Dio vada meritato e non hanno sperimentato come i pastori l’amore come regalo anziché come premio.
Quindi “si stupirono delle cose delle loro dai pastori”, perché crolla quello che la religione insegnava loro riguardo a Dio. Un Dio che premiava i giusti, ma che puniva i malvagi. Anche se tutti si stupiscono di questa novità, c’è Maria, la madre di Gesù, che “da parte sua custodiva tutte queste cose”, non “meditandole”, come qui è stato tradotto: il verbo (sumb£llw) significa “esaminare, interpretare, cercare il vero senso”.
Quindi anche Maria è stupita, è sconcertata di fronte a questa novità, ma lei non la rifiuta. Cerca di capire il vero senso. E’ questo atteggiamento di Maria che non si chiude al nuovo, anzi si apre e cerca di capirlo, che la porterà da madre di Gesù a diventarne poi la discepola.
“I pastori se ne tornarono”, e poi Luca scrive qualcosa di straordinario. Nella cultura dell’epoca i pastori erano ritenuti i più lontani da Dio per la loro condizione di impurità, di peccato. Dio, nell’alto dei cieli, era circondato da quelli che erano chiamati i sette angeli del servizio. Questi sette angeli avevano il compito di lodarlo e glorificarlo continuamente.
Ebbene, scrive Luca, “I pastori si se ne tornarono glorificando e lodando Dio”. Una volta che hanno sperimentato l’amore di Dio – un amore che, come abbiamo visto, non viene dato come un premio per i propri meriti, ma come un regalo per i propri bisogni – anche le categorie ritenute le più lontane da Dio sono le più vicine.
L’amore rende intimi al Signore. E’ cambiata l’immagine di Dio, è cambiata la situazione dei pastori. Non c’è nessuna persona al mondo che, per la sua condizione, si possa sentire esclusa o emarginata dall’amore di Dio.
Quindi i pastori se ne tornano lodando e glorificando Dio esattamente come gli esseri più vicini a Dio. Ma la novità di Gesù fa fatica ad essere accolta. Il piano divino incontra la resistenza degli uomini e l’evangelista infatti scrive che “quando furono compiuti gli otto giorni prescritti per la circoncisione gli fu messo nome Gesù”.
I genitori vogliono rendere figlio di Abramo – era questo il significato della circoncisione – colui che era stato annunziato come il figlio dell’Altissimo, il figlio di Dio. L’evangelista vuol far comprendere la resistenza da parte del suo popolo verso l’accoglienza di questa novità portata da Gesù e ci anticipa il conflitto che subito si scatenerà perché Gesù non seguirà la via dei padri, ma seguirà la via del Padre.




papa Francesco ‘pietra d’inciampo’ e ‘delusione’ per troppi ma non per i poveri

papa Francesco

che “delusione”!

di Alberto Maggi

 
 

all’inizio era solo una discreta mormorazione, poi è diventata mugugno sempre più crescente, e ora, senza più remore, aperto dissenso nei confronti del Papa venuto dalla fine del mondo (e sono tanti che ce lo vorrebbero ricacciare). Papa Francesco in poco tempo è riuscito a deludere tutti. E la delusione si trasforma in un risentimento dapprima covato e ora platealmente manifesto

Sono delusi molti dei cardinali, che pure lo hanno eletto. Era l’uomo ideale, senza scheletri negli armadi, dottrinalmente sicuro, tradizionalista ma con accettabili aperture verso il nuovo. Avrebbe potuto garantire un periodo di tranquillità alla Chiesa terremotata da scandali e divisioni. Mai avrebbero pensato che Bergoglio avrebbe avuto intenzione di riformare nientemeno che la Curia romana, eliminare privilegi e fustigare le vanità del clero. La sua sola presenza, sobria e spontanea, è un costante atto d’accusa ai pomposi prelati, anacronistici faraoni pieni di sé.
 
Sono delusi i vescovi in carriera, quelli per i quali una nomina in una città era solo il piedistallo per un incarico di maggiore prestigio. Erano pronti a clonarsi con il pontefice di turno, a imitarlo in tutto e per tutto, dall’abbigliamento alla dottrina, pur di entrare nel suo gradimento e ottenerne i favori. Ora questo papa invita gli ambiziosi e vanesi vescovi ad avere l’odore delle pecore… che orrore!
 
È deluso gran parte del clero. Si sente spiazzato. Cresciuto nel rispetto rigido della dottrina, indifferente al bene delle persone, ora non sa come comportarsi. Deve recuperare un’umanità che l’osservanza delle norme ecclesiali ha come atrofizzato. Credevano di essere, in quanto sacerdoti, al di sopra delle persone, e ora questo papa li invita a scendere e mettersi a servizio degli ultimi.
 
Delusi anche i laici impegnati nel rinnovamento della Chiesa e i super tradizionalisti attaccati tenacemente al passato. Per questi ultimi il papa è un traditore che sta portando la Chiesa alla rovina. Per i primi, papa Bergoglio non fa abbastanza, non cambia norme e legislazioni non più in sintonia con i tempi, non legifera, non usa la sua autorità di comandante in campo.
 

Sono entusiasti di lui i poveri, gli emarginati, gli invisibili, e anche tutti quelli, cardinali, vescovi e preti e laici, che da decenni sono stati emarginati a causa della loro fedeltà al vangelo, visti con sospetto e perseguitati per questa loro mania della Sacra Scrittura a discapito della tradizione. Quel che avevano soltanto sperato, immaginato o sognato, ora è divenuto realtà con Francesco, il papa che ha fatto riscoprire al mondo il profumo del vangelo

 
 p. Maggi
 
Alberto Maggi, frate dell’Ordine dei Servi di Maria, ha studiato nelle Pontificie Facoltà Teologiche Marianum e Gregoriana di Roma e all’École Biblique et Archéologique française di Gerusalemme. Fondatore del Centro Studi Biblici «G. Vannucci» (www.studibiblici.it) a Montefano (Macerata), cura la divulgazione delle sacre scritture interpretandole sempre al servizio della giustizia, mai del potere. Ha pubblicato, tra gli altri: Roba da preti; Nostra Signora degli eretici; Come leggere il Vangelo (e non perdere la fede); Parabole come pietre; La follia di Dio e Versetti pericolosi. E’ in libreria con Garzanti Chi non muore si rivede – Il mio viaggio di fede e allegria tra il dolore e la vita.
(fonte: IL LIBRAIO)



solo un Dio ‘folle’ riesce ad innamorarmi

natale

la “follia” di Dio

e il senso profondo della venuta al mondo di Gesù

di Alberto Maggi

p. Maggi

Solo un Dio pazzo poteva pensare di diventare un uomo. Ma chi gliel’ha fatto fare al Signore di lasciare il privilegio della condizione divina per assumere la debolezza della condizione umana?
In ogni tempo il sogno dei potenti è stato quello di diventare dèi, di elevarsi sopra di tutti (“Salirò in cielo, sulle stelle di Dio innalzerò il trono… mi farò uguale all’Altissimo”, Is 14,12.14). Raggiungere il Signore è stata anche la massima aspirazione di ogni persona religiosa: salire, spiritualizzarsi, per fondersi misticamente con il Dio invisibile. I potenti pensavano di raggiungere Dio e di essere al suo pari mediante l’accumulo del potere per meglio dominare il popolo; le persone religiose aspiravano a unirsi a Dio attraverso l’accumulo delle preghiere per presentarsi quali modelli di santità.
Ma più l’uomo si separava dagli altri per incontrare Dio e più questi pareva allontanarsi, diventare irraggiungibile.
Con Gesù si è capito perché. Con il Natale Dio diventa uomo, abbassandosi al livello di ogni altra creatura. Solo la “follia di Dio” (1 Cor 1,25) poteva spingere l’Altissimo non solo a diventare un uomo, ma a restarlo: “Svuotò se stesso, assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini” (Fil 2,7). Non si era mai sentito parlare di un Creatore che si abbassava al livello delle sue creature.
Il Signore l’ha fatto, per amore della sua creazione, l’umanità. Con la nascita di Gesù, Dio non è più lo stesso e l’uomo neanche. È cambiato completamente il rapporto tra Dio e gli uomini, e tra questi e il loro Signore. Con Gesù Dio non è più da cercare, ma da accogliere. L’uomo non deve salire per incontrare il Signore, ma scendere verso gli altri uomini, perché in Gesù Dio si è fatto uomo, profondamente umano e non chiede di essere servito, ma lui si è messo a servizio di ogni uomo.
Per questo, che una persona sia in comunione con Dio non si vede da quel che crede, ma da come ama, non da quanto prega, ma da quanto presta ascolto ai bisogni degli altri, non dai sacrifici verso Dio, ma dal sapersi sacrificare per il bene dell’altro. È questa la meravigliosa sorpresa del Natale del Signore: più l’uomo è umano e più scopre e libera il divino che è in lui, un Dio che non assorbe le energie degli uomini, ma gli comunica le sue, un Dio che non chiede di vivere per lui ma di lui, e, con lui e come lui, irradiare amore, tenerezza e compassione per ogni creatura, un Dio che non chiede di obbedire a un Libro ritenuto sacro, ma di considerare sacra ogni creatura.




il commento al vangelo di natale

NATALE 
IL VERBO SI FECE CARNE
E VENNE AD ABITARE IN MEZZO A NOI

commento al Vangelo di p. Alberto MAGGI

p. Maggi

Gv 1,1-18

In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era, in principio, presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza  di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste. In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno  vinta. Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per  mezzo di lui. Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce. Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Era nel mondo  e il mondo è stato fatto per mezzo di lui; eppure il mondo non lo ha riconosciuto.  Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto. A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo  nome, i quali, non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati. E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in  mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità. Giovanni gli dà  testimonianza e proclama: «Era di lui che io dissi: Colui che viene dopo di me è avanti a me, perché era prima di me». Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo  ricevuto: grazia su grazia. Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo. Dio, nessuno lo ha mai visto:  il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato.

Per il giorno di Natale la chiesa ci offre come riflessione i primi diciotto versetti del vangelo di Giovanni, conosciuti come “prologo” al suo vangelo. Nel prologo l’evangelista riassume e anticipa tutta la sua opera e ogni singola parola del prologo sarà poi sviluppata lungo tutta la narrazione.  E’ un prologo che inizia correggendo la sacra scrittura e termina smentendola. Vediamola nei suoi tratti più salienti.  In principio, l’evangelista si rifà al primo libro della Bibbia, il libro del Genesi, che inizia con queste parole: In principio Dio creò il cielo e la  terra.
Ebbene, l’evangelista non è d’accordo.  In principio era il Verbo, cioè prima ancora di creare il cielo e la terra Dio aveva in mente un progetto. “Verbo” (lÒgoj) significa una parola, una parola  creatrice che realizza il progetto di Dio nella creazione.  Quindi, prima ancora della creazione c’era questo Verbo, questo progetto di Dio. E questo Verbo  continuamente interpellava Dio perché arrivasse a realizzarlo. L’evangelista scrive che In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini. Non c’è una luce esterna che deve guidare gli uomini – la luce, nella spiritualità  ebraica, era la legge – ma è la vita la luce degli uomini. E’ la risposta al desiderio di pienezza di vita quello che guida e illumina la via degli uomini. La luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta. L’evangelista assicura che la luce, man mano che allarga il suo splendore, vince le tenebre.  La luce non deve combattere le tenebre, non c’è nulla di bellicoso in questo progetto di Dio sull’umanità. La luce deve soltanto splendere. Nella misura  in cui splende, le tenebre restringeranno il loro influsso.  E poi arriviamo a quelli che sono i versetti centrali del prologo, quindi più importanti di tutto questo brano: Venne tra i suoi, ma i suoi non l’hanno  accolto.  Com’è stato possibile?  E’ stato possibile perché proprio la casta sacerdotale al potere, in nome del Dio del passato, ha rifiutato il Dio che si manifesta nel presente.  Il Dio del passato l’avevano potuto manipolare presentandolo come un Dio di potere, per poter essi stessi esercitare il potere. Il Dio che si presenta,  che è un Dio-amore che si mette a servizio, scombinava tutti i loro piani, i loro progetti. Per questo lo hanno rifiutato.  Però, l’evangelista assicura, ed è questo il versetto principale di tutto il prologo, A quanti lo hanno accolto – quindi c’è chi ha accolto questo progetto  di Dio, questa parola – ha dato il potere di diventare figli di Dio. “Figli di Dio” non si nasce, ma si diventa, accogliendo questo progetto di vita, facendolo  proprio. Questo progetto, lo vedremo, si realizza nella figura di Gesù e possiamo accoglierlo come modello del proprio comportamento.  E il Verbo – questa parola creatrice – si fece carne.  L’evangelista non scrive, come ci saremmo aspettati, “si fece uomo”, ma “si fece carne!” La carne (sarx) indica l’uomo nella sua debolezza, la debolezza  dell’esistenza umana. E venne ad abitare … non “in mezzo a noi”, ma in noi (™n ¹m‹n).
L’evangelista sta indicando qualcosa di straordinario. Con la nascita Dio non è più da cercare, ma da accogliere. E’ un Dio che non solo è vicino, ma un  Dio che chiede a ogni uomo di diventare l’unico vero santuario dal quale irradiare il suo amore, la sua santità e la sua compassione. Quindi questo Verbo  si è fatto carne, nella debolezza dell’esistenza umana, il che significa che non esiste dono di Dio che non passi attraverso la carne, attraverso l’umanità. Il Dio di Gesù chiede di essere accolto per fondersi con l’uomo, dilatarne le capacità d’amore, e renderlo l’unico vero santuario dal quale si irradia  il suo amore. Questo è il progetto di Dio sull’umanità: ogni uomo diventa l’unico vero santuario.
Gesù un po’ più avanti in questo vangelo dirà che se uno lo ama osserverà la sua parola, il Padre e lui verranno nell’individuo e prenderanno dimora presso  di lui. Quindi questa è la grande novità. E’ finita l’epoca dei templi dove l’uomo deve andare, ma inizia l’epoca dell’unico vero santuario che è Gesù  e quanti lo accolgono, che non attende che le persone vadano verso di lui, ma è il santuario che si orienta verso le persone, specialmente verso gli ultimi,
verso le persone che sono state emarginate e rifiutate.  Dalla sua pienezza – questa pienezza d’amore – noi tutti abbiamo ricevuto grazia su grazia. Questa espressione (carin ¢ntˆ caritoj) indica che l’amore  alimenta l’amore. C’è un amore ricevuto che va accolto e trasformato in amore comunicato. L’amore che l’uomo riceve da Dio, che accoglie e che poi trasforma  in amore comunicato all’altro, permette a Dio una nuova, più abbondante, risposta d’amore. E questo in un crescendo senza fine.  Ed ecco i versetti conclusivi e importanti.
Perché la legge fu data per mezzo di Mosè – parla di legge come di qualcosa del passato – la grazia e la verità – cioè l’amore generoso di Dio, l’amore  fedele – vennero per mezzo di Gesù Cristo.  L’evangelista qui anticipa quella che sarà la nuova alleanza di Gesù.  Mentre Mosè, il servo di Dio, ha imposto un’alleanza tra dei servi e il loro Signore, basata sull’obbedienza alla legge, Gesù, che è il Figlio di Dio,  propone un’alleanza tra dei figli e il loro Padre, basata sull’accoglienza e somiglianza al suo amore.  Quest’amore fedele, questa grazia e verità, non nasce dal bisogno dell’uomo, ma lo precede. Infine – abbiamo detto che inizia correggendo la scrittura  e smentendola – Dio nessuno lo ha mai visto.
L’evangelista smentisce quello che è scritto nel libro dell’Esodo, dove si legge che Mosè ed altri hanno visto Dio. No, hanno fatto solo esperienze molto  limitate. Pertanto, la volontà di Dio che Mosè ha espresso, è una volontà limitata alla sua esperienza.
Dio nessuno l’ha mai visto, il figlio unigenito, che è Dio – ecco il progetto che si è realizzato – ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato. Quindi l’evangelista invita a centrare tutta l’attenzione su Gesù. Gesù non è come Dio, ma Dio è come Gesù. Tutto quello che noi crediamo di sapere su  Dio adesso dobbiamo verificarlo ed esaminarlo in Gesù, quel Gesù che poi dirà a Filippo: “Chi ha visto me ha visto il Padre”.
Ecco, questo è l’annunzio del Natale: non un uomo che deve salire verso Dio per divinizzarsi, ma accogliere un Dio che è sceso verso gli uomini umanizzandosi.  Tanto più gli uomini saranno umani, tanto più si manifesterà il divino che è in loro.




il commento al vangelo della domenica

SANTA FAMIGLIA
GESU’ E’ RITROVATO DAI GENITORI NEL TEMPIO IN MEZZO AI MAESTRI 

commento al Vangelo della prima domenica di natale (27 dicembre 2015) di p. Alberto Maggi 

p. Maggi

Lc 2,41-52

I genitori di Gesù si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa. Ma, trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Credendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme.
Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte.
Al vederlo restarono stupiti, e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». Ed egli rispose loro: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro.
Scese dunque con loro e venne a Nàzaret e stava loro sottomesso. Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore. E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini.

Ogniqualvolta leggiamo il vangelo dobbiamo sempre tenere presente, per comprenderlo, che non riguarda la cronaca, ma la teologia, cioè non ci riporta una serie di fatti, ma di verità. Quindi non riguarda tanto la storia, ma la fede. Ecco perché sono sempre molto attuali.
Questo è tanto più necessario per il brano del vangelo che abbiamo in questa domenica. Il capitolo 2 di Luca, versetti 41-52, conosciuti come lo smarrimento e il ritrovamento di Gesù nel tempio. Quindi bisogna seguire le indicazioni che l’evangelista ci dà per comprendere quello che ci vuole trasmettere. E  cosa ci vuole trasmettere? La grande resistenza e la grande delusione del popolo di Israele nei confronti di Gesù, perché Gesù non segue le tradizioni dei padri, ma instaura una relazione completamente nuova.
Ma vediamo il vangelo. I suoi genitori … Tutti i personaggi che sono in questo brano sono anonimi. L’unico che ha nome è Gesù. Quando un personaggio è anonimo significa che è rappresentativo. Allora l’evangelista non ci vuole indicare tanto Maria e Giuseppe, ma tutto il popolo di Israele.
I suoi genitori si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Sono le tre grandi feste nelle quali bisognava salire a Gerusalemme, la Pasqua, la Pentecoste e le Capanne. Quando egli ebbe dodici anni… perché questo particolare? Perché l’evangelista rivede nella figura di Gesù uno dei grandi profeti della storia di Israele, il profeta Samuele che, secondo la tradizione, anche lui incominciò a profetare all’età di dodici anni.
Vi salirono secondo la consuetudine alla festa. Ma, trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Può sembrare strano: come è possibile che Gesù rimane e i genitori non se ne accorgono? Perché i genitori sono fortemente convinti che il figlio li segua; il figlio deve seguire le orme dei padri. Ma è questa la novità che vedremo che Gesù ci presenta.
Credendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; E non trovano Gesù. Non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme.
Può sembrare appunto strano che questa famiglia non si accorga dell’assenza di Gesù. L’evangelista, all’inizio del suo vangelo, annunziando la nascita di Giovanni Battista, aveva detto che sarebbe venuto a portare il cuore dei padri verso i figli. Ed era una citazione del profeta Malachia, che continuava: il cuore dei figli verso i padri.
Luca omette questa seconda parte. E’ l’antico, il passato, che deve comprendere il nuovo, non il nuovo che deve seguire il passato.
Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri. Sono i maestri della legge. Il fatto che Gesù sia nel mezzo richiama la sapienza di Dio secondo il Libro del Siracide, dove si legge: la sapienza loda se stessa, si vanta in mezzo al suo popolo.
Quindi Gesù è immagine della sapienza di Dio. Mentre li ascoltava… E non solo, e li interrogava. A dodici anni lui interroga i maestri della legge.  E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore. Si traduce con “stupore”, ma l’evangelista adopera un’espressione che indica una meraviglia irritata, erano sconvolti dalle risposte di Gesù. Per la sua intelligenza e le sue risposte.
Ecco a quanto pare non solo interroga, ma fornisce risposte. Ed ecco l’incidente.  Al vederlo restarono stupiti, – letteralmente sbigottiti – e sua madre gli disse… qui Maria, la madre di Gesù, come dicevo non è presentata con il nome, ma è rappresentativa del popolo di Israele, commette due errori. Primo lo  chiama “figlio”, e il termine adoperata significa “bambino mio”, cioè qualcuno su cui io ho un diritto, un potere.
«Figlio, perché ci hai fatto questo? Ed ecco il secondo errore: “Ecco, tuo padre … quindi si riferisce alla figura di Giuseppe … e io, angosciati, ti cercavamo». Ora la risposta di Gesù. L’unica volta in cui Gesù, in questo vangelo, si rivolge alla madre, è per una parola di aspro rimprovero. E indubbiamente la madre avrà ricordato la profezia di Simeone nel tempio quando le disse: “A te una spada attraverserà la tua vita”, e la spada è la parola del Signore.
Infatti Gesù risponde: «Perché mi cercavate? Non sapevate – quindi è qualcosa che avrebbero dovuto sapere – che io devo … “ Il verbo “dovere” in questa particolare forma indica la volontà di Dio.
“Devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Mentre la madre gli ha detto: “Tuo padre e io angosciati ti cercavamo”, Gesù dice, no, io devo occuparmi del Padre mio. Suo padre non è Giuseppe. Cosa vuole dire Gesù? Che lui non segue i padri, il passato, ma segue il Padre, colui che fa nuove tutte le cose. Naturalmente essi non compresero ciò che aveva detto loro. Perché non comprendono? Chi guarda al passato non può comprendere il nuovo che avanza.
Scese dunque con loro e venne a Nàzaret e stava loro sottomesso. E qui si apre uno spiraglio, una speranza per Maria, come già nell’episodio dei pastori, Maria non ha capito, anche lei è sconvolta da questa grande novità.
Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore. Il cuore indica la mente, la coscienza. E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini. Esattamente come il profeta Samuele che come scritto nella Bibbia, cresceva anche lui con questa sapienza.
Ebbene il brano termina con una speranza per Maria. Maria incomincia il suo processo di crescita che la porterà da essere madre di Gesù a discepola del Cristo.




il commento al vangelo della domenica

A CHE COSA DEVO CHE LA MADRE DEL MIO SIGNORE VENGA A ME?

commento al Vangelo di della quarta domenica di avvento (20 dicembre 2015) di p. Alberto Maggi

Lc 1, 39-45

In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed  sclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto».
Con poche sapienti pennellate Luca è l’evangelista che più degli altri ci presenta la figura di Maria, la madre di Gesù. Vediamo cosa ci scrive l’evangelista in questa quarta domenica di Avvento, 20 dicembre, nel capitolo 1, versetti 39-45.
Anzitutto il contesto. C’era stata l’annunziazione, l’angelo Gabriele aveva chiesto a Maria di collaborare al disegno di Dio diventandone la madre del figlio. Ebbene Maria fa qualcosa di assolutamente inconcepibile nella cultura dell’epoca. Nella cultura dell’epoca la donna non era autorizzata a prendere nessuna decisione senza prima aver consultato, e aver avuto l’approvazione, del padre, del marito o del figlio.
Ebbene Maria non chiede a nessun uomo. Maria decide da sola. E’ qualcosa di inconcepibile per la cultura. Ma quello che ora l’evangelista ci scrive è ancora più assurdo. Leggiamo. In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. L’angelo le aveva detto che la sua parente Elisabetta attendeva un bambino e lei, una volta che le è stato annunziato che Dio prenderà forma in lei, non si mette sotto una campana di vetro per essere riverita, per accogliere la venerazione o la devozione degli altri, ma si mette al servizio.         
L’evangelista vuol far comprendere che ogni autentica esperienza dello Spirito si traduce in servizio. Ma un servizio particolare perché qui l’evangelista dice che Maria si alzò, non dice che si unì ad una carovana. Ma si alzò e andò verso una città di Giuda. Dalla Galilea per andare in Giudea c’erano due strade: una che era più lunga però più sicura, quella della vallata del Giordano, l’altra era più breve, ma pericolosa perché passava attraverso la montagna della Samaria.
E noi sappiamo che tra ebrei e samaritani c’era un’inimicizia profonda. Era rischioso passare attraverso la zona montagnosa, c’era rischio di rimetterci la vita. Ebbene per Maria il desiderio di servire, il desiderio di comunicare vita, è più importante della propria incolumità. Quindi in fretta si mette in viaggio verso questa città. Entrata nella casa di Zaccaria, … e qui ci aspetteremmo “salutò il padrone di casa”. Nulla di tutto questo, “salutò Elisabetta”, la moglie. E’ inconcepibile, è il padrone di casa che va salutato per primo. Maria no, Maria saluta Elisabetta, è l’incontro tra due donne per le quali la gravidanza era qualcosa di impossibile: una perché era sterile l’altra perché era vergine.
Quindi Maria entra e saluta come l’angelo aveva fatto con lei. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria….
Non si tratta qui di una formalità, non si limita a desiderare il bene, ma a procurarlo, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo . L’evangelista anticipa qui quella che però poi sarà l’azione di Gesù, di battezzare nello Spirito Santo, immergere ogni persona nella pienezza dell’amore di Dio. Ed esclamò a gran voce …
nella casa del sacerdote incredulo – e che per questo è muto – è al donna colei che svolge il ruolo del profeta:  “Benedetta tu fra le donne”. E qui questo brano contiene una dozzina di citazioni bibliche. Questa parte è tratta dal libro dei Giudici dove si tratta della benedizione di Giaele, una delle grandi donne di Israele. “E benedetto il frutto del tuo grembo!”
Questo è clamoroso. Una sola volta nell’antico testamento si parla del frutto del grembo, ma si riferisce ad un uomo, l’uomo che è fedele al Signore. Questa volta  l’evangelista l’attribuisce a Maria. E si chiede: “A che cosa devo che la madre del mio Signore”, cioè del messia, “venga da me?” Qui l’evangelista scrive questa narrazione tenendo presente un grande episodio nella storia di Israele quando l’arca che conteneva le tavole dell’alleanza fece sosta in casa di una persona. E anche questa persona si meravigliò (il tale è Arauna) dicendo: “Perché il re mio Signore viene dal suo servo?” “Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia”, letteralmente di
esultanza , “nel mio grembo”. Ed ecco la prima beatitudine del vangelo. “E beata colei che ha creduto … “
Se Elisabetta proclama beata Maria perché ha creduto, c’è anche un velato rimprovero al marito Zaccaria che invece non ha creduto. “E beata colei che ha creduto  nell’adempimento”, cioè nel compimento di ciò che il Signore le ha detto».
La vergine Maria ha creduto al disegno di Dio e viene proclamata “beata”.
E’ la prima beatitudine con la quale si apre il vangelo. L’ultima la troveremo nel vangelo di Giovanni: “Beati quelli che, pur non avendo visto, crederanno”. In queste due beatitudini si racchiude l’esistenza di Maria. Qual è il significato di questa beatitudine? Maria ha compreso – e se la chiesa ce la propone come modello di credente questo è valido anche per noi – Maria ha compreso di essere all’interno di un unico straordinario progetto d’amore. E che tutto che incontra nella vita, tutto quello che capiterà nella vita, sia nel bene che nel male, serve soltanto per realizzare questo progetto.
Ecco la Maria che la chiesa ci propone come modello dei credenti

 




il commento al vangelo

OGNI UOMO VEDRA’ LA SALVEZZA DI DIO 

commento al vangelo della seconda domenica di avvento (6 dicembre 2015) di p. Alberto Maggi:

p. Maggi

Lc   3,1-6

Nell’anno quindicesimo dell’impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetràrca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetràrca dell’Iturèa e della Traconìtide, e Lisània tetràrca dell’Abilène, sotto i sommi sacerdoti Anna e Càifa, la parola di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccarìa, nel deserto.
Egli percorse tutta la regione del Giordano, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati, com’è scritto nel libro degli oracoli del profeta Isaìa: «Voce di uno che grida nel deserto:
Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!
Ogni burrone sarà riempito, ogni monte e ogni colle sarà abbassato; le vie tortuose diverranno diritte e quelle impervie, spianate. Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!».

Quando leggiamo il vangelo, per gustarne la ricchezza dobbiamo metterci nei panni dei primi lettori o dei primi ascoltatori che non sapevano come andava a finire. E vedremo nel brano di questa domenica, 6 dicembre, seconda di Avvento, i primi sei versetti del capitolo terzo del vangelo di Luca, come l’evangelista crea la sorpresa.
Scrive l’evangelista: Nell’anno quindicesimo dell’impero di Tiberio Cesare… l’inizio di questo brano è ridondante, solenne, perché poi l’evangelista vuole destare la sorpresa e sarà veramente una sorpresa. Inizia con Tiberio Cesare. A quel tempo i potenti si consideravano degli dei, quindi l’evangelista inizia con la persona che è più vicina a Dio, ed è un Dio lui stesso, l’imperatore.
Mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetràrca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetràrca dell’Iturèa e della Traconìtide, vediamo come è solenne e pomposo questo inizio, l’evangelista va a pescare anche un certo Lisània, personaggio semi sconosciuto, tetràrca dell’Abilène, cioè dell’anti Libano,  sotto i sommi sacerdoti Anna e Càifa.
Perché “sommi sacerdoti”? Il sommo sacerdote era uno. Ma l’evangelista ne pone due, Anna e Caifa. Perché tutto questo? L’evangelista vuole raggiungere il numero sette. Il numero sette, nel linguaggio  della Bibbia, rappresenta quello che è pieno, quello che è completo, quello che è totale. Potremmo dire con un linguaggio comprensibile a noi oggi “era il G7 del tempo”, i massimi potenti della terra.
Ebbene ecco la sorpresa:   la parola di Dio venne su … Su chi scenderà la parola di Dio? Qui abbiamo Tiberio Cesare, l’imperatore, Dio  lui stesso, abbiamo anche i sommi sacerdoti che erano i rappresentanti di Dio sulla terra. A chi si rivolgerà Dio per manifestare la sua parola? Ebbene, quando Dio deve intervenire nella storia – questa è la sopresa – evita accuramente luoghi e persone sacri e religiosi perché sa che notoriamente sono ostili e refrattari al suo messaggio.
Infatti ecco la sorpresa, la parola di Dio venne su … nessuno dei potenti, ma su un certo Giovanni, figlio di Zaccarìa, nel deserto. Ma che ci fa Giovanni nel deserto? Giovanni, in quanto figlio di un sacerdote, all’età di diciotto anni doveva presentarsi al tempio per essere esaminato per verificare che non avesse nessuno dei difetti che impedivano l’esercizio del sacerdozio e poi continuare, perpetuare il sacerdozio del padre.
Giovanni no. Giovanni è il bambino che fin dal seno della madre è stato ripieno di Spirito Santo, lui è l’uomo dello Spirito, non l’uomo del rito.
Per cui rompe con la società e va nel deserto, lontano da Gerusalemme e lontano dal tempio. La parola di Dio scende proprio su di lui.
Egli percorse tutta la regione del Giordano, il Giordano ci ricorda il fiume che il popolo ebraico ha dovuto attraversare per entrare nella terra promessa; ora la terra promessa è diventata una terra di schiavitù dalla quale il popolo deve uscire.  Predicando un battesimo … il termine “battesimo” non ha il nostro significato liturgico, era un rito nel quale – il termine significa immersione – ci si immergeva completamente nell’acqua, si moriva simbolicamente a quello che si era stato, e si usciva come una persona nuova.
Quindi Giovanni predica questo segno come immagine di un cambiamento di conversione. Nella lingua greca la conversione si esprime in due maniere: una è la conversione religiosa, il ritorno a Dio, il ritorno alla religione e gli evangelisti evitano accuratamente questo termine. L’altro, adoperato dall’evangelista, è il cambiamento di comportamento, un cambiamento radicale nella propria esistenza.
Ecco perché questo messaggio di cambiamento non poteva essere rivolto alla casta sacerdotale al potere, che non ama i cambiamenti. Ma Giovanni dice: “Cambiate vita”. Cosa significa conversione? Se fino ad ora hai vissuto per te, da adesso vivi per gli altri.
Ebbene questo avviene per il perdono dei peccati. Quello che fa  Giovanni è inaudito, è una sfida tremenda, perché i peccati venivano perdonati andando al tempio di Gerusalemme, portando delle offerte a Dio. Giovanni non è d’accordo. Lui, l’uomo dello Spirito, dice che il perdono dei peccati non avviene attraverso un rito liturgico, offrendo dei doni al Signore, ma attraverso un cambiamento radicale di vita – vivendo per gli altri, e questo ottiene la cancellazione dei peccati.
Com’è scritto nel libro degli oracoli del profeta Isaìa, e qui l’evangelista cita quello che si chiama “il libro della consolazione”, la seconda parte del profeta Isaia ed è stata scritta da un profeta anonimo, alla fine  dell’esilio, ed è un invito a lasciare la terra della schiavitù.  «Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!
Ogni burrone sarà riempito, ogni monte e ogni colle sarà abbassato; le vie tortuose diverranno diritte e quelle impervie, spianate. Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!».
Il testo del profeta Isaia diceva: “Ogni uomo vedrà la gloria di Dio”. L’evangelista lo modifica: “Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio”. La gloria di Dio si manifesta nella salvezza di ogni uomo. E’ importante quest’accezione “ogni uomo”. Non ci sono persone escluse dall’amore di Dio. Non ci sono persone escluse da quest’invito alla conversione per realizzare il regno di Dio. Ogni uomo è destinato a sperimentare la gloria del Signore, l’amore del Signore.
Dirà poi Pietro negli Atti degli Apostoli, ricollegandosi a tutto questo, che Dio gli aveva rivelato che nessun uomo poteva essere considerato immondo, cioè impuro, escluso dall’amore di Dio. Ecco questo è l’annunzio della buona notizia: la parola di Dio si rivolge su Giovanni per un invito a un cambiamento di vita e questo è un messaggio offerto a tutta l’umanità.
Nessuno se ne può sentire escluso.

 




il commento al vangelo

LA VOSTRA LIBERAZIONE E’ VICINA

commento al vangelo della prima domenica d’avvento (29 novembre 2015) di p. Alberto Maggi:

p. Maggi

Lc  21, 25-28, 34-36

[In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli:] «Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, mentre gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte.
Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria. Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina.
State attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso all’improvviso; come un laccio infatti esso si abbatterà sopra tutti coloro che abitano sulla faccia di tutta la terra.
Vegliate in ogni momento pregando, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che sta per accadere, e di comparire davanti al Figlio dell’uomo».

Il vangelo di questa domenica, il 29 novembre, prima domenica di avvento, è una parola di grande incoraggiamento che Gesù dà alla sua comunità. Una comunità piccola, inerme e indifesa che può scoraggiarsi di fronte alle strutture di potere che dominano la società.
Ebbene le parole di Gesù sono un grande incoraggiamento.
Ogni potere hai piedi d’argilla e prima o poi è destinato a crollare. Ma leggiamo e vediamo il significato del vangelo di questa domenica.
E’ il capitolo 21 del vangelo di Luca dai versetti 25 a 36. Dice Gesù: “Vi saranno segni”. Gesù risponde alla domanda che i discepoli gli hanno fatto. Gesù aveva annunziato la distruzione del tempio di Gerusalemme. Perché? Un’istituzione religiosa che adopera il nome di Dio per sfruttare il popolo, per sfruttare i poveri, non ha diritto di esistere. 
Dio comunica vita, non la toglie alle persone. Il Dio di Gesù è un padre che non assorbe le energie degli uomini, ma comunica loro le sue. Ebbene un’istituzione religiosa che invece presenta un Dio che sfrutta gli uomini non ha diritto di esistere. Quindi Gesù ha annunziato la distruzione del tempio di Gerusalemme, immagine di questa istituzione.
Allora i discepoli gli hanno chiesto: “E quale sarà il segno che ciò sta per compiersi?” Ecco la risposta di Gesù: “Vi saranno segni …” e qui Gesù adopera il linguaggio dei profeti, in particolare cita il profeta Gioele, segni con i quali si annuncia l’arrivo del Signore. Vediamoli. “Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle”. Il sole e la luna, nella cultura del tempo, nel mondo pagano, erano degli dei che venivano adorati dai popoli. E le stelle chi sono?
A quel tempo tutti coloro che detenevano un potere si consideravano risiedenti nei cieli; il faraone era un Dio, l’imperatore romano era un Dio o un figlio di Dio. Tutti quelli che detenevano un potere si consideravano come stelle.
Ebbene Gesù assicura che, grazie all’annunzio del vangelo, tutte queste strutture di potere una dopo l’altra verranno a crollare. “E sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti”. E’ il crollo degli imperi che dominavano, però davano sicurezza, ordine. Lo stesso Sant’Agostino quando sente scricchiolare l’impero romano, questa struttura portentosa, dice: “E’ arrivata la fine del mondo”. Non era pensabile concepire un mondo senza la struttura dell’impero romano.
Ebbene gli uomini hanno paura perché quello che sembrava eterno, quello che sembrava stabile, quello che sembrava vero non lo è più. E soprattutto nel campo religioso quello che sembrava sacro in realtà non lo era. E Gesù annunzia: “Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte”. Chi sono queste potenze dei cieli? Nei cieli secondo i vangeli c’è il Padre, c’è Gesù, il figlio dell’Uomo e ci sono gli angeli.
Chi sono quindi questi usurpatori che stanno nei cieli? Sono appunto questi potenti che si arrogano la condizione divina per dominare e sfruttare le persone. Nelle lettere di San Paolo queste potenze dei cieli vanno sotto il nome di “troni, dominazioni, principati, potestà”, tutte immagini legate al potere, al dominio.
Allora “le potenze dei cieli”, quindi questi potenti che detengono il potere, che dominano e sfruttano le persone, “saranno sconvolte”. L’annunzio della buona notizia di Gesù mostrerà il vero Dio e le false divinità perderanno il loro splendore e quei re, quei potenti che appoggiano il loro potere su queste divinità, vedranno la fine del loro dominio.
“Allora vedranno”. E’ interessante che Gesù non dica “vedrete”. Chi sono quelli che vedranno? Questi grandi potenti, nel momento in cui si sfalda e si sbriciola il loro potere, sono loro che nel momento della caduta, vedranno il Figlio dell’uomo. Figlio dell’uomo è un termine con il quale Gesù indica se stesso, l’uomo nella pienezza della condizione divina. “Venire su una nube”, immagine della condizione divina, “con grande potenza”.
Nel momento in cui le potenze saranno sconvolte, si afferma la potenza del Figlio dell’uomo. Con Gesù si inaugura il regno dell’umano e tutto quello che è disumano è destinato a scomparire. “E gloria”. La gloria del Figlio dell’uomo è l’amore incondizionato di Dio per la sua gente.
Ed ecco le parole di grande consolazione, di grande speranza e di grande incoraggiamento. “Quando cominceranno ad accadere queste cose”… queste immagini non devono mettere paura, ma anzi devono mettere allegria. Infatti Gesù aggiunge: “Risollevatevi e alzate il capo”, laddove il capo rappresenta la dignità della persona,” perché la vostra liberazione è vicina”.
Tutti i regimi di potere civili e religiosi che, anziché servire l’uomo lo dominano e lo sfruttano, sono destinati a scomparire. Poi qui ci sono dei versetti che stranamente i liturgisti hanno creduto di omettere, ma sono importanti.
E Gesù disse loro una parabola. “Osservate una pianta di fico e tutti gli alberi. Quando già germogliano capite voi stessi, guardandoli, che ormai l’estate è vicina”. Ed ecco il punto centrale: “Così anche voi, quando vedrete accadere queste cose…”, quindi la fine di Gerusalemme e l’inizio dello sfaldamento di tutti i regimi che dominano le persone, “sappiate che il Regno di Dio è vicino”.
La società alternativa proposta da Gesù, con l’avvento del Regno di Dio diventerà realtà. E anche i pagani saranno ammessi. E poi Gesù mette in guardia con un monito. “Attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita”. Ricorda la parabola che giù Gesù ha già annunziato al capitolo 4, del seme che viene soffocato dalle preoccupazioni economiche che portano l’individuo a centrarsi su se stesso.
Cosa vuole dire Gesù? Se i discepoli si sono integrati nella società ingiusta, quella che deve scomparire, incorreranno nella stessa sorte di questa società. Allora la frase finale di Gesù:  “Vegliate”, cioè vigilate, “in ogni momento pregando, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che sta per accadere, e di comparire davanti al Figlio dell’uomo». Gesù invita a non essere conformi ad una società ingiusta perché questa è destinata a scomparire.