il commento al vangelo

VENDI QUELLO CHE HAI E SEGUIMI  

commento al della ventottesima domenica del tempo ordinario (11 ottobre 2015) di p. Alberto Maggi

 

p. Maggi
Mc  10, 17-30

[In quel tempo], mentre Gesù andava per la strada, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?». Gesù gli disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo. Tu conosci i comandamenti: “Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, non frodare, onora tuo padre e tua madre”».
Egli allora gli disse: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza». Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: «Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!». Ma a queste parole egli si fece scuro in volto e se ne andò rattristato; possedeva infatti molti beni.
Gesù, volgendo lo sguardo attorno, disse ai suoi discepoli: «Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio!». I discepoli erano sconcertati dalle sue parole; ma Gesù riprese e disse loro: «Figli, quanto è difficile entrare nel regno di Dio! È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio». Essi, ancora più stupiti, dicevano tra loro: «E chi può essere salvato?». Ma Gesù, guardandoli in faccia, disse: «Impossibile agli uomini, ma non a Dio! Perché tutto è possibile a Dio».
Pietro allora prese a dirgli: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito». Gesù gli rispose: «In verità io vi dico: non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi per causa mia e per causa del Vangelo, che non riceva già ora, in questo tempo, cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel tempo che verrà».

Per la comprensione del brano evangelico dobbiamo lasciarci guidare da quelle chiavi di lettura, cioè dai termini che l’evangelista mette nel suo racconto per indicare quello che lui vuole esprimere. Come in questo brano, il capitolo 10 del vangelo di Marco, dal versetto 17 al 30.
L’evangelista scrive: Mentre andava per la strada. Ecco la prima indicazione. “Lungo la strada” è il luogo della semina infruttuosa, dove il seme è stato gettato per terra, ma subito sono venuti gli uccelli. Quindi
l’evangelista ci mette in guardia sul fatto che questo brano sarà all’insegna della semina infruttuosa, la parola non verrà accolta.
Un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio…  ecco sono altri due elementi importanti. Finora è corso incontro a Gesù l’indemoniato, cioè una persona posseduta da qualcosa di più forte di lui che lo tiene prigioniero e si è gettato in ginocchio presso Gesù il lebbroso, cioè la persona impura che si riteneva esclusa da Dio.
Quindi l’evangelista ci sta dicendo che questo tale è più posseduto di un indemoniato e più impuro di un lebbroso. La preoccupazione di questo tale – che è anonimo quindi significa che è un personaggio rappresentativo – è cosa deve fare per ottenere la vita eterna.
Ebbene Gesù gli risponde quasi in maniera seccata, perché lui è venuto ad inaugurare il regno di Dio, una società alternativa, non è venuto a dare indicazioni per la vita eterna. Comunque Gesù lo rimanda a Dio e ai comandamenti e qui Gesù elimina i tre che erano esclusivi di Israele, i comandamenti più importanti, gli obblighi nei confronti di Dio e gli elenca soltanto cinque comandamenti più un precetto che riguardano il comportamento verso gli altri.
Per la vita eterna non importa come e quello che si è creduto, ma importa come si sono amati i fratelli. E Gesù glieli elenca. “Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso…”, e qui Gesù inserisce Non frodare che era un precetto e non un comandamento. Perché Gesù lo mette tra i comandamenti, dandogli valore di comandamento?
E’ un brano preso dal libro del Deuteronomio dove si chiede di non imbrogliare i lavoratori, i dipendenti. Allora Gesù insinua che alla base di ogni ricchezza – perché vedremo che questo tale è molto ricco – c’è sempre la frode e l’imbroglio. E poi “Onora il padre e la madre”.
L’individuo afferma di aver fatto tutte queste cose fin dalla giovinezza. Il testo greco fa vedere  che l’individuo si riempie la bocca, fiero, orgoglioso di tutto questo … In greco tutte queste cose si dice Tauta panta. È un’espressione che riempie la bocca.
Allora Gesù lo fissò, lo amò e gli disse: “Uno ti manca”. Traduco letteralmente il testo, non è una cosa sola ti manca, cioè a dire “hai fatto tanto metti anche questo”. No. “Uno ti manca” era un’espressione per indicare “Ti manca tutto”. Tanta osservanza dei comandamenti, tante osservanze religiose, eppure ti hanno reso un individuo – come abbiamo visto – angosciato, preoccupato.
Allora Gesù, che lo ama, gli chiede di essere felici facendo felici gli altri. E’ andato da Gesù per avere di più, per avere un consiglio per la sua vita spirituale e Gesù lo invita a dare di più. E infatti gli dice: “Va’, vendi quello che hai, dallo ai poveri…”, cioè fai felice per essere felice, “ e avrai un tesoro in cielo”, cioè in Dio.
“E vieni! Seguimi!” Non ha portato bene a questo individuo incontrare Gesù. Infatti a queste parole egli si fece scuro in volto e se ne andò rattristato … e la conclusione dell’evangelista … possedeva infatti molti beni. Ecco perché all’inizio ha presentato l’individuo che corre come un indemoniato e si inginocchia
come un impuro. Costui credeva di possedere i propri beni, in realtà ne era posseduto. E il possesso di questi beni, l’egoismo che nasce lo chiudeva alla comunicazione con Dio.
La sua condizione è più grave del lebbroso che Gesù ha purificato e più grave anche dell’indemoniato che Gesù ha liberato. Allora Gesù ora si rivolge ai suoi discepoli ed esclude tassativamente che nella sua comunità ci possa entrare un ricco perché nella comunità del Regno c’è posto per i signori ma non per i ricchi. Qual è la differenza?
Il signore è colui che dà, condivide con gli altri; il ricco è colui che ha e trattiene per sé.
E Gesù appunto spiega quanto è difficile per quelli che possiedono ricchezze entrare nel regno di Dio. Questa dichiarazione di Gesù crea sconcerto tra i discepoli. Contenti che finalmente nel suo gruppo entrava un benestante, un ricco che poteva provvedere al sostentamento di questo gruppo di discepoli che aveva lasciato tutto per seguire Gesù, Gesù invece lascia che se ne vada.
Dicevano tra di loro: “E chi potrà essere salvato?” Non si tratta della salvezza eterna, il verbo indica sostentare, sopravvivere, sfuggire ad un pericolo, cioè “Come andiamo avanti se tu uno che ha i soldi non lo vuoi qui con noi?”
E Gesù dice che è impossibile agli uomini ma non a Dio. Gli uomini pensano che la sicurezza stia nell’accumulo, per Gesù la sicurezza, la felicità, stanno nel condividere con gli altri. E allora reagisce il discepolo Pietro, che, con aria di sfida, dice: “Noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito”. E qui Gesù gli risponde elencando una serie di sette impedimenti che, se ostacolano il seguire Gesù e la pienezza della felicità, devono essere eliminati. Per questo afferma: “Non c’è nessuno che abbia abbandonato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o campi per causa mia e per causa del Vangelo, che non riceva già ora, in questo tempo … “, alla minima rinuncia corrisponde la piena abbondanza, “… cento volte tanto.”
Il numero cento indica la benedizione… “in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni e la vita eterna nel tempo che verrà”. E’ la vita eterna che viene ereditata, non si ottiene per i propri sforzi, ma è un regalo da parte di Dio. Poi c’è un ultimo versetto, che è importante ma non c’è nel testo liturgico.
“Ma tutti anche se primi devono essere ultimi e questi ultimi saranno primi”. Gesù ha incontrato uno che nella società è considerato un primo e lo invita a farsi ultimo in modo che gli ultimi possano sentirsi primi.

 




il commento al vangelo della domenica

L’UOMO NON DIVIDA QUELLO CHE DIO HA CONGIUNTO 

commento al Vangelo della ventisettesima domenica del tempo ordinario (4 ottobre 2015 di p. Alberto Maggi

p. Maggi

Mc  10, 2-16

[In quel tempo] alcuni farisei si avvicinarono e, per metterlo alla prova, domandavano a Gesù se è lecito a un marito ripudiare la propria moglie. Ma egli rispose loro: «Che cosa vi ha ordinato Mosè?».
Dissero: «Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di ripudiarla».
Gesù disse loro: «Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma. Ma dall’inizio della creazione [Dio] li fece maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola. Così non sono più due, ma una sola carne. Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto».
A casa, i discepoli lo interrogavano di nuovo su questo argomento. E disse loro: «Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio verso di lei; e se lei, ripudiato il marito, ne sposa un altro, commette adulterio».
Gli presentavano dei bambini perché li toccasse, ma i discepoli li rimproverarono. Gesù, al vedere questo, s’indignò e disse loro: «Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite: a chi è come loro infatti appartiene il regno di Dio. In verità io vi dico: chi non accoglie il regno di Dio come lo accoglie un bambino, non entrerà in esso». E, prendendoli tra le braccia, li benediceva, imponendo le mani su di loro.

Ogniqualvolta Gesù annunzia il suo messaggio, la buona notizia di Dio, cioè il suo amore per tutta l’umanità, ecco che nel vangelo di Marco spuntano sempre i nemici di questo messaggio. E non sono i peccatori, ma sono proprio le persone pie, i zelanti custodi della legge, i farisei.
Vediamo cosa ci scrive l’evangelista Marco. Alcuni farisei, quindi queste persone che mettevano in pratica tutti i precetti e le osservanze della legge, si avvicinarono e, per tentarlo … il verbo tentare è apparso la prima volta all’inizio del vangelo quale azione del Satana, del diavolo, poi l’evangelista lo attribuisce sempre ai farisei. Come mai queste persone che erano ritenute sante, i santoni dell’epoca, ammirati per le loro osservanze, invece per l’evangelista e per Gesù sono soltanto strumenti del diavolo? Perché mentre Dio è amore che si mette a servizio degli uomini, il diavolo è potere che li domina.
Allora i farisei sono coloro che dominano, anche se per motivi religiosi, dominano le persone; e le dominano in nome di Dio. Questo per Gesù è intollerabile. Chi domina, anche se lo fa per motivi religiosi, in nome di Dio, è sempre uno strumento del diavolo.
Si avvicinarono per tentarlo e gli domandavano … gli fanno la domanda la cui risposta era scontata. Infatti chiedono se è lecito a un marito ripudiare la propria moglie. Ma certo che sì. Si sapeva. Nessuno metteva in discussione la possibilità da parte dell’uomo di ripudiare la moglie, il problema era sapere quali sono i motivi per farlo.
Ma perché fanno questa domanda? Perché vedono che Gesù parla di questo amore per tutta l’umanità e Gesù non distingue tra uomo e donna. Allora vogliono portare Gesù in un ambito, quello familiare, dove era indiscusso il potere dell’uomo, del marito sopra la moglie. E Gesù non risponde, ma fa un’altra domanda.
“Che cosa vi ha ordinato Mosè?” E’ strano che Gesù non dica “cosa ci ha ordinato Mosè”, anche Gesù era ebreo. Ma lui prende le distanze dalla legislazione di Mosè. Per Gesù non tutto quello che è scritto nella legge, a cui si attribuisce autorità divina, ce l’ha realmente. Già nel capitolo precedente Gesù aveva dichiarato puri tutti gli alimenti.
Così era il commento dell’evangelista Marco all’azione di Gesù, in contraddizione con quanto scritto nel libro del Levitico. In parte quello che c’è scritto nella legge è cedimento alle perverse inclinazioni umane. Quindi che cosa vi ha ordinato Mosè? Dissero: “Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di ripudiarla”.
Questo atto di ripudio lo troviamo al capitolo 24 del libro del Deuteronomio dove c’è scritto Quando un uomo ha preso una donna e ha vissuto con lei da marito, se poi avviene che ella non trovi grazia ai suoi occhi … Ecco al tempo di Gesù la discussione era su cosa significasse non trovare grazia, perché egli ha trovato in lei qualche cosa di vergognoso, scriva per lei un libello di ripudio e glielo consegni in mano, e la mandi via dalla casa.
Quindi era un foglio nel quale l’uomo scriveva: “Da oggi tu non sei più mia moglie” e la cacciava via. Il motivo, la discussione al tempo di Gesù era capire quale fosse questo qualcosa di vergognoso. Ebbene, Gesù risponde loro: “Per la durezza del vostro cuore” … il cuore lo ricordiamo nel mondo ebraico non è la sede degli affetti ma significa la testa, la mente, la coscienza
Quindi per la vostra durezza, per la vostra spietatezza… “egli scrisse” … e di nuovo Gesù prende le distanze. Mentre i farisei si rifanno a Mosè e al Dio della legge, Gesù si rifà all’inizio della creazione, li fece maschio e femmina. Quest’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie.
Qui Gesù adopera dei brani del libro del Genesi, e fa risaltare il consenso personale, il matrimonio era un contratto tra le famiglie, Gesù richiama il disegno originale. “Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre”. Il padre è colui che da la sicurezza, la madre è l’amore incondizionato, e si unirà a sua moglie. E qui Gesù omette il versetto del Genesi sulla fecondità.
Per Gesù quello che importa è l’unione tra l’uomo e la donna, questo amore che li rende uno. Infatti dice: “E i due diventeranno una carne sola”. Gesù parla di due persone che trovano l’una nell’altra una protezione, una sicurezza ancora più grande di quella che il padre poteva assicurare e un amore incondizionato ancora più grande di quello che la madre poteva offrire.
“Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto”. Due persone si possono dividere, ma quando diventano una sola cosa sono indivisibili perché sarebbe una mutilazione. Quello che Gesù ha detto non provoca reazione da parte dei farisei, ma da parte dei discepoli, per i quali è inaccettabile questa novità di Gesù.
E infatti, a casa i discepoli lo interrogavano di nuovo su questo argomento. Quindi si vede che era un problema che a loro stava a cuore. E’ una difesa delle istituzioni religiose, della tradizione, e allora Gesù disse loro: “Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio verso di lei; e se lei, ripudiato il marito… “
Questo è strano perché nel m ondo ebraico non esisteva per la donna la possibilità di ripudiare il marito… Gesù ne fa una legge universale. “E se lei, ripudiato il marito, ne sposa un altro, commette adulterio”.
Gesù si mette sempre dalla parte della persona debole. Era accettato a quel tempo che l’uomo avesse potere sulla moglie al punto da poterla cacciare. Per Gesù questo è inaccettabile. Gesù sta sempre dalla parte dei deboli. Il brano è iniziato con quelli che erano i vertici della società, i farisei, e termina con quelli che erano in fondo, proprio per mettere in contrasto.
Gli presentavano dei ragazzini perché li toccasse, ma i discepoli li rimproveravano. Addirittura l’evangelista adopera il verbo “sgridare”, come si usa per gli indemoniati. Chi sono questi ragazzini? Non sono i bambini di un certo romanticismo; i ragazzini sono esseri insignificanti, gli ultimi della società, quelli che non valgono nulla. Li presentano a Gesù perché lui li tocchi, gli comunichi vita, ebbene i discepoli, che sono animati da questi desideri di supremazia, di gerarchia, non lo tollerano e li rimproverano.
E Gesù, al vedere questo, s’indignò … L’unica volta in tutto il vangelo di Marco in cui Gesù si indigna … e disse loro: “Lasciate che i ragazzini vengano a me, non glielo impedite”, quindi è con molta forza che Gesù dice questo, “A chi è come loro, infatti, appartiene il regno di Dio”. In contrapposizione ai farisei che credevano che, per la loro santità, per la loro osservanza dei precetti, avrebbero meritato il regno di Dio, Gesù contrappone gli ultimi della società.
E’ un invito ai discepoli, che continuamente litigano tra di loro per sapere chi è il più importante, di farsi ultimi. Dio per amore si è messo a fianco agli ultimi e chi vuole essere in comunione con questo Dio si deve fare ultimo. A chi è come loro infatti appartiene il regno di Dio. E Gesù assicura: “In verità io vi dico:
chi non accoglie in regno di Dio come lo accoglie un ragazzino, non entrerà in esso”. Per entrare nel regno di Dio, la società alternativa di Gesù, occorre farsi ultimi.
 E, prendendoli tra le braccia… Quindi Gesù si identifica con loro. Li benediceva, imponendo le mani su di loro. Quindi Gesù benedice quelli che nella società si fanno ultimi, che sono i più vicini a lui.

 

 




il commento al vangelo della domenica

commento al Vangelo della ventiseiesima domenica del tempo ordinario (27 settembre 2015) di p. Alberto Maggi e di p. Enzo Bianchi:

 

 

  9, 38-43.45.47-48

[In quel tempo] Giovanni disse a Gesù: «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demòni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva». Ma Gesù disse: «Non glielo impedite, perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito possa parlare male di me: chi non è contro di noi è per noi.
Chiunque infatti vi darà da bere un bicchiere d’acqua nel mio nome perché siete di Cristo, vi assicuro, non perderà la sua ricompensa.
Chi scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me, è molto meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare. Se la tua mano ti è motivo di scandalo, tagliala: è meglio per te entrare nella vita con una mano sola, anziché con le due mani andare nella Geènna, nel fuoco inestinguibile. E se il tuo piede ti è motivo di scandalo, taglialo: è meglio per te entrare nella vita con un piede solo, anziché con i due piedi essere gettato nella Geènna. E se il tuo occhio ti è motivo di scandalo, gettalo via: è meglio per te entrare nel regno di Dio con un occhio solo, anziché con due occhi essere gettato nella Geènna, dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue».

CHI NON E’ CONTRO DI NOI E’ PER NOI

  SE LA TUA MANO TI E’ MOTIVO DI SCANDALO, TAGLIALA

il commento di p. Maggi:

p. Maggi
Gesù aveva dato ai suoi discepoli la capacità di liberare dai demòni, cioè di liberare da quelle ideologie che impediscono di accogliere il messaggio della Buona Notizia. Ebbene, non solo essi non ne sono capaci, ma tentano, con arroganza, di fermare quelli che lo fanno.
Infatti, scrive l’evangelista presentandoci Giovanni – Giovanni, insieme al fratello Giacomo, è stato soprannominato da Gesù “figlio del tuono”, in aramaico “Boanerghes” (3,17), che dà l’idea del tuono, per il loro fanatismo, per le loro intemperanze, per la loro violenza – che si rivolge a Gesù dicendo: “Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demòni nel tuo nome”. “Nel nome di Gesù”, non significa usare la formula del nome di Gesù, ma identificandosi con Gesù.  
“E glielo abbiamo impedito”, e sentiamo la motivazione, “perché non ci seguiva”. Non può dire “perché non seguiva te”, perché agisce nel nome di Gesù, ma “non seguiva loro”. Loro pretendono che tutti i seguaci di Gesù facciano parte del gruppo dei discepoli.
Ebbene, Gesù amplia l’orizzonte della sua comunità e dice “Non glielo impedite” – ed è imperativo  “perché non c’è nessuno che agisca con forza” – è questo il significato del termine adoperato – “nel mio nome” , cioè identificandosi con me, “e subito possa parlar male di me”.
“Chi non è contro di noi è per noi”. Quindi Gesù ammette che ci possano essere suoi discepoli anche se non appartengono al gruppo che pretende di avere il monopolio del suo insegnamento. E poi Gesù invita anche i discepoli a identificarsi con lui: infatti dice: “chiunque vi darà da bere un bicchiere d’acqua, nel mio nome” – quindi invita anche loro ad identificarsi con lui, perché loro non lo sono ancora  – “non perderà la sua ricompensa”.
La presenza di Gesù e del Padre è la ricompensa di chi lo accoglie.
Ma poi, subito dopo Gesù di fronte a questo attacco di Giovanni con il quale il discepolo aveva addirittura interrotto il suo importante discorso sul servizio, ecco che Gesù li ammonisce. “Chi scandalizza”, cioè chi è di inciampo “uno solo di questi piccoli”.
Chi sono questi piccoli? Il testo greco ha il termine Micron  che non indica i bambini; indica le nullità, le persone emarginate, gli insignificanti della società. “Che credono in me”, quindi non sono bambini; sono persone adulte che hanno dato adesione a Gesù, ma sono persone senza importanza.
Ebbene, le parole di Gesù sono terribili, sono tremende: se uno di voi mi fa inciampare una di queste persone che credono in me, queste persone che hanno sentito parlare di questo messaggio di amore e invece vedono che tra di voi c’è rivalità, queste persone che hanno sentito parlare di un messaggio di fratellanza e invece vedono che tra voi ci sono divisioni –  ebbene le parole di Gesù sono tremende – “è meglio per lui che gli venga messa al collo una macina”, e poteva bastare, invece Gesù precisa  “da mulino”.
C’erano due tipi di macina, una domestica, quella girata dalla donna, e quella da mulino, che serviva per il frantoio ed era pesante, “e sia gettato nel mare”. Perché Gesù dà queste indicazioni? Gesù dice che questo individuo deve scomparire definitivamente e, per assicurarsi che scompaia definitivamente, deve essere gettato nel mare, ma con una macina enorme – da mulino – fissata al collo. Perché? Gli ebrei avevano il terrore di morire affogati; credevano che se si moriva affogati non c’era speranza di risurrezione.
Allora Gesù dice che non basta gettarlo nel mare questo qui, perché poi il corpo può tornare a galla, allora bisogna evitare che il corpo torni a galla per poi essere seppellito. Quindi le parole di Gesù sono davvero tremende.
E poi Gesù dà una serie di avvisi alla sua comunità e dice: “Se la tua mano”, poi parlerà del piede e dell’occhio; la mano indica l’attività, il piede la condotta, l’occhio il criterio con il quale si osservano le cose della vita, “ti è motivo di scandalo”, cioè è motivo di inciampo per te, se fai un’attività che ti fa   inciampare, Gesù è radicale “tagliala! E’ meglio per te entrare nella vita con una mano sola, anziché con due mani andare nella Geènna”.
Cos’è questa Geènna? “Gêhinnôm” significa Valle di Hinnom; era ed è un burrone, a sud del tempio di Gerusalemme, che al tempo di Gesù veniva usato come discarica dei rifiuti. Questi rifiuti venivano continuamente ammucchiati e poi bruciati per eliminarli completamente. Quindi Gesù dice: “è meglio che, anche se doloroso, ti togli qualcosa che ti impedisce la pienezza di vita, piuttosto che finire nell’immondezzaio di Gerusalemme”.
E così via, Gesù parla del piede, parla dell’occhio. Ed ecco la finale; dice “E’ meglio per te tutto questo, anziché essere gettato nella Geènna”, e Gesù qui cita il finale del libro di Isaia (66,24):“dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue”.
Gesù non sta parlando di un castigo dopo la morte, tutt’altro. La finale del libro di Isaia illustra la pena per gli israeliti che erano stati infedeli. La maniera per eliminare i cadaveri era duplice: da una parte c’era la putrefazione, e dall’altra la cremazione. Ebbene qui il profeta le mette insieme, “il loro verme non muore”, quindi la putrefazione è completa, e “il fuoco non si estingue”, quindi la cremazione è completa.
Significa la distruzione totale. O si entra con Gesù nella pienezza della  vita, o, quando arriva la morte fisica, questa trova un corpo svuotato di vita ed è quella che nell’Apocalisse (2,11; 20,6.14; 21,8) si chiama “la morte seconda”, la fine totale dell’esistenza.

 

Il Signore conosce i suoi 

il commento di p. Bianhi

Bianchi

 

Il testo evangelico di questa domenica si presenta composito, riportando una serie di parole di Gesù appartenenti a contesti diversi ed eterogenei, eppure legate da alcune espressioni ricorrenti: “nel tuo/mio nome”, “scandalizzare”. Mi soffermerò dunque unicamente sull’episodio dell’esorcista che compie azioni di liberazione pur non seguendo Gesù.

Gesù sta continuando il cammino verso Gerusalemme insieme ai suoi discepoli, ma il clima comunitario non è pacifico. Egli fa annunci della sua passione e i discepoli non capiscono (cf. Mt 9,32) o si ribellano, come Pietro (cf. Mc 8,31-33); quando, in assenza di Gesù, viene chiesto ai discepoli di guarire un ragazzo epilettico, forse giudicato posseduto da uno spirito impuro, essi si mostrano incapaci di liberarlo dalla malattia (cf. Mc 9,14-29); infine, tutti i Dodici si mettono a discutere su “chi tra loro fosse più grande” (Mc 9,34). Sì, ormai tra Gesù e la sua comunità vi è distanza, incomprensione. Se il passo di Gesù è sempre convinto, con uno scopo preciso che gli richiede una radicale obbedienza, quello dei discepoli è invece incerto e sbandato. Nel vangelo secondo Marco tutto il viaggio verso la città santa sarà caratterizzato da questa tensione tra Gesù e i suoi, dall’incomprensione da parte di tutti, nessuno escluso.

Ed ecco, puntualmente, un nuovo episodio che attesta tale stato di cose: Giovanni, il fratello di Giacomo, uno dei primi quattro chiamati (cf. Mc 1,16-20), uno dei discepoli più intimi di Gesù, testimone privilegiato della sua trasfigurazione (cf. Mc 9,2), vede un tale che scaccia demoni, compie azioni di liberazione sui malati nel nome di Gesù, pur non facendo parte della comunità, dunque non seguendo Gesù con gli altri discepoli. Allora si reca da Gesù e dichiara risolutamente: “Lo abbiamo visto fare ciò e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva”. Cosa c’è in questa reazione di Giovanni? Certamente uno zelo mal riposto, ma uno zelo che rivela un amore per Gesù, una gelosia nei suoi confronti: se uno usa il nome di Gesù, dovrebbe seguirlo e dunque fare corpo con la sua comunità… Mescolato a questo sentimento vi è però anche uno spirito di pretesa, il pensiero che solo i Dodici siano autorizzati a compiere gesti di liberazione nel nome di Gesù; c’è un senso di appartenenza che esclude la possibilità del bene per chi è fuori dal gruppo comunitario; c’è la volontà di controllare il bene che viene fatto, affinché sia imputato all’istituzione alla quale si appartiene.

Sono qui ritratte le nostre patologie ecclesiali, che a volte emergono fino ad avvelenare il clima nella chiesa, fino a creare al suo interno divisioni e opposizioni, fino a fare della chiesa una cittadella che si erge contro il mondo, contro gli altri uomini e donne, ritenuti tutti nello spazio della tenebra. Dobbiamo confessarlo con franchezza: negli ultimi trent’anni il clima della chiesa è stato avvelenato in questo modo e tale malattia non è ancora stata vinta. Vi sono movimenti ecclesiali che si ergono a giudici degli altri, che si ritengono una chiesa migliore di quella degli altri. Vi sono cristiani che, con certezze granitiche, giudicano gli altri fuori della tradizione o della chiesa cattolica e aspettano di poter ascoltare da parte dell’autorità ecclesiastica condanne verso quanti non somigliano a loro o non fanno parte del loro movimento, che cede a tentazioni settarie. Non possiamo negare che molti hanno dovuto soffrire e sentirsi figli bastardi, poco amati da una chiesa che privilegiava altri in quanto militanti, facili e ben disposti a essere ingaggiati in battaglie contro il mondo.

Guai alla comunità cristiana che pensa di essere chiesa autentica, guai all’autoreferenzialità e all’autarchia spirituale, atteggiamenti di chi pensa di non avere bisogno delle altre membra, perché si crede lui il corpo di Cristo (cf. 1Cor 12,12-27). Cristo è Signore, è il Signore di tutta la chiesa e lui solo conosce i suoi (cf. 2Tm 2,19): non spetta dunque ai suoi, o ai pretesi suoi, giudicare altri come zizzania, fino a tentare di estirparli (cf. Mt 13,24-30). Cristo trascende le frontiere di ogni comunità cristiana e può operare il bene in molte forme attraverso la potenza del suo Spirito santo, che “soffia dove vuole” (Gv 3,8). Nella chiesa, purtroppo, si soffre di questa malattia dell’“esclusivismo” e facilmente non si riconosce all’altro la capacità di compiere il bene, di operare per la liberazione dell’uomo dai mali che lo opprimono.

Papa Francesco in questi pochi anni di pontificato è tornato più volte a denunciare questi mali ecclesiastici, chiedendo soprattutto ai cristiani appartenenti ai movimenti di imparare a camminare insieme agli altri cristiani, non separati, non al di sopra, non con itinerari in opposizione. La diversità è ricchezza, è multiforme grazia dello Spirito che rende policroma la chiesa (cf. Ef 3,10), la sposa del Signore, la rende più bella. Se uno fa il bene in nome di Cristo, questo bene va innanzitutto riconosciuto, non negato, e poi occorre avere fiducia in lui: se compie il bene in nome di Gesù, potrà forse subito dopo parlare male di lui? “Chi non è contro di noi è per noi”, chiosa lo stesso Gesù. Ovvero, egli esorta ad accettare di non essere i soli a compiere il bene, ad accettare che altri, diversi da noi, che neppure conosciamo, possano compiere azioni segnate dall’amore. Si tenga anche presente che vi sono molti che sembrano seguire Gesù, profetizzare, scacciare demoni e compiere miracoli nel suo nome (cf. Mt 7,22), che magari hanno anche una pratica di ascolto delle sue parole e una pratica sacramentale eucaristica (“Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza”: Lc 13,26). Tutti costoro, però, risulteranno estranei al Signore, che dirà loro: “Non vi ho mai conosciuti: allontanatevi da me, voi che avete operato il male!” (Mt 7,23; cf. Lc 13,27).

La vera domanda che dobbiamo porci non è dunque: “Chi è contro di me, contro di noi?”, bensì: “Sono io, siamo noi di Cristo?”. Scrive l’Apostolo Paolo: “Tutto è vostro, ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio” (1Cor 3,22-23). Ovvero: se non siamo di Cristo, se non abbiamo i suoi “modi” (cf. Didaché 11,8) e il suo pensiero (cf. 1Cor 2,16), non siamo nulla: non abbiamo sale in noi stessi, ma siamo come il sale insipido (cf. Mc 9,50), che “serve solo ad essere gettato via e calpestato” (Mt 5,13). La nostra responsabilità è quella di lottare ogni giorno contro noi stessi, non contro presunti nemici esterni, perché niente e nessuno può impedirci di vivere il Vangelo, se non noi!




il commento al vangelo della domenica

IL FIGLIO DELL’UOMO VIENE CONSEGNATO …

SE UNO VUOLE ESSERE IL PRIMO, SIA IL SERVITORE DI TUTTI  

commento al Vangelo della domenica quindicesima domenica del tempo ordinario (20 settembre 2015) di p. Alberto Maggi

p. Maggi

Mc  9, 30-37

[In quel tempo] Gesù e i suoi discepoli attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. Insegnava infatti ai suoi discepoli e diceva loro: «Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà». Essi però non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo.
Giunsero a Cafàrnao. Quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo per la strada?». Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse più grande. Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti».
E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato».

Tutti i brani del Vangelo di Marco che stiamo esaminando in queste domeniche sembrano avere un dato in comune: la difficoltà di Gesù con i suoi discepoli. Non ne vogliono sapere di comprendere chi egli sia e quale sia il suo programma.
Anche questa volta leggiamo il Vangelo e vediamo che Gesù attraversa la Galilea e sta dando un prezioso insegnamento. “Il Figlio dell’uomo” – Figlio dell’uomo è un’espressione che indica l’uomo che raggiunge la sua pienezza ed entra nella condizione divina; Gesù è il Figlio di Dio in quanto rappresenta Dio nella sua condizione umana, ed è il Figlio dell’uomo in quanto raffigura l’uomo nella sua condizione divina . Quindi il Figlio dell’uomo è l’uomo che ha la condizione divina.
“Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini”. Ecco c’è un’opposizione tra il Figlio dell’uomo, colui che ha la pienezza, e gli uomini, quelli che non aspirano a questa pienezza. E sono questi che lo rifiutano, lo uccidono, “ma, una volta ucciso, dopo tre giorni, risusciterà”.
Quindi è un insegnamento serio, un insegnamento drammatico, ed è un insegnamento chiaro. Gesù non sta parlando in parabole. Però, scrive l’evangelista, “Essi non capivano queste parole”.
Abbiamo visto già nell’episodio della guarigione del sordo, che non si tratta di problemi fisici, ma di problemi interiori – “non c’è peggior sordo di chi non vuol capire”. L’ideologia nazionalista, il loro ideale di successo è tale che impedisce loro di comprendere le parole molto chiare di Gesù.
“Ma avevano timore a interrogarlo”, perché hanno paura che Gesù confermi quello che loro hanno capito, quindi è vero, capivano ma non accettavano. Quindi non è che non capivano, non accettavano quello che Gesù diceva.
“Giunsero a Cafàrnao. Quando fu in casa” – quindi la casa palestinese – Gesù li interrogò. Loro non vogliono interrogare ed è Gesù che interroga loro, “e chiese loro: «Di che cosa stavate discorrendo per la strada?». Ecco, questa indicazione ‘per la strada’ è sintomatica, ‘per la strada’ è il luogo della semina infruttuosa. ‘Per la strada’ il seme viene gettato per terra, ma vengono gli uccelli e subito lo raccolgono. E Gesù, spiegando queste immagini, diceva che era il Satana che rendeva inutile la parola. L’immagine del Satana in questo Vangelo è l’immagine del potere, del successo.
“Ed essi tacevano”. Tacciono perché hanno il senso di colpa perché sanno che hanno fatto qualcosa che Gesù non approva. “Per la strada infatti avevano discusso” – Gesù ha chiesto di cosa stessero discorrendo, invece loro hanno discusso, quindi un discorso animato – “tra loro chi fosse più grande”, il più importante.
E’ questo il tarlo che rode i discepoli, l’idea di grandezza, l’ambizione di essere uno il più importante degli altri.
“Sedutosi”, quindi Gesù si siede nella posizione di colui che insegna, “chiamò i Dodici”. E’ strano, è una casa, una casa palestinese, non è molto grande, perché Gesù deve chiamare? L’evangelista avrebbe dovuto scrivere: ‘Gesù disse …’, invece Gesù li deve chiamare. Perché? I Dodici lo seguono, ma non lo accompagnano, non gli sono vicini interiormente. Gli sono vicini fisicamente, ma la loro mentalità è lontana.
Gesù è il Dio che per amore si mette a servizio degli uomini. Gesù ha detto che il Figlio dell’uomo non é venuto per essere servito, ma per servire, loro invece pensano soltanto a comandare. Ecco perché li deve chiamare i Dodici, perché sono lontani.
“E disse loro – loro hanno discusso chi vuol essere il più grande e Gesù non accetta, ma accetta che nella comunità ci sia il primo. Il primo significa il più vicino a lui  – “se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti”. Quindi nella comunità non idee di grandezza, non c’è nessuna persona più importante, più grande, ma sì ci sono persone più vicine a Gesù. Quali sono? Quelle che si mettono a servizio di tutti. Quelli che, liberamente e volontariamente, mettono la loro vita a servizio degli altri.
Mentre i Dodici li ha dovuti chiamare, “Gesù, preso un ragazzino” – è l’individuo che sta accanto a lui, ci si chiede cosa facesse questo ragazzino in questa casa con i discepoli. Il termine adoperato
dall’evangelista indica un individuo che, per età e per ruolo nella società è il meno importante di tutti; potremmo tradurre con il termine ‘garzone’.
Questo garzone, questo ragazzino, è l’immagine del vero seguace di Gesù, di quello che s’è fatto ultimo, fra tutti.
“Lo pose in mezzo”. In mezzo è il posto di Gesù, ebbene al posto di Gesù, il Signore mette questo individuo che si mette a servizio degli altri. “Abbracciandolo”, Gesù si identifica con costui, Gesù si identifica con l’ultimo della società.
“E disse loro: «Chi accoglie uno solo di questi ragazzini”, di questi garzoni, quindi non si tratta di bambini o di ragazzini qualunque, ma di questi, cioè l’immagine del discepolo che veramente si mette a servizio degli altri; “nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato”.
Gesù garantisce che dove c’è un individuo che per amore, liberamente e volontariamente, si mette a servizio degli altri, in questo individuo si manifesta la presenza di Gesù e la presenza di Gesù porta quella di Dio stesso.
L’uomo che si mette a servizio è l’unico vero santuario dal quale si irradia l’amore di Dio.




il commento al vangelo della domenica

TU SEI IL CRISTO

IL FIGLIO DELL’UOMO DEVE MOLTO SOFFRIRE

commento al vangelo della domenica ventiquattresima del tempo ordinario (13 settembre 2015) di p. Alberto Maggi

p. Maggi
Mc  8, 27-35

[In quel tempo], Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarèa di Filippo, e per la strada interrogava i suoi discepoli dicendo: «La gente, chi dice che io sia?». Ed essi gli risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elìa e altri uno dei profeti».
Ed egli domandava loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro gli rispose: «Tu sei il Cristo». E ordinò loro severamente di non parlare di lui ad alcuno.
E cominciò a insegnare loro che il Figlio dell’uomo doveva soffrire molto, ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere.
Faceva questo discorso apertamente. Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo. Ma egli, voltatosi e guardando i suoi discepoli, rimproverò Pietro e disse: «Va’ dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini».
Convocata la folla insieme ai suoi discepoli, disse loro: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà».

Gesù intraprende un lunghissimo viaggio e conduce i suoi discepoli all’estremo nord del paese in terra pagana, a Cesarèa di Filippo, lontano dalla mentalità giudaica, nazionalista, per vedere se i discepoli hanno capito qualcosa.
Ma già l’evangelista ci dà un’indicazione che ci fa comprendere che il brano sarà all’insegna dell’incomprensione. Infatti, scrive l’evangelista, “per la strada interrogava i suoi discepoli”. Questa espressione “per la strada” è la stessa che è apparsa nel capitolo 4 nella parabola dei quattro terreni, per indicare la semina infruttuosa.
Il seme gettato per la strada viene subito preso dagli uccelli e Gesù, spiegando la parabola, dice che questi uccelli sono “il Satana”. Quindi è una parola infruttuosa che viene resa inutilizzata dal Satana. Il Satana in questo Vangelo è l’immagine del potere, l’immagine del successo, ma vediamo l’evangelista.
Ebbene, Gesù chiede ai suoi discepoli: “la gente chi dice che io sia?”. Frutto della predicazione dei discepoli doveva essere questa immagine di Gesù. E la risposta è desolante; la confusione totale. “Ed essi gli risposero «Giovanni il Battista »”, perché si credeva che i martiri sarebbero prontamente risuscitati. “Altri dicono Elìa”, Elìa il violento profeta che doveva venire a preparare la strada del Messia, “oppure uno dei profeti”. Comunque tutti personaggi che appartengono all’antichità, al passato. Non comprendono la novità di Gesù.
Allora Gesù insiste e domanda loro “Ma voi” – quindi la domanda di  Gesù è rivolta a tutto il gruppo “chi dite che io sia?”
E gli risponde un discepolo, presentato con il soprannome negativo, che fa comprendere che la sua risposta è inesatta e il suo atteggiamento sarà in contraddizione con Gesù. “Gli rispose Pietro”. Il soprannome negativo verrà ripetuto per ben 3 volte – il numero 3 significa “ciò che è completo” – in questo brano.
Quindi questo discepolo si chiama Simone e, quando viene presentato soltanto con questo soprannome, significa che sta all’opposizione, o contraddice Gesù. “Gli rispose: «Tu sei il Cristo!»”
Ha risposto bene? Non pare, perché Gesù dice “e sgridò” – il verbo ‘sgridare’ è quello che si usava per liberare le persone dai demòni – “severamente loro di non parlare di lui ad alcuno”.
Pietro non ha risposto bene. Gesù in questo Vangelo è stato presentato come ‘Messia’, non ‘il Messia’. L’articolo determinativo ‘il’  indica che è il Messia atteso dalla tradizione, quello che verrà a restaurare la monarchia, quello che imporrà la legge. Gesù è Messia, ma non il Messia della tradizione. Quindi Pietro non ha risposto bene.
Allora, visto che non hanno capito, Gesù “cominciò a insegnare loro”, e non parla del Messia, ma parla del “Figlio dell’uomo”, cioè l’uomo nella sua pienezza, è questo l’ideale di uomo creato da Dio, “che doveva soffrire molto ed essere rifiutato da tutto il sinedrio, dagli anziani, i presbiteri, i sommi sacerdoti e dagli scribi e venire ucciso”.
Quindi il progetto di Dio sull’umanità, l’uomo che raggiunge la pienezza della condizione divina, questo è il Figlio dell’uomo, Figlio dell’uomo è l’uomo che ha la condizione divina, questo è rifiutato dall’istituzione religiosa che lo vede come un pericolo per la propria esistenza.
“E dopo tre giorni risorgere. Faceva questo discorso apertamente. Pietro lo afferrò e cominciò….”  E’ interessante che, come Gesù ha cominciato a parlare, subito Pietro comincia. E’ l’immagine del seme che viene gettato per terra e subito, immediatamente, vengono gli uccelli e lo prendono.
L’ideologia del Satana, del potere, impedisce a Pietro di accogliere il messaggio di Gesù. “E cominciò a sgridarlo”. Come Gesù aveva sgridato Pietro, così Pietro sgrida Gesù, come se quella detta da Gesù fosse un’idea demoniaca.
“Ma egli, voltandosi, guardando i suoi discepoli” – quindi Gesù guarda i discepoli, ma si rivolge a Pietro, facendo capire che tutto il gruppo mantiene la stessa mentalità di Pietro – “sgridò Pietro”. Ecco il verbo  ‘sgridare’ viene ripetuto per la terza volta. “E gli disse: «Và dietro di me, Satana!»  Gesù si rivolge a Pietro chiamandolo ‘Satana’. E’ il Satana perché tenta Gesù, tenta Gesù definendolo ‘il Messia del potere’, ed è il Satana perché vanifica la parola. Viene gettata la parola, ma immediatamente viene il Satana. Quindi Gesù si rivolge a Satana, ma non rompe con lui. Gli dice “torna a metterti dietro di me”.
E’ Pietro che deve seguire Gesù, non il contrario.
E poi Gesù “convocata la folla”, dà un annuncio drammatico “Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso” – cioè rinneghi questi suoi ideali di successo e di potere, “e sollevi la croce”. La croce non viene data dal Signore, la croce non viene presa, la croce viene sollevata. E’ l’individuo che volontariamente, per seguire Gesù, accetta il marchio dell’infamia da parte della società.
Ai discepoli che seguono il Messia coltivando sogni di gloria, Gesù dice che, se lo vogliono seguire, devono accettare di essere considerati “rifiuti della società”.

 




il commento al vangelo della domenica

FA UDIRE I SORDI E FA PARLARE I MUTI

commento al Vangelo della ventitreesima domenica del tempo ordinario (6 settembre 2015) di p. Alberto Maggi

maggi

Mc 7, 31-37

[In quel tempo] Gesù, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidòne, venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli.
Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano. Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: «Effatà», cioè: «Apriti!». E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente.
E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo proibiva, più essi lo proclamavano e, pieni di stupore, dicevano: «Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!».

Se ogniqualvolta leggiamo il Vangelo dobbiamo sempre tener presente che i Vangeli non riguardano la cronaca, ma la fede, che non riguardano la storia, ma la teologia, che non sono un elenco di fatti, ma di verità, questo è tanto più vero in un episodio del genere. Un episodio completamente strampalato, sconclusionato.
Vediamo che in questo episodio Gesù non viene nominato, non sono nominati i discepoli, non c’è nessuna reazione da parte del personaggio che viene guarito, e, soprattutto, inizia l’evangelista con un itinerario inverosimile, sconclusionato. Leggiamo.
Di nuovo “uscito dalla regione di Tiro”, Tiro è al sud, “passando per Sidòne”, quindi Gesù sale su al nord a Sidòne, ma poi dice “venne verso il mare di Galilea”, quindi torna giù, “in pieno territorio della Decàpoli”. Un itinerario completamente inverosimile, sconclusionato. Perché l’evangelista inizia con queste indicazioni cosi strane?
Vuole indicare l’azione di Gesù con i popoli pagani, perché il messaggio d’amore di Gesù è un messaggio d’amore universale, che incontra, però, la resistenza dei suoi discepoli. E questo è il significato del brano.
“Gli portarono…” – chi sono costoro? Sono i collaboratori di Gesù che l’evangelista all’inizio del Vangelo ha definito “angeli”, sono coloro che hanno compreso e accettato il messaggio di Gesù e collaborano con lui.
Gli portano un sordo, non muto, ma balbuziente. E’ l’unica volta che nel NT appare questo termine “balbuziente” (mogil£loj) e appare nell’AT una sola volta, per indicare la liberazione dall’esodo di Babilonia (“La lingua del balbuziente griderà di gioia”, Is 35,6 LXX). Quindi è un’immagine di liberazione. Attenzione, non è una guarigione tanto del fisico, ma una guarigione interiore quella che Gesù sta facendo.
“E lo pregarono di imporgli le mani”. “Lo prese in disparte..”; sette volte nel Vangelo di Marco troviamo l’espressione “in disparte” (kat’ „d…an), e ben sei riguardano i discepoli, l’incomprensione dei discepoli, come anche questa volta.
“.. lontano dalla folla e gli pose le dita…” L’azione di Gesù è violenta, Gesù gli stura le orecchie. L’evangelista, per indicare le orecchie, adopera il greco “òta” (ðta), da cui deriva l’italiano “otite”, che conosciamo tutti quanti, e vedremo poi il perché.
“…con la saliva” – La saliva veniva considerata come alito condensato, immagine dello Spirito – “gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo” – il cielo è la comunione con Dio – “emise un sospiro” – E’ l’unica volta in tutto in NT che Gesù sospira (™stšnaxen), per la resistenza che i suoi discepoli gli oppongono, nella figura di questo sordo balbuziente – “e gli disse «Effatà»”. Ecco, quando nel Vangelo di Marco appare un termine in lingua aramaica, vuol dire che l’episodio si rivolge soltanto a coloro che provengono dal giudaismo, non è per i pagani. 
“Cioè «Apriti!»” L’invito di Gesù non riguarda soltanto le orecchie, ma riguarda tutto l’individuo, è tutto l’individuo che si deve aprire perché ha questa chiusura.
“E subito gli si aprirono … “. Ecco, prima abbiamo detto che l’evangelista adopera il termine “orecchi”, (ðta), qui adopera un altro termine greco (¢koa…), che indica l’udito. Era questo il problema: non era un problema fisico, un problema degli orecchi, ma era un problema di comprensione, come diciamo con un’espressione italiana: “non c’è peggior sordo di chi non vuol capire”.
“Gli si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente”. Quindi l’incapacità di esporre il messaggio era perché non ascoltava, sono i discepoli che non ascoltano il messaggio di Gesù.
E Gesù l’aveva detto: “siete anche voi così privi di intelletto?”
“Ma Gesù comandò loro di non dirlo a nessuno”. Gesù sa che ancora il lavoro di liberazione dei discepoli non è completo, ma sarà lungo e faticoso, e continuerà per tutto il Vangelo.
“Ma più egli lo proibiva, più essi lo proclamavano, e pieni di stupore dicevano «Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti»”. L’evangelista adopera gli stessi termini che nel Libro del Genesi  indicano l’azione del Creatore, che, per ogni cosa che crea dice “Ha fatto bella ogni cosa”, “Vide che era cosa buona”.
Quindi in Gesù si prolunga l’azione creatrice nel dare pienezza di vita agli uomini.

la ‘lettura’ del vangelo a partire da un piccolo bambino in cerca di vita ma che arriva dal mare morto …

il ‘lettore’ è p. Agostino Rota Martir abituato a ‘leggere’ da tanti anni il vangelo da un’area di marginalità e di disagio abitata da rom

p. agostino

EFFATA’

Gesù continua il suo viaggio, un itinerario un po’ strano perché esce dai confini di Israele, poi ci rientra, per poi attraversare di nuovo i suoi confini..allora non c’erano i controlli e permessi da chiedere, altri tempi..

venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decapoli.”

Territorio pagano, impuro, abitato da stranieri, regione vista con sospetto e diffidenza da Israele.

E’ un Gesù a tutto campo, avrà avuto i suoi validi motivi, forse l’ottusità dei suoi stessi discepoli e dei suoi compaesani, dei farisei che ormai si opponevano al suo annuncio del Regno, quello di un Dio che manifesta il suo amore verso tutti, che manifesta il suo volto ai poveri e peccatori, un Dio che sconfina dal Tempio di Gerusalemme lasciandosi toccare anche dai lebbrosi, samaritani e stranieri.

Meglio cambiare aria, e nello stesso tempo mostrare ai suoi discepoli che Dio non fa preferenza di persone, che ama tutti e nessuno è escluso dalla sua compassione. Gesù già lo aveva capito con una donna siro fenicia, al punto di rimanere edificato dalla sua grande fede. I discepoli lo capiranno più tardi, a suo tempo!

Sente il bisogno di lasciarsi contagiare anche dalla libertà del Regno che annuncia, di fuggire dalla “fortezza” di Israele che imprigionava Dio dentro gli schemi di puro e impuro, di osservanze a precetti religiosi fatti dall’uomo. Per scoprirlo deve frequentare la regione di Tiro e di Sidone.

Dio non è un tappo che chiude ermeticamente il suo Spirito, ma è energia di vita che si sprigiona, libera, rimette in cammino, apre cammini, consola..

Passa ancora anche oggi dentro di noi, dentro le nostre comunità perché tutti abbiamo bisogno di essere “sturati” dal cerume dell’indifferenza dell’ ipocrisia e da tutto ciò che ci impedisce di ascoltare la Parola. La nostra sordità verso i fratelli nasce anche dalla nostra incapacità di ascoltare Dio, che ci parla dalla sua Parola, ma anche attraverso la storia, i fatti e oggi i migranti sono “parlanti” di Dio. Lui passa in tanti modi..

Questa foto che tutti abbiamo visto in questi giorni, in un certo modo è la testimonianza eloquente della nostra sordità all’uomo e a Dio che passa. Attraverso questa immagine tragica Dio “ci prende in disparte, lontano dal blaterare della folla, ci pone le dita negli orecchi e con la saliva ci tocca la lingua..e ci dice: Effatà, cioè Apriti!”

bimbo8

Quelle onde, in un certo senso hanno mostrato più compassione di tanti uomini, come ad adagiare delicatamente il corpo, senza vita di Aylan, piccolo profugo Siriano, in fuga dalla guerra insieme la sua famiglia, disteso come stesse dormendo, con i vestite e le scarpe in ordine, ben composto proprio come fa ogni mamma con il suo bambino tra le sue braccia.

Anche il mare sembra avere, in questa occasione un sussulto di quella pietas che l’essere umano sta accantonando,

bimbo15

perché per molti di noi contano di più i numeri, le quote, gli interessi, i trattati, la nostra sicurezza..un mare stanco di essersi trasformato in un cimitero di poveri disgraziati e non più ponte di incontro, di salvezza, di dialogo.

bimbo10

Vi restituisco questo angelo, nella carezze delle onde, composto e indifeso perché voi uomini possiate aprire, sturare (Effatà) il vostro cuore per comprendere il linguaggio di Dio che è Vita.

bimbo12

4 Settembre 2015

Campo Rom della Bigattiera (Pisa)




contraddizioni della nostra chiesa

 ‘chiesa contraddittoria, assolve gli omicidi ma non i divorziati risposati!’

intervista al biblista Maggi

 

 

 

<la chiesa  assolve gli omicidi, ma non i divorziati risposati!>.

Il biblista Alberto Maggi affida a un’esclamazione il suo più totale disappunto per quella che considera <una lampante contraddizione> nell’insegnamento del popolo di Dio. Con il pensiero rivolto a Cristo, <che più che unire sfascia le famiglie>, pur se non è solito discorrere del Sinodo, il religioso dei Servi di Maria accetta di buon grado di rispondere ad alcune domande sull’assise ormai alle porte. <Non mi attendo molto dal Sinodo>, ma, in quest’anno di Giubileo della misericordia indetto dal Papa, <spero in gesti concreti a favore dei risposati, dei preti uxorati e degli omosessuali>. Tre categorie <umiliate ed emarginate dalla Chiesa>.  

fra’ Maggi, quanto l’appassiona il dibattito pre sinodale?                                  

<Non più di tanto. I cambiamenti nella Chiesa vengono sempre dalla base e non dai vertici. I mutamenti sono rifiutati, ostacolati e contrastati dalle gerarchie. Poi, dopo un lungo lasso di tempo, vengono accolti… Quando ormai è troppo tardi>.

Al Sinodo quali cambiamenti potrebbero passare?                                                

<In ogni situazione, in ogni controversia, bisogna tenere presente il comportamento di Cristo: lui, tutte le volte che si è trovato a dover scegliere tra l’obbedienza alla Legge divina e il bene concreto dell’uomo, senza esitare ha sempre scelto quest’ultimo. Facendo il bene dell’uomo si è certi di fare anche quello di Dio>.

Un principio pìù sulla carta che nei fatti? 

<Troppo spesso per l’onore di Dio si è disonorato l’uomo e per il bene di Dio si è causata sofferenza agli uomini>.

In una recente intervista sul Sinodo, Francesco ha parlato di attese <eccessive>. Condivide?  

<Se lo dice il Papa… Lui conosce bene l’ambiente, sente sulla pelle le resistenze curiali al suo impegno per un cambiamento evangelico, ogni giorno si trova di fronte a muri di gomma e a veri e propri dispetti>.

Che tra il Pontefice e parte della Curia non corra buon sangue è risaputo.

<Proprio per questo Bergoglio va sostenuto e non lasciato solo, perché la sola cosa che frena i suoi avversari, come ai tempi di Gesù i sommi sacerdoti, è che ‘temevano la folla…’>.

Dal punto di vista biblico, quale è il filo rosso che unisce Antico e Nuovo Testamento sulla famiglia?

<Non c’è alcuna continuità e il messaggio di Gesù è il meno adatto per sostenere la famiglia patriarcale. Cristo più che unire le famiglie le sfascia…>.

Ovvero?

<Lui viene da una triste esperienza e da brutti rapporti con i suoi che lo hanno creduto pazzo e hanno tentato di rapirlo. Giovanni nel suo Vangelo non esita a scrivere che neanche i fratelli credevano in lui. E Gesù invita a liberarsi, per causa sua e del Vangelo, anche dai vincoli familiari più stretti quali quelli tra marito e moglie, genitori e figli>.

Quali sono le principali discrepanze che evidenzia fra l’insegnamento attuale della Chiesa sulla famiglia e quanto trasmette la Bibbia?

<Non credo che la Chiesa abbia l’autorità di mettere il naso nelle faccende familiari. Una Chiesa, che ha impiegato ben duemila anni per ammettere che nel matrimonio è importante anche l’amore dei coniugi oltre che la procreazione dei figli, sarebbe bene che tacesse su questioni per le quali non ha ricevuto alcun mandato dal Cristo>.

Nessun mandato? Vuole dire che quello di ottobre sarà un Sinodo illegittimo?

<La legittimità la dona lo Spirito Santo. Tanto più gli orientamenti, le scelte e le decisioni del Sinodo saranno all’insegna di una profonda umanità tanto più in queste si manifesterà il divino che alimenta e mantiene in vita la Chiesa>.

Intanto, sui mezzi di comunicazione il dibattito pre sinodale è tutto concentrato sul nodo dell’accesso ai sacramenti per i divorziati risposati. Come se lo spiega?

<Perché è lampante la contraddizione di una Chiesa che rivendica giustamente il mandato del Cristo di poter perdonare i peccati, ma poi è incapace di concedere il perdono a chi, fallito il primo matrimonio, tenta una nuova unione. La Chiesa assolve gli omicidi ma non i divorziati risposati! Spero che in questo anno della misericordia ci siano gesti concreti a favore di tre categorie di persone umiliate ed emarginate dalla Chiesa: i preti sposati, gli omosessuali, i divorziati. Non è solo una questione di misericordia ma di giustizia>.
                                                                                                                            Giovanni Panettiere




commento al vangelo della domenica

DA CHI ANDREMO? TU HAI PAROLE DI VITA ETERNA

commento al Vangelo della domenica ventunesima del tempo ordinario (23 agosto 2015) di p. Alberto Maggi:

 
Gv 6, 60-69

In quel tempo, molti dei discepoli di Gesù, dopo aver ascoltato, dissero: «Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?». Gesù, sapendo dentro di sé che i suoi discepoli mormoravano riguardo a questo, disse loro: «Questo vi scandalizza? E se vedeste il Figlio dell’uomo salire là dov’era prima? È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che io vi ho detto sono spirito e sono vita. Ma tra voi vi sono alcuni che non credono». Gesù infatti sapeva fin da principio chi erano quelli che non credevano e cp. Maggihi era colui che lo avrebbe tradito. E diceva: «Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre».
Da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui. Disse allora Gesù ai Dodici: «Volete andarvene anche voi?». Gli rispose Simon Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio».

L’evangelista registra con amarezza come il lungo discorso di Gesù nella sinagoga di Cafarnao , tutto incentrato sull’Eucaristia, sia stato un gran fallimento.
Ridicolizzato dai capi religiosi che non capiscono come quest’uomo parli di mangiare la sua carne e bere il suo sangue, Gesù non viene compreso neanche dai suoi discepoli.
Scrive l’evangelista che “molti dei suoi discepoli dopo aver ascoltato dissero ‘questa parola è dura’”. Il termine tradotto qui con ‘duro’ è il greco ‘skleros’ (skleros), che significa cioè quello che è insolente, quello che è offensivo. Cos’è questa parola dura?
Anzitutto il distacco che Gesù ha preso dalla tradizione dei padri, mentre i discepoli seguono i padri di Israele, Gesù invita a seguire il Padre, ma poi soprattutto hanno capito, loro che seguono Gesù per ambizione – ricordiamo che lo seguono perché vogliono che Gesù diventi il re del popolo – hanno capito che, se vogliono seguire Gesù, come lui devono farsi dono, devono farsi pane per gli altri. Questo ‘duro’ significa inaccettabile.
E quindi mormorano contro di lui. Hanno mormorato i giudei, mormora la folla e anche i discepoli mormorano contro Gesù.
Allora Gesù dichiara “questo vi scandalizza?” Lo scandalo è la morte del Messia. Non possono accettare un Messia che vada incontro alla morte e dice Gesù “se vedeste il Figlio dell’uomo salire là dove era prima?”. La morte era considerata una discesa nel regno dei morti e la risurrezione una salita. Ma per salire bisogna passare attraverso la morte, Gesù passerà attraverso la morte più scandalosa, più infamante, la crocifissione, riservata ai maledetti da Dio.
Ed ecco l’indicazione importante e preziosa che Gesù dà, e l’evangelista ci sottolinea, sul significato dell’Eucaristia. “E’ lo Spirito che da la vita, la carne non giova a nulla”. Cosa vuol dire Gesù? Mangiare il pane, è il significato dell’Eucaristia, la carne, senza poi farsi pane per gli altri, questo non serve a nulla. Una partecipazione all’Eucaristia nella quale l’amore che viene ricevuto non si trasformi anche in amore comunicato, non serve assolutamente a nulla.
Ma Gesù garantisce “le parole che io vi ho detto sono Spirito e sono vita”. Chi accoglie questo pane e si fa pane per gli altri, scopre dentro di sé la potenza generatrice di queste parole che sprigionano energie vitali.
“Ma tra di voi” aggiunge Gesù “vi sono alcuni che non credono”. E’ i fallimento di Gesù, molti replicano che il suo discorso è duro, molti non credono, addirittura aggiunge “tra di voi c’è addirittura uno che mi avrebbe tradito”. Il fallimento totale di Gesù. Ma Gesù non intende cambiare il programma, anzi provoca i suoi discepoli “che da quel momento”, sottolinea l’evangelista, “tornarono indietro e non andavano più con lui”, Gesù non li rincorre. Gesù è disposto a rimanere solo pur di non cambiare il programma, ma li provoca e dice ai Dodici “volete andare via anche voi?” Loro seguono Gesù per la propria convenienza, per la propria necessità e non hanno capito che invece per seguire Gesù bisogna proiettare la propria vita per il bene e la necessità degli altri.
“Gli risponde Simon Pietro” – ricordiamo che questo discepolo si chiama Simone, ha un soprannome negativo, Pietro, che gli evangelisti indicano quando è in opposizione a Gesù. Quando viene presentato con il nome e il soprannome significa che questo discepolo da una parte è d’accordo con Gesù e dall’altra no – “Signore da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna”.
Ecco Pietro, Simone ha compreso che le parole di Gesù che si sono fatte carne in lui sono quelle che comunicano la vita capace di superare la morte. Ma, ecco la parte negativa “noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio”.
Il Santo di Dio è un’espressione che indica il Messia della tradizione che è apparso altre volte nei vangeli sempre in un contesto negativo, in Marco e in Luca, in bocca agli spiriti impuri o ai demòni e al Messia dell’aspettativa popolare, cioè quello che avrebbe dovuto restaurare la monarchia, quello che avrebbe dovuto dominare i pagani e soprattutto quello che avrebbe dovuto rispettare e imporre la legge.

Questo è il Messia che Pietro desidera e questo sarà il motivo che lo porterà al suo tradimento. 

 

 




il commento al vangelo della domenica

 IO SONO IL PANE VIVO DISCESO DAL CIELO 

  commento al vangelodella domnica diciannovesima del tempo ordinario 9 agosto 2015) di p. Alberto Maggi  e di p. Agostino Rota Martir

p. Maggi

Gv 6, 41-51

In quel tempo, i Giudei si misero a mormorare contro Gesù perché aveva detto: «Io sono il pane disceso dal cielo». E dicevano: «Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui non conosciamo il padre e la madre? Come dunque può dire: “Sono disceso dal cielo”?».
Gesù rispose loro: «Non mormorate tra voi. Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Sta scritto nei profeti: “E tutti saranno istruiti da Dio”. Chiunque ha ascoltato il Padre e ha imparato da lui, viene a me. Non perché qualcuno abbia visto il Padre; solo colui che viene da Dio ha visto il Padre. In verità, in verità io vi dico: chi crede ha la vita eterna.
Io sono il pane della vita. I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia. Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».

Con l’espressione ‘giudei’ nel vangelo di Giovanni, non si indica il popolo, ma i capi religiosi, le autorità religiose, e sono queste che mormorano contro Gesù. Che mormorino contro Gesù i capi si può capire, ma in questo vangelo mormorano contro Gesù sia la folla, ma anche i discepoli.
Gesù è riuscito a scontentare tutti quanti e vedremo in questo vangelo perché.
Qui gli scontenti sono i capi del popolo perché non possono ammettere che Gesù rivendichi la condizione divina. Gesù ha detto “io sono” – è il nome di Dio – “il pane disceso dal cielo”. Che un uomo pretenda di avere la condizione divina per le autorità religiose è un crimine intollerabile. Dio mette tutto il suo intento per avvicinarsi all’uomo e fondersi con lui; le autorità religiose hanno tutto l’interesse e mettono tutto l’intento per separare l’uomo da Dio, perché più Dio e l’uomo sono lontani, più essi si possono inserire quali unici mediatori.
E quindi non accettano la pretesa di Gesù di essere un uomo con la condizione divina.
Ecco perché replicano “ma non è costui il figlio di Giuseppe?” E Gesù dà un importante criterio per avvicinarsi e accoglierlo: “nessuno può venire a me se non lo attira il Padre che mi ha mandato”. Cosa vuol dire per Gesù? Andare a Gesù significa riconoscere Dio come Padre, cioè colui che è a favore dell’uomo, perché Gesù è l’espressione dell’amore di Dio per tutta l’umanità.
Chiunque vede in Dio un alleato per l’uomo si sente poi attratto da Gesù. Ecco perché i capi non avvicineranno mai Gesù e non arriveranno mai a Dio, perché loro non sono interessati al bene dell’uomo, ma soltanto al proprio prestigio. Non conoscono il Padre, ma soltanto il loro interesse.
Questo amore che Gesù comunica è un amore che viene da Dio e quindi è indistruttibile, ecco perché Gesù può assicurare “io vi dico che chi crede”, cioè ‘chi da adesione a questo Gesù, a questo progetto d’amore di Dio per l’umanità, “ha la vita eterna”. La vita eterna per Gesù non è una promessa da conseguire nel futuro, per la buona condotta tenuta nel presente, ma una realtà che si può sperimentare in questa esistenza. Quindi Gesù non dice “chi crede avrà” poi nel futuro la vita eterna, ma “chi crede ha già”, sperimenta già adesso una vita di una qualità tale che è indistruttibile.
Poi Gesù dice quello che non dovrebbe dire, ecco perché riesce a scontentare tutti quanti, e mette il dito nella piaga. Gesù, rivendicando la condizione divina, “Io sono io pane della vita”, dice “i vostri padri”. Gesù avrebbe dovuto dire “i nostri padri”, anche lui è un componente del popolo di Israele, ma Gesù prende le distanze. Lui è mosso e segue il Padre, non i padri, non la tradizione del popolo.
“I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti”. Gesù mette il dito nella piaga del grande fallimento dell’esodo. Tutti quelli che sono usciti dalla schiavitù egiziana sono tutti morti nel deserto. Neanche uno è entrato nella terra promessa; i loro figli sono entrati nella terra promessa. Ma neanche Mosè c’è riuscito e sono tutti morti.
E perché sono morti? Secondo il libro di Giosuè e secondo il libro dei Numeri, sono morti per non aver dato ascolto alla voce di Dio. Allora Gesù dà un monito “come quella generazione morì nel deserto per non aver ascoltato la voce di Dio, anche voi rischiate di non entrare nella pienezza della libertà se non ascoltate questa voce.
Ed ecco allora Gesù che rivendica e conferma “se uno  mangia di questo pane” – che è lui, la sua vita – “vivrà in eterno”. La vita che Gesù comunica è una vita che non viene interrotta dalla morte. E poi questa preziosa indicazione “il pane che io darò è la mia carne”, l’evangelista usa il termine ‘carne’ che indica la debolezza dell’uomo, “per la vita del mondo”. Non esistono doni divini che non si manifestino nella debolezza della condizione umana.

 il commento di p. Agostino Rota Martir:

agostino

 

Gesù dà vita scendendo

Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno.”

Gesù è il pane disceso, perché la sua origine è in Dio, ma è anche lo stile costante della sua stessa vita, è il suo incessante comportamento con le persone che incontra, quello di “scendere” per farsi prossimo con il povero, l’ammalato, il lebbroso, con lo straniero, il peccatore..

Gesù attraverso il suo comportamento rivela che Dio manifesta se stesso dal basso, abbassandosi, andando oltre la Legge sacra del tempio. Non più un Dio che chiede all’uomo di salire per adorarlo nel tempio, ma di scendere nelle strade, nei vicoli, nelle case là dove l’uomo vive, lotta, spera per mostrare il suo Amore Liberante verso tutti. Il Dio di Gesù si disloca dal tempio, per scendere, proprio come l’incarnazione di suo Figlio Gesù, non per capriccio, ma per indicare la via capace di rivelare il suo Regno, quella di abbassarsi per fare spazio all’altro.

Donare senza scendere. Tipico di molti di noi, abbastanza diffuso anche dentro le nostre comunità: “Ti aiuto ma resto al sicuro nella mia posizione, possibilmente in alto. Ti dono qualcosa, ma fino ad un certo punto. Ti aiuto quando te lo meriti..” E’ l’aiuto senza relazione con l’altro, a distanza senza voler scendere più di tanto.

“La tentazione dell’essere al centro, nel senso di governare, dirigere, guidare, essere i protagonisti primi e principali di ciò che succede, è comune a tutti noi.” (Stella Morra, Dalle periferie un altro sguardo.)

Due fatti successi ultimamente, opposti tra di loro ma che ci aiutano a comprendere la “logica” del pane vivo disceso.

* Di fronte al bisogno di alloggi per accogliere dei profughi, un vescovo del Nord d’Italia offre i locali di un convento ormai vuoto, ma dei genitori di una scuola cattolica hanno rifiutato la loro presenza perché troppo vicina ai loro figli, mormorando pubblicamente la scelta del loro vescovo..Senz’altro ‘sti genitori “cattolici” sono ben lontani da Dio, anche se assidui frequentatori del tempio: e se invece, il pane vivo disceso dal cielo sta in mezzo a quei profughi rifiutati dai benpensanti timorati di Dio? Che occasione persa!

* Di segno opposto invece, la notizia di un deputato tedesco che sceglie di offrire la sua casa per dei richiedenti asilo, dopo aver ascoltato la loro storia in parrocchia.

Mangiare il pane vivo non significa forse fare spazio, perché l’altro possa crescere in me? Così la mia carne (la mia storia, le mie scelte..) si trasformerà in vita per il mondo, per chi attraversa il mio cammino.

Ecco, ripetersi il miracolo del pane disceso (che si disloca), mette in movimento le nostre certezze, le nostre stabilità.

Mangiare il pane vivo disceso dal cielo non può che portarci a scegliere da che parte stare e soprattutto il come starci.

Campo della Bigattiera (Pisa)

8 Agosto 2015

 




commento al vangelo della domenica

CHI VIENE A ME NON AVRA’ FAME E CHI CREDE IN ME NON AVRA’ SETE MAI! 

  commento al vangelo della domenica diciottesima del tempo ordinario (2 agosto 2015) di p. Alberto Maggi

p. Maggi

Gv 6, 24-35

 

In quel tempo, quando la folla vide che Gesù non era più là e nemmeno i suoi discepoli, salì sulle barche e si diresse alla volta di Cafarnao alla ricerca di Gesù. Lo trovarono di là dal mare e gli dissero: «Rabbi, quando sei venuto qua?».
Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo». Gli dissero allora: «Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?». Gesù rispose loro: «Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato».
Allora gli dissero: «Quale segno tu compi perché vediamo e ti crediamo? Quale opera fai? I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: “Diede loro da mangiare un pane dal cielo”». Rispose loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico: non è Mose che vi ha dato il pane dal cielo, ma è il Padre mio che vi dà il pane dal cielo, quello vero. Infatti il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo». Allora gli dissero: «Signore, dacci sempre questo pane». Gesù rispose loro: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!».

Con l’episodio della condivisione dei pani Gesù aveva voluto elevare la folla a livello prima di uomini, poi di persone adulte, di persone mature, ma la folla non ha voluto, voleva farlo re. Ha preferito la sottomissione alla libertà che Gesù aveva loro proposto e Gesù era scappato via.
Ebbene ora la folla lo rincorre, ne va in cerca – il verbo ‘ricercare’ nel vangelo di Giovanni è sempre negativo, è sempre per catturare, lapidare, uccidere Gesù – e, quando lo trova, si rivolge a lui chiamandolo ‘Rabbi’. Rabbi è il maestro della legge, non hanno compreso la novità proposta da Gesù, un
rapporto con Dio completamente nuovo, non più basato sull’obbedienza della legge, ma sull’accoglienza del suo amore.
E qui inizia un dialogo tra sordi, un dialogo all’insegna dell’incomprensione, perché la folla chiede il pane per sé  e Gesù li invitava a farsi pane per altri. Ecco che Gesù dice “voi mi cercate non perché avete visto dei segni”. Il segno cos’era? L’accoglienza di un dono generoso per farsi, a loro volta, dono generoso per gli altri, ricevere il pane per poi farsi pane per gli altri.
“Ma perché avete mangiato” – cioè avete preso il pane per voi, “e vi siete saziati”.
E avvisa Gesù “datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna”. La vita ha una parte biologica e ha bisogno di esser nutrita e una parte, quella eterna, che per crescere ha bisogno di nutrire. Quindi noi abbiamo due aspetti:
– La nostra vita biologica, deve essere nutrita
– Quella interiore, per crescere, invece, deve nutrire.
Allora Gesù dice “datevi da fare per questo”. “Perché”, assicura Gesù, “questo è il cibo che vi da il Figlio e su di lui il Padre ha messo il suo sigillo”, cioè Gesù è la garanzia della presenza divina nell’umanità.
Ed ecco che chiedono loro a Gesù cosa devono fare, e Gesù dice: “Questa è l’opera di Dio”. L’unica volta che appare nell’Antico Testamento il termine ‘opera di Dio’, è nel Libro dell’Esodo, capitolo 32, vers. 16, per indicare le tavole della legge. C’è un cambio di alleanza, il rapporto con Dio non è più basato sull’osservanza della legge, ma sull’accoglienza dell’amore di Gesù. Ed è questo che Gesù esprime “che crediate in colui che egli ha mandato”. Quindi non più l’obbedienza alle leggi, ma l’assomiglianza all’amore che in Gesù, garanzia della presenza divina, si manifesta.
Ma la folla non comprende e chiede: “che segno compi perché vediamo e crediamo?” Questo è tipico dell’esperienza religiosa: un segno da vedere per poter credere. E Gesù rifiuta sempre, Gesù non mostra un segno da vedere per credere, ma al contrario dice “credi, e tu stesso diventerai un segno che gli altri possono vedere”.
Allora Gesù, di fronte a questa reazione della folla che si rifà ai padri e non al Padre, che si rifà al passato e dice “i nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto”, si rifanno al passato per Israele, mentre Gesù li aveva invitati al presente, al Padre dell’umanità, Gesù dice che non è stato  Mosè in passato quello che ha dato la vera vita, ma il Padre “vi dà il pane dal cielo, quello vero”.
La richiesta della folla richiama la preghiera del Padre Nostro che, nel vangelo di Giovanni non è presente, “Signore, dacci sempre di questo pane”. Ecco, la folla è cresciuta, da ‘Rabbi’ – Rabbi è colui che insegna la legge – a ‘Signore’, hanno capito che in Gesù c’è una realtà divina.
Ed ecco la dichiarazione di Gesù “Io sono il pane della vita, chi viene a me non avrà pane e chi crede in me non avrà più sete”. Gesù si presenta come la piena risposta alle esigenze di pienezza di vita che ogni uomo porta dentro di sé.