il vangelo della domenica commentato da p. Maggi

 

 

ECCO CONCEPIRAI UN FIGLIO E LO DARAI ALLA LUCE

 commento al Vangelo della quarta domenica d’avvento ( 21 dicembre 2014)di p. Alberto Maggi:

p. Maggi

Lc 1,26-38

In quel tempo, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallègrati, piena di grazia: il Signore è con te». A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine». Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco  uomo?». Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio». Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l’angelo si allontanò da lei.

Nulla è impossibile a Dio. E’ con queste parole che si chiude l’episodio dell’annunciazione dell’angelo Gabriele a Maria. Perché nulla sia impossibile a Dio si esige l’ascolto della sua parola, fidarsi di questa e poi ci vuole l’azione. L’evangelista chiude con questa assicurazione – che nulla è impossibile a Dio – l’episodio dell’annunciazione perché veramente la strada è tutta in salita. San Paolo nella prima lettera ai Corinzi dice che Dio ha scelto quello che è disprezzato, quello che è ignobile al mondo, quello che noi mai avremmo scelto per le nostre imprese. E’ quello che ha fatto Dio. Leggiamo il vangelo di Luca. Al sesto mese l’angelo Gabriele …. Gabriele in ebraico Gabri-el significa “la forza di Dio”, quindi è la forza della creazione che è capace di vincere qualunque resistenza. Fu mandato da Dio in una città della Galilea. Ecco cominciano già le difficoltà perché l’angelo di Dio non viene inviato  nella regione santa della Giudea, che aveva il nome del capostipite delle 12 tribù d’Israele, Giuda, il luogo dove risiedeva la presenza di Dio, nel tempio di Gerusalemme, ma in una regione talmente disprezzata che deve il nome al profeta Isaia che nel suo libro, al capitolo 28, versetto 23, indica questo posto come “il distretto dei Gentili”, cioè dei pagani, dei miscredenti. “Distretto” in ebraico si dice Ghelil, da cui Galilea. Quindi è la regione disprezzata, la regione delle persone che si credeva neanche sarebbero potute risuscitare, comunque esclusa dall’azione di Dio. E questa città della Galilea è chiamata Nazaret, mai nominata nell’Antico Testamento, mai nominata nella Bibbia. Un borgo selvatico abitato da trogloditi, vivevano nelle grotte, gente bellicosa. Giuseppe Flavio,  contemporaneo dei vangeli, dice che i Galilei sono bellicosi fin da piccoli. Ma c’è ancora di più … a una vergine, sposata … L’indicazione che ci dà l’evangelista facciamo difficoltà a comprenderla perché gli usi matrimoniali del tempo sono tanto lontani e diversi dai nostri. Il matrimonio avveniva in due tappe, una prima tappa chiamata sposalizio, quando la donna aveva 12 anni e il maschio 18, e dopo un anno la seconda fase del matrimonio chiamate nozze. Quindi qui abbiamo questa ragazza che era nella prima fase del matrimonio, quando ancora non era possibile che i coniugi vivessero insieme e avessero rapporti tra di loro. Questa donna è sposata. Quindi l’angelo è inviato a una donna. Dio mai aveva rivolto la parola a una donna, anche questo è tutto in salita, dice la Bibbia che dalla donna ha inizio il peccato e per causa sua tutti moriamo. Sposata a un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Ecco ancora la strada in salita, tra tanti nomi che si potevano scegliere per questa ragazza che doveva dare alla luce Gesù viene scelto proprio il nome che nella Bibbia portava sfortuna. Perché? E’ il nome della sorella di Mosè, donna ambiziosa, castigata, punita severamente da Dio con la lebbra. E da quella volta il nome Maria non compare più nella Bibbia. E’ come un po’ nel nostro mondo cristiano il nome Giuda, che è un bellissimo nome e tra l’altro è il nome di uno degli apostoli (non solo il traditore di Gesù), ma siccome ricorda il tradimento nessuno mette al bambino il nome Giuda. E così non si metteva a una bambina il nome Maria perché ricordava una donna castigata da Dio. Quindi come vediamo la strada è tutta in salita. In Galilea, a Nazaret, una donna con questo nome che porta sventura; Entrando da lei, disse: “Rallegrati”, cioè gioisci, “Piena di grazia”, che non è una constatazione che l’angelo fa delle virtù di Maria, ma dice “riempita dalla grazia”. Dio non è attratto dai meriti di Maria, ma la riempie del suo amore. “Il Signore è con te”, è l’espressione con la quale Dio confermava la sua presenza a coloro che chiamava a compiere le sue azioni, come per esempio Gedeone. A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L’angelo le disse: “Non t mere, Maria, ecco hai trovato grazia presso Dio.” Quindi è Dio che la riempie del suo amore. “Concepirai un figlio”, e qui cominciano le novità che poi matureranno  lungo la vita di Gesù e il suo insegnamento. “Lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù”. Ma questo è inaudito, la donna non può dare il nome al bambino che nasce. E poi il nome del bambino che nasce è lo stesso del padre, qui invece è la donna che è chiamata a rompere con la tradizione, a rompere col passato, ad aprirsi al nuovo. E’ lei che deve dare il nome al bambino e non lo deve chiamare con il nome del marito, Giuseppe, come da tradizione, ma lo deve chiamare con questo nome Gesù. L’angelo dice che questo bambino “sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono”, non erediterà il trono, ma è un’azione nuova. “Di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine”. Questa è la promessa che l’angelo fa a Maria. Ebbene Maria non si scompone di fronte a questa novità e chiede soltanto le modalità. Allora Maria disse all’angelo: “Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?” appunto perché non era passata alla seconda fase del matrimonio, le nozze, quando cominciava la convivenza. Le rispose l’angelo … l’evangelista racchiude l’esistenza di Maria tra le due discese dello Spirito Santo, all’annunciazione e nel cenacolo con la Pentecoste. “Lo Spirito Santo scenderà su di te”, in Maria c’è una nuova creazione, una nuova generazione, “e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio”. Modi di dire per far comprendere che colui che nascerà sarà il messia, l’inviato da Dio, il liberatore del popolo. Quindi su Maria scende lo Spirito Santo come al momento della creazione, quello che nasce è qualcosa di completamente nuovo. Perché l’angelo esclude in tutto questo Giuseppe? Perché il padre trasmetteva al figlio non soltanto la vita biologica, ma anche la tradizione religiosa, morale. Ebbene Gesù non seguirà i padri d’Israele, ma Gesù seguirà il padre, che è Dio. E l’angelo conferma: “Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio”. Le parole che Dio aveva detto a Sara, anche lei anziana, con Abramo che non credeva nella possibilità di poter mettere al mondo un bambino, l’angelo le conferma a Maria, nulla è impossibile a Dio. L’azione di Dio con la sua forza creatrice non ha limiti, ma, come ricordavamo all’inizio, ha bisogno dell’ascolto da parte dell’uomo, di fidarsi di questa parola e poi la sua collaborazione. Allora Maria disse: “Ecco la serva del Signore”, non una serva. “Serva del Signore” era uno dei titoli che aveva il popolo di Israele, quindi Maria per l’evangelista identifica il popolo. “Avvenga di me secondo la tua parola”. E l’angelo si allontanò da lei. Maria si fida, si fida completamente del Dio dei suoi padri, ora l’aspetta il compito più difficile: accogliere ed accettare il Dio di suo figlio, Gesù.

 

 

il biblista Maggi applaude Benigni

dopo la lettura di Benigni i 10 comandamenti non sono più gli stessi

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su Rai1 trionfo d’ascolti per il comico toscano. Su IlLibraio.it l’analisi di Alberto Maggi, studioso di temi biblici, oltre che autore di “Chi non muore si rivede”: “Benigni è riuscito a scontentare tutti, sia i conservatori, sia i reazionari, sia i progressisti…”

di Alberto Maggi

maggi

 

Dopo la lettura di Benigni i comandamenti non sono più gli stessi. Chi potrà mai dimenticare che il comandamento “Non rubare”, Dio l’ha scritto direttamente nella lingua italiana, in quanto insegnamento esclusivo per la corrotta Italia! Forse se la Chiesa avesse insistito meno sul sesso (tema ignorato da Gesù nel suo insegnamento) e più sul peccato di corruzione, sull’avidità, sull’ingordigia – atteggiamenti denunciati con forza da Gesù in quanto ritenuti la causa di ogni ingiustizia umana – la società sarebbe differente. E si spera che la Chiesa cattolica di Papa Francesco cancelli definitivamente dal Catechismo della Chiesa l’infelice articolo nel quale si legittima la pena di morte. In uno dei momenti più alti di tutto il programma, l’attore, con i tratti del volto tesi, ha infatti denunciato una società omicida che sopprime solo per legittimare i propri interessi e mai per giustizia.

Alla fine comunque Roberto Benigni è riuscito a scontentare tutti, sia i conservatori reazionari (come si è permesso ridicolizzare l’insegnamento della Chiesa cattolica sulla sessualità?) sia i progressisti, sempre con la puzza sotto il naso, che hanno trovato non abbastanza provocatoria l’interpretazione che ha dato dei comandamenti di Mosè. Eppure nella prima serata i tradizionalisti avevano esultato vedendo con quale enfasi, quasi da telepredicatore pentecostale, Benigni aveva presentato i primi tre comandamenti, quelli esclusivi del popolo di Israele, centrati sull’unicità di Dio. Ma poi Benigni ha rovinato tutto ieri sera, denunciando il crimine di una Chiesa sessuofoba che ha manipolato la stessa parola di Dio e trasformato il comandamento “Non commettere adulterio” in “Non commettere atti impuri”, rovinando così generazioni di adolescenti che si sono sentiti colpevolizzati per quelli che erano solo fenomeni dovuti all’esuberanza di ormoni in circolo.

Ma da vero genio dello spettacolo, l’asso nella manica Roberto l’ha tirato fuori proprio verso la fine della seconda serata. Dopo aver presentato in maniera teologicamente corretta e profonda i comandamenti, e la figura di Mosè e del Dio d’Israele, accentuando e magnificandone le luci e tacendo o sorvolando sulle ombre (secondo la Bibbia ha ammazzato più ebrei Mosè per liberarli dalla schiavitù egiziana che il faraone per trattenerli), il grande attore, con nonchalance, ha assestato il colpo basso. Roberto Benigni ha raccontato infatti, come Gesù interrogato da uno degli scribi – i teologi ufficiali dell’istituzione religiosa – su quale fosse il comandamento più importante, nella sua risposta abbia ignorato provocatoriamente le tavole di Mosè, e si sia rifatto all’“Ascolta Israele”, il “Credo” che gli ebrei recitavano due volte il giorno: “Il più importante è “Ascolta Israele. Il Signore Dio nostro è l’unico Signore; amerai dunque il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza”. La domanda dello scriba concerneva un solo comandamento, il più importante. Ma secondo Gesù l’amore per Dio non è completo se non si traduce in amore per il prossimo, e per questo aggiunge alla sua risposta un precetto contenuto nel libro del Levitico: “E il secondo è questo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Non c’è altro comandamento più importante di questi”.

La disinvoltura di Gesù verso i comandamenti di Mosè è infatti a dir poco sconcertante. Quando l’uomo ricco gli chiese quali comandamenti osservare per ottenere la vita eterna, Gesù nella sua risposta omise quelli che riguardavano gli obblighi verso Dio e gli elencò solo i doveri verso gli uomini. Per Gesù non sono indispensabili per la salvezza i tre comandamenti esclusivi di Israele, la cui osservanza garantiva a questa nazione lo “status” di popolo eletto: Cristo ha preferito ribadire il valore di cinque essenziali comandamenti validi per ogni uomo, ebreo o pagano, credente o no, che riguardano basilari atteggiamenti di giustizia nei confronti del prossimo: “Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, onora tuo padre e la madre”.

“Con dieci parole fu creato il mondo” (Pirqé Aboth 5,1), insegnava la teologica ebraica con riferimento al¬le dieci parole di Esodo 34,28: “Scrisse sulle tavole le parole dell’alleanza, le dieci parole”. L’evangelista Giovanni nel prologo al suo vangelo non è d’accordo. Prima ancora della creazione del mondo c’era il Logos, un’unica Parola in base alla quale tutto fu creato (“In principio era la Parola”, Gv 1,1), una sola Parola che si formulerà nell’unico comandamento che Gesù lascerà ai suoi: “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri” (Gv 13,34). Con Gesù il credente non è più colui che ubbidisce a Dio osservando le sue Leggi, ma colui che assomiglia al Padre praticando un amore uguale a quello che del Padre è proprio.

 

L’AUTORE – Alberto Maggi, frate dell’Ordine dei Servi di Maria, ha studiato nelle Pontificie Facoltà Teologiche Marianum e Gregoriana di Roma e all’École Biblique et Archéologique française di Gerusalemme. Fondatore del Centro Studi Biblici «G. Vannucci» (www.studibiblici.it) a Montefano (Macerata), cura la divulgazione delle sacre scritture interpretandole sempre al servizio della giustizia, mai del potere. Ha pubblicato, tra gli altri: Roba da preti; Nostra Signora degli eretici; Come leggere il Vangelo (e non perdere la fede); Parabole come pietre; La follia di Dio e Versetti pericolosi. E’ in libreria con Garzanti
Chi non muore si rivede – Il mio viaggio di fede e allegria tra il dolore e la vita

 

 

delusione!

 

Che delusione Papa Francesco che si piega ai diktat di Pechino


di Alberto Maggi

Papa Francesco è amato da tutti, o quasi. Non ci sono dubbi sulla sua carica umana e spirituale e sulla sua capacità di ridare alla Chiesa nuovo lustro, anche e soprattutto con le aperture nei confronti dei divorziati. Ma la scelta del Santa Padre di non incontrare il Dalai Lama, in visita a Roma, lascia l’amaro in bocca. Che non lo abbia incontrato Obama, sempre meno meritevole del Nobel per la pace, si può anche capire (la Cina ha in mano il debito pubblico degli Stati Uniti), ma che anche il Pontefice si adegui alla realpolitik e, di fatto, si inginocchi al volere del regime di Pechino lascia quantomeno sgomenti. Da questo Papa, ecumenico e rivoluzionario, ci saremmo aspettati più coraggio. E più indipendenza. E forse anche più autorevolezza. E per favore il Vaticano non ci racconti la storiella che non è stato possibile organizzare un faccia a faccia anche di soli 10 minuti. Un incontro e una stretta di mano sarebbero stati gesti importantissimi per chi difende i diritti umani, in Tibet e non solo. E invece niente. Che delusione caro Francesco…

il vangelo della domenica

 

RADDRIZZATE LE VIE DEL SIGNORE 

 commento al Vangelo della seconda domenica di avvento (7 dicembre 2014) di p. Alberto Maggi
 
maggi
 
Mc 1,1-8
Inizio del vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio. Come sta scritto nel profeta Isaìa: «Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero: egli preparerà la tua via. Voce di uno che grida nel deserto:  preparate    la   via   del Signore raddrizzate i suoi sentieri», vi fu Giovanni, che battezzava nel deserto e proclamava un battesimo di conversione per il perdono dei peccati. Accorrevano a lui tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme. E si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati. Giovanni era vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle attorno ai fianchi, e mangiava cavallette e miele selvatico. E proclamava: «Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo».

 

Leggiamo e commentiamo i primi otto versetti del vangelo di Marco, che inizia con queste parole: Inizio della buona notizia … sappiamo che il termine vangelo significa infatti buona notizia. E’ una buona notizia che è già conosciuta. L’evangelista non si rivolge a persone che ancora non conoscono la novità di Gesù, ma a persone che già la vivono. E Marco intende narrare quale è stata l’origine. Allora perché la chiama buona notizia? Perché c’è un nuovo rapporto con Dio che non è più basato sull’osservanza della legge – il termine “legge” nel vangelo di Marco non apparirà mai – ma sull’accoglienza dello Spirito, come vedremo alla fine di questo brano con l’annunzio che l’attività di Gesù sarà battezzare in Spirito Santo. Quindi non più l’osservanza di una legge esterna all’uomo, ma l’accoglienza di una realtà interiore all’individuo. La buona notizia è di Gesù Cristo, Cristo cioè Messia, e manca l’articolo, che significa che non è il Messia della tradizione, quello che Israele attendeva, il liberatore che attraverso la violenza avrebbe restaurato il Regno di Israele, ma un liberatore, un Messia completamente diverso che l’evangelista ci aiuta ora a scoprire. Figlio di Dio. Ecco Gesù sarà Messia, ma non sarà il figlio di Davide, non verrà a restaurare il regno di Israele, ma il figlio di Dio verrà ad inaugurare il regno di Dio, l’amore universale del Padre.  Come sta scritto nel profeta Isaia … e qui in realtà l’evangelista fa un collage di tre testi, in cui c’è naturalmente anche il profeta Isaia, ma apre anzitutto con il testo del libro dell’Esodo. E chiude poi quello di Isaia con l’Esodo. Il primo esodo è stato la collaborazione di tutti coloro che lo desiderano. Ed ecco la presentazione di chi è questo messaggero di Dio. E’ un inviato da Dio che prescinde da ogni istituzione religiosa. Vi fu Giovanni che battezzava nel deserto e proclamava un battesimo … Il battesimo era un rito conosciuto, ci si immergeva nell’acqua a simboleggiare la morte al proprio passato, per iniziare una vita nuova. Quindi proclamava un’immersione in segno di morte al passato … di conversione, cioè cambiamento di vita. Se fino adesso hai vissuto per te, adesso vivi per gli altri, questo è il significato di “conversione” che l’evangelista adopera. Per il perdono dei peccati. Il cambiamento di condotta ottiene il condono di tutte le colpe, quindi è un atto esteriore per indicare un profondo cambiamento interiore. Ebbene, all’annunzio di Giovanni, di un battesimo per ottenere il perdono dei peccati, c’è una risposta inaspettata, incredibile. Infatti scrive l’evangelista: Accorrevano a lui … e qui l’evangelista adopera il verbo “uscire”, che è lo stesso adoperato nell’esodo per indicare la liberazione compiuta da Dio nei confronti del suo popolo. Accorrevano a lui da tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme. Questo è sorprendente, perché a Gerusalemme c’era il tempio, il luogo preposto per il perdono dei peccati. Ebbene le persone comprendono che il perdono dei peccati non si ottiene attraverso un rito nell’istituzione religiosa, ma anzi bisogna allontanarsi per un cambio profondo della propria vita. E si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano … ecco un’altra indicazione dell’Esodo. Il Giordano è stato il fiume che il popolo d’Israele ha dovuto attraversare per entrare nella terra promessa. Confessando i loro peccati. Poi l’evangelista ci da una descrizione di questo Giovanni, che è la descrizione dei profeti. Infatti era vestito di peli di cammello, che era l’abito dei profeti, con una cintura di pelle attorno ai fianchi. Questa sottolineatura della cintura di pelle richiama il più grande dei profeti cioè il profeta Elia, quindi l’evangelista vuole rappresentare che quell’Elia che il popolo attendeva come precursore del Messia, si è manifestato nella figura di Giovanni Battista. E mangiava cavallette e miele selvatico. Quello che offre il deserto, il cibo normale dei nomadi e dei beduini. E proclamava: “Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali”. L’espressione di Giovanni Battista non è un attestato di umiltà, ma qualcosa di molto più profondo. Qui c’è un’allusione a ben tre testi, al libro del Genesi, al libro di Ruth e al libro del Deuteronomio, che si rifanno a una pratica chiamata del Levirato, da Levir, che in latino significa “cognato”. Qual era questa pratica? Quando una donna rimaneva vedova senza un figlio, il cognato aveva l’obbligo di metterla incinta. Il bambino che sarebbe nato avrebbe portato il nome del marito defunto, in modo che il nome del defunto continuasse a perpetuarsi. Quando il cognato si rifiutava si mettere incinta la donna, colui che aveva diritto dopo di lui procedeva alla cerimonia chiamata “dello scalzamento”, scioglieva il legaccio dei sandali – era un rito particolare – si sputava sui sandali e stava a significare: il tuo diritto di mettere incinta questa donna passa a me. Allora la proclamazione di Giovanni Battista è molto più profonda. Lui dice: “non scambiate me per il Messia, lo sposo d’Israele, colui che deve fecondare questa donna, considerata come una vedova perché la relazione con Dio era ormai terminata, non sono io, ma colui che sta per venire”. Perché “io vi ho battezzato con acqua”, un rito esterno, l’acqua è qualcosa di esteriore all’uomo, “ma egli vi battezzerà in Spirito Santo”. L’azione di Gesù sarà un’immersione profonda, intima, interiore, nella stessa vita divina. Ecco allora la buona notizia che l’evangelista ha annunziato. La relazione con Dio non è più basata sull’osservanza della legge, ma sull’accoglienza del suo amore. E’ questo che guiderà la vita degli uomini.

Non giudicherà secondo le apparenze..”

il commento di p. Agostino Rota Martir che ‘legge’ il vangelo non da una sala parrocchiale o da uno studio teologico ma dalla sua convivenza con un gruppo di rom a Pisa:

p. agostino

 

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    • “Preparatevi, quando arriverò io risolverò tutto! Le cose cambieranno verso.”
    • “Colui che viene dopo di me è più forte di me..”

    Due logiche diverse, anzi opposte tra di loro. La prima, tipica del leader di successo, la seconda è di chi sa e si sente un messaggero di Qualcuno.

    La prima è di chi sentendosi forte, con sondaggi alla mano tende a restringere o addirittura annullare lo spazio dell’altro, visto come un ingombro alla propria iniziativa.

    L’altro, invece sceglie di “fare spazio all’altro”: atteggiamento tipico di Dio. Racconta un Midrash ebraico che quando Dio crea il mondo e l’uomo si rannicchia, proprio per fare spazio a ciò che nasce.. in un certo senso mi sembra più bello l’ atteggiamento di un Dio rannicchiato, che si ritrae perché l’altro cresca, rispetto a quello di un Dio creatore in piedi che domina e controlla l’andamento del mondo.

    Il leader, in genere è alla ricerca dei riflettori, il Battista invece sceglie di mettersi da parte, il deserto è il suo luogo di vita, ma anche lo spazio di osservazione, la sua periferia dalla quale guardare il mondo e le persone.

    In genere, il primo gioca un po’ ad essere “come Dio”, il secondo invece, cerca Dio nelle pieghe nascoste degli uomini. Nel Mistero dell’incarnazione Dio che si fa uomo! Un Dio che si converte all’uomo, mischiandosi con l’umanità con tenerezza e sapienza.

    “Un germoglio spunterà dal tronco di Iesse..non giudicherà secondo le apparenze e non prenderà decisioni per sentito dire.” (Is. 11, 1.3)

    I tempi del germoglio sono lenti e costanti, non dettati dalla fretta dei risultati. E poi un germoglio è imprevedibile, proprio come il Dio dei profeti sempre al fianco dei poveri. Per i poveracci di ieri, quando Isaia pronunciò queste parole, e quelli di oggi le cose per loro non sono cambiate di molto. Stesso destino, esclusi e visti spesso come causa delle crisi, stessi atteggiamenti di pregiudizio. Gli spazi per i poveri si riducono sempre di più, visti con disagio e sospetto e affidati alla gestione a persone senza scrupoli, affaristi e con la puzza sotto il naso.

    “Il lupo dimorerà insieme con l’agnello..”

    Sogno o stimolo perché la fede in Dio sia capace di entrare nei cuori di tutti? In quello dei prepotenti, come in quello delle loro vittime.

    I lupi che vorrebbero i Rom nei forni crematori, sapranno un giorno vivere insieme, accogliendosi nel rispetto reciproco? Il lupo oggi ha tante sembianze, tanti volti, sa presentarsi bene, si trasforma velocemente, segue il vento che tira, ma anche l’agnello può diventare lupo a sua volta, verso il più debole di lui. Ecco, quindi l’urgenza del vigilare (domenica scorsa), e l’invito di questa domenica alla conversione: saper fare spazio all’altro, perché “il Regno dei cieli possa farsi vicino”.

     

     

    il vangelo della domenica

     


    VEGLIATE: NON SAPETE QUANDO IL PADRONE DI CASA RITORNERA’

     

     
    Mc 13,33-37
    In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
    «Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento. È come un uomo, che è partito dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai suoi servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vegliare.
    Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino; fate in modo che, giungendo all’improvviso, non vi trovi addormentati.
    Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!».
    commento al Vangelo della I DOMENICA AVVENTO ( 30 novembre  2014)di p. Alberto Maggi
    p. Maggi
    Il capitolo 13 del vangelo di Marco è indubbiamente il più difficile e complesso di tutto il suo vangelo. Ne è cosciente lo stesso evangelista che proprio al versetto 14 scrive “che il lettore comprenda”, perché sa che sta dicendo qualcosa di molto complesso.
    A complicare il quadro ci sono le scelte incomprensibili dei liturgisti che, per esempio, nel brano di oggi mutilano il versetto iniziale, quello che aiuta nella comprensione di tutto il brano. Pertanto leggiamo il capitolo 13 del vangelo di Marco, ma iniziamo dal versetto 32, che è stato omesso dai liturgisti.
    Gesù, dopo aver parlato della fine di Gerusalemme e della fine di tutti i poteri che schiacciano e umiliano l’uomo, e per questo si richiede la collaborazione dei discepoli, annunzia la fine individuale di ogni suo discepolo.
    E dice, “Quanto però a quel giorno e a quell’ora nessuno lo sa, né gli angeli del cielo, né il Figlio, eccetto il Padre”. L’espressione “quel giorno” finora nel vangelo di Marco appare tre volte e sempre in relazione alla morte ed esaltazione di Gesù, cioè alla vittoria di Gesù sulla morte. Questa volta invece è applicataai discepoli per far comprendere che anche la morte dei discepoli non sarà una fine, ma un inizio, non una sconfitta, ma una vittoria.
    Ebbene Gesù dice “non vi preoccupate perché il Padre lo sa”. Questo sapere non è un semplice conoscere, ma un sapere per operare. Nel momento della propria fine, anche se drammatica e traumatica come quella di Gesù, ci sarà il Padre che verrà in aiuto ai suoi.
    Quindi è un brano che invita alla piena fiducia, a non preoccuparsi. Non è importante conoscere il momento della propria fine, ma sapere che quel momento è nelle mani del Padre. Quindi il messaggio di Gesù è pienamente positivo ed è un invito alla piena fiducia. Detto questo Gesù, con due imperativi dice: “Fate attenzione, vigilate”. Vigilare significa rinunciare a dormire. Il sonno nei Vangeli è l’immagine della rinuncia all’attività. Quindi l’invito è a restare in attività, perché anche se sapete che la vostra fine è nelle mani del Padre, spetta a voi collaborare con un’attività fedele al messaggio della buona notizia.
    E poi Gesù dà questa immagine. “E’ come un uomo, che è partito dopo aver lasciato la propria casa e dato …” E qui la traduzione che abbiamo è “dato il potere ai suoi servi”, ma in realtà è “data la sua stessa autorità ai suoi servi”, il termine greco è molto enfatico. Qui il padrone, il signore della casa è Gesù dopo la morte. Gesù non ha servi, lui l’ha detto chiaramente in questo vangelo “Non sono venuto per essere servito, ma per servire”.
    Si tratta dei servi della comunità, cioè gli uni a servizio degli altri. Ebbene Gesù, a coloro che mettono la propria vita a servizio degli altri, concede la sua stessa autorità. Cos’è l’autorità? L’autorità nel vangelo di Marco è la capacità di esercitare una funzione divina con la quale si comunica vita.
    Attraverso il dono dello Spirito Gesù comunica questa sua autorità, questo Spirito anche ai suoi discepoli. “A ciascuno il suo compito e ha comandato …”, il verbo comandar appare una sola volta in questo Vangelo, riferito ai comandamenti di Mosè, qui invece c’è il comandamento di Gesù. E’ la nuova relazione con Dio, che non è più impostata sulle leggi di Mosè, ma sull’accoglienza del suo amore.
    E il comandamento qual è? Il comandamento lo dà il portiere, che in quella cultura era colui che era responsabile della sicurezza di coloro che stavano dietro. E’ una figura collettiva che riguarda l’impegno di tutta la comunità. “… e ha comandato al portiere di vegliare”.  Il verbo “vegliare” verrà ripetuto tre volte e sappiamo che il numero tre significa quello che è completo, quindi una stretta vigilanza.
    Gesù invita i componenti della sua comunità ad esercitare una funzione permanente di servizio che li renda riconoscibili. Non un servizio una volta ogni tanto, ma un servizio che sia il distintivo della comunità. Se c’è questo la fine non deve preoccupare perché il Padre viene in soccorso.
    E Gesù continua: “Vigilate dunque: voi non sapete quando il signore della casa…” questo signore della casa è contrapposto al signore della vigna di cui Gesù aveva parlato, dove la vigna era l’immagine di Israele. Ebbene ora non c’è più la vigna, immagine di Israele, ma c’è la casa, immagine di familiarità, di umanità, perché il messaggio di Gesù non è più limitato a un popolo, a una nazione, a una religione, ma è un messaggio universale, e la casa è un’immagine che tutta l’umanità può comprendere.

    E poi qui Gesù divide la notte in quattro parti (la sera, mezzanotte, il canto del gallo e il mattino), secondo l’uso romano e non tre secondo l’uso ebraico, per far comprendere che questo messaggio non è più limitato a questa nazione, ma si estende in tutta l’umanità. E’ un messaggio valido per gli uomini di ogni condizione e di ogni latitudine.
    E di nuovo l’avviso di Gesù: “Fate in modo che, giungendo all’improvviso… ” – all’improvviso significa un’irruzione che non lascia tempo di cambiare atteggiamento – “.. non vi trovi addormentati” come purtroppo li troverà al momento della cattura nel Getsemani, quando questi discepoli saranno addormentati, incapaci di dare adesione a Gesù nel momento più importante della sua esistenza.
    E la conclusione: “Quello che dico a voi lo dico a tutti”, Quel messaggio che Gesù ha lasciato ai suoi discepoli è un messaggio per tutta l’umanità. Il servizio, come distintivo che rende riconoscibile la persona, il discepolo, in maniera permanente, abituale e distinguibile, è quello che permette al Padre di occuparsi dei suoi quando sarà il momento della fine.

    il commento vocale di p. Maggi

    VEGLIATE:
    NON SAPETE QUANDO IL PADRONE DI CASA RITORNERA’


    commento al Vangelo di p. José María CASTILLO

    Castillo

    . L’Avvento è il tempo (4 settimane) che dedichiamo alla preparazione del Natale, il giorno nel quale si ricorda che Dio, in Gesù, si è fatto presente  nella storia. Preparare il Natale è, prima di tutto, aspettare la venuta di Gesù per accoglierlo nelle nostre vite. Il Natale si riproduce e si ripete
    tutti i giorni. Perché tutti i giorni Gesù si fa presente nella nostra storia, nella vita di ognuno di noi, in quello che facciamo ed in quello che tralasciamo  di fare. Gesù si fa presente nella bontà, nell’amicizia, nella sincerità, nell’onestà, nel bene che facciamo e nella felicità che comunichiamo per contagio  a coloro che si sentono male, tristi e bisognosi. Così Gesù entra nella storia di ogni persona e nella storia della società e della Chiesa.
    2. Ma questo vangelo ci dice qualcosa di molto più forte. L’appello alla vigilanza, che qui ci ricorda Gesù, è la conclusione del discorso che, secondo  Marco, Gesù ha pronunciato prima della sua morte. In questo discorso Gesù ha annunciato due cose: 1) la distruzione totale del Tempio (Mc 13,1-2); 2) la  caduta del sole, della luna e delle stelle (Mc 13, 24-25) che indicano, secondo i profeti (Is 13,34; Ger 4, 20-23; Ez 32,7, etc.), la  fine elenco  rovina dei grandi imperi, dei poteri oppressori dell’umanità. Così il vangelo ci dice che la bontà, l’onestà, l’umanità e l’umiltà, tutto questo ha una
    forza così grande che è più potente della religione e della politica. Ci lamentiamo di come va male la Chiesa e del male che fanno i politici. La nostra  bontà senza limiti è la forza che può mettere fine a tutto questa marciume. La cosa importante è che siamo convinti di questo.
    3. Preparare il Natale è prima di tutto intensificare la nostra onestà, la nostra umanità, la nostra integrità e la nostra sensibilità davanti alla sofferenza  altrui. Ma per questo abbiamo bisogno di pregare, di rivolgerci a Gesù senza stancarci mai. Solo così saremo vigilanti aspettando il continuo avvento di  Gesù nella storia delle nostre vite e delle vite di tutti.

    il vangelo della domenica

    SIEDERÀ SUL TRONO DELLA SUA GLORIA E SEPARERÀ GLI UNI DAGLI ALTRI

    Mt 25,31

    In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:  «Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra.
    Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”.
    Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”.
    Anch’essi allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?”. Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me”.  E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna».

    p. Maggi il commento di p. Maggi:

    Nel vangelo di Matteo che commentiamo, cap. 25, versetti 31-46, viene riportato l’ultimo importante insegnamento di Gesù. Per questo insegnamento Gesù si rifà ad un’immagine conosciuta nel mondo ebraico e la troviamo nel Talmud dove si legge che nell’aldidà il Santo, che benedetto sia, prenderà un rotolo della Torah, la Legge, se lo poserà tra i ginocchi e dirà: “Chi se ne è occupato venga e riceverà la sua ricompensa”.
    Ebbene Gesù prende come modello questa descrizione, ma ne cambia i contenuti. Quello che determina la realizzazione dell’individuo non è il rapporto che avrà avuto con la legge, con Dio, ma la relazione, il rapporto che avrà avuto con le altre persone. Perché questo? Con Gesù, Dio – come descrive Matteo all’inizio del suo vangelo – è il Dio con noi. Allora con Gesù la direzione dell’umanità non è più verso Dio, ma con Dio e come Dio verso gli uomini.
    Il Dio di Gesù non chiederà mai se si è creduto in lui, ma se si è amato come lui.
    Vediamo allora l’insegnamento di Gesù. Gesù si presenta come il figlio dell’Uomo che appare nella sua gloria, e divide i popoli pagani. Non è un giudizio universale. Israele è già stata giudicata in questo vangelo, è il giudizio di quanti non hanno conosciuto Dio.
    Ebbene, come il pastore separa le pecore dalle capre dividerà le persone. Così come il contadino distingue i frutti buoni dai frutti fradici, come il pescatore in questo vangelo ha saputo distinguere i pesci buoni e scartare quelli marci, così il Signore riconosce subito chi ha orientato la propria vita per il bene degli altri.
    Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti dal Padre mio”, li benedice perché sono quelli che hanno realizzato il progetto di Dio sull’umanità. E poi elenca sei azioni di bisogno, di sofferenza, di necessità da parte dell’umanità con le risposte che sono state date.
    Di queste sei azioni nulla riguarda l’atteggiamento verso la religione, nulla riguarda il comportamento verso Dio, ma quello avuto nei confronti dei bisogni dei bisognosi dell’umanità. Quello che consente la vita eterna non è quindi il comportamento religioso, ma un comportamento umano.
    Quello che distacca in queste sei situazioni è il carcerato. “Ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. A quel tempo il carcerato non suscitava la compassione, non suscitava pietà, ma soltanto disprezzo. Andare a trovare un carcerato significava anche alimentarlo, visto che i carcerieri certo non provvedevano alla sua alimentazione. La sorpresa di queste persone alle quali Gesù ha detto che hanno fatto tutte queste cose a lui … “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, ecc”.
    Ebbene la risposta di Gesù: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli …” Chi sono i fratelli più piccoli? Sono gli invisibili della società, sono i bisognosi, gli emarginati, gli esclusi. Ebbene Gesù lo considera fatto a lui. Questo non significa che bisogna amare gli altri per Gesù, ma amarli con Gesù e come Gesù.
    E poi ecco il rovescio della medaglia. Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, lontano da me, maledetti …” E’ importante sottolineare questo. Mentre prima Gesù ai giusti li ha chiamati 
    “benedetti dal Padre mio” qui li dichiara “maledetti”, ma non dal Padre suo; Dio non maledice, Dio è soltanto benedizioni. Questa maledizione – è l’unica volta in cui appare nel vangelo – richiama la prima maledizione presente nella Bibbia, nel libro del Genesi, scagliata su Caino che ha assassinato il proprio fratello.
    Allora Gesù è molto severo. Non offrire aiuto, non rispondere agli elementari bisogni, alle sofferenze, alle necessità degli altri, equivale a un omicidio. Sono maledetti non da Dio, ma il loro egoismo, la loro chiusura ai bisogni degli altri, li ha come maledetti. Chiunque si chiude alla vita si maledice.
    “Maledetti, nel fuoco eterno”, il fuoco eterno significa quello che distrugge tutto, “preparato per il diavolo”. E’ l’ultima volta in questo vangelo che compare il diavolo nella sua distruzione finale, significa la sua sconfitta definitiva perché va a finire nel fuoco eterno che ha l’immagine di quello che distrugge tutto, “e i suoi angeli”, cioè i suoi emissari, quelli che si sono fatti strumenti di morte. Queste persone Gesù non le rimprovera per aver fatto qualcosa di male, ma sono diventati strumenti di morte perché non hanno fatto il bene in occasioni di necessità, in occasioni di sopravvivenza.
    Anche questi rispondono – e lo fanno riassumendo tutte le situazioni di disagio dell’umanità, la fame, la sete, ma è interessante il finale “e non ti abbiamo servito?” che i giusti non lo dicono. Loro ovviamente credono di aver servito il Signore, di averlo servito nella liturgia, nel culto, non hanno compreso che con Gesù Dio non chiede di essere servito, ma lui che è Dio si mette a servizio degli uomini perché gli uomini con lui e come lui si mettano a servizio degli altri.
    Ed ecco la sentenza di Gesù: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me”. Quindi, ancora una volta, quello che determina la riuscita nella vita e il comportamento della persona non è il rapporto avuto con Dio, ma il rapporto avuto con gli altri. Quando ci si chiude agli altri ci si chiude a Dio.
    E se ne andranno questi al supplizio eterno, questa è un’immagine tratta dal libro del profeta Daniele, capitolo 12, versetto 2, che significa il fallimento definitivo della propria vita. Il termine tradotto con “supplizio” in greco significa “mutilare”. La punizione quindi non è dovuta al Padre, ma sono essi stessi che si sono puniti in quanto la loro è una vita mutilata, una vita che non è giunta alla pienezza.
    Quindi non è un castigo, ma il fallimento totale, quello che nell’Apocalisse verrà definito “morte seconda”. Ma il vangelo termina con un’immagine positiva, “I giusti invece alla vita eterna”. Quanti hanno vissuto facendo del bene, comunicando vita a chi ne aveva bisogno, questi hanno realizzato la propria esistenza e soprattutto realizzato il progetto di Dio sull’umanità.

    CRISTO, RE DELL’UNIVERSO

       il commento di p. Agostino:p. agostino

    La Regalità di Gesù’ ha come orizzonte, non la forza, il controllo, la minaccia, ma ciò che ci appare fragile, inutile. La si misura dallo spazio concesso al povero: “dall’affamato, dallo straniero accolto, dal malato e dal carcerato che abbiamo visitato”. I poveri sono la porta d’ingresso principale di questo Regno. Non ci verrà chiesto se siamo stati fedeli a delle prescrizioni morali, se abbiamo rispettato i precetti liturgici, quanti pellegrinaggi fatti a Lourdes o Medijugore.. No, di tutto questo.   

    I cittadini di Tor Speranza che hanno cacciato quei poveri ragazzi, colpevoli di essere stranieri a casa nostra, questa domenica hanno diritto di partecipare alla Messa? Coloro che dichiarano apertamente di non essere razzisti, ma che vorrebbero tutti i Rom dentro i forni crematori, come potranno accostarsi tranquillamente all’altare per ricevere l’Eucarestia? Hanno forse più diritto loro di ricevere la comunione, rispetto a un divorziato/a o a dei conviventi, ma capaci di porsi al fianco dei poveri nello stile del Vangelo?   

    La Regalità di Gesù’ la riconosciamo guardando il volto del povero, del malato, dell’escluso, dello straniero. Perché è attraverso i loro occhi Dio guarda il mondo e l’intero universo. Il tempo dato al povero è sacro, in un certo senso consacra anche la nostra esistenza, anche senza saperlo “assomigliamo” a Dio: ” Quando Signore ti abbiamo visto affamato..?”

    Ecco la regalità di Cristo, ha i volti dell’escluso ed e’ una regalità che ci da noia e che sgomberiamo volentieri in nome della sicurezza, come sta avvenendo in questi giorni anche qui a Pisa. Siamo sempre più affascinati dai lineamenti del vincitore, del suo luccichio, del profumo di incenso, perché convinti che l’ odore del povero, del Rom, del migrante, del disgraziato non può rendere gloria a Dio. Sarebbe una bestemmia per tanti cristiani e bravi sacerdoti.

    Ed e’ un atteggiamento che hanno non solo i preti, i vescovi, ma anche i fedeli. Un modo di comportarsi che porta a dire: Ma noi siamo quelli che stanno con Signore. E da tanto guardare al Signore, finisce che non guardiamo le necessità del Signore, non guardiamo al Signore che ha fame, che ha sete, che e’ in prigione, che e’ in ospedale. In pratica non guardiamo il Signore nell’emarginato e questo e’ un clima che fa tanto male.” (papa Francesco, 17 nov. 2014)   

    Ma mi chiedo come l’attenzione al povero, può essere anche una garanzia di salvezza fin da ora, non solo riservata al momento del nostro definitivo incontro con Dio?

    Ti ringrazio o Padre, perché hai tenuto nascoste queste cose ai dotti e ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli.”  Le cose che i poveri (affamati, malati, carcerati, stranieri..) rivelano, ieri come oggi è che attraverso la loro esistenza fragile ci svelano la profezia di Dio. Le nostre vite cambiano non tanto perché facciamo qualche elemosina qua e là, ma perché loro sono la fonte del nostro cambiamento. E’ un Dio che ci umanizza attraverso la debolezza.

    E’ una Regalità a portata di mano di tutti: “ L’affamato è lì, all’angolo della strada, e chiede diritto di cittadinanza.”  

     

    Campo Rom dio Coltano (PI)  –  21 Novembre 2014

     

    p. Maggi commenta il vangelo

    p. Maggi

    PARLAVA DEL TEMPIO DEL SUO CORPO 

    Commento al Vangelo di p. Alberto Maggi nella DEDICAZIONE DELLA BASILICA LATERANENSE – 9 novembre 2014

     
    Gv 2,13-22

    Si avvicinava la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme.  Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete.
    Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori del tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: «Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!». I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: «Lo zelo per la tua casa mi divorerà». Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?». Rispose loro Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere». Gli dissero allora i Giudei: «Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?». Ma egli parlava del tempio del suo corpo.
    Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù.

    La nuova relazione proposta da Gesù tra Dio e gli uomini comporta la scomparsa delle istituzioni dell’antica alleanza e, tra queste, la prima che Giovanni ci presenta nel suo vangelo è il tempio. Mentre i profeti denunciavano un culto ipocrita e auspicavano una purificazione del tempio, Gesù va al di là, Gesù lo abolisce.
    E’ quanto leggiamo nel capitolo 2 di Giovanni, dal versetto 13 al 22. Si avvicinava intanto la Pasqua dei Giudei. L’evangelista è polemico, perché la Pasqua nell’Antico Testamento viene sempre definita come “la Pasqua del Signore”, ma per Giovanni la Pasqua è dei Giudei. Con “giudei” in questo vangelo non si intende tanto il popolo giudaico, ma le autorità, i capi religiosi.
    Non è più una festa di liberazione del popolo, ma è la festa dei dominatori di questo popolo. E Gesù salì a Gerusalemme. Trovò nel tempio … nel tempio non trova gente che prega, ma trova commercio, trova affari. Trovò nel tempio venditori di buoi, pecore, colombe e là seduti, cioè installati, i cambiavalute. Il vero Dio del tempio è il denaro.

    Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori del tempio. Il messia veniva raffigurato con una frusta, il flagello, con la quale doveva scacciare via gli esclusi dal tempio, i peccatori. Qui invece Gesù prende la frusta ma scaccia via quelli che sono l’anima del tempio.
    Scacciò tutti fuori del tempio, con le pecore. Per prima cosa le pecore, che è immagine del popolo, che è il vero animale sacrificale. Le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi; Gesù non accetta un culto a Dio legato all’interesse. E ai venditori di colombe disse … E’ strano che Gesù se la prenda proprio con i venditori di colombe, non con quelli di buoi. Disse: “Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!”
    Perché Gesù se la prende proprio con i venditori di colombe? Perché era l’animale che potevano offrire i poveri. Gesù non tollera che i poveri vengano sfruttati in nome di Dio. E, citando il profeta Zaccaria, dice che la casa del Padre suo non può essere un luogo di interessi o di affari.
    I suoi discepoli fraintendono il gesto di Gesù e pensano che Gesù sia una sorta di Elia, il profeta che col suo zelo violento doveva preparare la strada al messia; infatti i suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: “Lo zelo per la tua casa mi divorerà”. Allora i Giudei, cioè i capi, reagirono e gli dissero: “Quale segno”, cioè “quale autorità”, “ci mostri per fare queste cose?”
    Rispose loro Gesù… E per comprendere la risposta di Gesù occorre distinguere i due termini differenti che l’evangelista adopera. Un termine greco ieros, tempio, che significa tutta l’area sacra, ma l’altro nella risposta di Gesù è naos, che significa il santuario di questo tempio, cioè il luogo che indicava la presenza e la residenza di Dio in questo tempio.
    Ed è questo secondo che compare nella risposta di Gesù. “Distruggete questo santuario e in tre giorni lo farò risorgere”. Per Gesù la morte sarà la massima manifestazione di Dio. I Giudei, i capi non comprendono. “Questo santuario è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?” Ma egli parlava del santuario del suo corpo.
    Con Gesù cambia la relazione con Dio. Con Gesù il vero dal quale Dio manifesta e irradia la sua misericordia, la sua compassione, non è un santuario costruito da mani di uomo, dove le persone devono andare portando le offerte, ma l’unico vero santuario sarà la persona di Gesù e quanti lo accoglieranno come modello di vita, un santuario che non attenderà le persone, ma andrà incontro alle persone. Incontro a chi? Agli esclusi dal tempio, agli emarginati dalla religione.
    Questo nuovo santuario non chiederà offerte, ma sarà lui che offrirà il suo amore a tutti gli uomini.

    il commento al vangelo

     

    CHI CREDE NEL FIGLIO HA LA VITA ETERNA

    E IO LO RISUSCITERO’ NELL’ULTIMO GIORNO 

    Commento al Vangelo di p. Alberto Maggi 
    COMMEMORAZIONE DI TUTTI I DEFUNTI 
    2 novembre 2014

    maggi

     
    Gv 6,37-40

    In quel tempo, Gesù disse alla folla:  «Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me: colui che viene a me, io non lo caccerò fuori, perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato.
    E questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno.  Questa infatti è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno».

    Per la commemorazione dei fedeli defunti, la liturgia ha scelto un brano del vangelo di Giovanni, il  lungo discorso di Gesù nella sinagoga di Cafarnao sul pane della vita, al capitolo 6, versetti 37-40.
    In questo lungo discorso ai suoi discepoli Gesù afferma che si fa pane, alimento di vita, perché quanti poi lo accolgono siano capaci a loro volta di farsi pane e alimento di vita per gli altri. In questo ricevimento del pane, che è Gesù, e nel farsi pane per gli altri c’è questa comunicazione della vita di Dio, di una vita divina, capace di superare la morte.
    Ma sentiamo cosa dice Gesù secondo Giovanni. “Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me”. Il desiderio di pienezza di vita che il Padre come creatore ha posto nell’intimo di ogni uomo trova la piena risposta in Gesù. Gesù è la piena risposta di Dio al bisogno di pienezza di vita che ogni persona si porta dentro.
    E Gesù afferma “Colui che viene a me, io non lo caccerò fuori”. Il verbo “cacciare” in questo vangelo appare 6 volte, due volte quando Gesù caccia le pecore dal tempio e poi dal recinto dell’istituzione religiosa, significando la libertà che Gesù è venuto a portare ai suoi; una volta per l’istituzione che caccia, scaccia fuori dalla sinagoga coloro che credono in Gesù; e infine l’ultima volta  – positiva – l’annunzio che il principe del mondo sarà cacciato fuori.
    E’ la vittoria della vita sulla morte, della luce sulle tenebre. Gesù non caccia nessuno, lui è solo accoglienza. 
    “Perché sono disceso dal cielo ..”, questa discesa dal cielo non va intesa in senso spaziale, ma teologico. Vuol dire che l’origine di Gesù non è meramente umana, ma divina. Con la discesa dello Spirito Santo, Gesù, il Cristo, è la definitiva presenza di Dio tra gli uomini.
    L’evangelista, al termine del suo Prologo, aveva scritto che Dio nessuno l’ha mai visto, solo il Figlio unigenito ne è la rivelazione. Gesù è la piena manifestazione, la piena presenza di Dio tra gli uomini.
     “Non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato”.  La volontà del Padre e la volontà di Gesù sono identiche: entrambi desiderano comunicare vita, e vita abbondante, agli uomini. E poi Gesù afferma “E’ questa la volontà”, con l’articolo determinativo, non ci sono tante volontà. A volte si fa coincidere la volontà di Dio con gli avvenimenti tragici, tristi, di sofferenza della vita. Nel vangelo la volontà è unica e positiva.
    Sentiamola. “Questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno”.
    Per la prima volta nel vangelo di Giovanni compare l’espressione “ultimo giorno” che poi comparirà sette volte, di cui quattro in questo lungo discorso, sempre associato al verbo “risuscitare”. L’ultimo giorno nel vangelo di Giovanni, che cadenza secondo il ritmo di una settimana il suo vangelo, è quello della morte di Gesù.
    Quando Gesù, annunziando che tutto è compiuto, che il progetto di Dio sull’umanità si è realizzato, consegna il suo spirito, dona lo spirito. Quindi l’ultimo giorno è il giorno della morte, ma che è un’esplosione di vita. Gesù, morendo, consegna la vita di Dio, consegna il suo spirito. “Questa infatti è la volontà del Padre mio”.
    Gesù torna di nuovo a ripetere, a ribadire quale sia la volontà. E Gesù si è definito il figlio dell’Uomo, è stato definito il figlio di Dio, qui si parla soltanto di “figlio”. Vedere il figlio significa riconoscere la capacità dell’uomo di essere il figlio di Dio realizzando in sé il progetto del creatore.
    “Chiunque vede il Figlio e crede”, cioè da la sua adesione, “in lui abbia vita eterna”, senza l’articolo come invece viene tradotto. Perché questa definizione dell’evangelista? Perché l’omissione dell’articolo? Perché la vita eterna avrebbe potuto far pensare a quella della credenza giudaica, cioè una vita che iniziava dopo la morte, come un premio per la buona condotta tenuta nella vita presente. No Gesù dice “Che lui abbia vita eterna”, una vita che è già eterna, non tanto per la durata indefinita, ma per la qualità, che è divina e quindi indistruttibile.
    Il dono dello spirito, ci assicura Gesù, porta con sé il dono della risurrezione già in questa vita. Gesù dirà poi più avanti che chi crede in lui non farà mai l’esperienza della morte.

    il commento al vangelo di domani

    AMERAI IL SIGNORE TUO DIO E IL TUO PROSSIMO COME TE STESSO 

    Commento al Vangelo della trentesima domenica del tempo ordinario (26 ottobre) di p. Alberto Maggi:

    maggi

    Mt 22,34-40
    In quel tempo, i farisei, avendo udito che Gesù aveva chiuso la bocca ai sadducèi, si riunirono insieme e uno di loro, un dottore della Legge, lo interrogò per metterlo alla prova: «Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?».
    Gli rispose: «“Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente”. Questo è il grande e primo comandamento. Il secondo poi è simile a quello: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti».

    Il vangelo di questa domenica presenta l’ultimo attacco da parte dei capi spirituali del popolo, i farisei, contro Gesù. Gesù nel tempio aveva denunciato questi capi del popolo come ladri e assassini, ladri perché si sono impadroniti del popolo che era di Dio, e assassini perché l’hanno fatto con la violenza.
    Allora si scatena tutta una serie di attacchi contro Gesù tesi a delegittimarlo di fronte alla folla. Ma in realtà in ogni attacco è Gesù che ne esce vincitore e la folla è sempre più entusiasta di lui.
    Sentiamo cosa ci dice Matteo. Capitolo 22, versetti 34-40. Allora i farisei, udito che egli aveva chiuso la bocca ai sadducei, il risultato dell’attacco dei sadducei che volevano ridicolizzare Gesù trattando della risurrezione è che le folle erano colpite dal suo insegnamento. Quindi più tentano di delegittimare Gesù, più la gente è entusiasta.
    Si riunirono insieme, qui l’evangelista cita il salmo 2 al versetto 2, dove si legge che i re della terra si riunirono insieme contro il Signore e il suo Messia. I re della terra vogliono mantenere il dominio sul popolo e sono contro il Signore che invece lo vuole liberare.
    E uno di loro, un dottore della Legge… questa volta i farisei, visto com’era andato male quella volta che avevano presentato a Gesù il tributo di Cesare, questa volta si fanno forza con un esperto, con un dottore della Legge, un personaggio importante, uno di quelli la cui parola aveva lo stesso valore della parola di Dio. Lo interrogò per tentarlo. La traduzione dice “mettere alla prova”, ma il verbo è “tentarlo”. 
    Questo verbo appare per la prima volta al capitolo 4 come opera delle tentazioni del diavolo, del satana nel deserto, e poi sarà usato sempre per definire le azioni dei farisei e dei sadducei.
    I capi spirituali del popolo, quelli che pretendevano di essere i più vicini a Dio, in realtà sono strumenti del diavolo, del satana. Perché? Mentre il Dio di Gesù è amore che si mette a servizio, il loro è un potere che vuole dominare e chiunque sta a fianco del potere è uno strumento del diavolo.
    Ebbene la tentazione è questa: “Maestro”. Per al terza volta si rivolgono a Gesù con questo titolo, sempre in bocca ai suoi nemici, o alle persone che gli sono ostili. “Nella Legge, qual è il grande comandamento?” Attenzione che la domanda non è rivolta per apprendere, ma per condannare. Loro lo sanno qual è il grande comandamento, quello più importante: l’osservanza del riposo del sabato, perché è l’unico comandamento che anche Dio osserva.
    Dio e gli angeli il sabato, in cielo, non svolgono nessuna attività. L’osservanza di questo unico comandamento corrispondeva all’osservanza di tutta la Legge, la trasgressione di questo unico comandamento equivaleva alla trasgressione di tutta la Legge e per questo era prevista la pena di morte.
    Ma perché rivolgono a Gesù questa domanda? Perché Gesù ha un fare per lo meno disinvolto nei confronti dei comandamenti. Ignora bellamente il sabato, continua a fare le sue attività a favore dell’uomo, e anche quando il ricco gli chiese quali comandamenti osservare per ottenere la vita eterna Gesù, nell’elenco che fece, omise i tre più importanti, quelli che erano privilegio esclusivo di Israele, i primi tre comandamenti e gli indicò quelli che erano patrimonio della cultura universale “non ammazzare” “non rubare” “non commettere adulterio”.
    Quindi la domanda è tesa a denunciare Gesù. Gesù spiazza ancora una volta il suo interlocutore, gli hanno chiesto qual è il comandamento più importante, nella risposta Gesù non cita alcun comandamento, ma prende una frase con la quale iniziava il Credo di Israele, ‘”Ascolta Israele”, tratto dal libro del Deuteronomio, che è questa: “Amerai il Signore tuo Dio  con tutto il tu cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente”.
    Il Deuteronomio aveva al terzo posto “con tutte le forze”, che indicava i beni della persona, ma Gesù sostituisce le forze con “la tua mente”. Perché Gesù omette le forze? Perché il Dio di Gesù non è un Dio che assorbe le energie degli uomini, ma è un Dio che agli uomini offre le sue, comunica le sue. Il Dio di Gesù non chiede, è un Dio che dà.
    E afferma Gesù: “Questo è il primo e il grande comandamento”. Ma non era un comandamento. Gesù eleva al rango di comandamento l’amore a Dio totale. Ma subito dopo Gesù aggiunge: “Il secondo poi è simile a quello”. E qui prende un precetto dal libro del Levitico, “Amerai l tuo prossimo come te stesso”. Per Gesù l’amore a Dio non è reale se non si traduce in amore per il prossimo.
    E, conclude Gesù: “Da questi due comandamenti”… Ripeto non sono comandamenti ma Gesù eleva l’amore a Dio che si manifesta poi nell’amore al prossimo a livello dei comandamenti più importanti, … “Dipendono tutta la Legge e i Profeti”. 
    Legge e i Profeti è un espressione con la quale si indica la Bibbia, quella che noi chiamiamo Antico Testamento, appunto composto dalla Legge e dai Profeti. Quindi ancora una volta una domanda tesa a delegittimare Gesù e Gesù ne esce vincitore, proclamando una nuova realtà con Dio, non più basata sull’osservanza dei comandamenti, ma sull’accoglienza e la pratica del suo amore.

    il commento di p. Agostino Rota Martir:

    p. agostino

     

     

     

     

    “Non molesterai il forestiero … non maltratterai la vedova o l’orfano.”

    Dio sembra costruire il cammino di Israele mettendo al centro della sua identità il rispetto verso lo straniero, i soggetti deboli e indifesi, quelli che sono “curvi” anche a causa dell’oppressione.

    Nella Bibbia ritorna tante volte il richiamo di non escludere, di non dimenticare i poveri ma di includere sempre più, saranno i profeti a richiamare il rischio e la trappola di costruirsi una identità di popolo ripiegata su se stessa, escludente.

    Amare e conoscere Dio dal punto di vista di chi “sta fuori”, al margine, come lo straniero e il povero. Costoro sono lo specchio di Dio, il suo Volto noi non lo possiamo vedere, appare invece quello dei poveri, della vedova, dell’orfano e del forestiero. Certo sono volti segnati dalla vita, dal margine, dalla fatica, dall’oppressione e dall’esclusione. E’ un Dio che non aspetta di mostrare il suo Volto, quando quello del povero è diventato a modino, come noi lo vorremmo, senza i suoi fastidiosi difetti e furbizie..

    E’ un Dio che si disloca continuamente, quante volte lo ha fatto con Israele, attraversando anche i suoi confini sacri, ma lo fa anche al suo interno mostrandosi là dove qualcuno è messo da parte, al margine o escluso. Lui si sposta dalla loro parte: con i migranti su fatiscenti barconi, sta con i Rom in accampamenti abusivi e nascosti alla vista dei cittadini per bene, sta con tutti coloro che vengono sgomberati in nome della sicurezza o per la tutela dell’arredo urbano, sta con i disoccupati e la loro disperazione, sta con le famiglie divise, con i mendicanti, si disloca dentro le piaghe nascoste..E’ un Dio nomade che non si stanca di chiedere ospitalità, accoglienza, comprensione.

    “Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento? ”

    Non basta certo stare dentro i confini della Legge per obbedire e amare Dio, se vuoi veramente amare Dio devi dislocarti da te stesso per entrare nello spazio del prossimo, uno spazio a te “straniero”, diverso dal tuo, dal tuo mondo per costruire insieme il Sogno di Dio. .. Dio senza prossimo è un Dio astratto, su mia misura, un Dio che soddisfa e cura le nostre paure, ma incapace di liberarci. Il Dio di Gesù, invece ha l’odore del prossimo, e non può farne a meno.

    Può forse bastare “non molestare” lo straniero, né maltrattare la vedova e l’orfano, per essere “buoni cristiani”? Gesù indica che per entrare nello spazio di Dio ci è richiesto di amare lo straniero, il nemico e questo è un salto che coinvolge cuore, anima e mente.

    Ama il prossimo così come si presenta, non come vorremmo che fosse, è questa la sorpresa di Dio nella nostra vita, perché è l’amore che ci cambia reciprocamente.

     

    25 Ottobre 2014

    il commento al vangelo domenicale di p. Maggi

     

    RENDETE A CESARE QUELLO CHE E’ DI CESARE E A DIO QUELLO CHE E’ DI DIO

      Commento al Vangelo della domenica ventinovesima dell’anno liturgico (19 ottobre) di p. Alberto :

     

     

    p. Maggi

     

    Mt 22,15-21


    In quel tempo, i farisei se ne andarono e tennero consiglio per vedere come cogliere in fallo Gesù nei suoi discorsi.
    Mandarono dunque da lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno. Dunque, di’ a noi il tuo parere: è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?».
    Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: «Ipocriti, perché volete mettermi alla prova? Mostratemi la moneta del tributo». Ed essi gli presentarono un denaro. Egli domandò loro: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?». Gli risposero: «Di Cesare». Allora disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio».

    Dopo la serie di invettive con le quali Gesù ha accusato i capi spirituali del popolo di essere ladri e assassini – ladri perché si sono impadroniti del popolo e assassini perché hanno usato la violenza – c’è ora il contrattacco da parte di questi capi, che però hanno un problema. Gesù è seguito da tanta folla allora c’è bisogno di screditarlo.
    Il vangelo che leggiamo, al capitolo 22 di Matteo, versetti 15-21, è il primo di una serie di attacchi con i quali i capi religiosi, i capi spirituali tenteranno di screditare Gesù, gli tenderanno delle trappole per diffamarlo e screditarlo di fronte alla gente.
    Leggiamo. Allora. L’allora collega questo episodio alla denuncia che Gesù ha fatto con la parabola degli invitati alle nozze che hanno rifiutato quest’invito per motivi di interesse. La convenienza è quella che determina l’agire dei capi religiosi. Allora i farisei se ne andarono e tennero consiglio … questa espressione nei vangeli ha sempre un significato negativo di un complotto contro Gesù … per vedere come coglierlo in fallo nei suoi discorsi.
    Quindi ora c’è una serie di trappole che vengono tese a Gesù, ma dalle quali Gesù uscirà tendendo lui a sua volta le trappole ai suoi accusatori. Mandarono dunque da lui i propri discepoli, e qui c’è una sorpresa, con gli erodiani. Farisei ed erodiani si detestavano perché gli erodiani sono quelli del partito di Erode, che era un re fantoccio messo su dai romani, e i farisei detestavano questo re.
    Tra di loro c’era una grande inimicizia, ma ora hanno un pericolo comune. Gesù è pericoloso sia per i farisei che per gli erodiani, allora si mettono insieme in combutta per eliminarlo. A dirgli “Maestro” … attenzione a questo titolo, nel vangelo di Matteo è sempre in bocca agli avversari di Gesù o a coloro che gli sono ostili, ma fa parte di quel linguaggio curiale usato per addolcire quello che vogliono dire. “Sappiamo che tu sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità”.
    Quest’affermazione è vera, quindi riconoscono che Gesù afferma la via di Dio secondo verità, ma perché? “Tu non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno.” Il contraltare è che loro, invece, Gesù li ha accusati che tutto quello che fanno è per essere ammirati, ecco la differenza. I farisei tutto quello che fanno è per essere glorificati, per essere ammirati, Gesù tutto quello che fa non è per la propria convenienza, ma per la convenienza del bene dell’uomo.
    Quando si mette il valore dell’uomo come principio assoluto che regola la propria esistenza non si guarda in faccia a nessuno, non ci si cura dell’opinione della gente. Ed ecco l’insidia, “Dunque di’ a noi il tuo parere”, il termine è all’imperativo non è una richiesta, ma un’imposizione, “E’ lecito o no pagare il tributo a Cesare?” Cos’era il tributo a Cesare?
    Da quando era stato nominato per la Giudea un procuratore romano nel VI d.C, c’era una tassazione per tutti, uomini e donne, dai 12 ai 65 anni. La domanda è tendenziosa. Perché? Perché proprio a causa del pagamento di questo tributo c’erano state tante sollevazioni. Basti pensare a quella famosa di Giuda il Galileo che si ribellò a questa tassa. Ebbene la domanda è una trappola, perché gli chiedono se è lecito o no pagare il tributo a Cesare, non dimentichiamo che siamo dentro l’area del tempio, come Gesù risponde si danneggia.
    Perché se Gesù dice “Sì è lecito pagare il tributo a Cesare” va contro la legge per la quale l’unico Signore del popolo, l’unico riconosciuto come tale, è Dio. Se al contrario dice “No non paghiamo” ecco che era un sovvertitore, un ribelle, come era stato Giuda il Galileo. Siamo all’interno del tempio, ci sono le guardia e Gesù può essere subito arrestato.
    Quindi Gesù come risponde si danneggia, sia che si dica favorevole, sia che si esprima contrario al pagamento di questo tributo. Ed ecco, a farisei ed erodiani che hanno teso una trappola a Gesù, tende loro a sua volta una trappola. Gesù a bruciapelo dice: “Mostratemi la moneta del tributo”. Ed essi gli presentarono un denaro. Ma nel tempio era severamente proibito portare monete romane, perché per la legge espressa nel libro del Deuteronomio, nei comandamenti, si proibisce di fare qualunque figura umana.
    Pertanto nel luogo più santo di Gerusalemme, il tempio, era assolutamente proibito portare monete, monete romane, che avevano delle effigi umane. All’ingresso del tempio c’erano dei cambiavalute che cambiavano le monete romane con le monete permesse nel tempio. Ma l’interesse – è questa la denuncia che sta facendo l’evangelista – è il vero Dio di questi farisei. Loro, che sono ossessionati dall’idea del puro e dell’impuro, che sono meticolosi, sono scrupolosi, quando si tratta di denaro non vanno tanto per il sottile.
    Nel tempio, nel luogo più sacro, essi portano una monete che, agli occhi della religione, è considerata impura. Ma per gli interessi, per la convenienza, passano al di sopra di tutto questo. Ecco allora la trappola di Gesù quando loro ingenuamente gli presentano un denaro. Egli domandò loro: “Quest’immagine e l’iscrizione, di chi sono?” Gli risposero: “Di Cesare”. Infatti il denaro romano portava da una parte l’immagine di Tiberio con la scritta “Cesare figlio del divino Augusto, pontefice massimo”, e nel suo rovescio, c’era la madre dell’imperatore rappresentata come la dea della pace.
    Comunque due figure umane. Gli risposero: “Di Cesare”. Allora disse loro… Loro hanno chiesto se è lecito pagare o no, Gesù non risponde se sia lecito o no pagare, lui usa un altro verbo che è “rendete”, cioè “restituite”. “Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare”. Se non volete la sua dominazione non dovete usare i suoi benefici, per cui questo denaro non è vostro, restituitelo a Cesare.
    Ma, ed è qui che l’evangelista vuole arrivare, “E a Dio quello che è di Dio”. Cos’è che devono restituire a Dio e che è di Dio? Gesù nella parabola dei vignaioli omicidi ha usato i capi religiosi e i capi spirituali che per interesse si sono impadroniti della vigna del Signore, si sono messi tra Dio e il popolo, imponendo le loro tradizioni, le loro leggi, occultando e oscurando l’amore di Dio per il suo popolo. Quindi bisogna disconoscere da una parte la signoria di Cesare, ma restituire quella di Dio che è stata usurpata dai farisei.
    A queste parole, commenta l’evangelista, rimasero stupiti, meravigliati, e, lasciatolo, e se ne andarono. Se ne vanno per poi tornare, infatti più avanti torneranno alla carica con uno di loro, con un esperto, con un dottore della legge. E questa è soltanto la serie degli attacchi contro Gesù che faranno farisei, erodiani, sadducei e dottori della legge.

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