il commento al vangelo della domenica

 

DIO HA MANDATO IL FIGLIO PERCHÉ IL MONDO SI SALVI PER MEZZO DI LUI

 

commento al vangelo della quarta domenica di quaresima (11 marzo 2018) di p. A. Maggi:

Gv 3,14-21

In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo: «Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio. E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio».

Nel capitolo 3 del suo vangelo Giovanni presenta il dialogo tra Gesù e Nicodemo il fariseo, ma è un dialogo tra sordi perché Gesù parla di nuovo e il fariseo, il fariseo l’uomo della tradizione, l’uomo della legge non comprende e non fa altro che obiettare: come può? Come può? Ebbene a Nicodemo Gesù ricorda un episodio famoso che c’è nel libro dei Numeri di un castigo che Dio ha dato al popolo che si era rivoltato contro di lui che aveva protestato. Aveva mandato dei serpenti velenosi che mordendo li uccidevano e poi, per intercessione di Mosè, aveva fatto innalzare un serpente di rame, di bronzo che li salvava. Si legge nel libro dei Numeri “Il Signore disse a Mosè: fatti un serpente e mettilo sopra un’asta; chiunque sarà stato morso e lo guarderà resterà in vita”. Ebbene Gesù si riferisce a questo episodio, ma soltanto per la parte della salvezza, non per la parte del castigo perché in Gesù Dio non castiga, ma a tutti offre amore, offre salvezza.
Allora Gesù dice a Nicodemo: come Mosè innalzò il serpente nel deserto, bisogna che sia innalzato il figlio dell’uomo, Gesù è la pienezza dell’umanità che coincide con la condizione divina, perché chiunque crede in lui, in lui chi? Nel figlio dell’uomo, cioè chiunque aspira alla pienezza umana che risplende in Gesù e risplende nel momento della croce, quando Gesù mostra la pienezza dell’amore suo e del Padre abbia la vita eterna. Gesù si rivolge a un fariseo, i quali credevano nella vita eterna, ma come un premio nel futuro per la buona condotta tenuta nel presente. Ebbene Gesù è per la prima volta che nel vangelo parla di vita eterna, ma non ne parla come un premio nel futuro, ma con una possibilità reale nel momento presente. La vita eterna non sarà nel futuro, ma è, dice chiunque crede in lui, credere in lui significa aver dato adesione a Gesù, vivere come lui per il bene dell’uomo, ha la vita eterna. Vita che si chiama eterna non tanto per la durata indefinita, ma una
qualità indistruttibile, e Gesù ne parlerà sempre al presente. La vita eterna è una possibilità di pienezza di vita che è già ora a disposizione delle persone.
Gesù affermando questo sostituisce la funzione che era attribuita alla legge. Era l’osservanza della legge quella che garantiva poi come premio la vita eterna. Bene con Gesù non c’è più l’osservanza a una legge, ma l’adesione a una persona. E continua Gesù in un crescendo di offerta d’amore. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Gesù è il dono d’amore di Dio per tutta l’umanità, un amore che desidera manifestarsi, che desidera comunicarsi.
E Gesù smentisce quell’immagine che è cara a tutte le religioni di un Dio che giudica, di un Dio che condanna, no. Il Dio di Gesù, il Padre è soltanto amore e offerta d’amore. Sta poi all’uomo accogliere o no questo amore. Infatti afferma Gesù Dio infatti non ha mandato il figlio del mondo per giudicare, per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Non è, come credeva il fariseo Nicodemo, un messia venuto per separare puri da impuri, santi da peccatori, questo furore ideologico che tutte le religioni hanno di dividere l’umanità, ma un’offerta d’amore a parte di tutti quanti perché il mondo sia salvo, questo è il disegno d’amore di Dio sull’umanità.
E, afferma Gesù, che chi crede lui, nel figlio dell’uomo, non va incontro a nessun giudizio e nessuna condanna. Quindi ci si chiede da dove viene questa immagine nefasta di un Dio che giudica, di un Dio che condanna quando Gesù lo smentisce? Ma chi non crede è già stato giudicato e condannato perché non ha creduto nel nome dell’unigenito figlio di Dio. Allora è chiaro: questo giudizio non viene da Dio, ma è l’uomo che, con le scelte che fa, accoglie questa vita o rifiuta questa vita e il rifiuto della vita è la pienezza della morte.
Gesù chiarisce ancora meglio il suo episodio e lo fa con un’immagine che tutti possono comprendere che il giudizio è questo: è un giudizio basato sulla luce. La luce è positiva, la luce fa bene, la luce all’uomo è necessaria per vivere. La luce fa male soltanto quando l’uomo vive nelle tenebre, nel buio. Quando si sta molto tempo al chiuso anche un piccolo spiraglio di luce dà fastidio, fa male. Allora Gesù afferma il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce perché le loro opere erano malvagie. Allora chi quotidianamente, dando adesione a Gesù, compie azioni che comunicano vita, restituiscono vita, rallegrano la vita degli altri, diventa una persona splendida, cioè luminosa, piena di luce e quando incontra la luce la coglie. Ma chi invece egoisticamente pensa soltanto ai propri bisogni e alle proprie necessità vive nel suo piccolo mondo ti tenebre e, quando arriva la luce, questa gli dà fastidio e si rintana ancora più nelle tenebre.
E conclude Gesù chiunque infanti fa il male odia la luce, si sa un delinquente detesta la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate, letteralmente scoperte. Ma in contrapposizione a fare il male Gesù non parla di fare il bene come ci saremmo aspettati. Invece dice invece chi fa la verità, la verità va fatta, la verità non è una dottrina, ma un atteggiamento benevolo d’amore verso gli altri. Quello che separa gli uomini da Dio non è una dottrina, ma la condotta. Invece che fa la verità viene verso la luce perché appaia chiaramente che le sue opere sono fatte in Dio, perché è Dio che fa il bene dell’uomo.




il commento al vangelo della domenica

“se mercanteggiamo con lui, Dio ci rovescia il tavolo”

commento al vangelo della terza domenica di quaresima (3 marzo 2018) di p. E. Ronchi:

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Si avvicinava la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete. Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori del tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: «Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!». I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: «Lo zelo per la tua casa mi divorerà». Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?». Rispose loro Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere». Gli dissero allora i Giudei: «Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?». Ma egli parlava del tempio del suo corpo. […]

Gesù entra nel tempio: ed è come entrare nel centro del tempo e dello spazio, nel fulcro attorno al quale tutto ruota. Ciò che ora Gesù farà e dirà nel luogo più sacro di Israele è di capitale importanza: ne va di Dio stesso. Gesù si prepara una frusta e attraversa la spianata come un torrente impetuoso, travolgendo uomini, animali, tavoli e monete. I tavoli rovesciati, le sedie capovolte, le gabbie portate via mostrano che il capovolgimento portato da Gesù è totale.
Vendono buoi per i ricchi e colombe per i sacrifici dei poveri. Gesù rovescia tutto: è finito il tempo del sangue per dare lode a Dio. Come avevano gridato invano i profeti: io non bevo il sangue degli agnelli, io non mangio la loro carne; misericordia io voglio e non sacrifici (Os 6,6). Gesù abolisce, con il suo, ogni altro sacrificio; il sacrificio di Dio all’uomo prende il posto dei tanti sacrifici dell’uomo a Dio.
Gettò a terra il denaro, il dio denaro, l’idolo mammona, vessillo innalzato sopra ogni cosa, installato nel tempio come un re sul trono, l’eterno vitello d’oro è sparso a terra, smascherata la sua illusione.
E ai venditori di colombe disse: non fate della casa del Padre, una casa di mercato. Dio è diventato oggetto di compravendita. I furbi lo usano per guadagnarci, i devoti per guadagnarselo. Dare e avere, vendere e comprare sono modi che offendono l’amore. L’amore non si compra, non si mendica, non si impone, non si finge.
Non adoperare con Dio la legge scadente del baratto dove tu dai qualcosa a Dio perché lui dia qualcosa a te. Come quando pensiamo che andando in chiesa, compiuto un rito, accesa una candela, detta quella preghiera, fatta quell’offerta, abbiamo assolto il nostro dovere, abbiamo dato e possiamo attenderci qualche favore in cambio.
Così siamo solo dei cambiamonete, e Gesù ci rovescia il tavolo. Se crediamo di coinvolgere Dio in un gioco mercantile, dobbiamo cambiare mentalità: Dio non si compra ed è di tutti. Non si compra neanche a prezzo della moneta più pura. Dio è amore, chi lo vuole pagare va contro la sua stessa natura e lo tratta da prostituta. «Quando i profeti parlavano di prostituzione nel tempio, intendevano questo culto, tanto pio quanto offensivo di Dio» (S. Fausti): io ti do preghiere e offerte, tu mi dai lunga vita, fortuna e salute.
Casa del Padre, sua tenda non è solo l’edificio del tempio: non fate mercato della religione e della fede, ma non fate mercato dell’uomo, della vita, dei poveri, di madre terra. Ogni corpo d’uomo e di donna è divino tempio: fragile, bellissimo e infinito. E se una vita vale poco, niente comunque vale quanto una vita. Perché con un bacio Dio le ha trasmesso il suo respiro eterno.

nel video a seguire il commento al vangelo di p. Maggi:




il commento al vangelo della domenica

 

QUESTI È IL FIGLIO MIO, L’AMATO

commento al vangelo della seconda domenica  di quaresima (25 febbraio 2018) di p. A. Maggi:

Mc 9,2-10

In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli. Fu trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E apparve loro Elia con Mosè e conversavano con Gesù. Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati. Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce: «Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!». E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro. Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti. Ed essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai morti.

Nel vangelo della domenica scorsa, la prima domenica di Quaresima, la liturgia ci presentava l’inizio del vangelo di Marco con l’episodio delle tentazioni di Gesù nel deserto e scriveva Marco che Gesù rimase nel deserto quaranta giorni tentato dal satana. L’evangelista non intende presentare un episodio della vita di Gesù, ma riassume e anticipa tutta l’esistenza di Gesù. Il numero quaranta indica una generazione, quindi per tutta la vita Gesù è stato tentato dal satana. Ma chi è il satana? Si scoprirà andando avanti nel vangelo. Il satana in questo vangelo non è un agente esterno, spirituale, nemico di Dio, nemico dell’uomo, ma è il tentatore che fa parte proprio della cerchia dei discepoli di Gesù. Infatti quando si arriva il capitolo ottavo Gesù, quando per la prima volta questi discepoli, che non hanno capito chi stanno seguendo, loro sono sicuri di seguire il messia trionfatore, il figlio di Davide, quello che con la forza andrà a conquistare il potere e inaugurare il regno di Israele. Non sanno che invece Gesù non è il figlio di Davide, ma è il figlio di Dio, colui che con amore va a inaugurare il regno di Dio, cioè l’amore universale per tutti i popoli, e questo purtroppo porterà l’opposizione, la persecuzione da parte delle massime istituzioni religiose che lo ammazzeranno. Quindi Gesù per la prima volta annuncia che sarà ammazzato. Ebbene Simon Pietro afferra Gesù, lo sgrida, esattamente come si usava con i demoni, rimproverandolo di questo perché il messia non può morire. Simone vuole che Gesù conquisti il potere. Ebbene in questo episodio drammatico Gesù si rivolge al discepolo dicendogli “Vattene satana, torna a metterti dietro di me”. Ecco chi è il satana: colui che si oppone al disegno d’amore di Dio sull’umanità. Ebbene l’episodio di questa seconda domenica di Quaresima è l’episodio della trasfigurazione ed è in stretta relazione con quanto abbiamo visto. Vediamo cosa ci scrive l’evangelista che Sei giorni dopo, la data è importante, il sesto giorno è il giorno della creazione dell’uomo, è il giorno in cui Dio sul Sinai manifesta la sua gloria. In Gesù si manifesta la piena realizzazione del disegno di Dio sull’umanità. Gesù prese con sé, e prende i tre discepoli ai quali ha messo un soprannome negativo. Simone, al quale ha messo il nome di Pietro, Pietro significa il testardo, il cocciuto, colui che sarà sempre all’opposizione. E poi i due discepoli Giacomo e Giovanni fanatici, esaltati, arroganti, ambiziosi, ai quali me tra il nome “figli del tuono”, in aramaico Boanerges, dà l’idea proprio del tuono, del fulmine, e autoritari. Saranno quelli che, per la loro ambizione di avere i primi posti nel regno di Gesù, rischieranno di frantumare la comunità. Li condusse su un alto monte, il monte indica la condizione divina, e lì si trasfigura davanti a loro. Gesù mostra che il passaggio attraverso la morte non è la distruzione, come le loro pensavano e si opponevano alla morte di Gesù, ma la piena realizzazione della persona. Scrive l’evangelista, può sembrare un’ingenuità, nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche, cosa vuol dire? Che questa condizione non è frutto dello sforzo umano, ma effetto dell’azione divina. Quindi la morte non è una distruzione, ma un potenziamento della persona. Ebbene in questo momento apparve, scrive l’evangelista, Elia con Mosè, cosa sono Elia e Mosè? Mosè lo sappiamo è il grande legislatore, quello dell’alleanza tra Dio e il suo popolo, ed Elia è il profeta che con la violenza impose l’obbedienza a questa alleanza. Questi non hanno nulla a che dire ai discepoli di Gesù. Infatti conversano con Gesù. Ed ecco che di nuovo Simone, che ha il soprannome di Pietro, cioè il testardo, l’oppositore, continua nella sua azione di satana tentatore. Che cosa succede? Prendendo la parola letteralmente reagì Pietro e disse Gesù Rabbì. È strano che si rivolge a Gesù chiamandolo rabbì. In questo vangelo chiamano Gesù rabbì i due traditori, Giuda e Pietro. Rabbì significa colui che insegna secondo la tradizione, colui che insegna a osservare la legge, dice Rabbì è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, perché tre capanne? Qual è la tentazione? C’era una festa nel mondo ebraico e c’è tuttora, la festa delle capanne, che ricordava l’antica liberazione dalla schiavitù egiziana e per una settimana si viveva sotto le capanne. Ebbene si credeva che il messia, il nuovo liberatore si sarebbe manifestato nel giorno in cui si commemorava l’antica liberazione. Allora il ruolo di Pietro come satana tentatore e dice a Gesù: questo è il messia che io voglio, che si deve manifestare. E dice facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia. Al posto centrale non c’è Gesù ma c’è Mosè. Quando ci sono tre personaggi il più importante viene sempre collocato al centro. Ebbene per Pietro al centro non c’è Gesù. La tentazione che sta facendo Pietro a Gesù questo è il messia che io voglio, il messia secondo la legge di Mosè imposta con la violenza come ha fatto il profeta Elia. Ebbene nel momento che il diavolo tentatore, il Pietro, il satana continua a tentare Gesù ecco che venne una nube, è la presenza di Dio, e una voce, la voce di Dio, questi è il figlio mio l’amato colui che mi assomiglia ed è l’imperativo lui ascoltate. Non ascoltate né la legge, Mosè, né Elia, né i profeti, ma soltanto il figlio. Cosa significa? Tutto quello che è scritto nella legge e nei profeti che coincide con l’insegnamento e la vita di Gesù naturalmente va accolto, ma tutto quello che si discosta, tutto questo va tralasciato. Ebbene la reazione di questi tre discepoli qual è? È di sgomento. Guardandosi attorno non videro più nessuno se non Gesù solo con loro. Cercano ancora i loro punti di riferimento, cercano ancora la tradizione, cercano ancora Mosè e cercano ancora Elia e in realtà c’è Gesù solo. E questa delusione di Gesù che si distanzia dalla legge, si distanzia dalla violenza, sarà quella che poi porterà Pietro purtroppo a rinnegare completamente il suo maestro.

 

 

 

 




il commento al vangelo della domenica

 GESÙ, TENTATO DA SATANA, È SERVITO DAGLI ANGELI

commento al vangelo della prima domenica di quaresima (18 febbraio 2018) di p. Maggi:

Mc 1, 12-15

In quel tempo, lo Spirito sospinse Gesù nel deserto e nel deserto rimase quaranta giorni, tentato da Satana. Stava con le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano. Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo».

Il vangelo di Marco nel primo capitolo dal versetto 14 presenta l’inizio dell’attività di Gesù. Vediamo, sono due versetti, ma molto ricchi ed efficaci. Scrive l’evangelista Dopo che Giovanni, è Giovanni Battista, fu arrestato, perché fu arrestato Giovanni Battista? Nel capitolo sesto poi Marco racconterà il perché Giovanni il Battista che denunciava il re che s’era preso per moglie la sposa legittima di suo fratello, ma c’è un’altra versione che non contrasta, ma anzi la completa, e la troviamo nelle Antichità Giudaiche di Giuseppe Flavio ed è molto molto interessante, ci fa comprendere il motivo, il perché dell’uccisione di Giovanni Battista. Scrive Giuseppe Flavio che “Quando altri si affollavano attorno a lui perché con i suoi sermoni erano giunti al più alto grado”, quindi l’annuncio di Giovanni Battista ha raggiunto tutti i gradi della società, “Erode si allarmò”. Giovanni ha annunciato un messaggio di cambiamento, e chi detiene il potere non desidera cambiare, è la gente che vuole cambiare, ma i potenti no, perché? “Un’eloquenza che sugli uomini aveva effetti così grandi poteva portare a qualche forma di sedizione perché pareva che volessero essere guidati da Giovanni in qualunque cosa facessero”. Ed ecco il motivo che ci dice Giuseppe Flavio “Erode perciò decise che sarebbe stato molto meglio colpire in anticipo e liberarsi di lui prima che la sua attività portasse a una sollevazione, piuttosto che aspettare uno sconvolgimento e trovarsi in una situazione così difficile da pentirsene”. Quindi secondo Giuseppe Flavio Giovanni Battista è stato assassinato da Erode, il che non esclude anche la motivazione di Marco, perché la sua popolarità portava a un cambiamento nella società, e quindi Erode questo qui non lo voleva. Ma l’evangelista ci denuncia la stupidità del potere: ogni qual volta nella storia i potenti soffocano o eliminano una voce di denuncia, ebbene Dio ne suscita una ancora più grande. E quindi messa a tacere la voce di Giovanni Battista ecco che inizia la voce di Gesù molto, molto più potente. Allora Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea. Gesù si trovava in Giudea per il battesimo, ma questa regione tanto santa dove c’era Gerusalemme, la capitale con la casa di Dio nel tempio, tanto santa quanto pericolosa e assassina, è un luogo a rischio per Gesù, per cui Gesù va al nord in questa regione di cafoni, di bifolchi, la Galilea, e lì inizia la sua attività. Si recherà poi in Giudea soltanto alla fine per scontrarsi con l’istituzione sacerdotale e religiosa a Gerusalemme e lì essere ammazzato. Quindi Gesù andò nella Galilea proclamando il vangelo di Dio. Il termine vangelo, un termine greco che significa la buona notizia, sembra essere stato coniato in questo caso dall’evangelista per indicare il messaggio di Gesù. L’evangelista ha iniziato il suo libro, il suo racconto scrivendo “Inizio del vangelo”, cioè inizio della buona notizia, “di Gesù Cristo, figlio di Dio”. Qui l’evangelista scrive proclamando il vangelo di Dio. Prima ha detto il vangelo di Gesù Cristo, ora il vangelo di Dio, con questa maniera l’evangelista vuole identificare Gesù e Dio. Non si possono separare l’uno dall’altro: Dio si esprime, si manifesta nel suo figlio, in Gesù, e qual è questa buona notizia? La scopriremo lungo tutto il vangelo. È un Dio che non è buono, è esclusivamente buono e soprattutto, e questo sarà il motivo di contrasto con i discepoli, con la famiglia e con la popolazione, con l’autorità un amore universale, un amore che non si limita a un popolo prediletto, privilegiato, ma un amore che non riconosce quei confini che le nazioni, le religioni, le morali mettono. Quindi Gesù inizia proclamando questa buona notizia e diceva: “il tempo è compiuto”, il tempo dell’alleanza tra Dio e il suo popolo che non aveva dato purtroppo frutti perché Israele era diventata una nazione come tutte le altre, come le nazioni pagane con l’aggravante che l’ingiustizia si perpetrava in nome di Dio. Allora Gesù dice il tempo è caduto cioè è compiuto, è scaduto, e il regno di Dio è vicino, che cos’è questo “il regno di Dio”? Dio non voleva la monarchia per il suo popolo e dopo l’esperienza drammatica della monarchia con un re peggio degli altri e la monarchia si era praticamente dissolta nel popolo era arrivata l’attesa di un regno dove fosse Dio colui che governava. Ebbene questo è l’annuncio di Gesù: il regno di Dio è vicino. Ma come governa Dio? Dio non governa emanando leggi che i suoi sudditi devono osservare, ma Dio governa comunicando il suo spirito, la sua stessa capacità d’amore, l’accoglienza di questo amore. Il regno di Dio nel vangelo è una società alternativa, dove anziché accumulare per sé si condivide per gli altri, dove anziché comandare ci si mette al servizio. È vicino, perché non è arrivato? Perché per arrivare non scende dall’alto, c’è bisogno di un cambiamento, di una collaborazione da parte degli uomini. Ecco perché dice convertitevi e l’evangelista usa il verbo che non indica una conversione religiosa o ritorno a Dio. Con Gesù non c’è da ritornare a Dio, perché Dio è qui, ma c’è da accoglierlo e con lui e come lui andare verso gli altri. Allora adopera il verbo che indica un cambiamento di mentalità che incide profondamente nel comportamento, quindi cambiate vita, cambiate vita, convertitevi e credete nella buona notizia. Ecco questa è l’immagine di speranza, è l’immagine di certezza, credete che si può realizzare una società alternativa, credetelo fino in fondo perché questa è la buona notizia e la buona notizia è la risposta di Dio al desiderio di pienezza di vita che ogni persona si porta dentro.




il commento al vangelo della domenica

LA LEBBRA SCOMPARVE DA LUI ED EGLI FU PURIFICATO

commento al vangelo della quinta domenica del tempo ordinario (11 febbraio 2018) di p. A. Maggi:

Mc 1,40,45

In quel tempo, venne da Gesù un lebbroso, che lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi purificarmi!». Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, sii purificato!». E subito la lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato. E, ammonendolo severamente, lo cacciò via subito e gli disse: «Guarda di non dire niente a nessuno; va’, invece, a mostrarti al sacerdote e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha prescritto, come testimonianza per loro». Ma quello si allontanò e si mise a proclamare e a divulgare il fatto, tanto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti; e venivano a lui da ogni parte.

La reazione dei presenti alla fine del primo insegnamento di Gesù in una sinagoga fu che Gesù aveva autorità e il suo era un nuovo insegnamento, non come i loro scribi. Qual era la differenza? Mentre gli scribi insegnavano a osservare la legge di Dio Gesù insegna ad accogliere l’amore di Dio e la differenza qual è? Se si insegna a osservare la legge di Dio non tutti riescono, non tutti possono, non tutti vogliono osservare questa legge e quindi alcuni rimangono esclusi dall’amore di Dio. Ma se si insegna l’amore di Dio, ad accogliere l’amore di Dio, questo è per tutti. Allora l’azione di Gesù che si sviluppa in tutto il vangelo è che Dio non può essere portato agli uomini, non può essere espresso, manifestato attraverso una dottrina perché la dottrina dallo stesso momento che si emana diventa già vecchia, ha bisogno di essere reinterpretata, tradotta. Dio si manifesta attraverso l’amore, la tenerezza di Dio è il linguaggio che tutti possono comprendere.
Ebbene a conclusione l’evangelista aveva scritto che “la sua fama”, questa fama di questa novità, “si diffuse dovunque per i dintorni della Galilea”. Ed ecco una persona emarginata proprio a causa della religione. La religione a volte può essere veramente di una perfidia che non esitiamo a definire diabolica, qual è questa perfidia? La religione afferma, dichiara che certe persone per la tua condotta, per il tuo comportamento, per la tua situazione sei in peccato, sei impuro e quindi sei escluso da Dio. L’unico che ti può togliere da questa impunità è Dio, ma siccome sei in questa condizione tu non ti puoi rivolgere. È una via senza soluzione, senza uscite, e questa è la tragedia di molte persone.
Allora l’evangelista ci presenta un lebbroso anonimo. Quando gli evangelisti i personaggi li presentano anonimi significa che sono rappresentativi di qualcosa, e questo personaggio è rappresentativo di una persona che per sua colpa, a quel tempo si credeva che la lebbra fosse responsabilità dell’uomo castigato da Dio per determinati gravi peccati, si trovava in una situazione che lo rendeva impuro. L’unico che poteva liberarlo dall’impurità era Dio, ma lui siccome era impuro non poteva farlo. Ebbene questo lebbroso evidentemente ha sentito questa fama, cosa ha sentito? Che Gesù non invita più a osservare la legge di Dio, ma ad accogliere l’amore di Dio perché Dio il suo amore non lo concede per i meriti delle persone, ma per i loro bisogni.
E allora ci prova, si avvicina a Gesù e gli chiede se vuoi poi purificarmi. Non chiede di essere guarito, lui quello che vuole è che gli venga tolto questo marchio, questa infamia che gli impedisce di comunicare con Dio. Ebbene l’azione di Gesù è di profonda compassione, la compassione significa comunicare vita a chi non ce l’ha, stende della mano, lo tocca e gli disse: “lo voglio”. Questo fatto che Gesù parli così “lo voglio” significa che la legge non esprime la volontà di Dio, ma l’amore esprime la volontà di Dio, e l’amore guarisce.
“Lo voglio, sii purificato!”. E subito la lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato. Qui l’evangelista ci mostra una persona che non c’ha nessun merito per essere purificato da Dio, ma c’ha i bisogni. Allora come ho detto Gesù non va incontro ai meriti delle persone, ma ai loro bisogni. Poi Gesù lo caccia, è strano perché non si dice che sia un luogo chiuso, lo caccia via subito da che cosa? Idealmente dal luogo dell’istituzione religiosa: è questa che ti ha fatto credere di essere impuro, di essere escluso da Dio. Mai Dio ti ha escluso dal suo amore, è stata la religione, è stata l’istituzione, allora devi allontanartene devi andare via da questo.
Alla conclusione di questo episodio, l’evangelista scrive che quello quindi accoglie il messaggio di Gesù uscì e si mise a predicare e divulgare il fatto. È il primo predicatore che c’è nei vangeli. Il primo predicatore è una persona che era emarginata e annunzia, il termine adoperato per “fatto” è letteralmente “il messaggio”, qual è il messaggio? Nessuna persona al mondo può sentirsi esclusa dall’amore di Dio. L’amore di Dio non riconosce quelle barriere, quei limiti che la religione, il sesso, i nazionalismi hanno posto. È quello che affermerà poi San Pietro una volta convertito quando dirà “Dio ha mostrato che non si deve chiamare profano o impuro nessun uomo”. Questa è la buona notizia che l’ex lebbroso comincia a proclamare ovunque.




il commento al vangelo della domenica

INSEGNAVA LORO COME UNO CHE HA AUTORITÀ

commento al vangelo della quarta domenica del tempo ordinario (28 gennaio 2018) di p. Alberto Maggi:

Mc 1-21-28

In quel tempo, Gesù, entrato di sabato nella sinagoga, [a Cafàrnao,] insegnava. Ed erano stupiti del suo insegnamento: egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità, e non come gli scribi. Ed ecco, nella loro sinagoga vi era un uomo posseduto da uno spirito impuro e cominciò a gridare, dicendo: «Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio!». E Gesù gli ordinò severamente: «Taci! Esci da lui!». E lo spirito impuro, straziandolo e gridando forte, uscì da lui. Tutti furono presi da timore, tanto che si chiedevano a vicenda: «Che è mai questo? Un insegnamento nuovo, dato con autorità. Comanda persino agli spiriti impuri e gli obbediscono!». La sua fama si diffuse subito dovunque, in tutta la regione della Galilea.

Gesù ha chiamato i primi quattro discepoli invitandoli ad essere pescatori di uomini. Qual è il significato di pescare gli uomini? Togliere gli uomini da un ambito che può recare loro la morte. E inizia la pesca. Ma dove porterà Gesù i suoi discepoli per pescare gli uomini? E questa è la sorpresa che ci riserva il vangelo di Marco nel brano di questa domenica, al capitolo 1, versetti 21-28.
Gesù non porta i suoi discepoli per salvare gli uomini in luoghi di malaffare o luoghi peccaminosi, ma nei luoghi di culto, nei luoghi religiosi. Sono questi gli ambiti in cui bisogna salvare gli uomini, perché sono questi i luoghi che rischiano di dare la morte alle persone che li frequentano.
Leggiamo Marco.
Giunsero a Cafarnao e subito Gesù, entrato di sabato nella sinagoga, insegna. L’evangelista non afferma che Gesù partecipa al culto della sinagoga, ma va nella sinagoga per insegnare e il suo insegnamento è l’esatto contrario di quello che lì veniva trasmesso. Gesù, nel suo insegnamento, vuole liberare le persone da quelle che lui denuncerà come “dottrine degli uomini”, “tradizioni degli antichi”, che nulla hanno a che fare con la volontà di Dio.
Marco scrive che la reazione della gente è singolare, erano stupiti del suo insegnamento. E sottolinea, egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità. Avere autorità significa avere il mandato divino. E non come gli scribi. Erano gli scribi quelli che avevano questo mandato divino per insegnare.
Gli scribi erano i teologi ufficiali del sinedrio, era il magistero infallibile, persone di straordinaria importanza; si credeva che le parole degli scribi fossero le stesse parole di Dio, quando c’era conflitto tra la parola scritta e l’insegnamento dello scriba bisognava dare retta allo scriba perché lui era l’unico vero interprete della sacra scrittura. Ebbene, appena Gesù insegna, ecco che la gente incomincia ad aprire gli occhi. Questo Gesù ha il mandato divino per insegnare, non i nostri scribi.
Ed ecco che scoppia l’incidente. E immediatamente, come Gesù è entrato nella sinagoga e ha iniziato a insegnare, c’è subito l’incidente. Nella loro sinagoga vi era un uomo posseduto da spirito impuro. La denuncia che fa l’evangelista è molto seria e drammatica: ecco il prodotto della sinagoga, un uomo posseduto da spirito impuro. Frequentare questi luoghi di culto, frequentare questi luoghi religiosi, accogliere in maniera acritica l’insegnamento che lì viene dato, rende le persone impure.
Impure significa nell’impossibilità di comunicare con Dio. L’insegnamento religioso non solo non avvicinava la gente a Dio, ma era quello che glielo impediva. Ebbene, cominciò a gridare, dicendo: “Che vuoi da noi, Gesù Nazareno?” E’ strano perché c’è un uomo ma parla al plurale. “Sei venuto a rovinarci?” Quest’uomo si sente minacciato da Gesù. Ma perché parla al plurale? Chi è che Gesù sta rovinando con il suo insegnamento? Sta rovinando la categoria e la reputazione degli scribi. Allora questo è l’uomo che ha dato un’adesione acritica, incondizionata all’insegnamento degli scribi e quando vede questo insegnamento in cristi, sente in pericolo anche la propria religiosità, la propria fede.
Ecco perché reagisce. E’ l’uomo che si fa portavoce della categoria degli scribi. E lo richiama al suo compito. “Io so chi tu sei: il santo di Dio!” Il santo di Dio è un’espressione che indicava il messia che doveva osservare fedelmente la legge e poi imporla. Gesù non accetta il dialogo. E Gesù gli ordinò severamente: “Taci! Esci da lui!! E lo spirito impuro, straziandolo e gridando forte, uscì da lui.
Perché questo spirito impuro, che è sconfitto dalla parola di Gesù lascia l’uomo straziandolo? Perché è uno strazio. Quando si arriva a un certo punto della propria esistenza e si incontra il messaggio di Gesù dover riconoscere che tutto l’insegnamento al quale si era creduto, tutte le pratiche religiose che erano state fatte, non solo non permettevano la comunione con Dio, ma erano proprio l’ostacolo che lo impediva, ebbene liberarsi da tutto questo è uno strazio. Ci si sente traditi, ci si sente ingannati.
Tutti furono presi da meraviglia (non timore), tanto che si chiedevano a vicenda: “Che è mai questo? Un insegnamento nuovo”. Il termine “nuovo” adoperato dall’evangelista non ha in senso di aggiunto nel tempo (un nuovo insegnamento) ma un insegnamento nuovo, nuovo di una qualità che soppianta tutto il resto. L’insegnamento di Gesù è la risposta di Dio al bisogno di pienezza di vita che ogni persona porta dentro di sé. E questo la gente lo ha percepito.
“Dato con autorità”. Ecco di nuovo si ribadisce che Gesù ha l’autorità, cioè il mandato divino per insegnare e non gli scribi. “Comanda persino agli spiriti impuri …” E qui Gesù ha comandato a uno, ma la gente estende l’effetto, l’efficacia dell’insegnamento di Gesù a tutte le situazioni di impurità. “… E gli obbediscono!” La sua fama si diffuse subito dovunque, in tutta la regione della Galilea.
Quindi dilaga l’insegnamento di Gesù. Naturalmente gli scribi non staranno con le mani in mano, ma poi si vendicheranno e più avanti vedremo che saranno gli scribi a dire che Gesù è lui che è posseduto da uno spirito impuro.

 




il commento al vangelo della domenica

 

CONVERTITEVI E CREDETE AL VANGELO

commento al vangelo della terza domenica del tempo ordinario (21 gennaio 2018) di p. Alberto Maggi:

Mc 1,14-20

Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo». Passando lungo il mare di Galilea, vide Simone e Andrea, fratello di Simone, mentre gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. Gesù disse loro: «Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini». E subito lasciarono le reti e lo seguirono. Andando un poco oltre, vide Giacomo, figlio di Zebedèo, e Giovanni suo fratello, mentre anch’essi nella barca riparavano le reti. E subito li chiamò. Ed essi lasciarono il loro padre Zebedèo nella barca con i garzoni e andarono dietro a lui.

L’evangelista Marco denuncia la stupidità del potere. Ogniqualvolta il potente crede di soffocare una voce di denuncia il Signore ne suscita una ancora più forte. E’ quello che ci scrive Marco nel suo vangelo, al capitolo 1, dal versetto 14.
“Dopo che Giovanni fu arrestato”, è il primo conflitto tra il potere e un inviato di Dio. Ma ogni volta Dio suscita sempre una voce ancora più forte. “Dopo che Giovanni fu arrestato”, letteralmente ‘consegnato’, “Gesù andò nella Galilea”. Gesù incomincia nella regione lontana dall’istituzione religiosa giudaica, una regione a contatto con i pagani dove la mentalità poteva essere un poco più aperta.
“Proclamando il vangelo di Dio”, cioè la buona notizia di Dio. E qual è la buona notizia di Dio? Che Dio è diverso da come i sacerdoti l’avevano presentato. E’ un Dio completamente diverso. Non è un Dio che chiede, ma un Dio che dà. Non è un Dio che castiga, ma un Dio che perdona, non un Dio buono, ma un Dio esclusivamente buono.
Questo è il contenuto della buona notizia del vangelo di Dio che Gesù proclamerà. Dio è amore e il suo amore viene offerto in maniera incondizionata ad ogni persona. Questa è la buona notizia che Gesù proclama. “E diceva: «Il tempo è compiuto»”. Per esprimere il tempo l’evangelista adopera un termine che significa l’occasione perduta, l’occasione propizia, da prendere al volo perché poi rischia di non ripresentarsi. “«E il regno di Dio è vicino»”.
Per Regno di Dio si intende la signoria di Dio. Nella nuova relazione con Dio che Gesù propone, quella con il Padre, non c’è più una legge, un codice esterno all’uomo che l’individuo deve osservare, ma c’è l’accoglienza e la pratica di un amore simile al suo. Il Dio di Gesù non governa  gli uomini emanando leggi che questi devono osservare, ma comunicando loro interiormente la sua stessa forza, il suo stesso Spirito che li rende capaci di amare generosamente come da lui si sentono amati.
Il regno di Dio è vicino, ma per far sì che questo diventi realtà, c’è bisogno di una decisione da parte dell’uomo, la conversione. L’evangelista non adopera il verbo convertire che indica un ritorno alla religione, a Dio, ma indica un cambio di mentalità che incide profondamente nel comportamento, una rinuncia all’ingiustizia e l’orientamento della propria esistenza per il bene degli altri.
Questa è la conversione alla quale Gesù chiama, alla quale Gesù invita, perché il regno di Dio diventi realtà. Per regno di Dio in questo vangelo si intende una società alternativa, una società dove anziché il salire ci sia lo scendere, dove anziché comandare ci sia il servire e soprattutto dove anziché l’accumulo dei beni ci sia la condivisione. Allora per far questo ci vuole una conversione, un cambiamento di rotta.
E Gesù invita a credere in questa buona notizia. E qual è la buona notizia? Che Dio governa gli uomini e che è possibile una società alternativa. Ma Gesù per fare questo ha bisogno della collaborazione degli uomini. Ecco perché “passando lungo il mare di Galilea …”. Qui l’evangelista parla di mare di Galilea, in realtà è un lago. Perché l’evangelista adopera il termine “mare”? Perché il mare era il confine con la terra pagana e soprattutto il mare è quello che gli ebrei hanno dovuto varcare per entrare nella terra promessa.
Quindi l’evangelista amplia l’orizzonte del messaggio di Gesù, che non è rivolto soltanto alla Galilea, ma è rivolto a tutto il mondo pagano. “… Vide Simone e Andrea”; sono due nomi di origine greca, quindi una comunità mentalmente più aperta. “Mentre gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. Gesù disse loro: «Venite dietro di me»”, questo sarà l’invito che Gesù continuamente farà risuonare nel vangelo ieri e ancora oggi: andare dietro di lui, perché lui sa come realizzare questa società alternativa, il regno di Dio.
“«Vi farò diventare pescatori di uomini»”. Il riferimento dell’evangelista è al capitolo 47 di Ezechiele dove vengono presentate coppie di fratelli che ricevono la terra promessa. Quindi il regno di Dio è una realtà che adesso già sta emergendo attraverso la chiamata dei fratelli. Ma perché Gesù li chiama a diventare pescatori di uomini? Gesù non li invita ad essere pastori, non li invita ad essere guide, non li invita ad essere maestri, ma pescatori di uomini.
Qual è il significato? Pescare un pesce significa tirar fuori un animale dal suo habitat naturale per dargli la morte. E si fa per il proprio interesse, si pesca per il proprio beneficio. Pescare gli uomini significa tirarli fuori dall’acqua, ciò che rischia di dar loro la morte; quindi è un ambiente ostile all’uomo, un ambiente nel quale l’uomo può perire, e non si fa per il proprio interesse, ma per l’interesse degli altri.
Questa è la conversione. La conversione alla quale Gesù richiama, richiede ed invita è: mentre fino ad ora hai vissuto per il tuo interesse, adesso vivi per l’interesse degli altri; mentre fino ad ora hai pescato per te, adesso pesca per gli altri, per comunicare vita agli altri. Allora Gesù li invita a collaborare alla sua azione nel proporre e praticare concretamente uno stile diverso per rendere possibile una società alternativa, diversa, quella che viene chiamata regno di Dio, e la prima azione che si fa è quella di togliere gli uomini da ciò che può dar loro la morte. Se quello che da la vita è la rinuncia al proprio interesse, quello che da la morte è vivere esclusivamente centrati sul proprio interesse, sulla convenienza.
E saranno proprio coloro che sono centrati sulla propria convenienza, sul loro interesse, gli acerrimi nemici di Gesù.
“Subito lasciarono le reti e lo seguirono”, quindi immediatamente questi personaggi, questi due primi discepoli, accolgono l’invito di Gesù, ma Gesù continua. E questa volta lo rivolge a due fratelli che hanno nomi ebraici; sono Giacomo e Giovanni, quindi più attaccati alla tradizione e saranno quelli che nel vangelo poi mostreranno delle difficoltà nel seguire Gesù. Ma anche questi al momento lasciano il padre Zebedeo “sulla barca con i garzoni e andarono dietro di lui”.
Quindi l’intento di Gesù è quello di chiamare persone che con lui collaborino facendosi portatori di vita a quanti vivono in un habitat di morte.




il commento al vangelo della domenica

VIDERO DOVE DIMORAVA E RESTARONO CON LUI

commento al vangelo della seconda domenica del tempo ordinario (14 gennaio 2018)  di p. Alberto Maggi:

Gv 1,35-42

In quel tempo Giovanni stava con due dei suoi discepoli e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: «Ecco l’agnello di Dio!». E i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. Gesù allora si voltò e, osservando che essi lo seguivano, disse loro: «Che cosa cercate?». Gli risposero: «Rabbì – che, tradotto, significa maestro –, dove dimori?». Disse loro: «Venite e vedrete». Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui; erano circa le quattro del pomeriggio. Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. Egli incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse: «Abbiamo trovato il Messia» – che si traduce Cristo – e lo condusse da Gesù. Fissando lo sguardo su di lui, Gesù disse: «Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; sarai chiamato Cefa» – che significa Pietro.

Nel libro dell’Esodo, nel capitolo 12, si descrive la Pasqua, la liberazione degli ebrei dalla schiavitù egiziana. In questo capitolo Dio comanda, attraverso Mosè, a ogni famiglia israelita, di prendere un agnello ucciderlo e mangiarlo. Perché? La carne dell’agnello avrebbe trasmesso l’energia per iniziare questo cammino di liberazione verso la terra della libertà e il sangue li avrebbe preservati dal passaggio dell’angelo sterminatore che avrebbe seminato la morte.
Ebbene l’evangelista Giovanni tiene molto presenti queste linee teologiche per presentare la figura di Gesù. Leggiamo.
Il giorno dopo Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli, e, fissando lo sguardo … Il verbo “fissare” nel vangelo di Giovanni appare soltanto due volte e unicamente in questo episodio. Fissare significa svelare la realtà più profonda di un individuo. Qui Giovanni Battista fissa, cioè svela la realtà più profonda di Gesù, e poi alla fine del brano sarà Gesù che fisserà Simone, svelandone la realtà più profonda.
Fissando lo sguardo su Gesù che passava disse: “Ecco l’agnello di Dio”, ecco l’agnello che Dio ha mandato al suo popolo. La carne di Gesù darà la capacità, la forza e l’energia per iniziare questo cammino di pienezza verso la liberazione. E il sangue non libererà dalla morte fisica, ma libererà dalla morte per sempre. Il sangue dell’agnello trasmetterà all’uomo la stessa vita divina. Per questo 
gli conferirà una vita che è chiamata “eterna” non tanto per la durata (per sempre), quanto per la qualità indistruttibile.
Ebbene, i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, lo seguirono. Quindi inizia questo processo di liberazione. Gesù è indicato come l’agnello e ci sono già i primi discepoli che lasciano Giovanni Battista e seguono Gesù perché dentro di sé sentono questo bisogno di pienezza di vita, di liberazione.
Infatti Gesù, che va incontro ai desideri degli uomini, vedendo che questi lo seguono, si voltò, osservando che essi lo seguivano, disse loro: “Che cosa cercate?”. Gesù non chiede “Chi cercate”, ma “che cosa cercate”. Se cercano pienezza di vita, se cercano la risposta al proprio desiderio di vita, di felicità, possono andare, ma se cercano onori, potere e ricchezze inevitabilmente rimarranno delusi dalla figura di Gesù.
Gli risposero: “Rabbì” – che, tradotto, significa maestro -, dove dimori?” Ebbene Gesù risponde: “Venite e vedrete”. Il luogo dove Gesù dimora non può conoscersi per una informazione, ma per una esperienza, perché Gesù dimora nella pienezza della sfera, dell’amore divino. Gesù in questo vangelo è stato indicato come “il verbo, la parola di Dio che ha messo la tenda in noi, dimora in noi”, quindi andare verso Gesù significa entrare nella dimensione dell’amore di Dio.
Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui. E’ l’inizio di una tappa di fusione tra Gesù e i suoi discepoli. Ora i discepoli vanno a dimorare con Gesù, ma poi sarà Gesù più avanti, nel capitolo 14-23 che chiederà ai discepoli di dimorare in loro. Gesù dirà: “A chi mi ama, io e il padre mio verremo in lui e prenderemo dimora in lui”. Quindi c’è una fusione tra i discepoli e Gesù per diventare – quello che sarà il tema conduttore di questo vangelo – una unica realtà che esprima la manifestazione di Dio.
L’evangelista sottolinea che erano circa le quattro del pomeriggio, ogni indicazione che troviamo nei vangeli non è superflua, ma ha un profondo significato. Il giorno sta per tramontare e sta per iniziare il nuovo giorno. Con i primi discepoli che seguono Gesù inizia una nuova realtà.
L’evangelista ci sottolinea che uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea. Andrea comparirà ancora due volte in questo vangelo, insieme a Filippo, nell’episodio della condivisione dei pani e quando dei greci chiederanno di vedere Gesù. Fratello di Simon Pietro. Egli incontro per primo suo fratello Simone e gli disse: “Abbiamo trovato il Messia” – che si traduce Cristo.
Stranamente da parte di Simone non c’è nessuna reazione, nessuna risposta e nessun entusiasmo, ma deve essere il fratello che lo conduce a Gesù. Fissando lo sguardo su di lui, quindi Gesù svela la realtà più profonda di questo Simone, Gesù disse: “Tu sei Simone, il figlio di Giovanni”. Ponendo l’articolo determinativo, “il” figlio significa che è figlio unico. Ma qui abbiamo visto che Simone ha un fratello, Andrea, per cui Giovanni non può essere il nome del padre di Simone e di Andrea.

Cosa vuol dire allora “il figlio di Giovanni”? E chi è questo Giovanni? E’ Giovanni Battista. Anche Simone era discepolo di Giovanni Battista, anzi era il discepolo ideale, per questo Gesù lo chiama “il figlio”. Era il discepolo modello di Giovanni Battista.
E Gesù, fissandolo, quindi svela la realtà più profonda, dice: “Sarai chiamato Cefa”, che significa Pietro”. Pietro indica la durezza, la cocciutaggine, al testardaggine. Per ora questo soprannome legato a Simone rimane misterioso, ma andrà svelandosi lungo tutto il vangelo perché vedrà sempre questo discepolo essere contrario, essere in opposizione a quello che Gesù farà.




il commento al vangelo della domenica

“TU SEI IL FIGLIO MIO, L’AMATO: IN TE HO POSTO IL MIO COMPIACIMENTO”

BATTESIMO DEL SIGNORE 

7 gennaio 2018 

di Alberto Maggi 


Mc1,7-11
In quel tempo, Giovanni proclamava: «Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo».
Ed ecco, in quei giorni, Gesù venne da Nàzaret di Galilea e fu battezzato nel Giordano da Giovanni. E, subito, uscendo dall’acqua, vide squarciarsi i cieli e lo Spirito discendere verso di lui come una colomba. E venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento»
Tutti gli evangelisti sono concordi nell’indicare l’attività di Gesù, come quella di colui che battezza nello Spirito Santo. E questo è possibile perché in Gesù risiede la pienezza dello Spirito Santo, cioè la forza, la capacità e la potenza d’amore di Dio. Questa accoglienza dello Spirito da parte di Gesù viene indicata dagli evangelisti nell’episodio del battesimo. Leggiamo come ce la narra l’evangelista Marco.
“«Ed ecco, in quei giorni…»” – questa espressione “in quei giorni”, che appare per la prima volta in questo Vangelo, indica il compimento delle promesse di Dio – “«Gesù»” – il nome è lo stesso di Giosuè, in ebraico, colui che fece entrare il popolo nella terra promessa – ma poi le credenziali di questo Gesù sono veramente pessime
perché, ci scrive l’evangelista, che “«venne da Nàzaret di Galilea …»”.
La Galilea è la regione disprezzata, la regione dei facinorosi, dei rivoluzionari – al tempo di Gesù dire “galileo” significava dire “testa calda”, ”fanatico”– ebbene, Gesù viene proprio dalla Galilea. Ma si credeva che il Messia sarebbe dovuto venire dalla Giudea, dalla regione santa, e non dalla Galilea.
E per giunta viene proprio da Nazaret che era un borgo selvaggio, dalla brutta reputazione, che era un po’ il covo dove si rifugiavano gli zeloti, i rivoluzionari, contro di Roma. Non bisogna dimenticare che era ancora vivo il ricordo di Giuda il Galileo, che proveniva appunto dalla Galilea: si era proclamato Messia ed aveva iniziato una rivolta contro Roma, finita poi in un bagno di sangue.
“«E fu battezzato nel Giordano da Giovanni »”, Giovanni aveva annunziato un battesimo di conversione per il perdono dei peccati. Perché Gesù va a farsi battezzare? Il battesimo è un simbolo di morte: ci si immerge e si muore al proprio passato.
Anche per Gesù il battesimo sarà un simbolo di morte, ma non di un passato ingiusto, di peccato – che lui non ha da farsi perdonare – ma di accettazione di morte nel proprio futuro: una donazione del suo amore agli uomini, che può arrivare al punto di accogliere la morte. Infatti Gesù quando parlerà della sua morte, ne parlerà come di un battesimo: ”c’è un battesimo che io devo accogliere” .
E vediamo come ci descrive l’evangelista questo battesimo di Gesù, inserendo nella scena del battesimo gli stessi termini che poi collocherà al momento della morte, per indicare che battesimo e morte di Gesù sono una sola cosa.
“«E subito salendo dall’acqua …»” – scendere nell’acqua è un’immersione nella morte, ma la morte non trattiene Gesù – Gesù immediatamente sale dall’acqua. “«…vide squarciarsi…»”– è importante questo verbo squarciarsi -“«…i cieli…»”: si credeva che Dio era talmente arrabbiato con l’umanità che aveva come sigillato i cieli, non c’era più comunicazione tra Dio ed il suo popolo – basta pensare al desiderio di Isaia nel suo libro, quando scrive “ ah, se tu squarciassi i cieli e discendessi !”.
Quindi, c’era questa attesa che Dio squarciasse i cieli: ma i cieli erano chiusi, erano sigillati. Ebbene, nel momento in cui Gesù s’impegna a manifestare l’amore di Dio senza limiti, c’è una risposta da parte di Dio di un amore senza limiti. Ed i cieli non si aprono: qualcosa che si apre poi si può richiudere. I cieli si squarciano, si lacerano e quindi non possono più essere ricomposti : con Gesù la comunicazione di Dio con l’umanità sarà, da questo momento, continua, crescente ed ininterrotta.
Ebbene, questo verbo “squarciare” lo ritroviamo poi al momento della morte di Gesù, quando “il velo del Tempio si squarciò”, il velo nascondeva la stanza segreta dove si credeva ci fosse la presenza di Dio: nel momento in cui Gesù muore in croce, il velo si squarcia e rivela chi è Dio.
Chi è Dio? E’ l’uomo che per amore ha donato la sua stessa vita.
“« E lo Spirito …»” – l’articolo determinativo, “lo”, indica la totalità – «… lo Spirito …»” – e Gesù, l’attività di Gesù sarà battezzare nello Spirito Santo, ma su Gesù non scende lo Spirito Santo, ma “lo Spirito” – perché “Santo” non indica soltanto la qualità di questo Spirito ma l’attività di consacrare, di separare l’uomo dal male – e Gesù non ha bisogno di essere separato dal male.
“« E lo Spirito …»” – quindi la totalità dell’amore di Dio – “« .. discendere verso di lui …»” : nel momento in cui Gesù sale dall’acqua, ecco un movimento che dal cielo, scende lo Spirito su Gesù.
Questo termine – “Spirito” – lo ritroviamo anch’esso poi nella morte di Gesù, quando Gesù “spirò”, che nel greco ha la stessa radice di “Spirito”: Gesù sulla croce, lo Spirito che ha ricevuto al momento del battesimo, lo comunica a quanti lo accolgono, e con lui e come lui vorranno dedicare la propria vita per il bene degli uomini.
Questo Spirito discende verso di lui “«… come una colomba … »”. Perché questa immagine della colomba? Era proverbiale l’amore della colomba per il proprio nido: alla colomba anche se gli si cambia il nido, lei torna sempre al suo nido originario.
Quindi, Gesù è il nido, è la dimora dello Spirito. In più l’immagine che c’è nel libro della Genesi, che lo Spirito del Signore si librava – al momento della creazione – sulle acque, veniva interpretata dai rabbini come il volo di una colomba sulla sua nidiata. Quindi, questo riferimento alla creazione fa vedere che in Gesù si realizza il compimento del progetto di Dio sull’umanità, il progetto della creazione.
“« E venne una voce dal cielo …»” – mentre Gesù vide squarciarsi i cieli, quindi fu una sua esperienza – qui la voce venne dal cielo, quindi è una dimostrazione per tutti. Ebbene, lo stesso termine “voce” – in greco “ fonè ” – lo ritroviamo al momento della morte di Gesù, quando – è strano che Gesù agonizzante, ormai morente – scrive l’evangelista – ”diede un grande grido“ : il termine “grido” e “voce”, in greco è lo stesso.
E’ un grido di vittoria perché l’amore è più forte della morte, l’amore è più forte del peccato: quando Pietro ha tradito Gesù, il gallo ha cantato ed il verbo nella lingua greca è lo stesso, è il “grido” . Ebbene, l’amore di Gesù è più forte del peccato del proprio discepolo: quindi è il “grido” di vittoria.
E qui la voce dal cielo – l’evangelista ci riporta una citazione del Salmo 2, il versetto 7 – “«Tu sei Figlio mio»”. Qui non indica tanto chi è Gesù, ma chi è Dio: se Gesù è intenzionato a dedicare tutta la propria esistenza per comunicare vita agli uomini – figlio è colui che assomiglia al padre nel suo comportamento – significa che questo è il lavoro di Dio.
Il lavoro di Dio è comunicare vita agli uomini perché l’abbiano in abbondanza.
“«Tu sei il Figlio mio»”- e questa espressione “il Figlio di Dio, Figlio mio” – la ritroviamo anch’essa al momento della morte di Gesù: l’unico che ha capito Gesù, non sono stati né i suoi familiari, né i discepoli, tanto meno i sacerdoti ed i farisei, ma un pagano, uno straniero, il centurione, il boia presente alla crocifissione.
Scrive l’evangelista che “vedendolo spirare in quel modo … “- in quel modo ricco d’amore – “… il centurione esclamò: « Veramente quest’uomo era Figlio di Dio! »”. Quindi, abbiamo visto come i termini del momento del battesimo, l’evangelista poi li ripropone al momento della morte di Gesù, per indicare che, per Gesù, il battesimo è l’accettazione di morte nel futuro: per essere fedele all’amore di Dio, per liberare gli uomini, Gesù andrà incontro alla morte.
Poi si conclude questo brano con l’espressione “«… l’amato …»” .
L’amato significa il figlio erede, colui che eredita tutto del Padre: non si può dividere Gesù da Dio, Dio e Gesù sono la stessa cosa.
In Gesù, Dio manifesta quello che è : Amore senza fine per tutta l’umanità.
“«… : in te ho posto il mio compiacimento».” : il compiacimento del Padre è stata la comunicazione di pienezza di vita – lo Spirito – che poi Gesù comunicherà a quanti lo accoglieranno.

fonte:/www.studibiblici.it




il commento al vangelo della domenica

ECCO CONCEPIRAI UN FIGLIO E LO DARAI ALLA LUCE

 

commento al vangelo della quarta domenica di avvento (24 dicembre 2017) di p. Alberto Maggi:

Lc 1,26-38

In quel tempo, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazareth, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallegrati, piena di grazia: il Signore è con te».
A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».
Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio». Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l’angelo si allontanò da lei.

Nulla è impossibile a Dio. E’ con queste parole che si chiude l’episodio dell’annunciazione dell’angelo Gabriele a Maria. Perché nulla sia impossibile a Dio si esige l’ascolto della sua parola, fidarsi di questa e poi ci vuole l’azione. L’evangelista chiude con questa assicurazione – che nulla è impossibile a Dio – l’episodio dell’annunciazione perché veramente la strada è tutta in salita.
San Paolo nella prima lettera ai Corinzi dice che Dio ha scelto quello che è disprezzato, quello che è ignobile al mondo, quello che noi mai avremmo scelto per le nostre imprese. E’ quello che ha fatto Dio.
Leggiamo il vangelo di Luca. “Al sesto mese l’angelo Gabriele” …. Gabriele in ebraico Gabri-el significa “la forza di Dio”, quindi è la forza della creazione che è capace di vincere qualunque resistenza. “Fu mandato da Dio in una città della Galilea.” Ecco cominciano già le difficoltà perché l’angelo di Dio non viene inviato nella regione santa della Giudea, che aveva il nome del capostipite delle 12 tribù d’Israele, Giuda, il luogo dove risiedeva la presenza di Dio, nel tempio di Gerusalemme, ma in una regione talmente disprezzata che deve il nome al profeta Isaia che nel suo libro, al capitolo 28, versetto 23, indica questo posto come “il distretto dei Gentili”, cioè dei pagani, dei miscredenti.
“Distretto” in ebraico si dice Ghelil, da cui Galilea. Quindi è la regione disprezzata, la regione delle persone che si credeva neanche sarebbero potute risuscitare, comunque esclusa dall’azione
di Dio. E questa città della Galilea è “chiamata Nazareth”, mai nominata nell’Antico Testamento, mai nominata nella Bibbia. Un borgo selvatico abitato da trogloditi, vivevano nelle grotte, gente bellicosa.
Giuseppe Flavio, contemporaneo dei vangeli, dice che i Galilei sono bellicosi fin da piccoli. Ma c’è ancora di più … “a una vergine, sposata” … L’indicazione che ci dà l’evangelista facciamo difficoltà a comprenderla perché gli usi matrimoniali del tempo sono tanto lontani e diversi dai nostri. Il matrimonio avveniva in due tappe, una prima tappa chiamata sposalizio, quando la donna aveva 12 anni e il maschio 18, e dopo un anno la seconda fase del matrimonio chiamate nozze.
Quindi qui abbiamo questa ragazza che era nella prima fase del matrimonio, quando ancora non era possibile che i coniugi vivessero insieme e avessero rapporti tra di loro.
Questa donna è sposata. Quindi l’angelo è inviato a una donna. Dio mai aveva rivolto la parola a una donna, anche questo è tutto in salita, dice la Bibbia che “dalla donna ha inizio il peccato e per causa sua tutti moriamo.”
“Sposata a un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria.” Ecco ancora la strada in salita, tra tanti nomi che si potevano scegliere per questa ragazza che doveva dare alla luce Gesù viene scelto proprio il nome che nella Bibbia portava sfortuna. Perché? E’ il nome della sorella di Mosè, donna ambiziosa, castigata, punita severamente da Dio con la lebbra. E da quella volta il nome Maria non compare più nella Bibbia.
E’ come un po’ nel nostro mondo cristiano il nome Giuda, che è un bellissimo nome e tra l’altro è il nome di uno degli apostoli (non solo il traditore di Gesù), ma siccome ricorda il tradimento nessuno mette al bambino il nome Giuda.
E così non si metteva a una bambina il nome Maria perché ricordava una donna castigata da Dio. Quindi come vediamo la strada è tutta in salita. In Galilea, a Nazareth, una donna con questo nome che porta sventura; Entrando da lei, disse: “Rallegrati”, cioè gioisci, “Piena di grazia”, che non è una constatazione che l’angelo fa delle virtù di Maria, ma dice “riempita dalla grazia”.
Dio non è attratto dai meriti di Maria, ma la riempie del suo amore. “Il Signore è con te”, è l’espressione con la quale Dio confermava la sua presenza a coloro che chiamava a compiere le sue azioni, come per esempio Gedeone. “A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L’angelo le disse: “Non temere, Maria, ecco hai trovato grazia presso Dio.” Quindi è Dio che la riempie del suo amore. “Concepirai un figlio”, e qui cominciano le novità che poi matureranno lungo la vita di Gesù e il suo insegnamento.
“Lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù”. Ma questo è inaudito, la donna non può dare il nome al bambino che nasce. E poi il nome del bambino che nasce è lo stesso del padre, qui invece è la donna che è chiamata a rompere con la tradizione, a rompere col passato, ad aprirsi al nuovo.
E’ lei che deve dare il nome al bambino e non lo deve chiamare con il nome del marito, Giuseppe, come da tradizione, ma lo deve chiamare con questo nome Gesù. L’angelo dice che questo bambino “sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono”, non erediterà il trono, ma è un’azione nuova. “Di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine”.
Questa è la promessa che l’angelo fa a Maria. Ebbene Maria non si scompone di fronte a questa novità e chiede soltanto le modalità. Allora Maria disse all’angelo: “Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?” appunto perché non era passata alla seconda fase del matrimonio, le nozze, quando cominciava la convivenza.
“Le rispose l’angelo” … l’evangelista racchiude l’esistenza di Maria tra le due discese dello Spirito Santo, all’annunciazione e nel cenacolo con la Pentecoste. “Lo Spirito Santo scenderà su di te”, in Maria c’è una nuova creazione, una nuova generazione, “e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio”. Modi di dire per far comprendere che colui che nascerà sarà il messia, l’inviato da Dio, il liberatore del popolo.
Quindi su Maria scende lo Spirito Santo come al momento della creazione, quello che nasce è qualcosa di completamente nuovo. Perché l’angelo esclude in tutto questo Giuseppe? Perché il padre trasmetteva al figlio non soltanto la vita biologica, ma anche la tradizione religiosa, morale. Ebbene Gesù non seguirà i padri d’Israele, ma Gesù seguirà il padre, che è Dio.
E l’angelo conferma: “Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio ”. Le parole che Dio aveva detto a Sara, anche lei anziana, con Abramo che non credeva nella possibilità di poter mettere al mondo un bambino, l’angelo le conferma a Maria, nulla è impossibile a Dio.
L’azione di Dio con la sua forza creatrice non ha limiti, ma, come ricordavamo all’inizio, ha bisogno dell’ascolto da parte dell’uomo, di fidarsi di questa parola e poi la sua collaborazione. “Allora Maria disse: Ecco la serva del Signore”, non una serva. “Serva del Signore” era uno dei titoli che aveva il popolo di Israele, quindi Maria per l’evangelista identifica il popolo. “Avvenga di me secondo la tua parola. E l’angelo si allontanò da lei”.
Maria si fida, si fida completamente del Dio dei suoi padri, ora l’aspetta il compito più difficile: accogliere ed accettare il Dio di suo figlio, Gesù.