p. Maggi commenta il vangelo

p. Maggi

ANDO’, SI LAVO’ E TORNO’ CHE CI VEDEVA

 commento al Vangelo della quarta domenica di quaresima (30 marzo 2014)di p. Alberto Maggi

 

Gv 9,1-41

 

In quel tempo, Gesù passando vide un uomo cieco dalla nascita e i suoi discepoli lo interrogarono: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?». Rispose Gesù: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio. Bisogna che noi compiamo le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può agire. Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo». Detto questo, sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco e gli disse: «Va’ a lavarti nella piscina di Sìloe», che significa “Inviato”. Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva. Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, perché era un mendicante, dicevano: «Non è lui quello che stava seduto a chiedere l’elemosina?». Alcuni dicevano: «È lui»; altri dicevano: «No, ma è uno che gli assomiglia». Ed egli diceva: «Sono io!». Allora gli domandarono: «In che modo ti sono stati aperti gli occhi?». Egli rispose: «L’uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango, me lo ha spalmato sugli occhi e mi ha detto: “Va’ a Sìloe e làvati!”. Io sono andato, mi sono lavato e ho acquistato la vista». Gli dissero: «Dov’è costui?». Rispose: «Non lo so». Condussero dai farisei quello che era stato cieco: era un sabato, il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi. Anche i farisei dunque gli chiesero di nuovo come aveva acquistato la vista. Ed egli disse loro: «Mi ha messo del fango sugli occhi, mi sono lavato e ci vedo». Allora alcuni dei farisei dicevano: «Quest’uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato». Altri invece dicevano: «Come può un peccatore compiere segni di questo genere?». E c’era dissenso tra loro. Allora dissero di nuovo al cieco: «Tu, che cosa dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?». Egli rispose: «È un profeta!». Ma i Giudei non credettero di lui che fosse stato cieco e che avesse acquistato la vista, finché non chiamarono i genitori di colui che aveva ricuperato la vista. E li interrogarono: «È questo il vostro figlio, che voi dite essere nato cieco? Come mai ora ci vede?». I genitori di lui risposero: «Sappiamo che questo è nostro figlio e che è nato cieco; ma come ora ci veda non lo sappiamo, e chi gli abbia aperto gli occhi, noi non lo sappiamo. Chiedetelo a lui: ha l’età, parlerà lui di sé». Questo dissero i suoi genitori, perché avevano paura dei Giudei; infatti i Giudei avevano già stabilito che, se uno lo avesse riconosciuto come il Cristo, venisse espulso dalla sinagoga. Per questo i suoi genitori dissero: «Ha l’età: chiedetelo a lui!». Allora chiamarono di nuovo l’uomo che era stato cieco e gli dissero: «Da’ gloria a Dio! Noi sappiamo che quest’uomo è un peccatore». Quello rispose: «Se sia un peccatore, non lo so. Una cosa io so: ero cieco e ora ci vedo». Allora gli dissero: «Che cosa ti ha fatto? Come ti ha aperto gli occhi?». Rispose loro: «Ve l’ho già detto e non avete ascoltato; perché volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche voi suoi discepoli?». Lo insultarono e dissero: «Suo discepolo sei tu! Noi siamo discepoli di Mosè! Noi sappiamo che a Mosè ha parlato Dio; ma costui non sappiamo di dove sia». Rispose loro quell’uomo: «Proprio questo stupisce: che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi. Sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma che, se uno onora Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta. Da che mondo è mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla». Gli replicarono: «Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi?». E lo cacciarono fuori. Gesù seppe che l’avevano cacciato fuori; quando lo trovò, gli disse: «Tu, credi nel Figlio dell’uomo?». Egli rispose: «E chi è, Signore, perché io creda in lui?». Gli disse Gesù: «Lo hai visto: è colui che parla con te». Ed egli disse: «Credo, Signore!». E si prostrò dinanzi a lui. Gesù allora disse: «È per un giudizio che io sono venuto in questo mondo, perché coloro che non vedono, vedano e quelli che vedono, diventino ciechi». Alcuni dei farisei che erano con lui udirono queste parole e gli dissero: «Siamo ciechi anche noi?». Gesù rispose loro: «Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: “Noi vediamo”, il vostro peccato rimane».

 

Le autorità religiose che pretendono di essere la luce del popolo, le guide dei ciechi – come amavano farsi chiamare – in realtà sono esse stesse accecate dalla propria dottrina che impedisce loro di vedere le azioni del Dio creatore. E’ quanto formula il capitolo 9 del vangelo di Giovanni. In questo episodio Gesù restituisce la vista a un cieco nato, mandandolo alla piscina di Siloe. E l’evangelista specifica cosa significa “l’inviato”, che è Gesù stesso. Quindi Gesù, che si è definito “luce del mondo”, invita quest’individuo, che mai ha saputo cosa fosse la luce, ad andargli incontro. “Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva”. E qui cominciano i guai. Da miracolato, l’individuo si trova subito ad essere imputato. Anzitutto c’è la meraviglia dei vicini, di quelli che lo avevano visto prima, che era mendicante, che non lo riconoscono. E’ strano. Come fanno a non riconoscerlo? In fondo gli è solo tornata la luce agli occhi, non è che ha cambiato fisionomia. E’ che quando si incontra Gesù, e il suo messaggio restituisce dignità e libertà alle persone, si è quelli di prima, ma si è anche una persona completamente nuova. E’ questo il motivo per cui non riconoscono il cieco nato. E, di fronte alla disputa su “è lui o non è lui”, l’ex-cieco dice “«Io sono»”. E’ lo stesso modo con il quale Gesù rivendica la condizione divina. Quando si incontra Gesù, la condizione divina di Gesù è comunicata anche a quanti lo accolgono. Come aveva detto Giovanni nel su prologo “A quanti lo hanno accolto ha dato la capacità di diventare figli di Dio”. Ebbene, incomincia qui il problema per questo ex cieco. Per la prima volta, e ben sette volte – è questo il tema conduttore del brano – gli chiederanno come gli siano stati aperti gli occhi. Per comprendere questa domanda che cadenzerà tutto l’episodio per ben sette volte, bisogna ricordare che “aprire gli occhi” era immagine di una liberazione dall’oppressione, e sarebbe stato il compito del messia. Incapaci di avere un’opinione propria, che non fosse quella emanata dalle autorità e dai capi spirituali, conducono questo ex cieco dai farisei, i leader spirituali del popolo. Perché? Perché era sabato. Per la seconda volta Gesù guarisce qualcuno in un giorno in cui era proibito non solo curare gli ammalati, ma anche visitarli. Il sabato – lo sappiamo – era il comandamento più importante, quello che Dio stesso osservava. Quindi sono incapaci di giudicare questo avvenimento perché c’è indubbiamente un aspetto positivo, però c’è la trasgressione del comandamento più importante. Allora anche i farisei chiedono come quest’uomo abbia recuperato la vista. Non c’è nessuna allegria, nessun rallegramento rispetto al fatto che quest’uomo, cieco dalla nascita, avesse recuperato la vista. Ma vogliono sapere soltanto il come. E, abituati sempre a giudicare tutti e tutto con la legge in mano, che è l’unico loro criterio di giudizio, “alcuni dei farisei dicevano: «Quest’uomo»”, cioè Gesù, “«non viene da Dio perché non osserva il sabato»”. L’unico criterio di giudizio per i farisei è l’osservanza della legge, non il bene dell’uomo. Per Gesù, invece, il criterio di giudizio è il bene dell’uomo. Chi giudica in base alla legge, alla dottrina, a un codice, è chiaro e sostiene che Gesù non viene da Dio. Altri chiedevano come potesse un peccatore operare questi segni. “Allora dissero di nuovo al cieco: «Tu che cosa dici»”. Incapaci di dare una risposta, vogliono che se la dia l’ex cieco, «dal momento che ti ha aperto gli occhi»”, è questo che li preoccupa. Li preoccupa che l’uomo abbia aperto gli occhi perché l’istituzione religiosa può dominare le persone fintanto che il popolo è cieco, ma quando apre gli occhi e vede il volto di Dio e la dignità alla quale lo chiama, i primi a farne le spese sono quelli che presumono di essere rappresentanti di questo Dio e in realtà sono soltanto la tenebra che ostacola questa luce del mondo. Ebbene lui risponde: “«Viene da Dio». Mentre i farisei erano sicuri dicendo “Quest’uomo non viene da Dio”, il cieco – colui che era cieco vede invece coloro che vedevano sono ciechi – dice: “«E’ un profeta», cioè viene da Dio. Allora entrano in campo i giudei. Con questo termine l’evangelista indica i capi religiosi del popolo; ebbene, per difendere la loro dottrina, questi negano l’evidenza. “Non credettero di lui che fosse stato cieco e che avesse riacquistato la vista”. Per difendere la loro teologia, per difendere la loro dottrina, per difendere la legge, negano la vita,

negano l’evidenza, negano la vita. E intimidiscono i genitori dell’ex cieco e li interrogano. E’ un interrogatorio molto pesante, facendo intuire che sono degli imbroglioni e fanno due domande: «E’ questo il vostro figlio »”, quindi insinuano il dubbio che non fosse il loro figlio, «che voi dite essere nato cieco? Quindi sono due domande. “E’ vostro figlio?” e “E’ nato cieco? Come mai ora ci vede?” I genitori rispondono che è loro figlio, è nato cieco, e non sanno come abbia aperto gli occhi e dicono “ «Chiedetelo a lui, ha l’età»”.  Significa che è maggiorenne, è maggiore di tredici anni. E l’evangelista annota che dissero questo per paura delle autorità religiose perché avevano già deciso che, chiunque avesse riconosciuto Gesù come il messia, il Cristo, sarebbe stato espulso dalla sinagoga, cioè la morte civile. Con gli espulsi dalla sinagoga, considerati degli appestati, bisognava tenere una distanza di almeno due metri di sicurezza. Non contenti, “chiamarono di nuovo l’uomo che era stato cieco e gli dissero: «Dà gloria a Dio»”, espressione che significa “confessa, riconosci, sii sincero, anche magari a tue spese”. Ed ecco allora la sentenza: «Noi sappiamo che quest’uomo è un peccatore»Quindi il giudizio delle autorità deve essere più valido dell’esperienza dell’individuo. Per le autorità il popolo non può avere una propria opinione che non sia quella da loro emanata. Ebbene la risposta dell’ex cieco è ricca di humor. Dice: “Io non entro in questioni teologiche che non è mia la competenza” … «Se sia un peccatore non lo so»”, quindi non entra in questioni dottrinali, lui parla della propria esperienza, «Una cosa so: ero cieco e ora ci vedo»”, voi direte che quest’uomo è un peccatore, voi forse volete insinuare che per me sarebbe stato meglio rimanere cieco piuttosto che recuperare la vista da un peccatore, ma la mia esperienza è positiva: prima ero cieco e adesso ci vedo. L’evangelista sta dicendo che non la dottrina, ma l’esperienza dell’individuo è quella che ha la meglio. E’ il primato della propria coscienza sulla dottrina. La dottrina può dire quello che vuole, che la tua esperienza è negativa, che sei in peccato, ma se la tua vita ti dice che questo è positivo, se questo ti dà e comunica vita, questo è quello che conta. Quindi l’ex cieco ridicolizza l’atteggiamento di queste autorità. Dice “se sia un peccatore non lo so, ma so una cosa: ch ero cieco e ora ci vedo”. Ed ecco allora di nuovo l’insistenza della domanda: «Come ti ha aperto gli occhi? »”  Questo vogliono sapere, come ha fatto ad aprirgli gli occhi. E, con fine umorismo, il cieco dice: «Ve l’ho già detto e non avete ascoltato .. Volete forse anche voi diventare suoi discepoli?»Non l’avesse mai detto, “Lo insultarono”. Quando le autorità non sanno come rispondere, passano all’insulto. “E dissero: «Suo discepolo sei tu!Noi siamo discepoli di Mosè!»Loro non seguono un vivente, ma venerano un morto. «Noi sappiamo che a Mosè ha parlato Dio, ma costui …»”, è interessante che nei vangeli le autorità religiose, i Giudei, i capi, quando si rivolgono a Gesù, o parlano di Gesù, evitano sempre di nominare il nome, e usano un termine dispregiativo “Costui”. “ «Costui non sappiamo di dove sia»”.  Non conoscono Gesù perché non conoscono Dio, non conoscono il Padre amante della vita. I difensori del Dio legislatore non possono comprendere le azioni del creatore che non si manifestano nella dottrina, ma nella vita. “Rispose loro quell’uomo: «Proprio questo stupisce: voi non sapete di dove sia eppure mi ha aperto gli occhi ”. Per la sesta volta notiamo l’insistenza di questo aprire gli occhi che il filo conduttore di tutto questo brano, e l’ex cieco, che è un mendicante, con il buon senso, ridicolizza le acrobazie teologiche dei capi. Tutti si rendono conto che c’è un intervento divino, meno le autorità. E con il buon senso replica, «Da che mondo è mondo non si è mai sentito che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla »”.  E’ una cosa elementare. E’ una cosa talmente chiara … Come fanno le autorità a non comprendere questo? La dottrina li ha accecati. Per loro, quello che interessa èi l bene della dottrina, quindi la difesa della loro istituzione, e non il bene dell’uomo. A loro il bene dell’uomo non interessa. Non desiderando apprendere, ma soltanto insegnare, gli replicano con violenza «Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi?» All’inizio del brano c’era la domanda dei discepoli se avesse peccato questo ragazzo o i suoi genitori per il fatto di essere cieco. La cecità era considerata una maledizione perché impediva lo studio della legge. Ebbene, i Giudei, i capi, non hanno dubbi. E’ nato nei peccati; l’uomo deve tornare cieco per dare loro ragione. “E lo cacciarono fuori”, cioè l’espulsione dalla sinagoga. Ma non è un gran danno: cacciato dalla religione, trova la fede. Infatti, cacciato dalla sinagoga, Gesù lo cerca e lo trova. I capi religiosi che scomunicano, in realtà sono loro i veri scomunicati.

 

p. Maggi e p. Pagola commentano il vangelo

p. Maggi

IL SUO VOLTO BRILLO’ COME IL SOLE

commento al Vangelo della seconda domenica di quaresima di p. Alberto Maggi (16 marzo 2014)

Mt 17,1-9

Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. Ed ecco apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui. Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Egli stava ancora parlando, quando una nube luminosa li coprì con la sua ombra. Ed ecco una voce dalla nube che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo». All’udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. Ma Gesù si avvicinò, li toccò e disse: «Alzatevi e non temete». Alzando gli occhi non videro nessuno, se non Gesù solo. Mentre scendevano dal monte, Gesù ordinò loro: «Non parlate a nessuno di questa visione, prima che il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti».

L’evangelista Matteo presenta la risposta di Gesù alle tentazioni nel deserto. La terza, l’ultima tentazione nel deserto, era stata quando il diavolo aveva portato Gesù su un monte alto – il monte alto indica la condizione divina – offrendogli tutti i regni e la gloria del mondo. Cioè l’invito, la seduzione, la tentazione verso Gesù di conquistare la condizione divina, ottenendo il potere per dominare. Per comprendere questa tentazione bisogna ricordare che, all’epoca, tutti quelli che detenevano si consideravano di condizione divina, come il faraone che era un Dio, l’imperatore romano che era figlio di un Dio, quindi il diavolo offre a Gesù la condizione divina attraverso il potere. Bene, l’episodio della trasfigurazione è la risposta di Gesù a questa tentazione. Vediamo il capitolo 17 del vangelo di Matteo. “Sei giorni dopo”, l’indicazione è preziosa. Sei giorni dopo richiama due importanti avvenimenti: la creazione dell’uomo nel libro della Genesi e quando Dio manifesta la sua gloria sul monte Sinai. Quindi la cifra “sei giorni” richiama due cose: la creazione dell’uomo e la gloria di Dio. L’evangelista vuole dimostrare che, in Gesù, si manifesta la pienezza della creazione e, con essa, la gloria di Dio. E vedremo il perché. “Gesù prese con sé Pietro”, il discepolo viene presentato con il suo soprannome negativo, che significa “l’ostinato, il testardo”, “Giacomo e Giovanni”.  Sono i tre discepoli difficili, sono quelli che lo tentano al potere. Quanto Gesù annunzierà che a Gerusalemme sarà messo a morte, saranno Giacomo e Giovanni che gli chiederanno di condividere con loro i posti più importanti. Ebbene, Gesù prende con sé Pietro, e Pietro, nell’episodio precedente, era stato oggetto della più violenta denuncia, del più violento epiteto rivolto da Gesù a un suo discepolo. Gesù l’aveva chiamato “satana”. “Vattene satana!” Le stesse parole con le quali Gesù aveva respinto la tentazione nel deserto. Ma a Pietro dà una possibilità, “Vattene satana, torna a metterti dietro di me”, perché Pietro voleva lui indicare la via di Gesù, e soprattutto Pietro rifiutava  l’idea di morte di Gesù, perché per Pietro la morte era la fine di tutto. Allora Gesù prende ora con sé il suo satana e risponde alla tentazione di Pietro e a quella del deserto. “E li condusse in disparte”, quando troviamo la formula ‘in disparte’, è un termine tecnico adoprato dagli evangelisti, che vuole indicare sempre ostilità, incomprensione, da parte di discepoli o altri, verso Gesù e il suo messaggio. “Su un alto monte”, ecco, come il diavolo aveva portato Gesù su un monte altissimo, ecco che Gesù porta il suo diavolo, il suo tentatore, Pietro,  su un alto monte, il luogo della condizione divina. “E fu trasfigurato davanti a loro”. La condizione divina, per Gesù, non si ottiene attraverso il potere, ma attraverso l’amore, non dominando, ma servendo, non togliendo la vita, ma offrendo la propria. L’effetto di questo orientamento della vita per il bene degli altri, è la trasformazione. La morte per Gesù non diminuisce la persona, ma è ciò che la trasforma. Quindi la morte è una trasformazione dell’individuo. “Fu trasfigurato davanti a loro, il suo volto brillò come il sole”, questo indica la condizione divina. Gesù aveva detto che i giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre, “e le sue vesti divennero candide come la luce”, sono i colori dell’angelo che annuncia la risurrezione. Quindi in Gesù si manifestano gli effetti della risurrezione; la morte non distrugge la vita, ma è ciò che le permette di fiorire in una forma nuova, piena, completa e definitiva. Una forma che nell’esistenza terrena non è possibile raggiungere. “Ed ecco apparvero loro Mosè ed Elia”, Mosè ed Elia raffigurano rispettivamente la legge e i profeti, quello che noi chiamiamo Antico Testamento, “che conversavano con lui”. Mosè ed Elia sono i due personaggi che, nell’Antico Testamento, hanno parlato con Dio e adesso parlano con Gesù. Non hanno nulla da dire ai discepoli. Qui la traduzione dice “prendendo la parola”, invece l’evangelista scrive “reagì”, quindi è una reazione. “Il Pietro”, l’articolo determinativo richiama l’atteggiamento ostinato di questo discepolo, “reagì il Pietro e disse a Gesù: «Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè, e una per Elia». C’è una festa in Israele tanto importante che non ha bisogno di essere nominata, è chiamata semplicemente ‘la festa’; è la festa per eccellenza, più importante anche della Pasqua. E’ la festa delle capanne che ricorda la liberazione dalla schiavitù egiziana, e per questa settimana, tra settembre e ottobre, si viveva sotto le capanne. Ebbene, in ricordo dell’antica liberazione, si aspettava e si sperava, si sarebbe manifestato e sarebbe giunto il liberatore. Quindi il messia si sarebbe manifestato durante la festa delle capanne. Allora ecco che Pietro continua nel suo ruolo di tentatore, il satana di Gesù. Perché, cosa fa?  Dice “se vuoi farò qui tre capanne”, era la festa nella quale il messia si sarebbe manifestato,  e notiamo l’ordine di queste capanne, “una per te, una per Mosè, una per Elia”. Quando ci sono tre personaggi, il più importante sta sempre al centro. Per Pietro l’importante è Mosè, non Gesù. Pietro riconosce in Gesù il messia, ma un messia secondo la linea dell’osservanza della legge imposta da  Mosè. Il messia sarebbe stato un pio devoto osservante di tutte le regole della legge, e soprattutto, come Elia. Elia è stato il profeta zelante, troppo zelante forse, che scannò personalmente quattrocentocinquanta sacerdoti di un’altra divinità. Quindi il messia che vuole Pietro è questo: uno che osservi la legge e la imponga con la violenza come Elia.“Egli stava ancora parlando, quando ecco una nube”, la nube nell’Antico Testamento, è immagine della presenza divina, “lo coprì con la sua ombra”. Quindi Dio non è d’accordo con quello che sta dicendo Pietro. Stava ancora parlando, quindi il Signore interrompe Pietro. “Ed ecco una voce che diceva”, è la voce di Dio, “«Questi è il Figlio mio »”, Figlio indica colui che assomiglia al Padre nel comportamento, non solo, “«l’amato»”, che indica l’erede, colui che eredita tutto, quindi colui che ha tutto del Padre.“«In lui ho posto il mio compiacimento»”. E’ la stessa identica espressione che Dio pronunziò su Gesù al momento del battesimo. L’evangelista vuole dimostrare in questo modo qual è l’effetto del battesimo. Nel battesimo Gesù si era preso l’impegno di manifestare la fedeltà all’amore del Padre, anche a costo della sua vita, la risposta di Dio a questo impegno è una vita che è capace di superare la morte. La morte non distrugge la persona, ma la potenzia. E poi ecco l’imperativo: “«Lui ascoltate»”. Quindi non devono ascoltare né Mosè, né tanto meno Elia; lui devono ascoltare, soltanto Gesù. Mosè ed Elia vengono relativizzati e posti in relazione con l’insegnamento con la vita di Gesù. Quello che concorda della legge o dei profeti con Gesù è ben accolto, quello che si distanzia, o è contrario, viene tralasciato. La reazione dei discepoli. “All’udire ciò i discepoli caddero con la faccia a terra”, cadere con la faccia a terra è segno di sconfitta, di fallimento, quindi sentono di aver fallito. Non è questo il messia che loro stanno seguendo, “e furono presi da grande timore”, quindi si sentono sconfitti perché il messia che loro seguono è il messia che non muore, che trionfa; invece devono dare ragione alle parole di Gesù che aveva annunziato che a Gerusalemme sarebbe andato a  morte. Per loro è un segno di sconfitta e ora hanno anche timore di quale può essere la reazione di Gesù che è stato da loro così contraddetto. “Ma Gesù si avvicinò, li toccò”, come ha fatto con gli infermi e i morti, “e disse: «Alzatevi e non temete»”. La risposta di Gesù è sempre una comunicazione di vita. “Alzando gli occhi non videro nessuno”,  Pietro, Giacomo e Giovanni ancora cercano Mosè ed Elia, perché è il passato, è la tradizione. E’ questo che da loro sicurezza; quindi cercano una conferma dei valori del passato. “Ma non videro nessuno, se non Gesù solo”. D’ora in poi dovranno affidarsi solo a Gesù, e non più fare affidamento su Mosè e la sua legge o sullo zelo profetico di Elia. “Mentre scendevano dal monte, Gesù ordinò loro: «Non parlate a nessuno di questa visione, prima che il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti»”. Questa immagine di un Gesù che passa attraverso la morte, una morte che, non solo non lo distrugge, ma lo potenzia, poteva essere  male interpretata, come un segno in senso trionfalistico da parte dei discepoli. Non sanno ancora che questa condizione Gesù la otterrà passando attraverso la morte più infamante, quella riservata ai maledetti da Dio, la morte di un croci

 croce

ASCOLTARE GESÙ

commento al vangelo di p. A. Pagola

Il centro di quel racconto complesso, chiamato tradizionalmente “La trasfigurazione di Gesù”, è occupato  da una Voce che viene da una strana “nuvola luminosa”, simbolo che si impiega nella Bibbia per parlare sempre della presenza misteriosa di Dio che si manifesta a noi e, contemporaneamente, si nasconde.   La Voce dice queste parole: “Questo è mio Figlio, l’amato, mio predilett…o. Ascoltatelo”. I discepoli non hanno da   confondere Gesù con nessuno, neanche con Mosé e con Elia, rappresentanti e testimoni dell’Antico Testamento. Solo Gesù è il Figlio caro di Dio, quello che ha il volto “risplendente come il sole”.  Ma la Voce aggiunge ancora qualcosa: “Ascoltatelo”. In altri tempi, Dio aveva rivelato la sua volontà per mezzo dei “dieci comandi ” della Legge. Ora la volontà di Dio si riassume e concreta in un solo comando: ascoltate Gesù. L’ascolto stabilisce la vera relazione tra i seguaci e Gesù. Ascoltato ciò, i discepoli cadono al suolo “pieni di spavento”. Sono impauriti a causa di quell’esperienza tanto vicina a Dio, ma anche spaventati per quello che hanno sentito con le proprie orecchie: potranno vivere ascoltando solo Gesù, riconoscendo solo in lui   la presenza misteriosa di Dio?   Allora, Gesù si avvicina e, toccandoli, dice loro: Alzatevi. Non abbiate paura”. Sa che devono sperimentare la sua   vicinanza umana: il contatto della sua mano, non solo lo splendore divino del suo viso. Ogni volta che ascoltiamo Gesù nel silenzio del nostro essere, le sue prime parole ci dicono: Alzati, non avere paura.   Molte persone solo conoscono Gesù per  sentito. Il suo nome risulta loro, forse, familiare, ma quello che sanno di lui non va oltre alcuni ricordi ed alcune impressioni della loro infanzia. Perfino, benché si chiamino cristiani, vivono senza ascoltare nel loro interiore la voce di Gesù. E, senza quell’esperienza, non è possibile conoscere la sua pace inconfondibile né la sua forza per incoraggiare e sostenere la nostra vita.   Quando un credente si intrattiene ad ascoltare in silenzio Gesù, all’interno della sua coscienza, ascolta sempre qualcosa come questa: “Non avere paura. Abbandonati con ogni semplicità nel mistero di Dio. La tua poca fede è imperfetta , non ti inquietare. Se tu ascolti, scoprirai che l’amore di Dio consiste nello stare sempre a perdonarti. E, se credi questo, la tua vita cambierà. Conoscerai la pace del cuore.”   Nel libro dell’Apocalisse può leggersi così: “Guarda, sto alla porta e chiamo; se alcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, entrerò nella sua casa”. Gesù suona alla porta di cristiani e non cristiani. Possiamo aprirgli la porta o possiamo respingerlo. Ma non è la stessa cosa vivere con Gesù che senza lui.   Annuncia Gesù.
José Antonio Pagola

 

p. Maggi e p. Pagola commentano il vangelo

p. Maggi

GESU’ DIGIUNA PER QUARANTA GIORNI NEL DESERTO ED E’ TENTATO

commento di p. Alberto Maggi al vangelo della prima domenica di quaresima (9 marzo 2014)

Mt 4,1-11

In quel tempo, Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo. Dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame. Il tentatore gli si avvicinò e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di’ che queste pietre diventino pane». Ma egli rispose: «Sta scritto: “Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”». Allora il diavolo lo portò nella città santa, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù; sta scritto infatti: “Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo ed essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra”». Gesù gli rispose: «Sta scritto anche: “Non metterai alla prova il Signore Dio tuo”». Di nuovo il diavolo lo portò sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro gloria e gli disse: «Tutte queste cose io ti darò se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai». Allora Gesù gli rispose: «Vàttene, satana! Sta scritto infatti: “Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto”». Allora il diavolo lo lasciò, ed ecco degli angeli gli si avvicinarono e lo servivano.

La prima domenica di quaresima si apre con il vangelo di Matteo che presenta le tentazioni del Cristo. Sono tre tentazioni. Il numero tre significa quello che è completo, quello che è definitivo. Quello che adesso leggeremo non è un episodio dell’esistenza di Gesù, ma l’evangelista vuol farci comprendere che in tutta la vita Gesù fu sottoposto a queste tentazioni, o a queste seduzioni. Ma vediamo cosa ci dice l’evangelista. “Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per essere tentato dal diavolo”. Con il termine “allora”, l’evangelista allaccia questo episodio a quello che lo precede, il battesimo di Gesù, quando Gesù ha ricevuto lo Spirito del Padre, il Padre lo riconosce come suo figlio perché Gesù manifesta il suo desiderio, il suo impegno di renderlo presente come amore per l’umanità. Conseguenza di questo impegno di Gesù, lo Spirito conduce Gesù nel deserto. Il termine deserto” richiama almeno tre cose:  l’esodo, la liberazione del popolo dalla schiavitù egiziana – Durante questo esodo ci fu un periodo di tentazioni e prove alle quali Dio sottopose il suo popolo. – il deserto era anche il luogo dove si radunavano tutti quelli che volevano conquistare il potere, con delle sommosse, con delle rivolte. “Per essere tentato dal diavolo”. Il verbo “tentare” nel vangelo è applicato ai farisei, ai sadducei, ai dottori della legge nella controversia con Gesù, e Gesù, ad ognuna di queste tentazioni, i farisei, i sadducei, i dottori della legge, risponde con citazioni della scrittura, esattamente come l’evangelista ci anticipa qua. Il termine “tentazione” ha una connotazione negativa; in realtà il diavolo – come vedremo – non tenta Gesù affinché compia qualcosa di negativo o azioni peccaminose. Nulla di tutto questo. Il diavolo non si presenta come un nemico, come un rivale di Gesù, ma come un suo alleato che lo vuole aiutare nella realizzazione del suo programma. Pertanto, più che di tentazioni, dovremmo parlare di seduzioni del diavolo. Il diavolo appare soltanto in questo episodio in tutto il vangelo di Matteo. “Dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti”, l’evangelista ci tiene a sottolineare che quello di Gesù non è il digiuno religioso che serviva per ottenere il perdono o la benevolenza da parte del Signore. Il digiuno religioso iniziava all’alba e terminava al tramonto; il fatto che l’evangelista sottolinei che ha digiunato quaranta giorni e quaranta notti, significa che non è un digiuno religioso.

E’ una prova di forza come quella che ha fatto Mosè prima di ricevere le tavole dell’alleanza. “Il tentatore gli si avvicinò e gli disse: “Se tu sei il figlio di Dio»”.  Il tentatore non mette in dubbio la figliolanza divina di Gesù, che nel battesimo è stata confermata dalla voce del Padre che ha detto: “Tu sei mio figlio”, questa espressione del tentatore “Se tu sei il figlio di Dio”, quindi non è un dubbio, ma significa “giacché sei figlio di Dio”, giacché sei figlio di Dio usa le tue capacità a tuo vantaggio. Infatti, «Dì che queste pietre diventino pane»”. La prima tentazione è usare le proprie capacità per il proprio vantaggio. Ma Gesù non userà le proprie capacità a proprio vantaggio, ma per il vantaggio degli altri. Sarà Gesù che si farà lui pane per gli altri. E Gesù risponde: «Sta scritto: ‘Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio’ »”. Queste tre tentazioni si rifanno a tre episodi conosciuti nel libro dell’Esodo, tre prove alle quali Dio ha sottoposto il suo popolo nel deserto e questa è la prova della manna. Cosa vuol dire Gesù citando questo testo del libro del Deuteronomio, capitolo 8 versetto 3? Come i padri del deserto, ascoltando la parola, sono stati sfamati con la manna, tanto più il nuovo popolo, la nuova liberazione di Gesù, ascoltando la sua parola, sarà sfamato. Gesù non compirà un gesto prodigioso per sfamare la propria fame, ma la sua parola aiuterà quanti lo accolgono e quanti lo seguono a condividere il pane con gli affamati. “Allora il diavolo lo portò nella città santa”, cioè Gerusalemme, “lo pose sul punto più alto del tempio”. Perché questo particolare? Perché in un apocrifo, il IV Libro di Ezra, si pensava che il messia, che nessuno conosceva, si sarebbe manifestato improvvisamente apparendo nel punto più alto del tempio, nel pinnacolo. Quindi è l’aspettativa del popolo. Allora il diavolo, che si mostra come aiutante di Gesù, dice “Fai quello che il popolo s’attende, fai quello che il popolo desidera, anzi dagli un tocco di più”. E gli dice per la seconda volta: «Se tu sei figlio di Dio»”, cioè “giacché sei figlio di Dio”, “«Gettati giù»”, cioè mostrati come la gente aspetta nel punto più alto del tempio, ma dai un tocco di forza straordinario che faccia comprendere che tu sei veramente il figlio di Dio. “Gettati giù”, e poi il diavolo cita il salmo. In questa contrapposizione tra botta e risposta attraverso citazioni scritturistiche, l’evangelista ci vuol far comprendere che appunto non è un episodio quello che lui sta raccontando, ma in tutta la vita Gesù sarà contrastato dai farisei, dagli scribi, dagli anziani, che penseranno di avere la scrittura dalla loro parte per bloccare o per inibire l’azione di Gesù. E infatti cita il salmo 91, versetti 11-12, «Ai suo angeli darà ordini a tuo riguardo …»”, cioè sfida il Signore e poi fidati di lui. Questa tentazione la ritroveremo poi in bocca ai sommi sacerdoti, agli scribi e agli anziani, al momento della crocifissione di Gesù “ . Se sei il figlio di Dio”, giacché sei il figlio di Dio, “scendi dalla croce”, cioè manifesta un Dio di potere. Gesù rispose: «Sta scritto anche: ‘Non metterai alla prova il Signore  tuo’ »”. Anche questo è un brano della scrittura, il libro del Deuteronomio, capitolo 6 versetto 16, ed è l’episodio di Massa, una delle tentazioni del popolo nel deserto, quando il popolo si chiese “Ma Jahvè è in mezzo a noi, sì o no?” Quindi il popolo dubitò della presenza del Signore. Gesù ha piena fiducia nel Padre e non ha bisogno di invocare interventi esterni straordinari che confermino questa fiducia. “Di nuovo”, ecco qui la traduzione non esatta, perché qui dice, “Di nuovo il diavolo lo portò sopra un monte altissimo”, non ce l’ha mai portato, quindi non può essere tradotto con “di nuovo”. Il termine greco va tradotto esattamente con “questa volta”. Questa tentazione è diversa dalle altre, le due precedenti sono stati precedute dall’affermazione “Giacché sei il figlio di Dio”, se sei il figlio di Dio, quindi in conseguenza delle capacità e della potenza per essere figlio di Dio, per questa il diavolo non mette in ballo il fatto della figliolanza divina perché è una tentazione che è adatta ad ogni uomo. Allora “Questa volta il diavolo lo portò sopra un monte altissimo”. Perché il monte altissimo? Nell’antichità il monte era il luogo della residenza degli dei e indicava la condizione divina. Quindi il diavolo offre a Gesù di possedere la condizione divina. Va ricordato che, a quell’epoca, tutti quelli che detenevano un potere, avevano la condizione divina. Il faraone era un Dio, l’imperatore era figlio di Dio. Quindi tutti coloro che detenevano il potere avevano la condizione divina e il diavolo offre a Gesù la condizione divina. Come? “Gli mostrò tutti i regni e la loro gloria”, cioè la loro ricchezza, “e gli disse: «Tutte queste cose ti darò se,  gettandoti ai miei piedi, mi adorerai »”.  Cioè il diavolo propone a Gesù la condizione divina adorando  potere per dominare il mondo. “ Allora Gesù gli rispose: «Vattene satana!»Lo chiama satana, il nome ebraico. L’evangelista vuol far comprendere che queste sono le tentazioni che a Gesù vengono dal suo popolo. “«Sta scritto infatti: ‘Il Signore Dio tuo adorerai: a lui solo renderai culto’»”. Anche questa volta è una citazione della scrittura, dal libro del Deuteronomio, capitolo 6 versetto 13, dove il Signore mette in guardia il suo popolo dal pericolo dell’idolatria entrando nella terra di Cana. Per Gesù il potere è idolatria. Gesù è figlio di un Dio amore che si esprime attraverso il servizio, mentre il diavolo è immagine del potere che domina le persone. “ Allora il diavolo lo lasciò ed ecco gli angeli gli si avvicinarono e lo servivano”. Gesù ottiene la protezione degli angeli rifiutando la tentazione. Queste tentazioni di Gesù, come abbiamo detto all’inizio, non sono un episodio isolato della sua esistenza, ma l’evangelista ci anticipa tutto quello che accadrà per tutta la vita di Gesù, continuamente sedotto dal prendere il potere, perché era questo che il popolo si aspettava. E, quando il popolo s’accorgerà che Gesù non è un messia di potere, lo rifiuterà e lo ucciderà.

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LA NOSTRA GRANDE TENTAZIONE

commento al vangelo di p. Pagola
La scena de “le tentazioni di Gesù” è un racconto che non dobbiamo interpretare superficialmente. Le tentazioni che ci vengono descritte non sono propriamente di ordine morale. Il racconto sta facendoci notare che possiamo rovinare la nostra vita, se ci allontaniamo dalla strada che segue Gesù.
La prima tentazione è di importanza decisiva, perché può pervertire e corrompere la nostra vita alla radice. Apparentemente, a Gesù gli viene offerto qualcosa di innocuo e buono: mettere a Dio al servizio della sua fame. “Se sei Figlio di Dio, comanda che queste pietre si trasformino in pani.”
Tuttavia, Gesù reagisce in maniera rapida e sorprendente: “Non solo di pane vive l’uomo, bensì di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”. non farà del suo proprio pane una cosa assoluta. Non metterà a Dio al servizio del suo proprio interesse, dimenticando il progetto del Padre. Cercherà sempre in primo luogo il regno di Dio e la sua giustizia. In ogni momento ascolterà la sua Parola.   Le nostre necessità non rimangono soddisfatte solo quando ci siamo  assicurati  il nostro pane. L’essere umano necessita ed anela molto di più, perfino, il riscattare dalla fame e dalla miseria quelli che non hanno pane. Noi dobbiamo ascoltare Dio, nostro Padre, e   svegliare nella nostra coscienza la fame di giustizia, la compassione e la solidarietà.   La nostra grande tentazione è oggi trasformare tutto in pane. Ridurre sempre di più l’orizzonte della nostra vita alla mera soddisfazione dei nostri desideri; ossessionarci sempre per un benessere maggiore o attaccarci al consumismo indiscriminato e senza limiti, fare di questo l’ideale quasi unico delle nostre vite.   Ci sbagliamo se pensiamo che tutto ciò è la strada da seguire verso il progresso e verso la liberazione. Non stiamo assistendo altro che ad una società che trascina le persone verso il consumismo senza limiti e verso l’auto-soddisfazione, e tutto ciò non fa altro che generare vuoto e insensibilità nelle persone, egoismo, assenza di solidarietà e irresponsabilità nella convivenza.
Perché tremiamo d’innanzi al fatto che continua ad aumentare in maniera tragica il numero di persone che si suicidano ogni giorno?   Perché seguiamo rinchiusi nel nostro falso benessere, alzando sempre di più barriere inumane affinché gli affamati non entrino nei nostri paesi, non arrivino fino alle nostre residenze né suonino alla nostra porta?   La chiamata di Gesù può aiutarci a prendere più coscienza che non solo di benessere vive l’uomo. L’essere umano deve anche coltivare lo spirito, conoscere l’amore e l’amicizia, sviluppare la solidarietà con chi soffre, ascoltare la propria coscienza con responsabilità, aprirsi al Mistero ultimo della vita con speranza.   Non solo di benessere vive l’uomo.
José Antonio Pagola

il ‘dio impotente’ di p. Alberto Maggi

p. Maggi

IL DIO IMPOTENTE

da una conferenza di p. Alberto Maggi:
Le opere di Gesù sono in una comunicazione vitale all’uomo che spetta poi all’uomo trasmettere. Dio non …si sostituisce all’uomo.  Vedete che non c’è bisogno di andare nelle azioni prodigiose, straordinarie di una divinità, ma nel comune quotidiano. Tutte le opere di Gesù, sono una Comunicazione incessante di vita perché quanti lo accolgono trasmettano vita agli altri.  In questa progressiva conoscenza del volto di Dio che Gesù ci fa, c’è una dichiarazione importante che troviamo in tutti i vangeli e che vedremo in due episodi importantissimi: quello della lavanda dei piedi di Gesù, che non è un gesto di umiltà, non è quello che fanno i nostri vescovi il giovedì santo quando fanno finta di lavare i piedi a gente che è una settimana che se li lava e poi dopo non hanno più nessun contatto con quelli. Gesù distrugge quella piramide costruita dalla società dove Dio sta in alto, tra quelli che comandano. No, Dio non sta in alto, Dio sta in basso con quelli che servono.   In questa progressiva conoscenza del volto di Dio, Gesù ha una dichiarazione importantissima che è ripresa in tutti i vangeli ed è fondamentale, ed è la prima ed unica volta nella storia di tutte le religioni che si manifesta una idea del genere.   Ricordate ieri sera quando ci rifacevamo alle domande del nostro catechismo: chi è Dio? Per quale fine ci ha creato? Ci ha creato per servirlo. Gesù non è d’accordo. Dio non crea l’umanità per essere servito, come se lui avesse bisogno di qualcosa. Ma è lui che crea per mettersi lui al servizio dell’umanità.   Questa è un’idea inaccettabile. E’ inaccettabile che Dio si metta a servizio dell’uomo, perché se la gente crede che Dio è al servizio degli uomini, tutti quelli che si sono messi tra Dio e gli uomini, pretendendo che gli uomini fossero a servizio di questo Dio e quindi a loro servizio, questi hanno i minuti contati.   La paura che prende le autorità giudaiche è quando Gesù apre gli occhi alla gente. Quando Gesù apre gli occhi al cieco nato, succede il panico, perché se la gente apre gli occhi, la prima cosa che si chiede è: “e a voi lì, chi vi ci ha messo, con queste maschere, con questi indumenti, con questi distintivi? Ci comandate, ci dite cosa dobbiamo fare, regolate la nostra vita. Ma chi vi ha messo lì in questo posto?” Il terrore delle autorità religiose è che la gente apra gli occhi. Se la gente apre gli occhi, per loro è finita. Tutta l’istituzione religiosa vigeva su questa idea che l’uomo doveva servire Dio. Come? Principalmente nel culto.  • Allora ci vuole un luogo, ed ecco il tempio; • ci vogliono degli ordinamenti per questo servizio, ecco la liturgia; • ci vogliono degli individui preposti a questo servizio, ecco i sacerdoti; • ci vogliono delle regole, ecco la legge. Tutto perché l’uomo deve servire Dio. L’uomo deve togliersi il pane per offrirlo a Dio, deve sacrificarsi per Dio e tutto questo rappresenta l’istituzione religiosa.   Gesù demolisce tutto questo. Gesù afferma che il Dio che lui ha sperimentato e che ci propone di accogliere, non è un Dio che vuol essere servito dagli uomini, ma è un Dio che si mette a servizio degli uomini.   La differenza fra Gesù e un profeta e un genio religioso, è che profeti e geni hanno dilatato al massimo grado la loro esperienza  religiosa, mistica e spirituale. Sono andati avanti anni dall’esperienza dei loro simili, ma sono rimasti sempre nell’ambito della religione.   Ciò che ha prodotto Gesù, è che ha distrutto l’idea stessa di religione. Ha estirpato le radici della religione e ne ha mostrato il marcio. La religione, non solo non permetteva la comunione con Dio, ma era ciò che lo impediva, per questa idea di sottomissione dell’uomo a Dio, di servizio dell’uomo a Dio, di un Dio esigente, mai contento, insaziabile.   Gesù nei vangeli dice: “Il figlio dell’uomo” – è la sua espressione nella quale dimostra la sua condizione divina – “non è venuto per farsi servire, ma per servire”. Il Dio che noi conosciamo è un Dio al servizio degli uomini. Ma non è vero allora che dobbiamo offrirgli delle cose? Ma cosa gli volete offrire a Dio, cosa volete offrire a Dio quando è lui che offre tutto?  C’è tra l’altro un gruppo, poverini – sono in buona fede, ma a me non cessa mai di stupire – si chiama: i volontari della sofferenza, offrono a Dio la sofferenza. Dio, una contentezza quando gli arrivano tutte queste sofferenze!! Dicono: ‘Io le sofferenze le offro al Signore’. Una goduria, il padreterno ci si ingrassa con queste sofferenze.  Cosa volete offrire a Dio? E’ Dio che si offre e chiede di essere accolto. Il Dio di Gesù non è più un Dio da cercare. Se uno cerca Dio, cerca una sua immagine di Dio e si smarrisce nei labirinti di tutte queste religioni, di questi misticismi. Con Gesù, Dio non è più da cercare, ma è da accogliere e con lui e come lui andare verso agli altri.  Questo è il senso della fede. Gesù dice: “Non sono venuto per essere servito, ma per servire”. Il nostro dramma è che non ci crediamo. Noi, che Dio sia al nostro servizio, non ci crediamo. Se soltanto arrivassimo a comprendere e a credere questo, la nostra vita cambia completamente.

maggi e antonelli commentano il vangelo

p. Maggi

SIAMO VENUTI DALL’ORIENTE PER ADORARE IL RE 

6 gennaio Epifania del Signore

Commento al Vangelo di p. Alberto Maggi

Mt 2,1-12

Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da

oriente a Gerusalemme e dicevano: «Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto

spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo». All’udire questo, il re Erode restò turbato

e con lui tutta Gerusalemme.

Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui

doveva nascere il Cristo. Gli risposero: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per

mezzo del profeta: “E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero l’ultima delle città

principali di Giuda: da te infatti uscirà un capo che sarà il pastore del mio popolo, Israele”».

Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui

era apparsa la stella e li inviò a Betlemme dicendo: «Andate e informatevi accuratamente

sul bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad

adorarlo».

Udito il re, essi partirono. Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché

giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, provarono

una gioia grandissima. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si

prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e

mirra. Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro

paese.

Nella festa dell’Epifania la chiesa ci presenta il testo di Matteo nel quale si annunzia l’amore universale

di Dio per tutta l’umanità. Questo amore universale non intende soltanto l’estensione, cioè ovunque, ma

la qualità di questo amore, per tutti.

Vediamo allora il capitolo 2 di Matteo.

 

“Nato Gesù a Betlemme di Giudea al tempo del Re Erode …”, e

qui l’evangelista richiama l’attenzione. Infatti, con un avverbio, coglie la sorpresa di quanto avviene.

“Ecco”,

quando l’evangelista adopera questo avverbio ‘ecco’ è sempre per una sorpresa, “alcuni maghi

vennero da oriente”.

Questo episodio è stato talmente sconcertante e talmente imbarazzante per la

chiesa primitiva, che poi si è provveduto, man mano nel tempo, a trasformarlo quasi in un evento da

fiaba, un evento folclorico, anziché di profonda ricchezza teologica.

Perché? Con il termine mago si indicavano gli ingannatori, i corruttori, era un’attività condannata dalla

Bibbia e vista severamente dalla prima comunità cristiana. Per il dicaché, il primo catechismo della

chiesa, l’attività del mago è proibita ed è collocata tra il divieto di rubare e il divieto di abortire, e anche

nel Nuovo Testamento il mago viene visto in maniera negativa.

Eppure i primi che vengono per adorare Gesù, per accogliere Gesù, sono proprio dei maghi e per di più

pagani, quindi le persone ritenute le più lontane da Dio. I pagani non sarebbero risuscitati, i pagani non

erano degni della salvezza, e per di più sono dediti ad un’attività che la stessa Bibbia condanna. Ecco la

sorpresa.

Questo fatto è stato talmente imbarazzante che poi, nella tradizione i maghi sono diventati l’innocuo

termine ‘magi’, si è provveduto a dare loro dignità regale e a farli diventare re, in base ai doni stabilito il

numero, e stabilito anche il nome. I personaggi del presepio erano pronti a discapito della ricchezza

teologica di questo brano.

Vengono questi e dicono di aver visto spuntare la sua stella. Qual è il significato della stella? Era

credenza comune che ogni individuo, quando nasceva, aveva una stella con lui e che poi scompariva con

la sua morte. Usiamo anche noi l’espressione popolare “essere nato sotto una buona stella”, ma qui

soprattutto l’evangelista si riferisce alla profezia di Balaam, nel libro dei Numeri al capitolo 24, dove si

legge

 

“un astro sorge da Giacobbe”, una stella, “e uno scettro si eleva da Israele”.

Era la profezia con la quale si indicava prima il re Davide e poi era passata ad indicare il messia, quindi

l’evangelista vuol dire che questa è la stella che indica il segno divino della nascita del messia. Ebbene,

“All’udire questo Erode restò turbato”,

si capisce perché Erode era un re illegittimo, sospettoso di

chiunque potesse togliergli il regno.

Quindi qui è venuto a sapere che è nato il re dei Giudei, lui che ha ucciso addirittura tre figli suoi, ma

quello che è strano è che con lui si turba, si spaventa tutta Gerusalemme. Sia Erode che Gerusalemme

hanno paura per quello che stanno per perdere, Erode il trono, e Gerusalemme il tempio, l’egemonia e

l’esclusiva sulla figura di Dio.

Trono e tempio sono all’insegna del potere. Ebbene, dopo l’episodio dell’informazione sulla nascita di

questo messia, con l’intento di Erode di arrivare a scoprire il luogo dove andare ad adorarlo … è la

menzogna del potere, perché in effetti poi vedremo che deciderà di di ammazzare – andiamo al versetto

9 –

 

“Udito il re, essi partirono. Ed ecco la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva”.

La stella, segno divino, non brilla su Gerusalemme, che fin dall’inizio in questo vangelo, viene collocata in

una luce tetra, in una luce negativa. Gerusalemme è la città di morte, quella che uccide i profeti e gli

inviati da Dio, e la stella, segno divino, non brilla su Gerusalemme. Come Gesù risuscitato, in questo

vangelo, non apparirà mai a Gerusalemme.

2

La stella li precede esattamente come il Signore precedeva il popolo d’Israele nel cammino dell’esodo

della liberazione. “

 

Finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino”. L’evangelista è

cosciente di non star dando una indicazione storica, una cronaca. Non è possibile che una stella si fermi

su un luogo, quindi sono indicazioni teologiche, sono i segni divini.

E mentre Gerusalemme, ed Erode, hanno tremato per la paura di quello che stavano per perdere, ecco

che i pagani, e per di più dediti a un’attività rimproverata dalla Bibbia, provano una gioia grandissima per

quello che stanno per dare.

Infatti entrano, si prostrano, adorano. Quindi riconoscono in Gesù non solo il re, ma il figlio di Dio, quindi

riconoscono in lui la divinità, e dove vuole arrivare l’evangelista è la conclusione con i doni portati da

questi magi, doni che indicano che il privilegio esclusivo che Israele deteneva, ora è patrimonio di tutta

l’umanità.

Questi doni sono l’oro, incenso e la mirra. L’oro era simbolo di regalità. Ebbene, anche i pagani

entreranno a far parte non del regno di Israele, che non verrà risuscitato, ma del regno di Dio, cioè quel

regno senza confini, che è l’amore universale di Dio che non conosce confini. Quindi anche i pagani

entrano a far parte, a pieno diritto, del regno.

L’incenso era l’esclusiva dell’offerta dei sacerdoti nel tempio. Ebbene anche il privilegio di essere un

popolo di sacerdoti, il Signore aveva detto a Israele “Voi sarete un regno di sacerdoti, un popolo

sacerdotale”, laddove sacerdotale significa avere un rapporto diretto con il Signore, anche questo

privilegio che era di Israele, passa a tutta l’umanità.

Tutta l’umanità diventa popolo sacerdotale, cioè un popolo che può entrare in relazione immediata,

senza mediatori, con Dio. E infine la mirra. La mirra è il profumo della sposa verso il suo sposo, troviamo

questo nel Cantico dei Cantici. Uno dei privilegi di Israele era di considerarsi il popolo sposa di Dio, il

Signore era lo sposo, Israele la sposa.

Ebbene, anche questo privilegio, di essere considerata lo sposo di Dio, non è più esclusivo di Israele, ma

passa a tutta l’umanità. Questo è l’annunzio dell’Epifania, l’amore universale di Dio per tutta l’umanità,

nessuno si può sentire escluso da questo amore.

 

RE E MAGHI 

Alberto Maggi
Al tempo di Gesù chi erano le persone ritenute più lontane da Dio? Indubbiamente i pagani. I pagani erano disprezzati, dovevano essere sottomessi. Basti pensare che il pio salmista nel salmo 79 scrive “Signore, riversa lo sdegno sulle genti e sui regni che non invocano il tuo nome”. Quindi le persone più lontane da Dio sono i pagani. E tra i pagani qual era la categori…a di persone più disprezzata, la più ignobile? Indubbiamente quelli che esercitavano l’attività di mago, un’attività severamente proibita e condannata dalla Bibbia, dal libro del Levitico. E’ comprensibile quindi lo sconcerto, la sorpresa della comunità cristiana primitiva nel trovarsi di fronte a questa pagina di Matteo, al capitolo 2, nel quale si legge che i primi a riconoscere Gesù come Dio e Signore sono proprio dei pagani, cioè persone lontane, escluse da Dio, ma che esercitavano addirittura un’attività talmente condannata e maledetta che nel primo catechismo della chiesa cristiana che si chiama Didaché, cioè dottrina, insegnamento, l’attività del mago è proibita ed è situata tra il divieto di rubare e quello di abortire. E quindi creò sconcerto il fatto che fossero proprio dei maghi. Il termine “mago” all’epoca dell’evangelista significava “ingannatore, condannatore”. Nel Talmud si legge che “chi impara qualcosa da un mago, merita la morte”. E quindi creò grande sconcerto. Allora questo scandalo della misericordia che adesso vedremo, cioè l’amore universale di Dio, un amore universale per la sua estensione (ovunque), ma soprattutto per la qualità (per tutti), un amore dal quale nessuno, qualunque sia la sua condizione o la sua condotta, si possa sentire escluso. Tutto questo sconcertò la chiesa e cominciò anche qui in questa pagina un’operazione di annacquamento della portata teologica dell’evangelista. Anzitutto il nome. Il termine “mago” era sconveniente, era indecente, e si creò il termine neutro, insignificante, “magi”. Quindi non tre maghi, come scrive l’evangelista, ma “magi”. Poi in base ai doni viene definito il numero,re, per dare dignità a queste persone che erano soltanto dei pagani, degli ingannatori, dei corruttori,venne data loro la dignità regale, vennero poi suddivisi per razza, bianco, nero e meticcio, e infine trovarono i nomi Gasparre, Melchiorre e Baldassarre, e i personaggi dei presepi erano pronti, ma a scapito della portata teologica di questo brano. In questo brano l’evangelista scrive che: “E’ nato Gesù … Ecco”, suscita sorpresa, “alcuni maghi”, non magi, il termine greco è maghi, “vennero da oriente”. Quindi sono dei pagani e dicono di aver visto una stella. Si credeva a quell’epoca che ogni persona nata avesse una stella; lo diciamo anche noi nella lingua italiana, “essere nato sotto una buona stella”. (..)Vedremo che la stella dei maghi non brillerà su questa città, e Gesù risuscitato mai apparirà in questa città assassina e sinistra. Ebbene questi maghi continuano a seguire questo segno di Dio, questa stella, “e giungono sul luogo in cui si trovava il bambino”, ed ecco qui importante la logica che l’evangelista ci vuole trasmettere. Anzitutto provano una gioia grandissima, mentre Erode e Gerusalemme – cioè l’istituzione religiosa – sono turbati per quello che sanno che dovranno perdere, i maghi, questi pagani, sono entusiasti e pieni di gioia per quello che stanno per dare, hanno capito che c’è più gioia nel dare che nel ricevere.(..)

Il Bimbo che fa tremare il Re

Nella celebrazione di ieri, dopo la lettura del vangelo, là dove si legge che “Erode cerca il bambino per ucciderlo”, mi sono chiesto ed ho chiesto ai presenti: «Perché mai Erode, armato e potente, dovrebbe aver paura di un Bambino, debole e indifeso?». Il Potere ha sempre paura di un amore che non sia sdolcinata evanescenza. Il potere ha paura dell’amore “archtetto…nico” (direbbe Balducci) e combattivo. Oggi leggo, sull’ultimo numero di Qualevita dellamico pasquale, questo bello e significativo brano di un certo Pietro Verri, filosofo e scrittore milanese del fine Settecento.
«Se vuoi essere tu il padrone, poiché non puoi fare tutto da te medesimo e ti sarà forza servirti dell’opera de’ tuoi ministri, bada bene alla scelta.
Un uomo che abbia principi e che operi di conseguenza non è da sceglier¬si, perché s’opporrà alla tua volontà ogniqualvolta ella sia diversa da’ suoi principi.
Guardati dall’uomo virtuoso, fermo e che abbia l’animo libero; egli cerche¬rebbe di fare l’interesse de’ popoli, […] sacrificherebbe tutto alle sue idee e ti darebbe inciampo ad eseguire la volontà tua e ad agire da vero padrone. La superstizione è necessaria per sempre più contenere il popolo. I ministri del culto sono interessati a coltivarla, perché essa dà loro pane e considera¬zione. Bada a non screditarli, ma bada pure a contenerli.
Quanto meno ha il popolo di religione e quanto ha più di superstizione, tanto più è sicura l’obbedienza. L’uomo religioso ragiona; l’uomo fanatico odia chi ragiona, lo perseguita, lo maledice, lo sradicherebbe dal mondo se potesse. La superstizione tiene il popolo avvilito, è l’anello al naso del buffalo, non lo togliere se vuoi lunga¬mente regnare».
Aldo Antonelli

p. Maggi e p.Pagola commentano il vangelo

 

p. Maggi

II NATALE 

5 gennaio 2014

IL VERBO SI FECE CARNE E VENNE AD ABITARE IN MEZZO A NOI

Commento al Vangelo di p. Alberto Maggi

Gv 1,1-18

[ In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio.

Egli era, in principio, presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è

stato fatto di ciò che esiste.

In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre e le tenebre

non l’hanno vinta. ]

Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone per

dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui.

Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce.

[ Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Era nel mondo e il mondo

è stato fatto per mezzo di lui; eppure il mondo non lo ha riconosciuto.

Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto.

A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono

nel suo nome, i quali, non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo, ma da

Dio sono stati generati.

E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la

sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità. ]

Giovanni gli dà testimonianza e proclama: «Era di lui che io dissi: Colui che viene dopo di

me è avanti a me, perché era prima di me».

Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia.

Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù

Cristo. Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è

lui che lo ha rivelato.

1

Nel prologo al suo vangelo Giovanni riassume e formula tutto il contenuto della sua opera. Quindi sonodiciotto versetti preziosi e molto molto ricchi. Per comprenderli iniziano dall’affermazione clamorosa chel’evangelista mette alla fine del prologo. Scrive l’evangelista:“Dio nessuno lo ha mai visto”. Questa è un’affermazione grave, perentoria, che, tra l’altro, contraddice la stessa Bibbia, perché nella Bibbia si afferma che Mosè ed altri personaggi hanno visto io.Giovanni non è d’accordo,“Dio nessuno lo ha mai visto”. Pertanto le descrizioni che si sono fatte di Dio,anche da parte di Mosè, sono limitate, sono incomplete, a volte devianti, o addirittura false. Quindi Dio nessuno lo ha mai visto.“Il figlio unigenito”, unigenito nel senso dell’unicità di questo figlio, “che è Dio”,che è Dio lui stesso,“ed è nel seno del Padre”, cioè nella piena intimità del Padre, “è lui che lo ha rivelato”.con questa affermazione l’evangelista conclude il prologo invitando quindi a porre tutta l’attenzione sulla figura di Gesù. Cosa vuole dire che Dio nessuno lo ha mai visto e solo il figlio ce lo ha rivelato? Che Gesù non è uguale a Dio, ma Dio è uguale a Gesù. Se noi diciamo che Gesù è uguale a Dio significa che abbiamo un’immagine, un’idea di Dio. Ebbene l’evangelista ci invita a sospendere questa immagine e a centrare tutta la nostra attenzione su Gesù. Tutto quello che vediamo in Gesù questo è Dio. Quindi non Gesù è uguale a Dio, ma Dio è uguale a Gesù, e molte immagini e molte idee su Dio, vedendo il comportamento e l’insegnamento di Gesù, inevitabilmente verranno a cadere. Quindi l’evangelista ci invita a porre tutta l’attenzione su Gesù perché in lui si manifesta Dio. E proprio perché in Gesù si manifesta la divinità, e andiamo a ritroso in questa lettura del prologo, c’è stato bisogno di una nuova relazione tra gli uomini e Dio. Mosè, il servo di Dio, aveva imposto una relazione tra i servi e il loro Signore, basata sull’obbedienza; ebbene Gesù, che non è il servo di Dio, ma il figlio di Dio, propone una nuova relazione tra dei figli e il loro Padre, non basata sull’obbedienza, ma sulla somiglianza e l’accoglienza del suo amore. Ecco perché allora nel versetto che precede l’evangelista ha scritto“Perché la legge fu data per mezzo di Mosè, ma la grazia e la verità”,‘grazia e verità’ è un’espressione che indica l’amore fedele, l’amore vero,“vennero per mezzo di Gesù Cristo”. Quindi una nuova relazione non più basata sulla legge, masull’accoglienza del suo amore. E, sempre andando a ritroso nella lettura di questo prologo, scrive l’evangelista  dalla sua pienezza”,cioè dalla pienezza di questo uomo nel quale si manifesta la condizione divina,“noi tutti abbiamo ricevuto grazia su grazia”. Cosa vuol dire l’evangelista? E’ il dinamismo della vita del credente e della omunità cristiana.

All’amore ricevuto dal Padre corrisponde un amore comunicato ai fratelli, questo è il dinamismo di crescita dei credenti. Più sarà grande la risposta di questo amore al fratello e più, a sua volta, sarà grande da parte di Dio la risposta del suo amore. Quindi più noi comunichiamo quest’amore ai fratelli e più da Dio riceviamo amore. Questo in un crescendo senza fine.

Questa crescita nell’amore è quello che realizza l’individuo e il credente. E, andando ancora indietro saltando qualche versetto, l’affermazione importante dell’evangelista che“il Verbo’, ‘il Verbo’ significa la parola creatrice, la sapienza creatrice“si fece …”, l’evangelista non scrive che si fece uomo, ma usa il termine carne che indica l’uomo nella sua piena debolezza. Il progetto di Dio non si realizza in un superuomo, difficile da imitare, soltanto da ammirare, ma si realizza nella debolezza umana. Questo vuol dire che Dio si manifesta nell’umanità. Più l’uomo diventa umano più manifesta il divino che è in lui. E questo Verbo che si fece carne, questo progetto di Dio, che si fa carne, è la pienezza dell’amore di Dio che si manifesta in un uomo che diventa l’unico vero santuario dal quale si irradia l’amore del Padre.

E questo Verbo che si è fatto carne, si è fatto uomo nella sua debolezza, scrive l’evangelista,“E’ pieno, di grazia e verità”, cioè completo. La caratteristica che distingue Gesù è l’amore fedele. L’amore quando è vero? Quando è fedele. E questo Verbo che si è fatto carne, che si è fatto uomo, ci rimanda allora all’inizio del prologo, dove l’evangelista scrive,“In principio era il Verbo”.Giovanni prende le distanze dalla teologia del libro del Genesi, dove si affermava che“In principio Dio creò il cielo e la terra”.

No, l’evangelista non è d’accordo, in principio, prima ancora di creare il cielo e la terra, c’era questo Verbo, cioè questa parola creatrice, sapienza creatrice, una parola che ha un progetto e, prima ancora della creazione, questo progetto interpellava Dio.

E qual’era questo progetto? Donare all’uomo la condizione divina. Questo è il progetto di Dio

sull’umanità, quindi possiamo definire il prologo l’inno d’amore di Dio per tutta l’umanità, l’inno

dell’ottimismo di Dio. Dio è talmente innamorato degli uomini che, prima ancora di creare il mondo, aveva il progetto di dare agli uomini la sua stessa condizione, la condizione divina.

E per questo, proprio al centro del prologo, quindi il versetto più importante di tutta questa

composizione, l’evangelista scrive che “Mentre questo progetto venne tra i suoi e i suoi non l’hanno accolto”, questo è un monito sempre presente per tutte le comunità,“A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio”.

Figli di Dio non si nasce, ma si diventa, accogliendo Gesù come progetto d’amore di Dio per la propria esistenza. Questo fatto di poter diventare figli di Dio a chi accoglie Gesù, significa che Dio non assorbe quindi l’uomo, non lo distoglie o lo distrae dagli altri, è un Dio che potenzia l’uomo, gli comunica la sua stessa capacità d’amore perché con lui e come lui vada verso gli altri.

La novità portata da Gesù è che non si vive più per Dio, ma si vive di Dio. Questo è il prologo di Giovanni, quindi un inno all’ottimismo di Dio sull’umanità e una proposta per ogni uomo di diventare figlio di Dio. Figli di Dio non si nasce, ma si diventa, per una scelta continua e quotidiana dell’amore fedele come quello che il Padre ci comunica.

anche p. Pagola commenta il brano odierno del vangelo:

RECUPERARE LA FRESCHEZZA DELL’EVANGELO

Nel prologo dell’Evangelo di Giovanni si fanno due affermazioni fondamentali che ci obbligano a rivedere in maniera radicale il nostro modo d’intendere e di vivere la fede cristiana, dopo venti secoli di non poche deviazioni, riduzionismi e impostazioni poco fedeli all’Evangelo di Gesù.
La prima affermazione è questa: La Parola di Dio si fece carne. Dio non è rimasto in silenzio, chiuso per sempre nel suo mistero. Ci ha parlato. Ma non… ci si è rivelato per mezzo di concetti e dottrine sublimi. La sua Parola si è incarnata nella vita concreta di Gesù perché la possano intendere e accogliere fino i più semplici.
La seconda affermazione dice così: Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato. Come teologi parliamo molto di Dio, ma nessuno di noi lo ha visto. Capi religiosi e predicatori parliamo di lui con sicurezza, ma nessuno di noi ha visto il suo volto. Solo Gesù, il Figlio unico del Padre, ci ha raccontato come è Dio, come ci ama e come cerca di costruire un mondo più umano per tutti.
Queste due affermazioni sono lo sfondo del programma rivelatore del Papa Francesco.
Per questo cerca “una Chiesa radicata nell’Evangelo di Gesù, senza complicarci con dottrine o abitudini “non legate direttamente al nucleo dell’Evangelo”.Se non facciamo così, “non sarà l’Evangelo a essere annunciato, ma qualche sottolineatura dottrinale o morale che procede da certe opzioni ideologiche”.
L’atteggiamento del Papa è chiaro. Solo in Gesù ci è stata rivelata la misericordia di Dio. Per questo dobbiamo tornare alla forza trasformatrice del primo annunzio evangelico senza eclissare la Buona Notizia di Gesù e “senza ossessionarci con una moltitudine di dottrine che si cerca d’imporre a forza d’insistenza”.
Il Papa pensa a una Chiesa nella quale l’Evangelo possa recuperare la sua forza di attrazione, senza che sia oscurata da altri modi di intendere e vivere oggi la fede cristiana. Per questo, ci invita a “recuperare la freschezza originale dell’Evangelo” come la cosa più bella, la più grande, la più attraente e, nello stesso tempo, la più necessaria, senza chiudere Gesù “nei nostri noiosi schemi”.
In questi momenti non possiamo permetterci di vivere la fede senza sollecitare nelle nostre comunità cristiane la conversione a Gesù Cristo e al suo Evangelo, alla quale ci chiama il Papa. Egli stesso chiede a tutti noi che “applichiamo con generosità e coraggio i suoi orientamenti senza proibizioni né paure”
José Antonio Pagola.

p.Maggi commenta il vangelo della domenica

 

 

p. Maggi

SANTA FAMIGLIA 

29 dicembre 2013

PRENDI CON TE IL BAMBINO E SUA MADRE E FUGGI IN EGITTO 

Commento al Vangelo di p. Alberto Maggi

 

Mt 2,13-15.19-23

I Magi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli

disse: «Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e resta là finché non ti

avvertirò: Erode infatti vuole cercare il bambino per ucciderlo».

Egli si alzò, nella notte, prese il bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto, dove rimase fino

alla morte di Erode, perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del

profeta: «Dall’Egitto ho chiamato mio figlio».

Morto Erode, ecco, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto e gli disse:

«Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre e va’ nella terra d’Israele; sono morti infatti

quelli che cercavano di uccidere il bambino».

Egli si alzò, prese il bambino e sua madre ed entrò nella terra d’Israele. Ma, quando venne a

sapere che nella Giudea regnava Archelao al posto di suo padre Erode, ebbe paura di andarvi.

Avvertito poi in sogno, si ritirò nella regione della Galilea e andò ad abitare in una città

chiamata Nàzaret, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo dei profeti: «Saràchiamato Nazareno».

La terra promessa si è trasformata in una terra di schiavitù e di morte, dalla quale bisogna scappare.

L’evangelista anticipa, negli episodi dell’infanzia di Gesù, quei tragici avvenimenti che poi si

svilupperanno durante tutta l’esistenza del Cristo. Ma vediamo il testo.

“Essi erano appena partiti”,

sta parlando dei magi, “quando l’angelo del Signore”, ecco tornare questa

formula, cioè Dio. Dio, quando interviene presso gli uomini, non viene mai presentato come realtà

divina, come se stesso, come il Signore, ma sempre con questa formula ‘angelo del Signore’, ma è

sempre il Signore quando entra in contatto con l’umanità.

Questo angelo del Signore interviene tre volte in questo vangelo per annunziare la vita di Gesù a

Giuseppe, per proteggerla, come in questo caso, dalle mire omicide di Erode, e poi per confermarlo al

momento della risurrezione.

“Apparve in sogno”,

il Signore appare in sogno ai profeti, quindi Giuseppe viene in qualche modo

qualificato come un profeta,

“E gli disse: «Alzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi inEgitto»”.

Ecco la terra promessa si è trasformata in una terra di schiavitù. Il popolo era scappato

dall’Egitto per entrare nella terra promessa, ma adesso deve scappare dalla terra promessa per andare a

trovare rifugio proprio in Egitto.

«E resta là finché non ti avvertirò: Erode infatti vuole cercare il bambino per uccide»rl”o.

La notizia è

verosimile. Sappiamo che Erode, il re legittimo, sospettoso di chiunque potesse togliergli in qualche

maniera la corona, non esitò ad eliminare una decina di suoi familiari, addirittura ammazzò tre figli,

l’ultimo appena qualche giorno prima di morire. Quindi la notizia è verosimile.

Ma è la risposta del potere al dono di Dio, come il faraone tentò di uccidere Mosè, così Erode tenta di

uccidere Gesù. E l’evangelista descrive la fuga di Giuseppe come la fuga del popolo ebraico dall’Egitto

nella notte di Pasqua. Infatti

“Egli si alzò nella notte”, come la notte della liberazione, “prese il bambino

e sua madre e si rifugiò in Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode, perché si compisse quello che era

stato detto dal Signore per mezzo del profeta

«Dall’Egitto ho chiamato mio figlio ”.

Quindi l’evangelista adopera questa profezia di Osea per vedere come l’azione del Signore protegge

sempre il suo popolo quando si trova in situazioni di pericolo.

“Morto Erode …”, ecco di nuovo l’angelo

del Signore che torna di nuovo in azione,

“…. Un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse:

« Alzati, prendi con te il bambino e sua madre» …”,

e ci saremmo aspettati che l’angelo dicesse a

Giuseppe “Torna nella terra di Israele”.

E invece gli dice

«Va nella terra d’Israele»”, e vedremo il perché. «Sono morti infatti quelli checercavano di uccidere il bambino

L’evangelista prende questa ultima espressione dal libro dell’Esodo

dove si legge che

“il Signore disse a Mos«èA: lzati e torna in Egitto: sono morti quelli che attentavano

alla tua vita»”.

Quindi l’evangelista presenta Gesù come il nuovo Mosè, il nuovo liberatore del suo popolo. Ma perché

l’evangelista qui, oltre alla citazione del libro dell’Esodo, dice che sono morti quelli che cercavano di

uccidere il bambino quando in realtà è uno, Erode, quello che cerca di uccidere il bambino? Perché

l’evangelista vuole anticipare quella che sarà l’azione dell’istituzione religiosa contro Gesù. Quindi nei

‘quelli’ vengono compresi i farisei, i sommi sacerdoti, gli anziani, tutta l’élite religiosa che si scatenerà

contro Gesù “Egli si alzò, prese il bambino e sua madre ed entrò nella terra di Israele”.

Ecco anche qui di nuovo ci saremmo aspettati ‘tornò nella terra di Israele’, invece l’evangelista scrive che Giuseppe, con il bambino e la moglie, non torna nella terra di Israele, ma entra. Fa l’ingresso come il popolo quando entrò nellaterra promessa. Quindi c’è già l’anticipo di quello che sarà il processo di liberazione, il nuovo esodo che

Gesù compirà.

Ma quando venne a sapere che nella Giudea regnava Archelao, al posto di suo padre Erode”. Alla morte

di Erode il regno venne diviso fra i tre figli. Ad Archelao andò la Giudea con la Samaria, e l’Idumea, a

Erode Antipa la Galilea con la Perea, e a Filippo tutto il nord a oriente del lago di Tiberiade. Bene questo

Archelao era sanguinario. Iniziò con un massacro di ben tremila cittadini,

“Ebbe paura di andarvi.

Avvertito poi in sogno”,

ecco di nuovo l’azione del Signore come sempre guida Giuseppe, “si ritirò nellaGalilea”,

la regione più malfamata di Israele, una regione talmente malfamata che non ha nome.

Mentre la Giudea prende il nome da Giuda, uno dei patriarchi delle dodici tribù che hanno composto

Israele, l’espressione Galilea viene dal disprezzo con il quale Isaia, nel capitolo 8 indica la regione dei

pagani. In ebraico Isaia scrive Gelil, che significa ‘distretto, territorio’ dei pagani. Da Gelil viene il nome

Galilea, quindi indica una zona semi-pagana, una zona lontana dal centro religioso.

E non solo,

“E andò ad abitare in una città chiamata Nazaret”, una città malfamata. Sappiamo nel

vangelo di Giovanni, la meraviglia di Natanaele quando gli dicono che Gesù viene da Nazaret, e lui

sorpreso dice “Da Nazaret può uscire qualcosa di buono?“Perché si compisse ciò che era stato detto

per mezzo dei pro feta e l’evangelista non scrive ‘Nazareno’, quindi abitante di Nazaret,

ma scrive ‘Nazoreo’, ed è importante questo termine,

perché in questo termine l’evangelista racchiude tre significati:

– Nezer, che significa virgulto, dalla profezia di Isaia al cap. 11 “Un virgulto spunterà dalle sue

radici, dalla casa di Davide”, Iesse è il padre di Davide

– Nazir, che significa consacrato

– E naturalmente Nazaret, la provenienza di Gesù.

 

il ‘vangelo’ di natale

 

NATALE

 UN DIO DAL VOLTO UMANO

 

Da sempre gli uomini hanno cercato di diventare dèi, di innalzarsi sugli altri uomini, e “diventerete come Dio” è la menzogna dell’antico serpente (Gen 3,5). Gli uomini avevano collocato la divinità nel più alto dei cieli (“Non è forse Dio nell’alto dei cieli?”, Gb 22,12), e in ogni tempo il sogno dei potenti è stato quello di elevarsi al di sopra di tutti (“Salirò in cielo, sulle stelle di Dio innalzerò il trono… mi farò uguale all’Altissimo”, Is 14,12.14). Raggiungere il Signore è stata anche la massima aspirazione di ogni persona religiosa: salire, spiritualizzarsi, per fondersi misticamente con il Dio invisibile. I potenti pensavano di raggiungere dio e di essere alla sua pari mediante l’accumulo del potere; le persone religiose attraverso l’accumulo delle preghiere.
Con il Natale, invece, Dio diventa uomo, abbassandosi al livello di ogni altra creatura. Solo la “follia di Dio” (1 Cor 1,25) poteva spingere l’Altissimo non solo a diventare un uomo, ma a rimanerlo: il Signore “spogliò se stesso, prendendo forma di servo, divenendo simile agli uomini” (Fil 2,7).
Con la nascita di Gesù, Dio non è più lo stesso e l’uomo neanche. È cambiato completamente il rapporto tra Dio e gli uomini, e tra questi e il loro Signore.
Potenti e religiosi pensavano di raggiungere la condizione divina separandosi dagli altri uomini, i primi per dominarli, i secondi per essere loro fulgido esempio.
Più il potente voleva salire e più sprofondava nelle tenebre, “nella profondità dell’abisso” (Is 14,15), perché più si allontanava dagli altri uomini più diventava disumano. Più l’uomo religioso si distaccava dagli altri per incontrare Dio e più questi pareva allontanarsi, diventare irraggiungibile, perché separandosi dagli uomini si separava dal Signore (Lc 18,14).
Con il Natale si è capito perché. Non bisogna salire per incontrare il Signore, ma scendere, perché in Gesù Dio si è fatto uomo, profondamente umano e si è messo a servizio degli uomini.
Con Gesù Dio non è più da cercare, ma da accogliere (“A quanti l’hanno accolto…”, Gv 1,12). Lui è il “Dio con noi” (Mt 1,23), e chiede di essere accolto e con lui, e come lui, andare verso ogni persona per inondarla del suo amore e rendere il mondo più umano.
In Gesù Dio si è rivelato attento e sensibile alle sofferenze degli uomini e alle loro necessità. Più si è umani e più si libera il divino che è già in noi. È questa la meravigliosa sorpresa del Natale del Signore

Alberto Maggi

 

NATALE: UN DIO DAL VOLTO UMANO<br /><br /><br />
Di Alberto Maggi </p><br /><br />
<p>Da sempre gli uomini hanno cercato di diventare dèi, di innalzarsi sugli altri uomini, e "diventerete come Dio" è la menzogna dell’antico serpente (Gen 3,5). Gli uomini avevano collocato la divinità nel più alto dei cieli ("Non è forse Dio nell’alto dei cieli?", Gb 22,12), e in ogni tempo il sogno dei potenti è stato quello di elevarsi al di sopra di tutti ("Salirò in cielo, sulle stelle di Dio innalzerò il trono… mi farò uguale all’Altissimo", Is 14,12.14). Raggiungere il Signore è stata anche la massima aspirazione di ogni persona religiosa: salire, spiritualizzarsi, per fondersi misticamente con il Dio invisibile. I potenti pensavano di raggiungere dio e di essere alla sua pari mediante l’accumulo del potere; le persone religiose attraverso l’accumulo delle preghiere.</p><br /><br />
<p>Con il Natale, invece, Dio diventa uomo, abbassandosi al livello di ogni altra creatura. Solo la "follia di Dio" (1 Cor 1,25) poteva spingere l’Altissimo non solo a diventare un uomo, ma a rimanerlo: il Signore "spogliò se stesso, prendendo forma di servo, divenendo simile agli uomini" (Fil 2,7).</p><br /><br />
<p>Con la nascita di Gesù, Dio non è più lo stesso e l’uomo neanche. È cambiato completamente il rapporto tra Dio e gli uomini, e tra questi e il loro Signore.</p><br /><br />
<p>Potenti e religiosi pensavano di raggiungere la condizione divina separandosi dagli altri uomini, i primi per dominarli, i secondi per essere loro fulgido esempio.</p><br /><br />
<p>Più il potente voleva salire e più sprofondava nelle tenebre, "nella profondità dell’abisso" (Is 14,15), perché più si allontanava dagli altri uomini più diventava disumano. Più l’uomo religioso si distaccava dagli altri per incontrare Dio e più questi pareva allontanarsi, diventare irraggiungibile, perché separandosi dagli uomini si separava dal Signore (Lc 18,14).</p><br /><br />
<p>Con il Natale si è capito perché. Non bisogna salire per incontrare il Signore, ma scendere, perché in Gesù Dio si è fatto uomo, profondamente umano e si è messo a servizio degli uomini.</p><br /><br />
<p>Con Gesù Dio non è più da cercare, ma da accogliere ("A quanti l’hanno accolto…", Gv 1,12). Lui è il "Dio con noi" (Mt 1,23), e chiede di essere accolto e con lui, e come lui, andare verso ogni persona per inondarla del suo amore e rendere il mondo più umano.</p><br /><br />
<p>In Gesù Dio si è rivelato attento e sensibile alle sofferenze degli uomini e alle loro necessità. Più si è umani e più si libera il divino che è già in noi. È questa la meravigliosa sorpresa del Natale del Signore.<br /><br /><br />
(Natale 2012)

p. Maggi commenta il vangelo

p. Maggi

 

 

GESU’ NASCERA’ DA MARIA, SPOSA DI GIUSEPPE, DELLA STIRPE DI DAVIDE

 

Commento al Vangelo di p. Alberto Maggi

IV DOMENICA AVVENTO

22 dicembre 2013

Mt 1,18-24

 

Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di

Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello

Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva

accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto.

Però, mentre stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un

angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di

prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene

dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti

salverà il suo popolo dai suoi peccati».

Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore

per mezzo del profeta: «Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui

sarà dato il nome di Emmanuele», che significa “Dio con noi”.

Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del

Signore e prese con sé la sua sposa.

Matteo descrive la nascita di Gesù ispirandosi al primo libro della Bibbia, la Genesi, perché

vuole indicare che, in Gesù, c’è una nuova creazione. Il libro della Genesi inizia con queste

parole

 

“In principio Dio creò il cielo e la terra”, e poi scrive l’autore, “lo spirito di Dio aleggiava

sulle acque”.

Ugualmente ora lo spirito creatore ora interviene per la nuova creazione.

Gesù è il vero uomo creato da Dio, l’uomo che ha vita divina, capace di superare la morte.

Vediamo cosa dice Matteo.

 

“Così fu generato Gesù Cristo”. Dopo che per 39 volte il verbo

generare è stato attribuito a un uomo che genera un altro uomo, arrivato a “Giacobbe generò

Giuseppe”, lì la catena della generazione si interrompe.

L’evangelista non scrive “Giuseppe generò Gesù”, ma da Maria viene generato. Quindi tutta

quella tradizione – il padre non trasmetteva soltanto la vita, ma la tradizione e la spiritualità – nel

1

popolo di Israele si interrompe con Giuseppe.

 

“Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria,

essendo …”,

qui traducono con “promessa sposa”, è difficile nella nostra lingua usare un

termine che non c’è per indicare il rito del matrimonio e delle nozze in Israele.

Il matrimonio avviene in due tappe. La prima, quando la ragazza ha dodici anni e il ragazzo

diciotto, avviene lo sposalizio. Da quel momento sono marito e moglie, poi, un anno dopo,

avvengono le nozze e la ragazza entra nella casa dello sposo. Nell’intervallo di questo anno

non è lecito avere rapporti matrimoniali e, in caso di adulterio, è prevista la lapidazione.

Quindi Maria è già sposata. E’ la prima fase del matrimonio.

 

“Prima che andassero a vivere

insieme”,

quindi prima che passassero alle nozze, “si trovò incinta per opera dello Spirito

Santo”.

Il vangelo non è un libro di ginecologia e neanche di biologia, ma è teologia.

L’evangelista vuole dire che in Gesù c’è la nuova creazione. Come lo Spirito aleggiava sulle

acque, così lo Spirito creatore aleggia su Maria e Gesù nasce come esempio e modello della

creazione voluta da Dio.

Quindi per questo Spirito Santo si intende la forza creatrice di Dio.

 

“Giuseppe, suo sposo,

poiché era uomo giusto”,

uomo giusto non ha la nostra connotazione di persona moralmente

integra, giusto è la persona fedele, osservante della legge e di tutte le prescrizioni di Mosè.

Ebbene, il fatto di essere giusto costringeva Giuseppe a denunciare la moglie come adultera, e

farla lapidare.

 

E non voleva accusarla pubblicamente”, quindi Giuseppe entra in crisi tra l’osservanza della

legge e un sentimento, se non d’amore, di misericordia.

 

“Pensò di ripudiarla in segreto”. Il

ripudio era molto semplice a quell’epoca, si poteva ripudiare la moglie anche per una pietanza

bruciata, bastava scrivere su un foglio di carta “tu non sei più mia moglie”, e la donna veniva

cacciata via. Quindi Giuseppe non vuole denunciarla, non vuole far uccidere la propria sposa,

però neanche la può tenere.

Allora pensa di ripudiarla in segreto. Ma basta che il fronte della legge venga leggermente

incrinato dall’amore che lo Spirito entra e interviene. Infatti,

 

“mentre stava considerando queste

cose, ecco, in sogno …”.

Perché in sogno? Nel mondo ebraico – e Matteo scrive per una

comunità di giudei – si evita il contatto diretto tra Dio e gli uomini, allora Dio interviene in sogno.

Nel Libro dei Numeri si legge

 

“Se ci sarà un vostro profeta, io Jahvè in visione a lui mi rivelerò,

in sogno parlerò con lui”.

Quindi il sogno è la maniera che Dio ha per comunicare con gli uomini.

“Gli apparve in sogno un angelo del Signore”.

Angelo del Signore non si intende un angelo

inviato dal Signore, ma quando Dio interviene con gli uomini, viene raffigurato attraverso questo

angelo del Signore, che è Dio stesso.

C’era una distanza tra Dio e gli uomini, c’era una lontananza, e nel mondo ebraico non si

permetteva che Dio si avvicinasse agli uomini. Quando lo faceva si usava questa formula

“angelo de Signore”, ma è Dio stesso. L’angelo del Signore interviene tre volte in questo

vangelo sempre in funzione della vita, perché Dio è il Dio amante della vita. Interviene qui per

annunziare la vita di Gesù a Giuseppe; poi interverrà per difenderla dalle trame assassine del re

2

Erode e infine al momento della risurrezione, per confermare che la vita, quando proviene da

Dio, è capace di superare la morte. E questa è la prima volta.

“E gli disse:

 

«Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa»”,

ecco

che infatti sono sposati.

 

«Il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo»”, quindi c’è

questa nuova creazione che si manifesta in Gesù.

 

«Ella darà alla luce …»letteralmente

‘partorirà’

 

«… un figlio e tu lo chiamerai …»”, e qui c’è una novità.

Al bambino si metteva il nome del papà oppure del nonno, in maniera che il nome si

perpetuasse in eterno, una maniera per rimanere vivi per sempre. Quindi la tradizione voleva

che il bambino portasse il nome del padre o del nonno. Ebbene, con Gesù si interrompe la

tradizione, con Gesù inizia un’epoca nuova.

 

«Lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo

popolo dai suoi peccati

 

»”.

Non vediamo nessun nesso tra il fatto che si chiami Gesù e il fatto che salvi il suo popolo dai

suoi peccati. In italiano, per rendere l’idea di quello che l’evangelista ci vuole trasmettere,

dovremmo tradurre: “Si chiamerà Salvatore, perché salverà il suo popolo dai peccati”. Infatti in

ebraico Gesù si dice Jeshuà, e il verbo ‘salverà’ si dice joshuà. Quindi c’è una differenza di

vocale.

Si chiamerà Jeshuà perché joshuà, quindi potremmo rendere si chiamerà Salvatore perché

salverà il suo popolo dai suoi peccati. Ma quello a cui l’evangelista vuole arrivare, è la citazione

del cap. 7 versetto 14 del profeta Isaia,

 

“Ecco la vergine concepirà e darà alla luce un figlio”, il

profeta sta parlando al re Acaz della nascita del figlio Ezechia,

 

«A lui sarà dato il nome di

Emmanuele che significa “Dio con noi”

 

»”.

Ecco questo è il motivo portante, il filo conduttore di tutto il vangelo di Matteo. Questa formula

del “Dio con noi”, che riapparirà a circa metà del vangelo, quando Gesù dirà ai discepoli

 

“Fino a

quando dovrò stare starò con voi”,

oppure quando dirà “Quando due o più sono riuniti nel mio

nome io sono in mezzo a loro”,

e poi sarà l’ultima parola di Gesù.

Le ultime parole di Gesù “Io sono con voi per sempre”, questo è il filo conduttore del vangelo di

Matteo, il Dio con noi, un Dio allora che non è più da cercare, ma da accogliere, e con lui e

come lui andare verso gli uomini. Se Dio si è fatto uomo, l’uomo non deve andare più verso Dio,

ma accoglierlo. Inizia l’epoca in cui non si vive più per Dio, ma si vive di Dio e con Dio si va

verso l’umanità.

E termina il vangelo,

 

“Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato

l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa”.

Quindi è un Vangelo di una grande novità.

Con Gesù Dio si è fatto uomo, questo significa che Dio si è fatto pienamente umano pertanto,

più gli uomini saranno umani, e più scopriranno e manifesteranno la divinità che è in loro.

 

p.Maggi e p.Pagola commentano il vangelo

p. Maggi

 

III DOMENICA AVVENTO – 15 dicembre 2013

SEI TU COLUI CHE DEVE VENIRE O DOBBIAMO ASPETTARE UN ALTRO?

Commento al Vangelo di p. Alberto Maggi 

Mt 11,2-11

In quel tempo, Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo dei suoi discepoli mandò a dirgli: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». Gesù rispose loro: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!».
Mentre quelli se ne andavano, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che vestono abiti di lusso stanno nei palazzi dei re! Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta. Egli è colui del quale sta scritto: “Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero, davanti a te egli preparerà la tua via”.
In verità io vi dico: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui».

Il vangelo di oggi ci riporta alla profonda crisi nella quale cadde Giovanni Battista. Lui, che pur aveva riconosciuto in Gesù il Messia, ora comincia a dubitarne. Perché? Giovanni Battista era l’erede di una spiritualità, di una tradizione, di una religiosità, che sperava in un popolo di giusti, come aveva profetato il profeta Isaia: il tuo popolo sarà tutto di giusti.
E rimane sconcertato dal comportamento di Gesù che afferma di non essere venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori. Lui aveva presentato un messia che avrebbe castigato peccatori e miscredenti e sente dire che Gesù non annunzia il castigo di Dio, ma l’amore di Dio proprio per queste categorie.
Allora Giovanni è in crisi e gli manda un ultimatum che ha tutto il sapore di una scomunica. “Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettarne un altro?” Gesù nella sua risposta elenca le azioni del messia così come erano descritte nel libro del profeta Isaia, e sono sei azioni, corrispondenti ai sei giorni della creazione, coi quali si comunica vita ai chi vita non ce l’ha.
“I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunziata la Buona Notizia”, ma Gesù censura l’ultima delle azioni del messia, la vendetta contro i pagani, la vendetta contro i dominatori.
Gesù non parla di vendette, ma parla soltanto di amore di Dio. Gesù non presenta il castigo di Dio, ma presenta una via di Dio, quella dell’amore, per far crescere tutte le persone. E c’è un monito di Gesù, che è attuale più che mai, “E beato colui che non trova in me motivo di scandalo!”
Cosa significa questo? Le persone del tempo tremavano naturalmente all’immagine del Dio presentato da Giovanni Battista, un Dio che punisce, un Dio che castiga, un Dio che si offende. Però era il Dio che loro conoscevano, per cui tremavano, ne avevano paura, ma non si scandalizzavano. Al contrario si scandalizzano del Dio di Gesù.
Le stesse persone che non si scandalizzavano sentendo parlare di un Dio terribile nelle sue vendette e nei suoi castighi, sono proprio quelle che si scandalizzano sentendo l’annunzio di Gesù di un Dio che ama tutti quanti indipendentemente dalla loro condotta e dal loro comportamento. Questo alle persone pie, alle persone religiose, di oggi come allora, porta sempre sconcerto. E’ intollerabile, inaccettabile, che Dio il suo amore lo riversi sugli uomini indipendentemente dai loro meriti o dal loro comportamento.
Bene, una volta che i discepoli di Giovanni se ne sono andati, Gesù elogia Giovanni di fronte alle folle. E lo fa con due paragoni importanti. Dice: “Cosa siete andati a vedere nel deserto?” Si tratta di Giovanni. “Una canna sbattuta dal vento?”, cioè un opportunista che si china ad ogni vento di potere, che si mette al servizio di ogni potente.
“Cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che vestono abiti di lusso stanno nei palazzi del re”. Allora Gesù sta mettendo in guardia i suoi ascoltatori, Giovanni è l’inviato di Dio, ma gli inviati non possono essere degli opportunisti, sempre a galla con il potente di turno. Gli inviati di Dio non possono essere cortigiani, vivere al palazzo, mangiare alla mensa del potente, ma devono essere coloro che denunciano le nefandezze del potente.
E poi Gesù conclude dicendo che: “Fra i nati di donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel Regno dei cieli è più grande di lui”.
Cosa vuol dire Gesù con questa espressione? Come Mosè non è potuto entrare nella terra promessa pur avendo guidato il popolo, così Giovanni Battista ha annunziato il regno di Dio, ma non c’è potuto entrare perché è stato ucciso. Ecco qui la grandezza di Giovanni Battista, però quelli del Regno saranno ben più grandi di Giovanni, inviato di Dio.

 

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CURARE FERITE

commento di p. Pagola al brano evangelico di Mt 11, 2-11 della odierna domenica:

L’attuazione di Gesù lasciò sconcertato il Battista. Egli aspettava un Messia che avrebbe estirpato dal mondo il peccato imponendo il giudizio rigoroso di Dio, non un Messia affezionato a curare ferite ed alleviare sofferenze.

Dalla prigione di Maqueronte invia un messaggio a Gesù: “Sei tu quello che deve venire o dobbiamo sperare in un’altro?.” Gesù gli risponde con la sua vita di profeta curatore: “Raccontate a Giovanni quello che state vedendo e sentendo: i ciechi vedono e gli zoppi camminano; i lebbrosi guariscono ed i sordi sentono; i morti resuscitano ed ai poveri è annunciato loro la Buona Notizia”. Questo è il vero Messia: quello che viene ad alleviare la sofferenza, curare la vita ed aprire un orizzonte di speranza nei poveri.

Gesù si sente inviato da un Padre misericordioso che vuole per tutti un mondo più degno e felice. Per questo motivo, Lui si dedica a curare ferite, guarire dalle indisposizioni e liberare la vita. E Perciò chiede a tutti: “Siate compassionevoli come lo è vostro Padre.”
Gesù non si sente inviato da un Giudice rigoroso per giudicare i peccatori e condannare il mondo. Per questo motivo, egli non spaventa nessuno con gesti da giustiziere, ma offre ai peccatori e alle prostitute la sua amicizia ed il suo perdono. E quindi chiede a tutti: “Non giudicate e non sarete giudicati.”
Gesù non cura mai in maniera arbitraria o per puro sensazionalismo. Egli è mosso dalla compassione, e cerca di restaurare la vita di quelle genti malate, abbattute e distrutte. Queste persone sono le prime che devono sperimentare che Dio è amico di una vita degna e per questi motivi egli guarisce.
Gesù non insisté mai nel carattere prodigioso delle sue cure né pensò ad esse come ricetta facile per sopprimere quella sofferenza nel mondo. Presentò la sua attività curatrice come testimonianza per dimostrare ai suoi seguaci in che direzione bisogna agire per fare strade a quel progetto umanizzatore del Padre che egli stesso chiamava “regno di Dio.”
Il Papa Francesco afferma che “curare ferite” è un compito urgente: “Vedo con chiarezza che quello che la Chiesa necessita oggi è una capacità di curare ferite e dare calore, vicinanza e prossimità ai cuori…. Questa è in primo luogo la cosa: curare ferite, curare ferite”. Egli poi ci dice di “farsi carico delle persone, accompagnandole come il buon samaritano che lava, pulisce e consola”. Parla anche di “camminare con le persone nella notte, saper dialogare e perfino discendere nella loro notte e nella loro oscurità senza perdersi.
Confidando la sua missione ai discepoli, Gesù non li immagina come dottori, gerarchi, liturgisti o teologi, bensì come curatori. Il loro compito sarà doppio: annunciare che il regno di Dio è vicino e curare malati.
Per questo motivo tu aiuta a curare ferite.

José Antonio Pagola

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