p. Maggi commenta il vangelo della prima domenica d’avvento

p. Maggi

 

“VEGLIATE PER ESSERE PRONTI AL SUO ARRIVO”

Commento al Vangelo

di p.Alberto Maggi 

1 dicembre 2013

Mt 24,37-44

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Come furono i giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo. Infatti,
come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano
moglie e prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca, e non si
accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse tutti: così sarà anche la
venuta del Figlio dell’uomo. Allora due uomini saranno nel campo: uno verrà
portato via e l’altro lasciato. Due donne macineranno alla mola: una verrà portata
via e l’altra lasciata.
Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà.
Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte
viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. Perciò anche
voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio
dell’uomo».

 

Per cercare di comprendere il brano del vangelo che la liturgia ci presenta in questa prima domenica di Avvento, dobbiamo inserirlo nel contesto, quindi andare indietro di qualche versetto. Allora iniziamo dal versetto 33 del capitolo 24 del vangelo di Matteo.
Scrive l’evangelista: “Così anche voi”, dice Gesù, “quando vedrete tutte queste cose sappiate che egli è vicino alle porte”
Gesù ha annunziato la distruzione di Gerusalemme e, con la distruzione di del tempio di Gerusalemme, sede dell’istituzione religiosa giudaica, inizia il tempo in cui il Regno di Dio cessa di essere appannaggio esclusivo del popolo  di Israele, ma viene esteso a tutta l’umanità. Quindi Gesù non vede come una sventura, ma come l’eliminazione di quello che era un impedimento per il disegno di Dio sopra tutti i popoli.
Dio non può essere accaparrato da qualcuno, da una nazione, da una religione. L’amore di Dio è universale, quindi la fine del Regno di Israele, per Gesù, coincide con l’inizio del Regno di Dio. E Gesù aveva assicurato: “In verità vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto 1
questo accada”, infatti la generazione alla quale Gesù si rivolge assisterà nell’anno 70 all’invasione da parte dei romani e la distruzione del tempio di Gerusalemme. E Gesù assicura: “Il cielo e la terra”, un modo per dire tutto quanto, “passeranno, ma le mie parole non passeranno”.
Allora Gesù garantisce che quello che aveva detto alla fine del discorso della montagna, assicurando che affinché non passassero il cielo e la terra, non passera dalla legge neppure uno iota, un segno, senza che tutto sia compiuto, e indicava che le promesse riguardanti il Regno di Dio si sarebbero sicuramente compiute.
E, a questo punto, Gesù afferma: “Quanto a quel giorno e a quell’ora”, e qui sta parlando della fine individuale, non dell’ora di Gerusalemme, “nessuno lo sa, neanche gli angeli del cielo e neppure il Figlio, ma solo il Padre”.
Per ogni generazione che passa c’è una fine del tempo, ma questo lo sa soltanto il Padre. E qui Gesù inserisce l’esempio dei tempi di Noè, non per un rimprovero ai contemporanei di Gesù, quando dice: “Come furono i giorni di Noè così sarà la venuta del Figlio dell’uomo. Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano  moglie e prendevano marito …”, Gesù non sta rimproverando di questi atteggiamenti, ma vuole dire che, tutti presi dalla ordinarietà della vita, non si sono accorti di quello che stava per accadere.
Quindi le azioni della normalità, della routine quotidiana, rischiano di non far accorgere della straordinarietà di quello che sta accadendo. Allora dice Gesù: “Due uomini saranno nel campo: uno sarà …”, il verbo usato qui significa “accogliere”, come quando l’angelo dice a Giuseppe di non temere di accogliere Maria come sua sposa. Quindi uno “sarà accolto”, per dargli salvezza, “e l’altro lasciato”, e così anche le donne.
Cosa vuol dire Gesù? L’arca costruita da Noè non ha accolto tutti, ma solo chi si è accorto del disastro incombente. Ugualmente il Regno di Dio è una proposta di salvezza per tutti, ma non è di tutti perché entrare nel Regno è frutto di una libera scelta a favore della beatitudine della povertà. Gesù aveva detto in questo vangelo: “Beati i poveri per lo Spirito perché di questi è il Regno dei Cieli”.
Quanti la scelgono vengono accolti, e quanti non la scelgono invece vengono lasciati. E Gesù continua dicendo: “Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà”. Questo invito alla vigilanza verrà poi ripetuto tra poco nel momento drammatico del Getsemani. La venuta del Signore viene quindi associata alla vigilanza e indica che questo è il momento della persecuzione, dell’uccisione dei suoi.
Per questo Gesù alle Beatitudini, alla prima beatitudine, quella che permette al realizzazione del Regno di Dio, aveva associato l’ultima beatitudine, la persecuzione che si scatena. Allora Gesù invita a non rimanere impreparati di fronte a questo. E dice: “Questo invece considerate. Se il padrone di casa sapesse in quale ora della notte viene il ladro veglierebbe e non si lascerebbe perforare la casa. Perciò anche voi state pronti perché nell’ora che non immaginate viene il Figlio dell’uomo”.
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Il seguace di Gesù sa che in quanto costruttore di pace per gli altri, la propria pace è sempre precaria e, in ogni momento si può scatenare improvvisa la persecuzione, che sarà tanto più violenta quanto inaspettata è la sua provenienza. Gesù aveva detto che il fratello consegnerà a morte il fratello, il padre il proprio figlio.
Quindi l’invito di Gesù è un invito a rinnovare la scelta per il Regno di Dio, tenendo presente che questa scelta comporta la persecuzione, ma con l’assicurazione che il Dio di Gesù, il Padre, sta sempre a fianco dei perseguitati e mai di chi perseguita.

p. Maggi e p. Pagola commentano il vangelo della domenica

 

rosellina

 

domenica 24 novembre  2013  XXXIV TEMPO ORDINARIO 

propongo due riflessioni-commento del vangelo , la prima di p. Maggi e la seconda di p. Pagola:

Lc 23,35-43

In quel tempo, [dopo che ebbero crocifisso Gesù,] il popolo stava a vedere; i capi invece deridevano Gesù dicendo: «Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto».                                             Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell’aceto e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». Sopra di lui c’era anche una scritta: «Costui è il re dei Giudei».
Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!». L’altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male».
E disse: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». Gli rispose: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso».

SIGNORE RICORDATI DI ME QUANDO ENTRERAI NEL TUO REGNO 

Commento al Vangelo di p. Alberto Maggi 

Non esistono situazioni impossibili, casi irrimediabili. Anche per quelle vicende umane che sembrano le più disperate c’è più che una speranza, c’è la certezza dell’amore di quel Dio che, come scrive Paolo nella lettera ai Romani, ha rinchiuso tutti nella disobbedienza per essere misericordioso verso tutti.
Dal paradiso, secondo il Libro della Genesi, era stato cacciato via l’uomo peccatore, quindi l’immagine di un Dio che punisce, che castiga i peccatori. Ebbene nel vangelo di Luca la prima persona che entrerà in paradiso con Gesù sarà proprio un’anonima canaglia, un bandito, e, dal quel momento, le porte del paradiso, cioè della salvezza, resteranno aperte per tutti quelli che riconoscono Gesù come re, cioè come colui che si prende cura di loro, qualunque sia il loro passato, anche per quelli dell’ultimo minuto.
Perché? Gesù, come ha affermato lui stesso, è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto. E questo l’evangelista Luca lo dimostra dall’inizio alla fine del suo vangelo. All’inizio, 1
quando i pastori che erano considerati peccatori, che temevano la punizione e il castigo di Dio, vengono circondati non dall’ira di Dio che li incenerisce, ma dalla gloria di Dio, dalla luce di Dio, e sentono il coro angelico annunziare: “Pace in terra agli uomini che egli ama”, l’amore di Dio è per tutta l’umanità. Fino alle ultime pagine del vangelo dove Gesù assicura a un bandito crocifisso con lui che sarebbe entrato in paradiso senza chiedergli di fare un minimo di penitenza, senza chiedere se era pentito, senza dirgli di soggiornare per un po’ in purgatorio, Gesù gli dice: “Oggi sarai con me in paradiso”.
La chiesa primitiva si trovò a disagio con questi episodi di questo amore incondizionato perché contrastava con il suo rigore. Allora si è provveduto in parte ad annacquarlo. Pertanto l’annunzio angelico ai pastori “Pace in terra agli uomini che egli ama”, quindi un amore incondizionato a tutti, venne trasformato. “E pace in terra agli uomini di buona volontà”. La categoria del dono espressa dall’evangelista era subito stata trasformata nella categoria del merito, quel merito che Gesù è venuto a eliminare.
La buona notizia è questa: Gesù presenta un Padre che è benevolo verso gli ingrati e i malvagi, il cui amore si da non per i meriti degli uomini, ma per i loro bisogni, non per le loro virtù, ma per le loro necessità, ma questo era intollerabile per la chiesa primitiva, pertanto l’espressione “E pace in terra agli uomini che egli ama” venne trasformata in “pace in terra agli uomini di buona volontà”, quelli che lo meritano.
E anche l’episodio finale, cioè che Gesù abbia assicurato a questo delinquente un posto in paradiso, non andava giù. Allora si è cercato di annacquare un po’ questa immagine per cui venne creata la figura del buon ladrone, ma nulla in questo brano parla della bontà di questa canaglia. Venne inventato, creato un nome, Disma, creato santo, San Disma, e trovato perfino il giorno in cui celebrarlo, il 25 marzo, festa di San Disma, protettore dei ladri – almeno si spera pentiti – dei moribondi e dei becchini.
Ma vediamo questa pagina stupenda di Luca dove l’evangelista non descrive il fallimento di Gesù, quest’uomo inchiodato su una croce, ma il trionfo dell’amore. Gesù ha tutti contro. Ha contro il popolo, ha contro i capi, ha contro i soldati e ha contro anche uno dei malfattori crocifissi con lui. E quello che accomuna tutti questi personaggi è il rinnovo delle tentazioni del diavolo nel deserto.
Il diavolo nel deserto aveva detto a Gesù: “Se tu sei il Figlio di Dio, usa le tue capacità a tuo vantaggio”. Gesù aveva seccamente rifiutato, e il diavolo aveva detto che sarebbe ritornato al momento opportuno, al momento propizio. Eccolo. Gesù è debole, crocifisso, e ha tutti contro. Ha contro il popolo, ha contro i capi, che addirittura lo deridono, ha contro i soldati che lo disprezzano, ha contro anche uno dei malfattori e tutti quanti dicono: “Salva te stesso”.
Non hanno compreso che Gesù non è venuto a salvare se stesso, ma a salvare gli altri. In tutto questo la persona considerata la più lontana da Dio, un peccatore, un bandito, un delinquente, crocifisso con lui, si rivolge a Gesù– con una fede indubbiamente spudorata – “Gesù ricordati di me quando entrerai nel tuo regno”.
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Quindi la persona che è ritenuta la più lontana da Dio, esclusa da Dio, la persona che doveva essere punita, castigata da Dio, vede in Gesù una speranza anche per lui. Ma non osa più di tanto, chiede soltanto di essere ricordato. Ma Gesù va al di là delle aspettative, dei desideri e delle speranze degli uomini e concede molto di più. E Gesù gli risponde: “In verità io ti dico: ‘oggi con me sarai in paradiso’”
Gesù non ricorda questo delinquente quando sarà nel suo regno, ma gli garantisce che nello stesso giorno sarà con lui in paradiso. E’ l’unica volta che in bocca a Gesù si trova questo termine “paradiso”. Quando deve parlare della vita eterna usa altri termini; l’unica volta è per contrastare la teologia espressa nel Libro del Genesi dove Dio castiga l’uomo peccatore e lo caccia dal paradiso. Con Gesù avviene tutto il contrario: il peccatore proprio entra con lui in paradiso.
Perché? Perché la teologia di Luca, l’espressione della buona notizia di Gesù: Dio non guarda i meriti delle persone, ma guarda i loro bisogni, non le loro virtù, ma le loro necessità. Gesù è venuto a cercare e salvare chi era perduto. Pertanto non esistono casi impossibili, casi disperati, ma la salvezza è per tutti quelli che riconoscono Gesù come il loro liberatore e come il loro re.

margheritissime

 

 

RICORDATI DI ME

commento al vangelo di p. Pagola
Secondo il racconto di Luca, Gesù è agonizzante in mezzo agli scherzi e ai disprezzi di quelli che lo circondano. Nessuno sembra aver compreso la sua vita. Nessuno sembra aver captato il suo sacrificio e la sua sofferenza, né il suo perdono verso i colpevoli. Nessuno ha visto   nel suo volto lo sguardo compassionevole di Dio. Nessuno sembra ora intuire in quella morte alcun m…istero.   Le autorità religiose si prendono gioco di lui con gesti spregevoli: ha preteso di salvare gli altri; che salvi ora se stesso. Se è il Messia di Dio, il suo “Eletto”, verrà Dio in sua difesa.   Anche i soldati si aggiungono allo scherno. Essi non credono in nessun Inviato di Dio. Ridono dell’insegna che Pilato ha fatto collocare sulla croce: “Questo è il re degli ebrei”. È assurdo che qualcuno possa regnare senza potere. Che dimostri la sua forza salvando sé stesso.   Gesù rimane silenzioso, ma non scende dalla croce. Che cosa faremmo noi se l’Inviato di Dio cercasse la sua propria salvezza scappando da quella croce che lo unisce per sempre a tutti i crocifissi della storia? Come potremmo credere in un Dio che ci abbandona per sempre lasciandoci alla mercé della nostra fortuna?   All’improvviso, in mezzo a tanti scherzi e a tanti disprezzi, si sente una sorprendente invocazione: “Gesù, ricordati di me quando arriverai nel  tuo regno”. non è un discepolo né un seguace di Gesù. È uno dei due delinquenti crocifissi insieme a lui. Luca lo propone come un esempio ammirabile di fede nel Crocifisso. Quest’uomo, sul punto di morire giustiziato, sa che Gesù è un uomo innocente che ha fatto solamente del bene a tutti. Intuisce nella sua vita un mistero che gli è sfuggito, ma è convinto che Gesù non è sconfitto dalla morte. Dal suo cuore nasce una supplica. Solo chiede a Gesù che non lo dimentichi: ma il Messia qualcosa potrà fare per lui. Gesù gli risponde immediatamente: “Oggi sarai con me nel paradiso”. Ora i due sono uniti nell’angoscia e nell’impotenza, ma Gesù lo accoglie come compagno inseparabile. Morranno crocifissi, ma entreranno insieme nel mistero di Dio.   In mezzo alla società miscredente dei nostri giorni, non pochi vivono sconcertati. Non sanno se credono o non credono. Quasi senza saperlo, portano nel loro cuore una fede piccola e fragile. A volte, senza sapere perché né come, spossati per il peso della vita, invocano Gesù alla loro maniera. “Gesù, ricordati di me” e Gesù li ascolta: “Tu sarai sempre con me”. Dio ha le sue strade per ritrovarsi con ogni persona e queste strade non sempre passano per dove indicano i teologi. La cosa importante è   avere un cuore che ascolta la propria coscienza. “Gesù, ricordati di me”.

commento di p. Maggi al vangelo della domenica

p. Maggi

 

XXXIII domenica del tempo ordinario

17 novembre  2013

CON LA VOSTRA PERSEVERANZA SALVERETE LA VOSTRA VITA

Commento al Vangelo di p. Alberto Maggi
Lc 21,5-19

In quel tempo, mentre alcuni parlavano del tempio, che era ornato di belle pietre e di doni votivi, Gesù disse: «Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta».
Gli domandarono: «Maestro, quando dunque accadranno queste cose e quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere?». Rispose: «Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome dicendo: “Sono io”, e: “Il tempo è vicino”. Non andate dietro a loro! Quando sentirete di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché prima devono avvenire queste cose, ma non è subito la fine».
Poi diceva loro: «Si solleverà nazione contro nazione e regno contro regno, e vi saranno in diversi luoghi terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandiosi dal cielo.
Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e governatori, a causa del mio nome. Avrete allora occasione di dare testimonianza. Mettetevi dunque in mente di non preparare prima la vostra difesa; io vi darò parola e sapienza, cosicché tutti i vostri avversari non potranno resistere né controbattere.
Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e uccideranno alcuni di voi; sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto. Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita».

La liturgia di questa domenica ci presenta che vuole essere di grande incoraggiamento per le comunità cristiane che sono sottoposte a degli attacchi esterni da parte della religione, dei governanti, ma anche interni da parte dei propri familiari. Allora le parole di Gesù non vogliono mettere paura, ma  toglierla, non vogliono scoraggiare i credenti, ma incoraggiarli.
Il brano prende l’avvio dall’ammirazione che i discepoli, che ancora non hanno capito la novità portata da Gesù, hanno del tempio. L’evangelista scrive: Mentre alcuni, si riferisce ai discepoli, parlavano del tempio, che era ornato di belle pietre e di doni votivi. Ebbene Gesù aveva dichiarato il tempio una spelonca di ladri un tempio dove Dio era diventato una sanguisuga, che anziché comunicare la vita ai suoi fedeli gliela toglieva, come nell’episodio che precede questo brano, quello della vedova, che poverina si dissanguava per mantenere in vita il Dio che la sfruttava.
Dio, nell’Antico Testamento, nella Legge, aveva previsto che con i proventi del tempio bisognasse mantenere proprio le categorie più deboli, rappresentate dalla vedova. Ebbene l’istituzione religiosa aveva deturpato il volto di Dio e non solo con i proventi del tempio non si mantenevano le vedove, ma erano le vedove, quindi la parte più debole della società, che dovevano dissanguarsi per mantenere in vita questo Dio vampiro.
Gesù non tollera tutto questo e allora all’ammirazione dei discepoli Gesù risponde: “Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta”.
Questo è il primo dei grandi cambiamenti che avverrà nella storia. Ogni istituzione religiosa e civile che si oppone al bene dell’uomo, che sfrutta l’uomo, che umilia l’uomo, Gesù ci assicura – ed è questa la grande speranza, la grande certezza dei credenti – cadrà, anche se sembra una cosa impossibile, come il tempio di Gerusalemme, una delle meraviglie del mondo, uno splendore come ammirano questi discepoli, tutto cadrà.
Non c’è sistema di potere economico, politico, religioso che sfrutti l’uomo, lo schiacci, lo umili e non vedrà la fine. E Gesù quindi ha parole di incoraggiamento verso i suoi, verso la comunità cristiana, avvertendo però che tutto questo non sarà indolore, perché questa società si rivolterà contro i discepoli di Gesù che annunziano un mondo nuovo.
Gesù, e qui delude i suoi discepoli, non è venuto a restaurare il defunto regno di Israele, con la sua idea di grandezza, ma è venuto ad inaugurare il Regno di Dio, una nuova società alternativa e i principali nemici di questo regno saranno quei tre pilastri sacri di ogni società, pilastri che si reggono su valori considerati talmente sacri per la difesa dei quali si può dare la propria vita o si può togliere la vita all’altro, e sono Dio, Patria e Famiglia; sistemi di potere basati sull’obbedienza.
A Dio l’obbedienza del credente, attraverso i rappresentanti religiosi, il cittadino che deve obbedienza ai governatori e la famiglia dove la moglie deve obbedire al marito e il figlio al padre.
Ebbene saranno proprio questi tre ambiti che si rivolteranno contro Gesù e contro i suoi discepoli perché Gesù ha presentato un Dio diverso, un Dio che non comanda, ma che serve, un Dio soprattutto che non chiede obbedienza, ma somiglianza al suo amore.
Allora questi tre ambiti dominati dal potere e dall’obbedienza si rivolteranno contro i discepoli di Gesù che, con il loro annunzio di una società diversa, un modello di vita completamente differente, metteranno in crisi proprio le basi, le radici di questa società autoritaria. Ecco perché Gesù dice che “saranno portati di fronte alle sinagoghe, di fronte ai governanti, ma addirittura all’interno della famiglia ci sarà un odio mortale che farà sì che tra congiunti, appartenenti alla stessa famiglia, ci si ammazzerà”.
Perché? Perché l’adesione a Gesù verrà considerata un crimine talmente grave da annullare perfino i legami di sangue. Ma Gesù assicura: “Nonostante queste sofferenze, nonostante queste inevitabili tribolazioni, persecuzioni, siete i vincitori.” E conclude: “Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita”.
E Gesù assicura che neanche un capello, la parte più piccola della persona, andrà perduto.
Quindi chi collabora al messaggio di Gesù, all’inaugurazione del Regno di Dio, è già vincitore contro queste forze che sembrano preponderanti, contro queste forze che schiacciano, questi poteri che sembrano indistruttibili, Gesù ci assicura: “Lavorate per il Regno e uno dopo l’altro, cominciando dal tempio di Gerusalemme, tutte queste istituzioni si dissolveranno nel nulla”.
Il brano dell’evangelista continua poi con il versetto 28 in cui conferma che è un’immagine di speranza, di salvezza e non di paura. Gesù annunzia: “Quando cominceranno ad accadere queste cose, alzatevi e levate il capo perché la vostra liberazione è vicina”. Quindi non catastrofi che mettono paura al gruppo di discepoli, ma l’annunzio di una grande verità: tutto quello che domina, che opprime e umilia l’uomo, man mano nella storia cadrà.
Questo comporterà inevitabili sofferenze ai componenti della comunità cristiana, ma questo non li deve scoraggiare perché sono già i vincitori.

p. Maggi commente il vangelo della domenica

 

p. Maggi

“Dio non è dei morti ma dei viventi”

 Commento al Vangelo di p. Alberto Maggi

domenica 10 novembre  2013 (32a del tempo ordinario)
Lc 20,27-38

In quel tempo, si avvicinarono a Gesù alcuni sadducèi – i quali dicono che non c’è risurrezione – e gli posero questa domanda: «Maestro, Mosè ci ha prescritto: “Se muore il fratello di qualcuno che ha moglie, ma è senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello”. C’erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli. Allora la prese il secondo e poi il terzo e così tutti e sette morirono senza lasciare figli. Da ultimo morì anche la donna. La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie».
Gesù rispose loro: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio. Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: “Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe”. Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui».

I sadducei hanno congegnato bene la trappola in cui far cadere Gesù. Non osano affrontarlo sul piano dottrinale e politico perché sanno che potrebbero avere la peggio. Gesù infatti ha già zittito con le sue risposte i sommi sacerdoti, gli scribi, gli anziani, ed è riuscito a lasciare senza parole anche i pur agguerriti farisei.
Scrive l’evangelista che “Costoro”, i farisei, “meravigliati della sua risposta, tacquero”. D’altro canto Gesù non possono eliminarlo perché Gesù ha un gran seguito tra la gente, ne farebbero un martire. E così i sadducei decidono di attirarlo in un terreno scivoloso da dove, una volta caduto, l’aspirante messia avrebbe avuto difficoltà a rialzarsi, il ridicolo e il discredito.
L’aristocratica casta sacerdotale dei sadducei, il cui nome deriva da sadoc, il sacerdote che consacrò come re Salomone, il figlio dell’amante di Davide e Betsabea, al posto del legittimo re 1
Adonia. Questa casta sacerdotale dei sadducei deteneva non soltanto il potere politico, ma anche il potere economico, erano molto ricchi.
Loro accettavano come parola di Dio soltanto i primi cinque libri della Bibbia e rifiutavano i libri dei profeti. Per quale motivo? Perché nei profeti è costante la denuncia di Dio contro l’ingiustizia che crea grandi ricchezze, ma anche tanta povertà. Quindi loro lo rifiutavano perché per loro andava bene la situazione così com’era.
Si rivolgono a Gesù con un titolo ossequioso, Maestro, ma in realtà non vanno a prendere da lui, vogliono soltanto screditarlo. E si rifanno a una questione che ha le sue basi nella legge di Mosè, nel libro del Levitico, dove Mosè prescrive: Se muore il fratello di qualcuno che ha moglie, ma è senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello.
Qual è il significato di questa legge? La legge del levirato prevedeva che il cognato di una donna rimasta vedova e senza figli avesse l’obbligo di metterla incinta, perché era importante che il nome del marito continuasse. Era una maniera per diventare eterni, per perpetuare il proprio nome; ogni figlio portava il nome del padre.
Quindi quando una donna rimaneva vedova e, senza aver avuto un figlio maschio, il cognato aveva l’obbligo di metterla incinta e il bambino nato avrebbe portato il nome del defunto. La legge prescrive: In modo da assicurargli la perpetuità, come c’è scritto nel libro del Deuteronomio: Perché il nome di questi non si estingua da Israele.
Secondo la cultura dell’epoca – e questo va compreso per una migliore comprensione del brano – il matrimonio aveva il solo scopo di assicurare una discendenza all’uomo, la donna serviva unicamente per mettere al mondo figli, figli maschi.
Quindi qui non si tratta di uno scrupolo sull’amore, ma su una realtà del figlio maschio. Allora, ispirandosi alla popolare storia di Sara, la sfortunata sposa alla quale morirono ben sette mariti la sera stessa delle nozze, i sadducei spacciano – come se fosse vera – la macabra vicenda di questi sette fratelli tutti morti senza essere riusciti ad avere un figlio da quella che è stata la moglie di tutti e sette.
Della donna ai sadducei non interessa nulla, non desiderano conoscere la sorte della donna, desiderano solo sapere a quale dei defunti, una volta risuscitati, spetterà poi averla per immortalare con un figlio maschio il proprio nome. Quindi non si tratta di un problema affettivo (di chi sarà la moglie?), ma chi da questa donna riuscirà ad avere un figlio maschio.
Quindi i sadducei cercano di ridicolizzare Gesù e di burlarsi di lui. Ebbene nella sua risposta Gesù si distanzia dall’interpretazione popolare della risurrezione, intesa come un ritorno alla vita fisica dei morti, e Gesù risponde che la vita dei risorti non dipende dalla procreazione, dal rapporto tra marito e moglie, ma proviene direttamente dalla potenza di Dio.
E Gesù cita gli angeli? Perché Gesù cita gli angeli? Perché i sadducei non credevano all’esistenza degli angeli. Come gli angeli ricevono la vita non certo dal padre e dalla madre, ma direttamente da Dio, così con la risurrezione la vita rimane eterna perché proviene da Dio.
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Ai sadducei, che si sono fatti forza dell’autorità di Mosè per opporsi a Gesù, Gesù ribatte a sua volta, riconducendosi proprio a Mosè, a quello che ha scritto, mostrando quanto sia miope e limitata la loro lettura della scrittura e si rifà alla risposta che Dio diede a Mosè nel famoso episodio del roveto ardente, quando disse: “Il Signore è il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe”.
Quando si dice che il Signore è il Dio di … non si intende tanto il Dio creduto da … Abramo, Isacco o Giacobbe, ma il Dio che protegge Abramo, Isacco e Giacobbe. E come protegge? Protegge con la sua vita, tenendoli lontani dalla morte.
Quindi essere sotto la protezione di Dio significa avere la sua stessa vita e il Dio fedele non permette che muoiano quelli che lui ha amato. E il perché ce lo dice la frase più importante di tutto questo brano, che getta nuova luce sull’immagine della vita, della morte e delle risurrezione, “Dio non è il Dio dei morti, ma dei viventi, perché vivono tutti per lui”.
Il Dio di Gesù non risuscita i morti, ma comunica ai vivi, ai viventi, la sua stessa vita, una vita di una qualità tale che è capace di superare la morte.

p. Maggi commenta il vangelo della domenica

p. Maggi

 

p. Maggi ci aiuta alla migliore comprensione del vangelo della domenica 3 novembre, 31a del tempo ordinario:

IL FIGLIO DELL’UOMO ERA VENUTO A CERCARE E A SALVARE CIO’ CHE ERA PERDUTO 

Lc 19,1-10

In quel tempo, Gesù entrò nella città di Gèrico e la stava attraversando, quand’ecco un uomo, di nome Zacchèo, capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere chi era Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, perché era piccolo di statura. Allora corse avanti e, per riuscire a vederlo, salì su un sicomòro, perché doveva passare di là.
Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: «Zacchèo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua». Scese in fretta e lo accolse pieno di gioia. Vedendo ciò, tutti mormoravano: «È entrato in casa di un peccatore!».
Ma Zacchèo, alzatosi, disse al Signore: «Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto». Gesù gli rispose: «Oggi per questa casa è venuta la salvezza, perché anch’egli è figlio di Abramo. Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto».
Poco prima del vangelo di questa domenica, Luca racconta l’episodio dell’uomo ricco, lo definisce un notabile, un capo, che si avvicinò a Gesù per chiedergli che doveva fare per entrare nella vita eterna. Gesù gli rispose ricordandogli i comandamenti che si riferivano al comportamento nei confronti del prossimo, e, considerato che costui aveva tutto osservato fin dalla sua giovinezza – per cui la vita eterna era già assicurata – Gesù lo invitò a preoccuparsi di questo mondo e di questa vita, seguendolo, vendendo tutto quello che aveva per darlo ai poveri.
Quell’uomo era un perfetto osservante della legge, come del resto corrispondeva all’essere notabile, un capo, ma non accetta l’invito di Gesù. Il suo interesse si centrava sulla vita eterna, sull’aldilà, mentre Gesù lo voleva invitare a collaborare alla trasformazione di questa vita, contribuendo alla felicità di tutti gli uomini.
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Ma il notabile, come del resto tutti i ricchi, desidera che niente cambi, per  mantenere la sua posizione di privilegio e di prestigio. Fu in quell’occasione che Gesù disse che la ricchezza era un ostacolo praticamente insormontabile per entrare nel Regno di Dio; la famosa frase di Gesù “E’ più facile infatti per un cammello passare per la cruna di un ago, che per un ricco entrare nel Regno di Dio”.
Ebbene, nel vangelo di questa domenica, invece, Zaccheo, anche lui è ricco. In quanto pubblicano non poteva certo vantarsi dicendo di aver osservato tutti i comandamenti dalla sua gioventù. Come lui stesso riconosce era un ladro che aveva estorto il denaro alla gente.
Zaccheo non è interessato alla vita eterna e Gesù non gli chiede di vendere quello che ha per darlo ai poveri e seguirlo. E’ lui, è Zaccheo che lo decide.
Accoglie Gesù nella sua casa, nella sua vita, e tutto cambia.
Da ricco si ritrova povero; dice: “Do la metà di quello che possiedo ai poveri e se ho rubato a qualcuno restituisco quattro volte tanto”, quindi lui che era ricco si ritrova a non esserlo più, ma finalmente è felice.
Scrive l’evangelista che fa tutto questo pieno di gioia. Il pubblicano ha rotto con l’ingiustizia che scandiva con la sua vita. E Gesù proclama: “Oggi”, quindi non è una promessa per il futuro, “per questa casa è venuta la salvezza”.

L’affermazione di Gesù è importante perché noi tendiamo sempre a proiettare la salvezza di cui Gesù parla nell’aldilà. La salvezza è già presente, una salvezza che si riferisce a questa vita, non all’aldilà, una salvezza che però agli occhi dei ricchi del mondo è una rovina.
Il notabile, alle parole di Gesù, l’evangelista scrive che divenne Assai triste perché era molto ricco. Il ricco notabile era interessato all’aldilà, proiettava la sua salvezza in un mondo futuro; Zaccheo, che ha rotto con l’ingiustizia, ha sperimentato la salvezza in questo mondo, nella sua vita terrena. La salvezza per Gesù non è garantirsi un posto nell’aldilà, anche il notabile ce l’aveva assicurato con l’osservanza dei comandamenti, ma liberarsi da tutto quello che impedisce in questa vita di essere pienamente liberi per collaborare con il Cristo alla realizzazione del Regno di Dio.
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p. Maggi commenta il vangelo della domenica

croce
DIO FARA’ GIUSTIZIA AI SUOI ELETTI CHE GRIDANO VERSO DI LUI 

Commento al Vangelo di p. Alberto Maggi OSM

XXIX domenica del tempo ordinario (20 ottobre 2013)
Lc 18,1-8

In quel tempo, Gesù diceva ai suoi discepoli una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai:
«In una città viveva un giudice, che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno. In quella città c’era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: “Fammi giustizia contro il mio avversario”.
Per un po’ di tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: “Anche se non temo Dio e non ho riguardo per alcuno, dato che questa vedova mi dà tanto fastidio, le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi”».
E il Signore soggiunse: «Ascoltate ciò che dice il giudice disonesto. E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? Io vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?».
Il versetto iniziale di questo brano, Luca capitolo 18, i primi otto versetti, riferisce che Gesù diceva loro una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai. Ebbene questo versetto può ingannare e sviare l’attenzione del lettore: non si tratta dell’insegnamento sulla preghiera – o sulla preghiera insistente – tema che Gesù ha già trattato – ma sulla realizzazione del Regno di Dio.
L’insegnamento di Gesù sulla preghiera, al capitolo 12 di questo vangelo è molto chiaro. E’ l’invito a non preoccuparsi, come fanno i pagani, ma ad essere sempre pienamente fiduciosi nell’azione d’amore del Padre. Gesù aveva detto: “E voi non state a domandarvi che cosa mangerete e berrete, e non state in ansia. Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani di questo mondo, ma il Padre vostro sa che ne avete bisogno”.
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Quindi non c’è neanche da chiedere al Signore perché il Signore non viene incontro ai nostri bisogni, ma li precede addirittura. Ma quello che Gesù ha a cuore è “Cercate piuttosto il suo Regno e queste cose vi saranno date in aggiunta”.
Questo sta a cuore a Gesù, ed è questo il tema: la realizzazione del Regno di Dio. Perché? Liberati quindi da ogni preoccupazione questi discepoli sono invitati a lavorare per realizzare il Regno di Dio, cioè la società alternativa dove anziché accumulare si condivide, dove anziché comandare ci si mette a servizio degli altri, e per questo non c’è bisogno di salire in alto sopra alle altre persone, bensì di scendere. Questo è il Regno di Dio, la società alternativa che fa parte del progetto di Dio sull’umanità.
Per questo Gesù l’ha posto nell’unica preghiera che ha insegnato, il Padre Nostro, dicendo “venga il tuo regno”, che non si riferisce alla venuta di qualcosa che ancora non c’è, ma qualcosa che si allarga e si estende. Infatti, dal momento che c’è una comunità di uomini, di discepoli, di donne, che accolgono le beatitudini, il Regno c’è già.
Gesù aveva detto “Beati voi poveri”, quelli che hanno fatto questa scelta della società alternativa, “perché vostro è il Regno di Dio”. Non dice che il Regno sarà, il Regno c’è.
Quindi si tratta di ampliare, di estendere ancora gli effetti di questo Regno. Ebbene, questo Regno si deve allargare grazie all’impegno dei credenti che operano per il progetto di Dio sull’umanità, che è quello – come ha cantato Maria nel Magnificat – di disperdere i superbi, di rovesciare i potenti dai troni e di rimandare i ricchi a mani vuote.
Questo è quello che Gesù vuole e che i discepoli devono realizzare. Questo è il Regno di Dio. Per questa ragione Gesù ai farisei che gli chiedono beffardi: “Quando verrà questo Regno?” perché pensano che sia un’utopia irrealizzabile, ha risposto: “Il Regno di Dio non viene in modo da attirare l’attenzione, non è qualcosa di clamoroso, di sensazionale, che scende dall’alto. E nessuno dirà: ‘Eccolo lì’ oppure ‘Eccolo là’. Ecco il Regno di Dio è in mezzo a voi”.
Sono piccole comunità di credenti che hanno accolto il messaggio di Gesù e iniziano quest’opera di liberazione dell’umanità. Pertanto il brano in questione, questo capitolo 18 di Luca, i primi otto versetti, rappresenta un incoraggiamento alle comunità cristiane, le comunità del Regno,  che possono scoraggiarsi, avvilirsi vedendosi sole, fragili di fronte all’enormità dell’ingiustizia della società che le circonda, che è il loro stile.
E la preghiera è finalizzata alla realizzazione della giustizia del Regno di Dio. In questo è il significato dell’insistenza della preghiera. Gesù rassicura: Il Regno di Dio e la sua giustizia – Il termine giustizia in questo brano appare quattro volte, è questo il tema centrale – si realizzeranno.
Ma, perché questo diventi realtà, occorre da parte dei discepoli la rottura coni falsi valori della società, rottura che i discepoli ancora non hanno praticato. Per questo il brano si conclude con lo scetticismo di Gesù: “Ma il Figlio dell’Uomo quando verrà troverà la fede sulla terra?”
Gesù aveva parlato della venuta del Figlio dell’Uomo in coincidenza con la distruzione di Gerusalemme. Gesù l’aveva detto: Così accadrà nel giorno in cui il Figlio dell’Uomo si
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manifesterà, nella rovina di Gerusalemme, nella distruzione del tempio Dio viene come liberato e quindi gli si permette di andare verso tutta l’umanità.
Ebbene i discepoli, quando Gesù si manifesterà, saranno ancora impegnati nella realizzazione del Regno di Dio? La finale del vangelo di Luca ne dubita. I discepoli non  hanno ancora rotto con i valori della società, frequentano il tempio – così finisce il vangelo di Luca – quel tempio che Gesù aveva definito un covo di ladri e di discepoli di Emmaus riconoscono ancora come “nostre autorità” gli assassini di Gesù.
Quindi tutto il brano è un invito a non scoraggiarsi per seguire colui che ha detto, in un altro vangelo, quello di Giovanni, “Coraggio io ho vinto il mondo!” Chi si impegna a favore della vita sarà sempre più forte della morte. Chi si impegna a favore della luce vincerà sulle tenebre.

“se aveste fede!” p. Maggi sul vangelo di domani

 

vivere
XXVII TEMPO ORDINARIO – 6 ottobre 2013
SE AVESTE FEDE! – Commento al Vangelo di p. Alberto Maggi

Lc 17,5-10
In quel tempo, gli apostoli dissero al Signore: «Accresci in noi la fede!».
Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “Sràdicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe.
Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? Non gli dirà piuttosto: “Prepara da mangiare, stríngiti le vesti ai fianchi e sérvimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti?
Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”».
Nel vangelo di Luca Gesù presenta due immagini della vita quotidiana, del rapporto tra i servi e il loro padrone, ma completamente differenti. Addirittura in contrasto.
Nella prima, nel capitolo 12 di questo vangelo, Gesù parla di un signore che, tornando a notte fonda a casa, e trovando i servi ancora svegli, cosa farà? Non solo non si farà servire, ma passerà lui a servirli. E’ immagine dell’Eucaristia, dove il Signore, a quanti hanno deciso di mettere la loro vita a servizio degli altri, comunica le sue stesse capacità d’amore, per un esercizio ancora più grande e generoso.
Qui invece, nel brano che la liturgia oggi ci presenta, al capitolo 17 di Luca, versetti 5-10, l’immagine che Gesù presenta è completamente diversa. E’ un signore che quando il servo torna dal campo pretende di essere servito. E anzi dirà: “Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti?”
Come mai questo contrasto? Cosa significa?
Vediamolo allora nel contesto. Gesù ha invitato i suoi discepoli ad essere “figli dell’Altissimo”, a somigliare a Dio. E’ come si assomiglia a Dio? 1
Gesù ha detto: “Siate misericordiosi come il Padre vostro è misericordioso”. E l’esercizio della misericordia Dio lo manifesta nel perdono concesso sempre, un perdono gratuito, un perdono anticipato. E Gesù chiede ai discepoli di perdonare sempre”.
Gesù dirà ai suoi discepoli che “se sette volte al giorno uno ti dice ‘sono pentito’ tu …” – e usa l’imperativo – “gli perdonerai”. Quindi Gesù vuole rendere i suoi discepoli figli di Dio, pienamente liberi, ma per farlo occorre essere capaci di un amore simile a quello del Signore.
E l’esercizio del perdono gratuito ne è la prova. Per fare questo però bisogna abbandonare quel rapporto servo-Signore, con l’obbedienza alla legge, che faceva parte dell’antica alleanza. Mosè, il servo del Signore, aveva imposto un’alleanza tra dei servi e il loro Signore, basata sull’obbedienza alla sua legge. Gesù, il figlio di Dio, propone una nuova relazione tra dei figli e il loro Padre, basata sull’accoglienza e la somiglianza all’amore del Padre.
Il credente per Gesù non è più colui che obbedisce a Dio osservando le sue leggi, ma colui che assomiglia al Padre praticando un amore simile al suo. Se i discepoli non lo fanno, se i discepoli sono incapaci di questa misericordia che si manifesta nel perdono, rimangono nella condizione dei servi. Quindi il brano di oggi mette i discepoli di fronte a un’alternativa: continuare con la vecchia tradizione ad essere servi del Signore senza mai riuscire a percepirne l’amore, e quindi incapaci poi di comunicarlo agli altri, oppure accogliere la novità portata da Gesù, essere figli di Dio, pienamente liberi.
E la libertà si manifesta nell’amore gratuito e nel perdono concesso a tutti.
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sconfiggere la morte: la bella intervista di p. Maggi

 

p. Maggi

“chi non muore si rivede” : questo il titolo dello spiritoso saggio che p. Maggi ha scritto all’indomani della sua brutta (o bella?!) avventura che lo ha portato a vedere la morte da vicino:

Sconfiggere la morte

intervista ad Alberto Maggi

a cura di Franco Marcoaldi
in “la Repubblica” del 27 settembre 2013

Alberto Maggi ha visto la morte da vicino. Ma poiché, oltre che frate, raffinato teologo e religioso spesso accusato di “eresia”, è un uomo spiritoso, il titolo del libro che dà conto di quell’esperienza, uscito da poco per Garzanti, suona: Chi non muore si rivede.«Avevo appena ultimato un saggio sull’ultima beatitudine. La morte come pienezza di vita, ma sentivo che mancava qualcosa. Poi sono stato ricoverato d’urgenza per una dissezione dell’aorta: tre interventi devastanti, settantacinque giorni con un piede di qua e uno di là. È stato allora che ho capito cosa mi mancava: l’esperienza diretta e positiva del morire. E ho anche capito perché San Francesco la chiami sorella morte: perché la morte non è una nemica che ti toglie la vita, ma una sorella che ti introduce a quella nuova e definitiva. Nei giorni in cui ero ricoverato nel reparto di terapia intensiva, con stupore mi sono accorto che le andavo incontro con curiosità, senza paura, con il sorriso sulle labbra. Oltretutto percepivo con nettezza la presenza fisica dei miei morti, di coloro che mi avevano preceduto e ora venivano a visitarmi… Chissà perché quando qualcuno muore gli si augura l’eterno riposo, come se si trattasse di una condanna all’ergastolo. Io penso invece che chi muore continua a essere parte attiva dell’azione creatrice del Padre». Fatto sta che oggi si persegue tutt’altro sogno, quello di una tendenziale immortalità garantita dalle biotecnologie. «È una novità che mette in difficoltà anche la Chiesa, chiamata ad approfondire il senso del sacro. Perché se è sacra la vita dell’uomo, anche quando si riduce alla sopravvivenza di una pura massa biologica, allora è giusto procrastinare quella vita all’infinito, utilizzando tutti gli strumenti della scienza medica. Se invece ad essere sacro è l’uomo, bisognerà garantirgli una fine dignitosa…Io non capisco questa smania di accanirsi su un vecchio, portarlo in ospedale, intervenire a tutti i costi, anche in prossimità del capolinea. Si potrà prolungare la sua esistenza ancora per un po’, ma in compenso lo si sottrae alla condivisione familiare di quel passaggio decisivo rappresentato dalla morte. Quante volte mi capita di venire chiamato in ospedale per l’estremo saluto e assistere alla seguente commedia. I parenti mi implorano: la prego, non gli dica niente. Crede di avere soltanto un’ulcera. E il morente, perfettamente consapevole del suo stato, a sua volta mi chiede di rassicurare i familiari perché non sono pronti alla sua dipartita. Quando io ero piccolo, il vero tabù era rappresentato dal sesso. Ora invece è la morte il tabù. È scomparsa qualunque dimestichezza con la pratica mortuaria, delegata alle pompe funebri, e gli annunci funebri escogitano ogni escamotage pur di non affrontare il punto: il tal dei tali si è spento, ci ha lasciati, è tornato alla casa del padre. Mai una volta che si scriva semplicemente: è morto». Per un credente questo passaggio dovrebbe essere reso più facile dalla credenza nella resurrezione dei morti. «Io veramente credo alla resurrezione dei vivi. La resurrezione dei morti è un concetto giudaico. Ma già con i primi cristiani cambia tutto, come mostra San Paolo nelle sue lettere: “Noi che siamo già resuscitati”, “noi che sediamo nei cieli”. Gesù ci offre una vita capace di superare anche la morte. Ecco perché i primi evangelisti usano il termine greco zoe. Mentre bios indica la vita biologica, che ha un inizio, uno sviluppo e, per quanto ci dispiaccia, un disfacimento finale, la vita interiore (zoe) ringiovanisce di giorno in giorno. Da qui le parole folli e meravigliose del Cristo: chi crede in me, non morirà mai». E allora l’Apocalisse, il giudizio universale, la fine dei giorni? «Gesù, polemizzando con i Sadducei, afferma che Dio non è il Dio dei morti, ma dei vivi. E non resuscita i morti, ma comunica ai vivi una qualità di vita che scavalca la morte stessa. Questa è la buona novella. Quando qualcuno muore e il prete dice ai parenti: un giorno il vostro caro risorgerà, questa parola non suona affatto come consolatoria, ma incrementa la disperazione. Quando
risorgerà?, si chiedono. Tra un mese, un anno, un secolo? Ma alla sorella di Lazzaro, Gesù dice: io sono la resurrezione, non io sarò. E aggiunge: chi ha vissuto credendo in me, anche se muore continua a vivere. Gesù non ci ha liberati dalla paura della morte, ma dalla morte stessa». Non è una visione del cristianesimo un po’ troppo gioiosa, consolatoria? «Tutta questa gioia però passa attraverso la croce, non ti viene regalata dall’alto. Quando stavo male, le persone pie — che sono sempre le più pericolose — mi dicevano: offri le tue sofferenze al Signore. Io non ho offerto a lui nessuna sofferenza, semmai era lui che mi diceva: accoglimi nella tua malattia. Era lui che scendeva verso di me per aiutami a superare i miei momenti di disperazione». Torniamo al nostro tema. Per un lunghissimo periodo il freno principale all’effrazione del limite era rappresentato proprio dal terrore di incorrere nel peccato di superbia, di credersi onnipotenti come Dio. «Questo secondo l’immagine tradizionale della religione, che presuppone un Dio che punisce e castiga. Per scribi e farisei è sacra la Legge, per Gesù invece è sacro l’uomo. Per i primi il peccato era una trasgressione della Legge e un’offesa a Dio, per Gesù il peccato è ciò che offende l’uomo ». Ecco che salta fuori Maggi l’eretico, che vede nella religione un ostacolo che si frappone alla vera fede. «La religione ha inventato la paura di Dio per meglio dominare le persone e mantenere posizioni di potere acquisite. Per religione si intende tutto ciò che l’uomo fa per Dio, per fede tutto ciò che Dio fa per l’uomo. Con Gesù invece Dio è all’inizio e il traguardo finale è l’uomo. Per questo ogni volta che Gesù si trova in conflitto tra l’osservanza della legge divina e il bene dell’uomo, sceglie sempre la seconda. Al contrario dei sacerdoti. Facendo il bene dell’uomo, si è certi di fare il bene di Dio, mentre quante volte invece, pensando di fare il bene di Dio, si è fatto del male all’uomo». Se non è più il terrore di commettere peccato a fare da freno alla nostra hybris, cos’altro spinge un cristiano a riconoscere la bontà del limite? «Il tuo bene è il mio limite. La mia libertà è infinita; nessuno può limitarla, neppure il Cristo, perché quella libertà è racchiusa nello scrigno della mia coscienza. Sono io a circoscriverla. Per il tuo bene, per la tua felicità. È così che l’apparente perdita diventa guadagno. Lo dicono bene i Vangeli: si possiede soltanto quello che si dà». Mi sbaglierò, ma è proprio la parola limite che non si attaglia al suo vocabolario. «Preferisco il termine pienezza. La parola limite ha una connotazione claustrofobica. La pienezza mi invita a respirare. Ogni mattina che mi sveglio, io mi trovo di fronte all’immensità dell’amore di Dio e cerco di coglierne un frammento, per poi restituirlo al prossimo. A partire, certo, dal mio limite. San Paolo usa a riguardo una bellissima espressione: abbiamo a disposizione un tesoro inestimabile e lo conserviamo in vasi da quattro soldi. Questa è la nostra condizione: una ricchezza immensa, a fronte della nostra umana fragilità e debolezza. Che però non necessariamente è negativa. Perché sarà il mio limite a farmi comprendere anche il tuo. E di nuovo ecco la rivoluzione di Gesù. Nell’Antico Testamento il Signore dice: siate santi come io sono santo. Gesù invece non invita alla santità, dice: siate compassionevoli come il Padre è compassionevole. La santità allontana dagli uomini comuni, la compassione invece ci unisce».

p. Maggi commenta il vangelo di domani

 

p. Maggi

XXVI TEMPO ORDINARIO – 29 settembre 2013

NELLA VITA, TU HAI RICEVUTO I TUOI BENI, E LAZZARO I SUOI MALI; MA ORA LUI E’ CONSOLATO, TU INVECE SEI IN MEZZO AI TORMENTI – Commento al Vangelo di p. Alberto Maggi
Lc 16,19-31
In quel tempo, Gesù disse ai farisei:  «C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe.
Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”.
Ma Abramo rispose: “Figlio, ricordati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”.
E quello replicò: “Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”. Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. E lui replicò: “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”. Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”».

Per la terza e ultima volta appare nel vangelo di Luca l’espressione “uomo ricco”. Questa espressione è sempre negativa. E’ già apparsa una prima volta come l’uomo stolto, sciocco, ricco, ingordo, demolisce i granai per costruirne degli altri e il Signore gli dice “oh stupido! Questa notte muori e tutto quello che hai lasciato, per chi sarà?”
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Abbiamo visto la volta precedente la stessa espressione nell’uomo ricco che loda il fattore disonesto e Gesù denuncia il fatto che la ricchezza è sempre disonesta. I disonesti sono talmente perversi nel loro sistema di ricchezza e di valori, che ammirano i disonesti. E questa è la terza volta, è la parabola conosciuta da tutti come quella del ricco e del povero Lazzaro.
E’ il capitolo 16, versetti 19 e segg. di Luca.  L’evangelista dice “«C’era un uomo ricco»”, e con un’abile pennellata ne da un ritratto, “«indossava vestiti di porpora e di lino finissimo»”. Oggi potremmo dire che vestiva firmato da capo a piedi; la povertà interiore ha bisogno di esprimersi nel lusso esteriore.
“«E ogni giorno si dava a lauti banchetti»”, quindi una fame insaziabile; è la fame interiore che crede di sopire ingurgitando dei cibi. L’unica descrizione che Luca da del ricco è questa, non si dice che – come a volte si pensa – questo ricco sia  malvagio, cattivo, nulla di tutto questo. E’ un uomo ricco e, secondo la tradizione biblica ebraica, era benedetto da Dio perché Dio premiava i buoni con la ricchezza e li malediva con la povertà.
“«Un povero, di nome Lazzaro»”, l’unica volta che un personaggio delle parabole ha un nome, e questo nome significa ‘Dio aiuta’,  “«stava alla sua porta, coperto di piaghe»”. Le piaghe erano considerate un castigo inviato da Dio, secondo il libro del Deuteronomio, cap. 28. Quindi è un uomo che è colpevole della sua miseria e delle sue piaghe.
“«Bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani»”, cioè gli animali più impuri, gli esseri considerati più impuri, “«che venivano a leccare le sue piaghe»”. Quindi è impuro chi vive fra gli impuri. Ebbene, a sorpresa, dice Gesù “«Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli».
L’uomo che sulla terra aveva come unica compagnia gli esseri più impuri, i cani, viene portato dagli angeli, cioè gli esseri più puri, quelli più vicini a Dio.  “«Accanto ad Abramo», per comprendere bene questa parabola di Gesù, notiamo che è rivolta ai farisei che si beffavano di Gesù che aveva detto che non è possibile servire Dio e il denaro, e, proprio perché rivolta ai farisei, Gesù parla con le categorie farisaiche del premio e del castigo da ricevere nell’aldilà.
E lo fa secondo un libro conosciutissimo a quell’epoca, il libro di Enoch, dove il regno dei morti veniva considerato un grande baratro, dove il punto più luminoso era il seno di Abramo, il punto più oscuro era dove andavano a finire i malvagi.
“«Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi», il termine ‘inferi’ traduce il termine greco ‘ade’ che significa ‘regno dei morti’, “«tra i tormenti, alzò gli occhi»”, e finalmente si accorge di Lazzaro. Il ricco di questa parabola non viene condannato per essere stato malvagio nei confronti del povero, per averlo maltrattato, ma semplicemente non si è accorto della sua esistenza.
Solo adesso, quando è nel bisogno, finalmente se ne accorge. Ma i ricchi non cambiano, i ricchi sono animati da una perversione che non è possibile sradicare dalla loro esistenza. E infatti non chiede, ancora comanda, “«’Padre Abramo, mostrami pietà’»”, mostrami misericordia, e ordina, “«’Manda Lazzaro’»”, lui, il ricco pensa che tutto gli sia dovuto. Lui si serve delle persone, non ha mai servito. 2
E Abramo gli risponde, sempre secondo la teologia farisaica, con il fatto del premio e del castigo “«’Tu hai ricevuto i tuoi beni e Lazzaro i suoi mali’»”. E quindi, come in terra vivevano su due mondi differenti dove non si incontravano – ripeto il ricco ha ignorato l’esistenza del povero – adesso sono su due mondi completamente distanti.
Ma ecco l’egoismo del ricco, l’egoismo che non si può sradicare, che arriva fino in fondo. Dice, “«Allora padre, ti prego di mandare Lazzaro’»”, lui di Lazzaro di serve, “«’a casa di mio padre perché ho cinque fratelli’»”. Gli interessa soltanto la sua famiglia, non dice “mandalo al popolo, alla gente, mandalo ad annunciare cosa succede se accumulano denari, se non pensano agli altri”.
No, il ricco è incurabilmente egoista, pensa soltanto a sé stesso e che tutto gli sia dovuto. Allora manda ai suoi fratelli, alla sua famiglia, degli altri non gli interessa.
Ed ecco la risposta di Abramo, “«Hanno Mosè e i Profeti’»”, cioè quelli che hanno legiferato a favore dei poveri, Mosè ha detto “la parola del Signore è che nessuno sia bisognoso”, i profeti hanno tanto tuonato contro i ricchi,   “«’Ascoltino loro’»”.
E la replica del ricco: “«No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno’»”. Ed ecco la sentenza importante e drammatica di Gesù, “«Abramo rispose: ‘Se non ascoltano Mosè’»”, la parabola è rivolta ai farisei, quelli che si fanno scudo della legge di Mosè, della dottrina, soltanto per coprire i propri interessi.
Queste persone tanto pie, tanto devote, i zelanti custodi della tradizione e della fede, quando non conviene, sono i primi ad ignorare la legge di cui sono difensori. “«’Se non ascoltano Mosè e i Profeti non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti’»”.
Perché Gesù afferma questo? Perché quanti sono stati incapaci di condividere il pane con l’affamato, non riusciranno mai a credere nel Gesù risorto, che è riconoscibile soltanto – come scriverà Luca nell’episodio di Emmaus – nello spezzare del pane. Quindi è un monito molto severo contro il cancro della ricchezza.
Una persona che viene affetta da questa malattia è incurabile e non si guarisce neanche nell’aldilà.

p. Maggi commenta il vangelo di domani 22sett. 2013

p. Maggi

XXV TEMPO ORDINARIO – 22 settembre 2013
NON POTETE SERVIRE DIO E LA RICCHEZZA 

Commento al Vangelo di p. Alberto Maggi 
Lc 16,1-13
In quel tempo, Gesù diceva ai discepoli: «Un uomo ricco aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. Lo chiamò e gli disse: “Che cosa sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non potrai più amministrare”.
L’amministratore disse tra sé: “Che cosa farò, ora che il mio padrone mi toglie l’amministrazione? Zappare, non ne ho la forza; mendicare, mi vergogno. So io che cosa farò perché, quando sarò stato allontanato dall’amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua”.
Chiamò uno per uno i debitori del suo padrone e disse al primo: “Tu quanto devi al mio padrone?”. Quello rispose: “Cento barili d’olio”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta, siediti subito e scrivi cinquanta”. Poi disse a un altro: “Tu quanto devi?”. Rispose: “Cento misure di grano”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta”.
Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce. Ebbene, io vi dico: fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne.
Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti; e chi è disonesto in cose di poco conto, è disonesto anche in cose importanti. Se dunque non siete stati fedeli nella ricchezza disonesta, chi vi affiderà quella vera? E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra?
Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza».
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Il brano di Luca che adesso stiamo per esaminare, i primi tredici versetti del capitolo 16, sono molto difficili, non sono di facile comprensione. Il significato, l’insegnamento che l’evangelista vuol dare, è molto chiaro: il denaro è uno strumento per gli altri, per farsi degli amici.
Ma, invece di usarlo per farsi degli amici, c’è chi si fa amico del denaro e poi ne diventa servo. Quindi anziché servirsene lo si serve. Questo è il significato, è chiaro.
Il brano è complesso anche perché è solo Luca l’evangelista che ha questa parabola di Gesù. Vediamola. “Diceva anche ai discepoli”, quindi Gesù si rivolge ai suoi discepoli, “«Un uomo ricco»”, questa è una prima chiave di lettura da tenere presente. Tre volte appare nel Vangelo di Luca l’espressione ‘uomo ricco’ ed è sempre in senso negativo.
La prima volta è stato al capitolo 12, versetto 16, quando un uomo ricco è quello ingordo che guadagna, demolisce i granai, ne vuole costruire di nuovi, e il Signore gli dice “Oh stupido, stanotte stessa morirai e tutto quello che hai accumulato, per chi sarà?”
L’altra è nel seguito di questo brano, sempre al capitolo 16 di Luca al versetto 19, l’uomo ricco è quello della parabola del povero Lazzaro, cioè un uomo anche questo egoista che non viene condannato perché maltratta l’altro, semplicemente non se n’è accorto. Il ricco vive ad un livello tale che il povero non entra nella sua visuale.
Quindi tre volte c’è il termine ‘uomo ricco’ ed è sempre con significato negativo, e così lo dobbiamo prendere. Quest’uomo ricco aveva un amministratore che fu accusato di sperperare i suoi averi, lo chiama e gli chiede di rendere conto dell’amministrazione e lo licenzia. Dice “«Non potrai più amministrare»”.
Cosa fa questo amministratore? Lui si mette di fronte alle possibilità: una è un’impossibilità fisica, andare a zappare non ne ha la forza; l’altra è un’impossibilità morale, andare a mendicare e si vergogna, dice “«Cosa farò?»”
Allora questo amministratore, che è stato disonesto, fa il furbo perché, quando sarà cacciato da questa casa, qualcuno lo accolga poi in casa sua, cioè pensa di farsi amici i debitori del padrone. Quindi chiama i debitori e dice: “«Tu quanto devi al mio padrone?» Quello rispose: «Cento barili d’olio». Gli disse: «Prendi la tua ricevuta e scrivi cinquanta»”.
Qui non si capisce bene quale sia l’atteggiamento di questo amministratore. Rinuncia al suo compenso, alla sua percentuale? Non è possibile, perché su cento barili d’olio che la commissione dell’amministratore fosse di cinquanta, è eccessivo. E quindi non si capisce. Comunque lui riduce il debito, quindi fa un favore ai debitori.
Continua ancora nella sua disonestà. E la parola “disonestà, disonesto” è la parola chiave che ci fa comprendere questo brano. Perché? Perché “Il padrone lodò quell’amministratore disonesto”. Ma come si fa a lodare una persona disonesta?
Perché il ricco, e il ricco nel vangelo di Luca viene sempre visto in chiave negativa, o il disonesto, ragionano in base ai loro criteri. Il ricco ammira il ricco; il disonesto – questa è 2
l’importanza del brano, della denuncia che fa Gesù – ha ammirazione per i disonesti, anche se poi ci rimette, come qui di fatto questo padrone.
Quindi la perversione totale della ricchezza che altera i criteri e i valori nel guardare la società, le persone. Quindi chi è disonesto ammira e sostiene i disonesti anche se poi ci deve rimettere. Ebbene, Gesù prende tutto questo dicendo che “«I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce»”.
Cosa vuol dire Gesù? Gesù loda la capacità di reagire di fronte a un’emergenza. Di fronte all’emergenza quest’uomo è stato in grado di reagire. Ma ecco il significato profondo di questo brano, “«Ebbene io vi dico: ‘Fatevi degli amici con la ricchezza disonesta … ‘»”, il termine ‘ricchezza’ è mammona, da un termine aramaico mamon, che significa ‘quello che è sicuro, quello che è certo’. E cos’è che è sicuro, che è certo?
Il possesso, il denaro, il profitto, la ricchezza. Le cose nelle quali le persone mettono la loro sicurezza. Allora Gesù chiama questa ricchezza ‘disonesta’, non c’è ricchezza accanto all’onestà, la denuncia che fa Gesù è molto grave. “«’Perché quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne’»”.
Quindi “fatevi amici con questo denaro”. Il denaro serve indubbiamente per star bene, ma soprattutto per far star bene. Chi usa il denaro solo per far star bene se stesso si distrugge. E torna di nuovo questo termine ‘disonesto’. Dice Gesù: “«Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti; re chi è disonesto in cose di poco conto, è disonesto anche in cose importanti.»”
E continua ancora, e per la quarta volta si ritorna su questo termine ‘disonesto’. “«Se dunque non siete stati fedeli nella ricchezza disonesta …»”, Gesù è chiaro, la ricchezza è disonesta , “«chi vi affiderà quella vera?»”
Ed ecco il finale, la sentenza, il monito molto severo di Gesù, che bisogna prendere con molta serietà, “«Nessun servitore può servire due …»”, il termine è ‘signori’, va bene tradotto ‘padroni’, ma il termine greco è kyrios, cioè signore.
“«Perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro.»” Ed ecco la sentenza di Gesù: “«Non potete servire Dio e mammona», cioè la ricchezza. La nostra sicurezza o la mettiamo in Dio – e mettere la sicurezza in Dio significa impegnarsi a condividere quello che siamo e quello che abbiamo con chi non ha, sapendo che la nostra ricchezza è Dio … Questo è lo stesso Gesù che ha detto “Non vi preoccupate per la vostra vita, cercate il regno e tutto il resto vi sarà dato in più”.
Quindi dobbiamo scegliere: o ci fidiamo di Dio e mettiamo la nostra ricchezza, la nostra sicurezza in lui, oppure ci affidiamo a mammona.
Ma Gesù dice che è incompatibile servire Dio e servire mammona. Che illuso Gesù! Ma quanto s’è illuso! E infatti cosa succede? Alle sue spalle sghignazzano quelli che da sempre sono riusciti a servire Dio e mammona, a riverire Dio e a fare i propri interessi.
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Infatti chi sono? Il brano continua, anche se non qui nella versione liturgica. Chi sono? “I farisei”, le persone super-pie, i primi della classe, i devoti, “che erano attaccati alle cose e si beffavano di lui”.
Quindi povero Gesù si è illuso che non si possa servire Dio e mammona; i farisei, le persone pie, religiose, è una vita che ci riescono.
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