il commento al vangelo della domenica

 

DONNA, GRANDE È LA TUA FEDE!

 

commento al vangelo della ventesima settimana del tempo ordinario (20 agosto 2017) di p. Alberto Maggi:

 

Mt 15,21-28

In quel tempo, partito di là, Gesù si ritirò verso la zona di Tiro e di Sidòne. Ed ecco una donna Cananèa, che veniva da quella regione, si mise a gridare: «Pietà di me, Signore, figlio di Davide! Mia figlia è molto tormentata da un demonio». Ma egli non le rivolse neppure una parola. Allora i suoi discepoli gli si avvicinarono e lo implorarono: «Esaudiscila, perché ci viene dietro gridando!». Egli rispose: «Non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa d’Israele». Ma quella si avvicinò e si prostrò dinanzi a lui, dicendo: «Signore, aiutami!». Ed egli rispose: «Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini». «È vero, Signore – disse la donna –, eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni». Allora Gesù le replicò: «Donna, grande è la tua fede! Avvenga per te come desideri». E da quell’istante sua figlia fu guarita.

il commento al vangelo della domenica

COMANDAMI DI VENIRE VERSO DI TE SULLE ACQUE

 

commento al vangelo della domenica diciannovesima del tempo ordinario (13 agosto 2017) di P. Alberto Maggi: 

Mt 14,22-33

[Dopo che la folla ebbe mangiato], subito Gesù costrinse i discepoli a salire sulla barca e a precederlo sull’altra riva, finché non avesse congedato la folla. Congedata la folla, salì sul monte, in disparte, a pregare. Venuta la sera, egli se ne stava lassù, da solo. La barca intanto distava già molte miglia da terra ed era agitata dalle onde: il vento infatti era contrario. Sul finire della notte egli andò verso di loro camminando sul mare. Vedendolo camminare sul mare, i discepoli furono sconvolti e dissero: «È un fantasma!» e gridarono dalla paura. Ma subito Gesù parlò loro dicendo: «Coraggio, sono io, non abbiate paura!». Pietro allora gli rispose: «Signore, se sei tu, comandami di venire verso di te sulle acque». Ed egli disse: «Vieni!». Pietro scese dalla barca, si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù. Ma, vedendo che il vento era forte, s’impaurì e, cominciando ad affondare, gridò: «Signore, salvami!». E subito Gesù tese la mano, lo afferrò e gli disse: «Uomo di poca fede, perché hai dubitato?». Appena saliti sulla barca, il vento cessò. Quelli che erano sulla barca si prostrarono davanti a lui, dicendo: «Davvero tu sei Figlio di Dio!».

L’amore universale di Dio per tutta l’umanità, che Gesù è venuto a manifestare con la sua vita ed il suo messaggio, trova resistenza proprio nel gruppo dei discepoli, che non accettano che l’amore di Dio sia per tutta l’umanità, pagani compresi, pensano che il privilegio è di Israele. È quello che ci scrive Matteo nel suo vangelo, al capitolo 14, dal versetto 22: “subito dopo”, il dopo è relazionato con la condivisione dei pani e dei pesci in terra d’Israele, “costrinse”, perché Gesù deve costringere i discepoli? Perché va contro la loro resistenza, loro non ne vogliono sapere, li deve obbligare, a far cosa? “i discepoli a salire sulla barca”, la barca è l’immagine della comunità cristiana e quindi della chiesa, “e a precederlo”, ecco adesso capiamo il perché dalla resistenza, “sull’altra riva”. Quando, nel vangelo, troviamo questa espressione “l’altra riva”, indica sempre la riva orientale del lago di Galilea, cioè la terra pagana. I discepoli non hanno alcuna intenzione di andare in terra pagana e, ogni volta che Gesù li invita o li spinge ad andare in terra pagana, sempre succede un incidente. “finché non avesse congedato la folla. Congelata la folla salì su il monte”, il monte ha l’articolo determinativo, e indica il monte che è apparso in precedenza cioè il monte delle beatitudini, dove Gesù, appunto, ha annunciato questo suo messaggio d’amore universale, “in disparte”, questa espressione la usano gli evangelisti per indicare che c’è resistenza, opposizione o incomprensione da parte dei discepoli. “a pregare”, è la prima volta che Gesù prega, sono due volte in questo vangelo che Gesù prega, e sempre in situazioni di difficoltà e di pericolo per i suoi discepoli, saranno qui ed al Getsemani. “venuta la sera”, è strano che l’evangelista ripeta quanto ha appena detto qualche versetto prima, al versetto 15, perché lo fa? “venuta la sera” è lo stesso termine che indica l’ultima cena di Gesù; quindi questo amore universale è quello che Gesù ha manifestato con il dono di sé per tutta l’umanità. “egli se ne stava lassù da solo”, beh si sa che è da solo: i discepoli non ci sono, la folla è stata congedata, ma l’evangelista sottolinea una solitudine non soltanto fisica, ma spirituale di Gesù, i discepoli lo stanno accompagnando, ma non lo seguono. “la barca intanto distava già molte miglia da terra ed era agitata dalle onde, il vento infatti era contrario”, questo vento è la resistenza dei discepoli all’invito di Gesù di andare in terra pagana, loro non ne vogliono sapere, non vogliono sapere di portare questo amore universale in terra pagana, dove Gesù poi condividerà di nuovo i pani, pensano che questo debba essere e rimanere un privilegio di Israele. Ecco perché il vento era contrario, sono gli stessi discepoli. “sul finire della notte”, il particolare rimanda a un salmo, il salmo 46, dove si indica che Dio soccorre allo spuntare dell’alba, “egli andò verso di loro camminando sul mare”, perché l’evangelista ci scrive che Gesù cammina sul mare? Il mare era immagine del caos e soltanto Dio lo poteva domare; nel libro di Giobbe, Dio è colui che cammina sulle onde del mare. Allora camminare sul mare indica la manifestazione della condizione divina, della pienezza della condizione divina da parte di Gesù. “vedendolo camminare sul mare”, quindi vedendo la condizione divina, “i discepoli furono sconvolti”, perché sono sconvolti? Perché la religione aveva scavato un abisso tra Dio, lontano, inaccessibile, e l’uomo; era impensabile, inimmaginabile che Dio potesse manifestarsi in un uomo e che un uomo potesse avere la condizione divina, per questo “dissero è un fantasma”, quindi è impossibile per loro che un uomo possa essere anche Dio, “e gridarono dalla paura. Ma subito Gesù parlò loro dicendo: «Coraggio, io sono”, Gesù con questa espressione e la risposta che Dio ha dato a Mosè nel famoso episodio del roveto ardente, rivendica la pienezza della condizione divina, “io sono, non abbiate paura!»”. “Pietro”, questo discepolo viene presentato soltanto con il soprannome negativo, che indica la sua caparbietà, la sua testardaggine, quindi fa comprendere che sta facendo qualcosa non in sintonia con Gesù, “allora gli rispose: «Signore, se sei tu”, ecco esattamente come il diavolo nel deserto: “se tu sei”, Pietro svolge il ruolo del satana tentatore, tant’è vero che più avanti Gesù lo rimprovererà chiamandolo proprio satana. “se sei tu, comandami di venire verso di te sulle acque»”: Pietro vuole anche lui la condizione divina. “Ed egli disse: «Vieni!»”, la condizione divina non è esclusiva di Gesù, è a disposizione di tutti quanti la accolgono. “Pietro scese dalla barca, si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù. Ma, vedendo che il vento era forte, s’impaurì e, cominciando ad affondare”, perché questa espressione ci dice l’evangelista? Gesù al termine proprio del discorso della montagna, dove aveva annunziato questo amore universale di Dio per l’umanità, aveva parlato di una casa che era stata costruita sulla sabbia; quando arrivarono venti furiosi e le acque, la casa crollò, questo perché le parole non avevano messo radice nella persona, ecco questa è la figura di Pietro, ecco perché affonda. “gridò: «Signore, salvami!». E subito Gesù tese la mano, lo afferrò”, è interessante che aveva chiamato Simone, l’aveva invitato ad essere pescatore di uomo, e invece è lui che deve essere pescato. “e gli disse: «Uomo di poca fede”, è la seconda volta che Gesù deve rimproverare per la mancanza di fede, “perché hai dubitato?»”, lui credeva che la condizione divina venisse per un comando divino, la condizione divina non si ottiene se non attraverso la persecuzione, l’opposizione e spesso il sacrificio della propria vita. “Appena saliti sulla barca, il vento cessò”, questo spirito contrario, appena la comunità accoglie di nuovo Gesù, smette. “Quelli che erano sulla barca si prostrarono”, questo verbo lo ritroveremo sul monte della risurrezione, che è lo stesso monte delle beatitudini, dove i discepoli incontrano il risuscitato, “si prostrarono davanti a lui, dicendo: «Davvero tu sei”, ed ecco la novità, “figlio di Dio”. Non dicono “il figlio di Dio”; il figlio di Dio indicava il Dio della tradizione, quello che sterminava i peccatori, quello che detestava i pagani; Gesù è figlio di Dio, una maniera completamente nuova di manifestare Dio e la sua figliolanza, che qual è? Quella di un amore universale dal quale nessuno può essere escluso.




il commento al vangelo della domenica

IL SUO VOLTO BRILLÒ COME IL SOLE

commento al vangelo della trasfigurazione del del Signore (6 agosto 2017) di p. Alberto Maggi:

Mt 17,1-9

In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. Ed ecco apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui. Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Egli stava ancora parlando, quando una nube luminosa li coprì con la sua ombra. Ed ecco una voce dalla nube che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo». All’udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. Ma Gesù si avvicinò, li toccò e disse: «Alzatevi e non temete». Alzando gli occhi non videro nessuno, se non Gesù solo. Mentre scendevano dal monte, Gesù ordinò loro: «Non parlate a nessuno di questa visione, prima che il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti».

Nel vangelo di Matteo ci sono quattro monti, l’uno in una relazione con l’altro. Al monte delle beatitudini corrisponde il monte della resurrezione, cioè praticando il messaggio di Gesù, si fa l’esperienza del Cristo risorto e della vita indistruttibile; al monte delle tentazioni corrisponde il monte della trasfigurazione. La condizione divina, secondo l’evangelista, non si ottiene mediante l’adorazione del potere, ma attraverso il dono di se stesso. È quello che l’evangelista esprime al capitolo 17 del suo vangelo. Leggiamo. “Sei giorni dopo”, la datazione è preziosa, è importante: il sesto giorno, nella tradizione biblica, è il giorno della creazione dell’uomo, ed è anche il giorno in cui Dio, il Signore, sul Sinai manifestò la sua gloria. In Gesù si manifesta la gloria di Dio, nella pienezza della sua creazione. “Gesù prese con sé”, prende con sé Gesù tre discepoli, i più difficili, quelli che poi avrà come compagni, anche al momento della sua passione. Il primo viene presentato con il suo soprannome negativo, che significa il testardo, Simone, che viene presentato col soprannome Pietro, “Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte”, questa è un’indicazione preziosa che ci dà l’evangelista: ogniqualvolta Matteo usa la formula “in disparte”, è per indicare incomprensione o ostilità, ottusità nei confronti di Gesù e del suo insegnamento, quindi sappiamo già come va a finire il brano. “in disparte su un alto monte”, ecco questo monte è la risposta al monte altissimo, sul quale il diavolo portò Gesù, offrendogli tutti i regni del mondo, a condizione di adorare il potere, cioè la condizione divina si ottiene attraverso il potere. Gesù non è d’accordo, Gesù mostra al suo tentatore, e ricordiamo che è stato Pietro, in questo vangelo, a ricevere da Gesù l’epiteto satana, il suo diavolo tentatore, (che) la condizione divina non si ottiene attraverso il potere, ma attraverso il dono d’amore di sé. “E fu trasfigurato”, letteralmente ebbe una metamorfosi, “davanti a loro”, l’evangelista mostra qual è la condizione dell’uomo che passa attraverso la morte. Pietro, nel brano precedente, si era rivoltato contro Gesù, perché non accettava l’idea di un messia che andasse a morire. Ebbene Gesù mostra loro che la morte non è una fine, ma una pienezza di vita, la morte non distrugge la persona, ma la potenzia. “il suo volto brillò come il sole”, il sole è immagine della pienezza della condizione divina, “e le sue vesti divennero candide come la luce”, è l’immagine nella condizione divina, come quando Gesù dirà che i giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre, e queste vesti candide sono quelle della resurrezione. Quindi Gesù mostra che, passando attraverso la morte, la sua figura non solo non è stata distrutta, ma addirittura potenziata. “Ed ecco apparvero loro Mosè”, Mosè è il grande legislatore, “e Elia”, Elia è il grande profeta che, attraverso l’uso della violenza, impose l’osservanza della legge divina, “che conversavano con lui”, è importante questa precisazione. Elia e Mosè, cioè quello che noi chiamiamo l’antico testamento, la legge ed i profeti, non hanno nulla a dire alla comunità di Gesù, conversano con Gesù; come sono i personaggi che hanno conversato con Dio, ora conversano con Gesù. “Ed ecco”, ed ecco qui il colpo di scena, “Pietro”, presentato con il solo soprannome negativo “disse a Gesù: «Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne”, è importante quello che Pietro ha intenzione di fare. Pietro, ancora una volta in questo vangelo, continua nell’azione di satana, di diavolo tentatore di Gesù, e qual è la tentazione? Il messia, secondo la tradizione, sarebbe apparso all’improvviso, durante la festa più importante d’Israele. Delle grandi feste d’Israele, ce n’era una, che era chiamata semplicemente la festa, non c’era bisogno di indicarla, di nominarla. Era la festa per eccellenza, era la festa delle capanne: tra settembre e ottobre, per una settimana, gli ebrei vivevano sotto delle capanne, in ricordo della liberazione dalla schiavitù egiziana. Durante questa festa che ricordava la liberazione, sarebbe apparso il nuovo liberatore. “farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia”, al centro, per Pietro, non c’è Gesù. Quando ci sono tre personaggi, il più importante sta sempre al centro. Per Gesù non è, per Pietro non è Gesù il personaggio più importante, ma è Mosè. Qual è la tentazione che fa Pietro a Gesù? Ecco il messia che io voglio: un messia che osservi la legge di Mosè, con lo zelo profetico e violento del profeta Elia. “egli stava ancora parlando”, ma a quanto pare Dio non è d’accordo con quello che dice Pietro, “quando ecco una nube luminosa”, immagine che, nel libro dell’Esodo, indica la presenza liberatrice di Dio, “li coprì con la sua ombra. Ed ecco una voce dalla nube che diceva”, naturalmente è la voce di Dio, “questi è il figlio mio”, figlio non s’intende soltanto colui che è nato, ma colui che assomiglia al padre nel comportamento, “l’amato”, cioè l’erede di tutto, “in lui ho posto il mio compiacimento”, le stesse parole che Dio ha espresso su Gesù, al momento del battesimo, e poi un verbo imperativo: ascoltatelo, esattamente “lui ascoltate”. Non dovete ascoltare né Mosè, né Elia, ma è in Gesù che c’è la pienezza della volontà divina, della rivelazione divina, lui va ascoltato. “All’udire ciò, i discepoli”, questo intervento divino provoca sconforto e desolazione, e segno di sconfitta, “all’udire ciò i discepoli caddero con la faccia a terra”, è un’immagine che indica il senso della sconfitta, della distruzione, “e furono presi da grande timore”, perché? Il messia che stanno seguendo in Gesù, non è quello da loro sperato, il messia vittorioso, il messia che imporrà la legge, il messia violento, ma tutto un altro, e quindi è una sconfitta dei loro sogni di ambizione, dei desideri di supremazia. “Ma Gesù si avvicinò, li toccò”, Gesù li deve toccare esattamente come tocca gli ammalati, come tocca i morti, “e disse: alzatevi e non temete”. Ma la reazione dei discepoli ancora una volta è negativa: “alzando gli occhi non videro nessuno”, cercano ancora, cercano ancora i punti di riferimento della tradizione del passato, cercano ancora Mosè, la legge che dà sicurezza, cercano ancora Elia il profeta, che, col suo zelo, fa osservare questa legge, non c’è più nessuno. Non c’è né Mosè, né Elia, e, quasi a malincuore, l’evangelista scrive: “non videro nessuno, se non Gesù solo”. Gesù solo non gli basta, loro vogliono Gesù, secondo la linea di Mosè e di Elia. “Mentre scendevano dal monte, Gesù ordinò loro”, quindi Gesù si impone, “«Non parlate a nessuno di questa visione, prima che il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti»”. Loro hanno sperimentato qual è la condizione dell’uomo che passa attraverso la morte, ma non si facciano illusione, devono ancora vedere quale tipo di morte Gesù affronterà, la morte che la Bibbia riservava ai maledetti da Dio, una morte infame, la morte della croce. Quindi, per evitare sentimenti d’entusiasmo fuori posto, non dite niente a nessuno, fino a che non sia risorto, cioè prima devo passare attraverso la morte, e di questo tipo di morte.




il commento al vangelo della domenica

VENDE TUTTI I SUOI AVERI E COMPRA QUEL CAMPO

commento al vangelo della diciassettesima domenica del tempo ordinario (30 luglio 2017) di p. Alberto Maggi:

Mt 13,44-52

In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: «Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo; un uomo lo trova e lo nasconde; poi va, pieno di gioia, vende tutti i suoi averi e compra quel campo. Il regno dei cieli è simile anche a un mercante che va in cerca di perle preziose; trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra. Ancora, il regno dei cieli è simile a una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci. Quando è piena, i pescatori la tirano a riva, si mettono a sedere, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi. Così sarà alla fine del mondo. Verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti. Avete compreso tutte queste cose?». Gli risposero: «Sì». Ed egli disse loro: «Per questo ogni scriba, divenuto discepolo del regno dei cieli, è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche».

Nel capitolo 13 del vangelo di Matteo, Gesù, con tre parabole, ha messo in guardia la comunità contro i tre rischi, contro le tre tentazioni: con la parabola della zizzania ha messo in guardia la comunità dalla tentazione di essere una comunità di eletti; con la parabola della senape dalla tentazione della grandezza e, infine, con la parabola del lievito dallo scoraggiamento. Ora come antidoto a queste tre tentazioni, Gesù invita alla fedeltà alla prima beatitudine, lo fa di nuovo con delle parabole. Leggiamo, è il capitolo 13 versetto 44 di Matteo: “il regno dei cieli”, ricordo che regno dei cieli non si intende un regno nell’aldilà, un regno nei cieli, ma il regno di Dio, cioè la società alternativa che Gesù è venuto a realizzare su questa terra, “è simile a un tesoro”, il termine tesoro apre e chiude questo brano, quindi è all’insegna della bellezza, dello splendore, “nascosto nel campo; un uomo lo trova”, questo uomo non cercava il tesoro, lo ha trovato, è stata un’opportunità che lui ha saputo cogliere al volo nella sua vita e, senza esitare, scrive l’evangelista “lo nasconde; poi va, pieno di gioia”, letteralmente per la gioia di aver trovato questo, “vende tutti i suoi averi”, non ci ripensa, “e compra quel campo”. C’è San Paolo nella lettera ai Filippesi, che scrive: quello che per me era un guadagno, l’ho considerato una perdita a motivo di Cristo; per Lui ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero spazzatura. Quando s’incontra Gesù ed il suo messaggio, questa è la risposta a quel desiderio di pienezza di vita, che ogni persona si porta dentro, e tutto il resto perde valore. Continua Gesù, che sempre “il regno dei cieli è simile anche a un mercante che va in cerca di perle preziose“, mentre il primo uomo lo ha trovato per caso, ha saputo cogliere al volo l’occasione, l’opportunità della sua vita, il secondo invece è uno che cerca questa occasione, “trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra”. Quello che vuol dire l’evangelista è che seguire Gesù non è a costo di chissà quali sacrifici, il termine sacrifici appare soltanto due volte e in senso negativo in questo vangelo, ma per la gioia, il termine gioia appare nel vangelo di Matteo per ben sei volte. Ma continua Gesù: “Ancora, il regno dei cieli è simile ad una rete gettata nel mare”, Gesù ha invitato i suoi discepoli ad essere pescatori di uomini e ora dice come devono pescare, “che raccoglie ogni genere”, non c’è nel testo “di pesce”, è un’aggiunta del traduttore, quindi raccoglie di tutto. L’offerta di Dio, l’offerta del suo amore, è per tutta l’umanità, sta agli uomini poi rispondere o meno, “Quando è piena, i pescatori la tirano a riva, si mettono a sedere, raccolgono i pesci buoni
nei canestri e buttano via”, e qui purtroppo la traduzione c’ha “cattivi”, che indica un giudizio morale da parte del pescatore. No, non è così, “butta via i marci”, il termine adoperato dall’evangelista è marcio, non è un giudizio, buoni e cattivi, è una constatazione: quelli che possono portare vita e quelli che invece sono marci, quindi non è un giudizio morale, ma una constatazione. Quelli che scelgono la vita sono pieni di vita, quelli che scelgono la morte, sono pieni di morte, quindi sono inutili. E infatti continua Gesù: “Così sarà alla fine”, non del mondo, ma “dei tempi”, “Verranno gli angeli e separeranno i cattivi”, letteralmente i maligni, sono come i seminatori di zizzania, sono i figli del diavolo, “dai”, non è buoni, “giusti”, giusti significa i fedeli, i fedeli al messaggio di Gesù, “e li getteranno nella fornace ardente”. Questa è una citazione del profeta Daniele, il capitolo 3 versetto 6, dove la fornace ardente era la pena per chi non adorava il potere espresso dalla statua di Nabucodonosor. Ecco, ora invece per Gesù, la fornace ardente – fornace ardente cosa significa? distruzione completa – è la fine di chi adora il potere. Quindi quelli che scelgono l’amore, la condivisione, la generosità, il perdono, questo è il regno dei cieli, è il regno di Dio che Gesù è venuto ad inaugurare, sono pieni di vita e la comunicano; quelli che invece scelgono l’ egoismo, l’avidità, il potere, sono pieni di morte. Allora non c’è un giudizio da parte di Dio, ma semplicemente una constatazione tra chi è pieno di vita e chi invece è già nella putrefazione della morte; “dove sarà pianto e stridore di denti”, immagine biblica che indica il fallimento nella vita. Al termine delle sette parabole del regno, Gesù dice: “Avete compreso tutte queste cose?». Gli risposero: «Sì». Ed egli disse loro: «Per questo ogni scriba”, lo scriba era il personaggio importante, era il maestro per eccellenza di Israele, rappresentava il magistero infallibile, “divenuto discepolo”: anche il maestro, di fronte alla novità di Gesù, deve tornare a scuola, deve diventare discepolo, forse questo è un po’ il ritratto dell’evangelista. “del regno dei cieli è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro”, ecco la parola tesoro ha aperto il brano e lo chiude, “cose nuove”, letteralmente migliori, l’evangelista adopera lo stesso termine che, nel vangelo di Giovanni, indicherà il comandamento nuovo, il comandamento migliore, “dalle cose antiche”, cosa vuol dire l’evangelista? Che il messaggio di Gesù ha sempre la precedenza su quello di Mosè: la nuova alleanza viene prima dell’ultima alleanza dell’antico testamento.




il commento al vangelo della domenica

LASCIATE CHE L’UNA E L’ALTRO CRESCANO INSIEME FINO ALLA MIETITURA

commento al vangelo della sedicesima domenica del tempo ordinario (23 luglio 2017) di p. Alberto Maggi 

Mt 13,24-43

In quel tempo, Gesù espose alla folla un’altra parabola, dicendo: «Il regno dei cieli è simile a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo. Ma, mentre tutti dormivano, venne il suo nemico, seminò della zizzania in mezzo al grano e se ne andò. Quando poi lo stelo crebbe e fece frutto, spuntò anche la zizzania. Allora i servi andarono dal padrone di casa e gli dissero: “Signore, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene la zizzania?”. Ed egli rispose loro: “Un nemico ha fatto questo!”. E i servi gli dissero: “Vuoi che andiamo a raccoglierla?”. “No, rispose, perché non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Raccogliete prima la zizzania e legatela in fasci per bruciarla; il grano invece riponètelo nel mio granaio”». Espose loro un’altra parabola, dicendo: «Il regno dei cieli è simile a un granello di senape, che un uomo prese e seminò nel suo campo. Esso è il più piccolo di tutti i semi ma, una volta cresciuto, è più grande delle altre piante dell’orto e diventa un albero, tanto che gli uccelli del cielo vengono a fare il nido fra i suoi rami». Disse loro un’altra parabola: «Il regno dei cieli è simile al lievito, che una donna prese e mescolò in tre misure di farina, finché non fu tutta lievitata». Tutte queste cose Gesù disse alle folle con parabole e non parlava ad esse se non con parabole, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta: «Aprirò la mia bocca con parabole, proclamerò cose nascoste fin dalla fondazione del mondo». Poi congedò la folla ed entrò in casa; i suoi discepoli gli si avvicinarono per dirgli: «Spiegaci la parabola della zizzania nel campo». Ed egli rispose: «Colui che semina il buon seme è il Figlio dell’uomo. Il campo è il mondo e il seme buono sono i figli del Regno. La zizzania sono i figli del Maligno e il nemico che l’ha seminata è il diavolo. La mietitura è la fine del mondo e i mietitori sono gli angeli. Come dunque si raccoglie la zizzania e la si brucia nel fuoco, così avverrà alla fine del mondo. Il Figlio dell’uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e tutti quelli che commettono iniquità e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti. Allora i giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre loro. Chi ha orecchi, ascolti!».

Nel vangelo di Matteo non sono presenti soltanto le tentazioni che Gesù ha subito, ma vengono esposte anche le possibili tentazioni della comunità dei credenti in ogni tempo. Nel capitolo 13, troviamo tre parabole, con la risposta a tre possibili tentazioni: sono le parabole del Regno. è Gesù che parla ai suoi discepoli, espone queste parabole del Regno dei cieli, ricordo che questa espressione è tipica di Matteo, ma indica il Regno di Dio, cioè la società alternativa dove, anziché accumulare per sé, si condivida generosamente con gli altri, dove anziché comandare, si serva, e dove anziché salire, si scende. Questo è il Regno dei cieli. La prima tentazione alla quale è sottoposta la comunità di ogni tempo, è la tentazione di essere una comunità di eletti, una comunità di gente superiore, e che quindi cerca di eliminare gli altri. A questa tentazione Gesù risponde con la parabola, quella del seminatore e della zizzania. Dice Gesù che “mentre tutti dormivano, venne il suo nemico,” il nemico del Signore, “seminò della zizzania”, la zizzania è un seme che è tossico, è un narcotico, “in mezzo al grano”. Ma più dannosa del seme nocivo della zizzania, sono i servi, gli zelanti servi. Infatti “Allora i servi andarono dal padrone di casa e gli dissero: “Signore, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene la zizzania?”, e si propongono “Vuoi che andiamo a raccoglierla?”. E nella parabola il padrone del campo lo impedisce, dice: “No perché non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano”. La loro azione, quella dei servi zelanti, è più pericolosa della zizzania. Quindi Gesù dice no ad una comunità di soli eletti, questa è la tentazione che subiscono spesso i gruppi ecclesiali, nei quali ognuno si sente di avere l’unica risposta al modo di vivere del messaggio di Gesù, e per questo snobbano o condizionano la vita degli altri. Gesù non è d’accordo su questo, quindi no alla tentazione di essere una comunità di eletti. La seconda tentazione che la comunità subisce, lo vediamo lungo tutto il vangelo, è quella della manìa di grandezza, allora Gesù continua, dice: “espose loro un’altra parabola dicendo: “Espose loro un’altra parabola, dicendo: «Il regno dei cieli è simile a”. Per comprendere questa parabola bisogna rifarsi al profeta Ezechiele. Nel profeta Ezechiele il regno futuro era immaginato, è il capitolo 17 di Ezechiele, come un cedro, il cedro lo sappiamo, il cedro è chiamato il re degli alberi, che è posto su un alto monte. Quindi qualcosa di straordinario, qualcosa che attira subito la vista, l’ammirazione per il suo splendore. Gesù dice nulla di tutto questo: “è simile a un granello di senape che l’uomo prese e seminò”, è strano che Gesù parli di seminare, perché la senape non si semina, “nel suo campo”. Commenta Gesù: “Esso è il più piccolo di tutti i semi”, la senape è una pianta infestante; i suoi semi, che sono microscopici, piccolissimi, con il vento arrivano ovunque, per questo non viene seminata, ma viene temuta dai contadini palestinesi. Quindi è piccolo, ma arriva ovunque: questo è il messaggio di Gesù: “Esso è il più piccolo di tutti i semi ma, una volta cresciuto, è più grande delle altre”, e qui ecco la sorpresa di Gesù, “piante dell’orto”, cosa vuol dire Gesù? Che il Regno dei cieli, cioè il Regno di Dio, anche nel suo momento di massimo splendore, non attirerà l’attenzione; la pianta della senape è un arbusto che, in zone favorevoli, tipo il lago di Galilea, raggiunge due o tre metri, ma è una pianta comune che non attira nessuna attenzione. Ebbene per Gesù, il Regno di Dio, nel momento del suo massimo sviluppo, non attirerà l’attenzione per la sua grandezza, per la sua meraviglia, ma come una pianta infestante, arriverà ovunque. La terza e ultima tentazione è quella dello scoraggiamento. La comunità cristiana è piccola, il lavoro da fare è tanto, e c’è il rischio di scoraggiarsi. Allora Gesù, per questa tentazione, dice un’altra parabola: “«Il regno dei cieli è simile al lievito, che una donna prese e mescolò in tre misure di farina”, tre misure di farina sono quaranta chili, è un po’ tanto per una casa domestica. Perché questo riferimento ai quaranta chili? Perché nell’Antico Testamento, questa quantità di misura appare in relazione agli episodi di Abramo e di Sara, di Gedeone e di Anna, la madre del profeta Samuele, sempre in occasione dell’esaudimento delle promesse di Dio al popolo, anche in circostanze che sembravano impossibili. Allora dice: questo lievito lo “mescolò in tre misure di farina, finché non fu tutta lievitata»”; la comunità cristiana non deve spaventarsi di fronte all’enormità del lavoro, ma deve mescolarsi con la realtà esistente per poi trasformarla, e Gesù lo garantisce. Ebbene delle tre parabole, l’unica che i discepoli chiedono in maniera perentoria, addirittura imperativa di spiegare, è quella che, non è che non l’hanno capita, forse è l’unica che hanno capito, ma sulla quale non sono d’accordo. Infatti “in casa; i suoi discepoli gli si avvicinarono per dirgli: «Spiegaci”, e il verbo è all’imperativo, con autorità, “la parabola della zizzania nel campo»”. Quindi questa parabola in cui Gesù smentisce la tentazione di essere una comunità di eletti, una comunità di superiori riguardo agli altri, questa non viene accettata dalla comunità dei discepoli. Ebbene Gesù spiega, in questo resto della parabola, che sono gli individui che si giudicano da soli, scegliendo cosa essere: o essere grano, pane che alimenta, benedizione per gli altri, o essere zizzania, un tossico che avvelena e che dà la morte. Quindi tre tentazioni alle quali le comunità di tutti i tempi possono essere sottoposte, ma con la certezza, con la garanzia, che il messaggio di Gesù si realizzerà nonostante tutto, nonostante la pochezza dei termini.

 




il commento al vangelo della domenica

IL SEMINATORE USCÌ A SEMINARE

commento al vangelo della quindicesima domenica del tempo ordinario (16 luglio 2017) di p. Alberto Maggi:

Mt 13,1-23

Quel giorno Gesù uscì di casa e sedette in riva al mare. Si radunò attorno a lui tanta folla che egli salì su una barca e si mise a sedere, mentre tutta la folla stava sulla spiaggia. Egli parlò loro di molte cose con parabole. E disse: «Ecco, il seminatore uscì a seminare. Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada; vennero gli uccelli e la mangiarono. Un’altra parte cadde sul terreno sassoso, dove non c’era molta terra; germogliò subito, perché il terreno non era profondo, ma quando spuntò il sole fu bruciata e, non avendo radici, seccò. Un’altra parte cadde sui rovi, e i rovi crebbero e la soffocarono. Un’altra parte cadde sul terreno buono e diede frutto: il cento, il sessanta, il trenta per uno. Chi ha orecchi, ascolti». Gli si avvicinarono allora i discepoli e gli dissero: «Perché a loro parli con parabole?». Egli rispose loro: «Perché a voi è dato conoscere i misteri del regno dei cieli, ma a loro non è dato. Infatti a colui che ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a colui che non ha, sarà tolto anche quello che ha. Per questo a loro parlo con parabole: perché guardando non vedono, udendo non ascoltano e non comprendono. Così si compie per loro la profezia di Isaìa che dice: “Udrete, sì, ma non comprenderete, guarderete, sì, ma non vedrete. Perché il cuore di questo popolo è diventato insensibile, sono diventati duri di orecchi e hanno chiuso gli occhi, perché non vedano con gli occhi, non ascoltino con gli orecchi e non comprendano con il cuore e non si convertano e io li guarisca!”. Beati invece i vostri occhi perché vedono e i vostri orecchi perché ascoltano. In verità io vi dico: molti profeti e molti giusti hanno desiderato vedere ciò che voi guardate, ma non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, ma non lo ascoltarono! Voi dunque ascoltate la parabola del seminatore. Ogni volta che uno ascolta la parola del Regno e non la comprende, viene il Maligno e ruba ciò che è stato seminato nel suo cuore: questo è il seme seminato lungo la strada. Quello che è stato seminato sul terreno sassoso è colui che ascolta la Parola e l’accoglie subito con gioia, ma non ha in sé radici ed è incostante, sicché, appena giunge una tribolazione o una persecuzione a causa della Parola, egli subito viene meno. Quello seminato tra i rovi è colui che ascolta la Parola, ma la preoccupazione del mondo e la seduzione della ricchezza soffocano la Parola ed essa non dà frutto. Quello seminato sul terreno buono è colui che ascolta la Parola e la comprende; questi dà frutto e produce il cento, il sessanta, il trenta per uno».

La parabola del seminatore, narrata da Gesù nel vangelo di Matteo all’inizio del capitolo 13, è un incoraggiamento per tutti coloro che annunziano la parola. Il risultato non dipende dal seme, dalla parola, ma dipende dal terreno. Per comprendere questa parabola, occorre rifarsi all’annunzio che si trova nel profeta Isaia, da parte del Signore: “così sarà della mia parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata”. Il Signore assicura che la sua parola contiene in sé un’energia creatrice, la stessa parola del Creatore che disse: “sia la luce e luce fu”, quindi questa parola contiene un’energia creatrice che, quando incontra il terreno adatto, sviluppa tutte le sue potenzialità. Gesù illustra in questa parabola, le possibilità, ed anche le difficoltà, nell’accoglienza di questa la parola. È Gesù stesso che la spiega, quindi, nella seconda parte, andiamo addirittura alla spiegazione, Gesù afferma: “voi dunque ascoltate la parabola del seminatore”, che evidentemente è Gesù, e tutti coloro che seminano questa parola, “ogni volta che un ascolta la parola del Regno”, la parola è del Regno, la società alternativa proposta da Gesù, “e non la comprende”, come mai non la comprende? Non la comprende perché per accogliere il regno, Gesù mette come condizione la conversione. Che significa la conversione? Se fino a oggi hai vissuto per te e per i tuoi bisogni, per le tue necessità, da oggi cambia completamente vita, vivi per il bene e le necessità degli altri, questa è la società alternativa, il regno proposto da Gesù. “non la comprende viene il Maligno”, già Gesù aveva parlato di questo maligno quando, nel capitolo 5, aveva detto: “il vostro parlare sia sì, sì, no, no, il di più viene dal maligno”, che cos’è il maligno? Mentre Dio è amore che si mette a servizio degli uomini, il maligno è il potere che li domina. Allora Gesù avverte che, tutti coloro che vivono sotto la sfera del potere, sono completamente refrattari alla sua parola, infatti dice: “ruba ciò che è stato seminato nel suo cuore: questo è il seme seminato lungo la strada”, quindi inutile seminarlo perché arrivano subito gli uccelli. Che significa questo? Quanti detengono il potere naturalmente vedono, in questo messaggio di Gesù, una minaccia al loro dominio sulle persone, ma anche quanti ambiscono ad ottenere il potere, perché vedono nel messaggio di Gesù un rischio per le proprie ambizioni, ma la categoria più tragica (è composta da) quelli che sono sottomessi al potere, perché vedono nel messaggio di Gesù un attentato alla sicurezza che la sottomissione al potere dà, questi sono completamente refrattari. “Quello che è stato seminato sul terreno sassoso è colui che ascolta la Parola e l’accoglie subito con gioia”, quindi vede in questa parola la risposta al proprio desiderio di pienezza di vita, “ma non ha in sé radici”, cosa significa? che questa parola “non mette radici”, non trasforma l’individuo, “ed è incostante, sicché, appena giunge una tribolazione”, Gesù nell’annuncio dalla parabola diceva “quando spunta il sole”, il sole è fonte, è fattore di vita per la pianta; se la brucia la colpa non è del sole, è che la pianta non ha potuto mettere radici. Allora qui per Gesù l’effetto del sole è la tribolazione o la persecuzione: la persecuzione per l’individuo e per la comunità, non è fattore di distruzione, ma fattore di crescita; se distrugge è perché l’individuo, la comunità non hanno modificato la propria esistenza. E quindi anche questo caso fallisce. “Quello seminato tra i rovi è colui che ascolta la Parola, ma la preoccupazione del mondo e la seduzione della ricchezza soffocano la Parola ed essa non dà frutto”, Gesù ha messo come condizione la conversione, cioè vivi per gli altri e non per te stesso; se vivi per te, ti trovi in condizioni economiche precarie, vedi la soluzione nel denaro, ma appena riesci a raggiungere, ottenere questo denaro, subito nascono nuove ambizioni, nuove esigenze, e di nuovo ti trovi in preoccupazione economica. Allora chi pensa soltanto ai propri bisogni, chi si trova sempre preoccupato per la propria condizione economica, come potrà mai occuparsi dei bisogni, delle necessità degli altri? Infine “Quello seminato sul terreno buono è colui che ascolta la Parola e la comprende”, la comprende appunto perché si è convertito, “questi dà frutto e produce”, per comprendere l’espressione paradossale, ma non tanto, di Gesù occorre conoscere che, nella cultura dell’epoca, da un chicco di grano si ricavava una spiga con sette, otto grani. Quando l’annata era buona, la spiga aveva dieci grani, in occasioni eccezionali si trovava addirittura una spiga con trenta grani, ma era una cosa eccezionale. Ebbene quello che per gli uomini è eccezionale, Gesù lo mette all’ultimo, infatti dice: “produce il cento, il sessanta, il trenta per uno»”, cosa vuol dire Gesù? Quando il terreno è adatto, la parola creatrice sprigiona tutta la sua capacità, tutta la sua potenzialità, in una maniera che l’uomo non può neanche immaginare.




il commento di p. Maggi al vangelo della domenica

LA MIA CARNE E’ VERO CIBO E IL MIO SANGUE VERA BEVANDA

commento al vangelo della domenica del ‘corpus domini’ 18 giugno 2017) di p. Alberto Maggi :

Gv 6,51-58

In quel tempo, Gesù disse alla folla:
«Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».
Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.
Le parole che adesso leggeremo e commenteremo, quelle di Gesù nel vangelo di Giovanni, sono talmente gravi che, al termine di queste, gran parte dei suoi discepoli lo abbandonerà e non tornerà più con lui. Vediamo allora che cos’è di grave, di importante, che Gesù ha detto.
Nel capitolo 6 del vangelo di Giovanni troviamo un lungo e intenso insegnamento sull’Eucaristia. Giovanni è l’unico evangelista che non riporta la narrazione della cena, ma è quello che, più degli altri, riflette sul profondo significato della stessa.
Quindi il capitolo 6 è un insegnamento, una catechesi alla comunità cristiana, sull’Eucaristia. Leggiamo il capitolo 6, dal versetto 51. “«Io sono»”, e Gesù rivendica la condizione divina, “«il pane vivo disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno»”.  
Gesù garantisce che l’adesione a lui è ciò che permette all’uomo di avere una vita di una qualità tale che è indistruttibile. Questa è la vita eterna. Gesù, il figlio di Dio, si fa pane perché quanti lo accolgono e sono capaci di farsi pane per gli altri, diventino anch’essi figli di Dio. “ «E il pane che io darò è la mia carne»” – Gesù adopera proprio il termine carne, che indica l’uomo nella sua debolezza, “«per la vita del mondo»”.
Quello che Gesù sta dicendo è molto importante: la vita di Dio non si da al di fuori della realtà umana. Non ci può essere comunicazione dello Spirito dove non ci sia anche il dono della carne. Quindi il dono di Dio passa attraverso la carne, dice Gesù. L’aspetto terreno, debole, della sua vita. Qui l’evangelista presenta una contrapposizione tra gli uomini della religione che si innalzano per incontrare Dio – un Dio che la religione ha reso lontano, inavvicinabile, inaccessibile – e, invece, un Dio che scende per incontrare l’uomo.
“Allora i Giudei”, con questo termine nel vangelo di Giovanni si indicano le autorità, “ «si misero a discutere aspramente tra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?»” Un Dio che, anziché pretendere lui i doni dagli uomini, si dona all’uomo fino ad arrivare a fondersi con lui, si fa alimento per lui. Questo è inaccettabile per le autorità religiose che basano tutto il loro potere sulla separazione tra Dio e gli uomini.
Un Dio che vuole essere accolto dagli uomini e fondersi con loro, questo per loro non solo è intollerabile, ma è pericoloso. Ebbene Gesù risponde loro: “ «In verità, in verità io vi dico »”, quindi la doppia affermazione “in verità, in verità io vi dico” è quella che precede le dichiarazioni solenni, importanti di Gesù, “«Se non mangiate la carne del figlio dell’Uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita»”.
Gesù si rifà all’immagine dell’agnello, l’agnello pasquale. La notte del’Esodo Mosè aveva comandato agli ebrei di mangiare la carne dell’agnello perché avrebbe dato loro la forza di iniziare questo viaggio verso la liberazione e di aspergere il sangue sugli stipiti delle porte perché li avrebbe separati dall’azione dell’angelo della morte.
Ebbene Gesù si presenta come carne, alimento che da la capacità di intraprendere il viaggio verso la piena libertà, e il cui sangue non libera dalla morte terrena, ma libera dalla morte definitiva. Poi Gesù, tante volte non fosse stato chiara la sua affermazione, dice: “Chi mastica la mia carne”. Il verbo masticare i greco è molto rude, primitivo, in greco è trogon. Già il suono dà l’idea di qualcosa di primitivo, e significa “masticare, spezzettare”.
Quindi Gesù vuole evitare che l’adesione a lui sia un’adesione ideale, ma dev’essere concreta. Infatti dice: “«Chi mastica la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna »”. La vita eterna per Gesù non è un premio futuro per la buona condotta tenuta nel presente, ma una possibilità di una qualità di vita nel presente. Gesù non dice “avrà la vita eterna”. La vita eterna c’è già. Chi, come lui, fa della propria vita un dono d’amore per gli altri, ha una vita di una qualità tale che è indistruttibile. 
“«E io lo risusciterò nell’ultimo giorno »”. L’ultimo giorno non è la fine dei tempi. L’ultimo giorno, nel vangelo di Giovanni, è il giorno della morte in cui Gesù, morendo, comunica il suo Spirito, cioè elemento di vita che concede, a chi lo accoglie, una vita indistruttibile.
E Gesù conferma che la sua “ «carne è vero cibo e il suo sangue è la vera bevanda »”. Con Gesù non ci sono regole esterne che l’uomo deve osservare, ma l’assimilazione di una vita nuova. E la sua carne è vero cibo, quello che alimenta la vita dell’uomo, e il suo sangue vera bevanda, cioè elementi che entrano nell’uomo e si fondono con lui. Non più un codice esterno da osservare, ma una vita da assimilare.
Gesù ci presenta un Dio che non assorbe gli uomini, ma li potenzia. Un Dio che non prende l’energia degli uomini, ma comunica loro la sua. E Gesù continua ad insistere: “«Chi mastica la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui »”. Ecco la piena fusione di Gesù con gli uomini e degli uomini con Gesù.
Quello di Gesù è un Dio che chiede di essere accolto per fondersi con gli uomini e dilatarne la capacità d’amore. “«Come il Padre, che ha la vita»”, ed è l’unica volta che Dio viene definito come il Padre che è vivente, “«ha mandato me»”, il Padre ha mandato il figlio per manifestare il suo amore senza limiti, “«e io vivo per il Padre, così anche colui che mastica …»”, di nuovo Gesù insiste con questo verbo che indica non un’adesione teorica, ma reale e concreta, “«… me, vivrà per me»”.
Alla vita ricevuta da Dio corrisponde una vita comunicata ai fratelli. Questo è il significato dell’Eucaristia. E, come il Padre ha mandato il figlio ad essere manifestazione visibile di un amore senza limiti, così quanti accolgono Gesù sono chiamati a manifestare un amore incondizionato.
E conclude Gesù: “ «Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono»”. Gesù mette il dito nella piaga del fallimento dell’Esodo. Tutti quelli che sono usciti dall’Egitto sono morti. I loro figli sono entrati. E Gesù contrappone il suo esodo che è destinato invece a realizzarsi pienamente.
E di nuovo Gesù insiste: “«Chi mastica»”, quindi adesione piena e totale, non simbolica, “ «questo pane vivrà per sempre»”. Chi orienta la propria vita, con Gesù e come Gesù, a favore degli altri, ha già una vita che la morte non potrà interrompere.




il vangelo della domenica commentato da p. Maggi

DIO HA MANDATO IL FIGLIO SUO PERCHÉ IL MONDO SIA SALVATO PER MEZZO DI LUI

commento al vangelo della domenica della trinità (11 giugno 2017) di p. Alberto Maggi:

Gv 3,16-18

In quel tempo, disse Gesù a Nicodèmo: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio, unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio».

il commento di p. Maggi al vangelo della domenica

COME IL PADRE HA MANDATO ME ANCH’IO MANDO VOI

commento al vangelo della domenica di Pentecoste (4 giugno 2017) di p. Alberto Maggi:

Gv 20,19-23

La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».

La nuova relazione che Gesù ha instaurato tra gli uomini e Dio, aveva bisogno di una nuova alleanza. Per questo Luca, negli Atti degli Apostoli, presenta l’episodio della Pentecoste. La Pentecoste era il giorno in cui la comunità  giudaica festeggiava il dono della legge. Bene mentre gli ebrei festeggiano il dono della legge, sulla comunità  dei discepoli di Gesù scende, piomba lo Spirito Santo. Con Gesù non c’è più una legge che è esterna all’uomo da osservare, ma da cogliere, una , una forza interna, che sprigiona energia d’amore. Questo è il dono dello Spirito. Anche gli altri evangelisti hanno la loro Pentecoste, seppur narrata in maniera diversa. Per esempio Giovanni ha la piccola Pentecoste nel momento della morte, quando Gesù consegna il suo Spirito, e poi nel brano che adesso esaminiamo, il capitolo 20, versetti 19-23, leggiamolo. “La sera di quel giorno”, è il giorno della risurrezione di Gesù, “il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei”, il mandato di cattura non era stato soltanto per Gesù, non era pericoloso soltanto Gesù, era pericolosa la sua dottrina. Per questo, quando Gesù si trova di fronte al sommo sacerdote, costui non gli chiede niente di lui, ma gli chiede due cose: dei discepoli e della dottrina. Quindi, per paura di fare la stessa fine di Gesù, si sono chiusi a porte sbarrate. “venne Gesù, stette in mezzo”, è importante questa indicazione che ci dà l’evangelista: quando Gesù risuscitato si manifesta ai suoi, si pone in mezzo, Gesù non si pone davanti, in modo che le persone che gli sono vicine sono quelle che gli sono più prossime, o in alto. Gesù si pone in mezzo. Questo significa che tutti coloro che gli sono intorno, hanno tutti la stessa identica relazione con lui, non c’è qualcuno di più, qualcuno di meno, qualcuno prima e qualcuno dopo. “e disse loro: «Pace a voi!»”, questa di Gesù non è un augurio, Gesù non dice: “la pace sia con voi”, ma è un dono. Pace – sappiamo che il termine ebraico è “shalom” – indica tutto quello che concorre alla felicità  degli uomini. Ma poi Gesù mostra il motivo di questo dono: “Detto questo”, quindi dopo aver detto “pace”, “mostrò loro le mani e il fianco”, le mani ed il fianco portano i segni della passione. È stato Gesù che, al momento della cattura, aveva detto: “se cercate me lasciate che questi se ne vadano”. Lui è il pastore che dà la vita per le sue pecore, e questo non in un episodio isolato, ma sempre. Gesù, nella comunità, è colui che difende i suoi. A questo punto i discepoli, che l’evangelista aveva descritto nel timore dei Giudei – ricordo che, per Giudei, in questo vangelo non si intende mai il popolo, ma sempre l’autorità, i capi religiosi – passano dal timore alla gioia al vedere il Signore: “Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi!”, di nuovo Gesù ripete questo dono della pace, il termine pace in questo capitolo sarà ripetuto per ben tre volte, ma questa volta questo dono della pace è per andare a condividerlo. Infatti aggiunge Gesù: “come il Padre ha mandato me”, il Padre ha mandato Gesù per manifestare visibilmente il suo amore e qual è l’amore di Dio? Un amore generoso che si mette al servizio degli altri, che è stato manifestato da Gesù nell’episodio della lavanda dei piedi.
“Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi»”, il compito dei credenti il compito della comunità cristiana non è andare a proporre o, peggio, imporre dottrine, ma comunicazioni d’amore: come il Padre ha mandato il Figlio per manifestare il suo amore, così la comunità deve essere la testimone visibile di un amore generoso che si mette a servizio. “detto questo”, prima il “detto questo” era riferito al dono della pace, giustificato dai segni della sua passione, ora “detto questo”, questo secondo dono della pace, “soffiò”, perché questo verbo soffiare? L’evangelista lo prende dal libro del Genesi, nell’episodio della creazione, quando Dio, il Creatore soffiò nelle narici del primo uomo e lo rese un essere vivente. “e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo”, esattamente Spirito Santo, senza l’articolo. Gesù aveva detto che lui dà lo Spirito senza misura, il dono dello Spirito è totale, sta alla persona dipendere quanto ne può accogliere o meno, ma comunque questo è il dono in pienezza, il dono dello Spirito, la forza divina, che si chiama Santo per la sua, non solo per la sua qualità, ma per la sua attività, che è capace di separare gli uomini che lo accolgono dalla sfera del male. “A coloro a cui perdonerete”, letteralmente condonerete, cancellerete, “i peccati”, il termine peccato adoperato dall’evangelista non indica la colpa della persona, ma, nei vangeli, questo termine indica sempre il passato ingiusto dell’individuo, “A coloro a cui cancellerete i peccati, saranno cancellati; a coloro a cui non cancellerete, non saranno cancellati»”, cosa ci vuol dire Gesù con questa espressione? Gesù non sta dando un potere per alcuni, ma una responsabilità per tutta la comunità cristiana: la comunità  cristiana deve essere come luce che spande il raggio d’azione del suo amore. Quanti vivono nell’ambito del peccato, dell’ingiustizia e vedono questa luce, se ne sentono attratti, hanno tutti il loro passato, qualunque esso sia, completamente cancellato. Quanti invece, pur vedendo brillare la luce, si rintanano ancora di più nelle tenebre – Gesù aveva detto che chi fa male odia la luce – rimangono sotto la cappa del peccato. Allora quello di Gesù non è un mandato per giudicare le persone, ma offrire ad ogni individuo una proposta di pienezza di vita.

 




il commento di p. Maggi al vangelo della domenica

A ME È STATO DATO OGNI POTERE IN CIELO E SULLA TERRA

commento al vangelo della domenica dell’ascensione (28 maggio 2017)di p. Alberto Maggi: 

 

Mt 28,16-20

In quel tempo, gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato. Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».

L’episodio dell’ascensione di Gesù lo troviamo soltanto nel vangelo di Luca, e poi nella finale aggiunta, nel vangelo di Marco, ma non negli altri evangelisti, né in Matteo, né in Giovanni, ma il messaggio dell’evangelista, di Luca, è identico a quello degli altri: quella di Gesù e non è una separazione, ma una vicinanza, non è una lontananza, ma una presenza ancora più intensa, perché Gesù è nella pienezza della condizione divina. Il finale del vangelo di Matteo sono cinque versetti, nei quali l’evangelista racchiude, riassume tutto il suo vangelo, vediamo. “Gli undici discepoli”, i discepoli non sono più dodici, e il numero, in questo vangelo, non viene ricostituito. Il dodici significava il nuovo Israele, l’undici significa che il nuovo Israele non viene ricostituito, pertanto il messaggio di Gesù è universale, è per tutta l’umanità. “andarono in Galilea”, vanno in Galilea perché per ben tre volte, c’era stato l’invito di incontrare Gesù in Galilea – Gesù, risuscitato in questo vangelo, non si manifesterà mai a Gerusalemme. Ma, dice l’evangelista, scrive “su-il monte”, l’articolo determinativo, quindi un monte particolare, “che Gesù aveva loro indicato”, ma Gesù in questo vangelo non ha indicato nessun monte. Perché i discepoli vanno su “il” monte? Il significato non è topografico, ma teologico: il monte, in questo vangelo, è il monte delle beatitudini, dove Gesù ha proclamato il suo messaggio, beatitudini che sono otto, ed il numero otto è la cifra della risurrezione nel cristianesimo primitivo, perché Gesù è risuscitato il primo giorno dopo la settimana. Quindi i discepoli chiaramente vanno su “il” monte: l’evangelista vuol dire che l’esperienza di Gesù risorto, non è un privilegio concesso duemila anni fa a poche persone, ma una possibilità per tutti i credenti di tutti i tempi, basta situarsi su “il” monte delle beatitudini, cioè accogliere il suo messaggio, che è stato formulato e riassunto nelle beatitudini. “quando lo videro”, il verbo vedere adoperato dall’evangelista non indica la vista fisica, ma una profonda esperienza interiore, “si prostrarono”, quindi riconoscono in Gesù una condizione divina, e poi, stranamente, l’evangelista dice “essi però dubitarono”, ma di che cosa dubitano? Non che Gesù sia risuscitato, lo vedono, non che sia nella condizione divina, si prostrano; allora perché dubitano? L’evangelista ha adoperato questo verbo dubitare soltanto un’altra volta, nell’episodio conosciuto, quando Gesù cammina sulle acque, che indica la condizione divina, e Pietro, il discepolo, voleva anche lui camminare sulle acque, cioè voleva anche lui la condizione divina. Gesù gli dice che può andare, ma quando vede la difficoltà, Pietro incomincia ad affogare e chiede aiuto. Lui credeva che la condizione divina sarebbe stata concessa come un dono dall’alto, e non sapeva attraverso quali difficoltà passava. Ebbene Gesù rimproverò quella volta Pietro con le parole “uomo di poca fede, perché hai dubitato?”. Allora qui questo dubbio che l’evangelista scrive, qual è? Hanno visto Gesù nella condizione divina, però ora sanno attraverso cosa è passato Gesù: la morte più infamante, più disprezzata per un ebreo, la maledizione della croce.  Allora di chi dubitano ? Dubitano di se stessi: sono invitati a raggiungere la condizione divina, ma non sanno se saranno capaci di affrontare la persecuzione e anche la morte. Ecco il perché dubitano.
Mentre le donne si sono avvicinate a Gesù, qui è Gesù che si deve avvicinare ai discepoli: “Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra”, qui l’evangelista si richiama al profeta Daniele, dove al figlio dell’uomo è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Ma Gesù, Gesù questo potere non lo usa per essere servito, ma, come lui dirà, “il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire”, quindi è un potere di servire. E poi ecco che arriva l’ordine imperativo: “Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli”, il termine popoli indica le nazioni pagane, “battezzandole”, il verbo battezzare significa immergere, inzuppare, “nel nome”, il nome indica la realtà profonda di un essere, “del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo”, cioè immergeteli nella realtà profonda di Dio, fate fare loro esperienza di chi è Dio, “insegnando”, ed è l’unica volta che (l’evangelista autorizza) Gesù autorizza i suoi discepoli a insegnare, “loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato”, l’unica volta che appare il verbo comandare, in questo vangelo, è proprio in riferimento alle beatitudini. Allora qual è il significato di questo comando di Gesù? Gesù aveva invitato i suoi discepoli a seguirlo per essere pescatori di uomini: pescare gli uomini significa tirarli fuori dall’acqua, che può dare loro la morte, quindi dalla situazione mortale, per dare loro la vita. Ebbene Gesù ora indica come e dove: come si diventa pescatori di uomini? Immergendoli nello Spirito del Signore, nella realtà più profonda dell’amore divino, e dove? Dove lo spazio è tutta l’umanità. E poi l’assicurazione finale di Gesù: “ecco io sono con voi”,questo è il tema, il filo conduttore di tutto il vangelo. Al capitolo primo,versetto ventitre, l’evangelista aveva indicato Gesù come il “Dio con noi”; a circa metà del suo vangelo Gesù aveva detto che lui era con i suoi discepoli: “dove sono due o più io sono con loro”; e ora conclude, le parole di Gesù, con l’assicurazione della sua presenza: “con voi tutti i giorni fino”, ora la traduzione della Cei è tornata a scrivere “fine del mondo”, era migliore nel ’97, quando la vecchia edizione aveva “fino a quando questo tempo sarà compiuto”. Non c’è una fine del mondo, è una fine del tempo, che non indica una scadenza, ma la qualità d’una presenza, quindi le ultime parole di Gesù: “ecco io sono in mezzo a voi per sempre”. E l’evangelista, che ha aperto il suo vangelo riferendosi al libro del Genesi  -inizia il vangelo di Matteo scrivendo “libro della Genesi”, lo chiude con il riferimento all’ultimo libro della Bibbia ebraica, il secondo libro delle Cronache, dove c’è l’invito di Ciro, re di Persia, che dice al popolo degli ebrei: “il Signore Dio del cielo mi ha concesso tutti i regni della terra; egli mi ha incaricato di costruirgli un tempio a Gerusalemme che è in Giuda. Chiunque di voi appartiene al suo popolo il signore suo Dio sia con lui e salga”. È l’invito di Ciro agli ebrei di uscire dal suo regno per tornare a Israele, e costruire un tempio al Signore. Anche Gesù invita i suoi discepoli ad andare, lasciare l’istituzione religiosa, ma non a costruire un tempio, perché la comunità dei discepoli sarà il nuovo tempio dove si manifesta l’amore, la misericordia del Signore.