il vangelo della domenica commentato da padre Maggi

GESÙ DIGIUNA PER QUARANTA GIORNI NEL DESERTO ED È TENTATO

commento al vangelo della prima domenica di quaresima (5 marzo 2017) di p. Alberto Maggi:

Mt 4,1-11

In quel tempo, Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo. Dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame. Il tentatore gli si avvicinò e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di’ che queste pietre diventino pane». Ma egli rispose: «Sta scritto: “Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”». Allora il diavolo lo portò nella città santa, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gettati giù; sta scritto infatti: “Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo ed essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra”». Gesù gli rispose: «Sta scritto anche: “Non metterai alla prova il Signore Dio tuo”». Di nuovo il diavolo lo portò sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro gloria e gli disse: «Tutte queste cose io ti darò se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai». Allora Gesù gli rispose: «Vattene, satana! Sta scritto infatti: “Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto”». Allora il diavolo lo lasciò, ed ecco degli angeli gli si avvicinarono e lo servivano.

I quattro monti che appaiono nel vangelo di Matteo, sono collegati, sono in relazione l’uno con l’altro: al monte delle beatitudini, corrisponderà il monte della resurrezione, cioè, vivendo le beatitudini, si ha una vita capace di superare la morte; al monte delle tentazioni, dove il diavolo offre la condizione divina a Gesù, basta che adora il potere, corrisponderà il monte della trasfigurazione, dove Gesù dimostrerà che la condizione divina non si ottiene attraverso il potere, ma attraverso l’amore, attraverso il dono generoso di sé. Vediamo questo capitolo quarto del vangelo di Matteo, dove vengono presentate queste tentazioni di Gesù, che, per comprenderle meglio, dobbiamo metterle nel loro contesto, non si tratta di tentazioni, le tentazioni sembrano qualcosa che spinge al male, al peccato, nulla di tutto questo. Il diavolo, come adesso vedremo, non si presenta come un avversario di Gesù, ma come un suo collaboratore, uno che vuole il suo successo. Vediamo. “Allora Gesù”, l’allora lega il brano dell’evangelista al battesimo nello Spirito, quindi Gesù è pieno dello Spirito, e lo Spirito gli è stato dato perché lui si è impegnato a manifestare fedelmente la realtà di Dio, “fu condotto dallo Spirito nel deserto”, il deserto richiama tante cose, richiama l’esodo, il cammino della liberazione, richiama il periodo della prova e anche richiama il luogo del potere, dove i banditi, coloro che volevano conquistare il potere, si radunavano, “per essere tentato dal diavolo”, è da ricordare che il diavolo, nel vangelo di Matteo, appare soltanto in questo unico episodio. “Dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti”, quaranta indica una generazione, l’evangelista vuol far comprendere: attenzione, questa che adesso sto presentando, non è un limitato periodo della vita di Gesù, ma tutta la vita Gesù, tutta la sua esistenza, fu sottoposto a queste seduzioni. È importante che l’evangelista sottolinea che il digiuno è quaranta giorni e quaranta notti, per indicare che non è il digiuno religioso, che inizia all’alba e termina al tramonto, ma è una prova di forza, perché l’evangelista vuol mostrare che Gesù è uguale, è superiore a Elia, a
Mosè, gli altri che hanno digiunato quaranta giorni e quaranta notti. “Il tentatore gli si avvicinò e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio”, il tentatore non mette in dubbio che Gesù sia il figlio di Dio – al momento del battesimo c’è stata la proclamazione da parte di Dio: questo è mio figlio – ma lo invita, potremmo tradurre meglio per comprendere meglio: giacché sei il figlio di Dio, cioè sei il figlio di Dio? Allora manifesta il tuo potere, perché questa è l’opposizione che c’è nel vangelo: mentre Dio è amore che si manifesta nel servizio, il diavolo è il potere che si manifesta nel dominio. Allora questo tentatore dice: giacché sei il figlio di Dio, “di’ che queste pietre diventino pane»”, cioè usa le tue capacità, il tuo potere, per te stesso. Ma Gesù risponde, e risponderà ogni volta, citando la parola del Signore: “Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio»”. Quindi Gesù esprime la sua piena fiducia nell’azione del Padre, nel mettere in pratica la sua parola, e Gesù, nel corso del vangelo si vedrà, non userà le propria capacità per alimentare se stesso, ma lui, il figlio di Dio, si farà pane, alimento di vita, per gli altri. “Allora il diavolo lo portò nella città santa”, sotto le vesti del diavolo qui l’evangelista sta anticipando quella che sarà l’azione dei farisei, dei sadducei, dei dottori della legge, tutta l’istituzione religiosa. Il diavolo non si presenta come un nemico, un rivale di Dio, il peccatore, ma il diavolo c’ha i suoi adepti proprio nella casta sacerdotale al potere, che vuole detenere appunto il dominio. Lo porta nella città santa e “lo pose sul punto più alto del tempio”, questo diavolo evidentemente non solo conosce la scrittura, ma conosce anche gli apocrifi, perché nel libro di Ezra, un apocrifo del tempo, si diceva che il messia si sarebbe manifestato apparendo all’improvviso sul punto più alto del tempio di Gerusalemme, questo nel quarto libro di Ezra, un apocrifo. Quindi il diavolo è un acuto conoscitore della scrittura e di tutto il resto. “E gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio,” di nuovo giacché sei il figlio di Dio, l’invito del diavolo è lo stesso che faranno poi, quando Gesù sarà crocifisso, i sommi sacerdoti, gli scribi, gli anziani: se sei il figlio di Dio, scendi dalla croce, quindi manifesta il tuo potere, “gettati giù; sta scritto infatti: “Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo”, cioè gli dice: tu sei il figlio di Dio, fai quello che la gente si aspetta, la gente si aspetta che tu appari improvvisamente nel tempio, mettici un tocco di più, gettati giù con uno spettacolo, che gli angeli ti faranno da gradini. E qui il diavolo, come dicevo perfetto conoscitore della scrittura, cita lui il salmo 91. Ma Gesù, anche questa volta, gli risponde: “non metterai alla prova il signore Dio tuo”, è tutta una serie di richiami ad episodi della vita di Israele, della mancanza di fiducia. La terza volta non è uguale alle altre: nelle prime due tentazioni o seduzioni, il diavolo ha giocato la carta del messia, la carta religiosa, ora il diavolo tira fuori l’asso dalla manica, tira fuori una carta che sa che tutti quanti cedono a questo potere, a questo fascino, il potere della ricchezza. “Questa volta”, quindi non di nuovo, “questa volta il diavolo lo portò sopra un monte altissimo”, il monte altissimo indica il luogo dove abitavano gli dei, cioè la condizione divina, cioè il diavolo gli offre la condizione divina. Vuoi essere colui che conquista il mondo? Vuoi essere l’atteso delle genti? Devi avere la condizione divina, e la condizione divina come si ha? Attraverso la ricchezza, attraverso il potere. “E  gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro gloria e gli disse: «Tutte queste cose io ti darò”, quindi sembra quasi – e nel vangelo di Luca infatti dice: tutte queste cose sono mie – che il diavolo sia lui il detentore della ricchezza, del potere, quindi coloro che detengono ricchezza e potere, non gli viene dato da Dio, ma gli viene dal diavolo. “Tutte queste cose io ti darò se”, c’è un piccolo particolare, “se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai”. Quindi il diavolo offre a Gesù la condizione divina attraverso l’adorazione del potere, della gloria, e del successo. Ma, come abbiamo detto all’inizio, Gesù risponderà a questa tentazione portando il suo tentatore, nella figura di Pietro, l’unico discepolo al quale Gesù si rivolgerà chiamandolo satana, sul monte della trasfigurazione. Nel monte della trasfigurazione Gesù dimostra che la condizione divina non si ottiene attraverso l’adorazione del potere, ma attraverso il dono generoso di se  stesso. “Allora Gesù gli rispose: «Vattene, satana!”, lo stesso appellativo che rivolgerà a Pietro, che sarà il suo satana nel vangelo, quindi Gesù lo rifiuta, “Sta scritto infatti: “Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto”»”, è il pericolo dell’idolatria, qui c’è tutto il richiamo al vitello d’oro, alla contaminazione d’Israele con i popoli pagani. “Allora il diavolo lo lasciò, ed ecco degli angeli”, gli angeli sono i collaboratori di Gesù, “gli si avvicinarono e lo servivano”, ottiene la protezione degli angeli proprio rifiutando la tentazione, la seduzione. Quindi, riassumendo, non sono tentazioni al male, ma sono seduzioni che Gesù patirà per tutta la sua vita, e da parte dell’istituzione religiosa, ma anche da parte dei suoi stessi discepoli.

 

 

 

 

 

il vangelo della domenica commentato da p. Maggi

NON PREOCCUPATEVI DEL DOMANI

commento al vangelo della ottava domenica del tempo ordinario (26 febbraio 2017) di p. Alberto Maggi:

Mt 6,24-34

 

In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: «Nessuno può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza. Perciò io vi dico: non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete, né per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli del cielo: non seminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non valete forse più di loro? E chi di voi, per quanto si preoccupi, può allungare anche di poco la propria vita? E per il vestito, perché vi preoccupate? Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Ora, se Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani si getta nel forno, non farà molto di più per voi, gente di poca fede? Non preoccupatevi dunque dicendo: “Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?”. Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno. Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. Non preoccupatevi dunque del domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso. A ciascun giorno basta la sua pena».

Dopo aver insegnato ai suoi discepoli il Padre Nostro che, sotto forma di preghiera, è la formula di accettazione delle beatitudini, Gesù torna a commentare l’effetto dell’accoglienza della prima beatitudine, che è la più importante, quella che permette l’arrivo del regno dei cieli, cioè il regno di Dio, la nuova società alternativa proposta da Gesù. Nel brano di oggi, il capitolo 6 dal versetto 24 del vangelo di Matteo, Gesù dice: “«Nessuno può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro”, ed ecco il monito molto, molto chiaro: “Non potete servire Dio e la ricchezza”. Quello che traduciamo con ricchezza in realtà è mammona, cos’è mammona? È l’interesse, è la convenienza, è il capitale, è quello dove l’uomo mette la propria sicurezza. Il rivale di Dio, nella Bibbia e per Gesù, non è mai il peccato: Dio, nel suo sconfinato amore, riesce a conquistare il peccatore ed a convertirlo; ma il rivale di Dio, il muro che lui si trova di fronte, quello di fronte al quale anche Dio ha le mani legate, è la convenienza, è l’interesse, è l’avidità, per cui Gesù mette in chiaro l’avviso ai suoi discepoli. E poi, per tre volte, Gesù invita i suoi discepoli a non preoccuparsi: aver(ndo) accolto la prima beatitudine – (di) cosa si tratta (nel)la prima beatitudine: Gesù Cristo ci dice: voi occupatevi del bene e del benessere degli altri, e permetterete a Dio come padre di occuparsi lui del vostro, quindi un cambia tutto a vantaggio dei discepoli – Gesù per tre volte invita a non avere alcuna preoccupazione, se si è fatta questa scelta naturalmente. La prima è: “Perciò io vi dico: non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete, né per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il  corpo più del vestito?”, quindi Gesù invita a non avere alcuna preoccupazione, non a non occuparsi, è chiaro la persona si deve occupare, ma a non stare in questo sentimento di ansia, di affanno. E Gesù fa un esempio: “guardate gli uccelli del cielo”, perché, tra tanti esempi che Gesù poteva fare, ha scelto proprio questo? Perché gli uccelli erano considerati animali inutili, nell’elenco delle benedizioni degli animali del creato non esistono, e animali nocivi, allora Gesù prende proprio quest’esempio: guardate gli uccelli del cielo, cioè gli esseri più inutili, più insignificanti del creato, “non seminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre.” Cosa vuol dire Gesù? Non è un invito al lassismo, a non fare niente: se il Padre nutre gli uccelli del cielo, che non seminano, non mietono e non raccolgono, tanto più voi che seminate, mietete e raccogliete, “Non valete forse più di loro? E chi di voi, per quanto si preoccupi, può allungare anche di poco la propria vita?”. E Gesù qui porta un esempio che, all’orecchio degli ascoltatori era molto chiaro, “E per il vestito, perché vi preoccupate? Osservate”, il verbo osservare indica osservare per imparare, “osservate come crescono i gigli del campo:”, i gigli del campo erano quei fiori belli, ma che avevano la durata di un solo giorno, “non faticano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone”, Salomone era conosciuto per la sua vanità, per l’eccesso del suo lusso, “con tutta la sua gloria”, potremmo tradurre con tutta la sua boria, “vestiva come uno di loro”, quindi Gesù invita a non preoccuparsi. Perché non ci si preoccupa? È importante che, quando Gesù ha detto: non preoccupatevi di quello che mangerete, per la prima volta, nel vangelo di Matteo, appare il verbo mangiare, che poi apparirà soltanto nell’ultima cena. C’è un collegamento tra questi due verbi e questi due motivi: è il dono generoso di sé, di farsi pane per gli altri, che fa sì che Dio si faccia pane per noi, in una dinamica di amore ricevuto e amore comunicato. E continua Gesù: “Ora, se Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani si getta nel forno”, appunto questi fiori che duravano appena un giorno, “non farà molto di più per voi”, e qui c’è un rimprovero, “gente di poca fede?”. L’espressione poca fede non significa che non ne hanno a sufficienza, è un’espressione per dire: non c’avete fede, che non vi fidate. E per la seconda volta: “non preoccupatevi dunque dicendo”, se Gesù insiste è perché naturalmente avrà sentito le preoccupazioni dei suoi discepoli a questo argomento, ““Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?”. Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani”, quindi Gesù contrappone i suoi discepoli, che dovrebbero aver fatto l’esperienza di questo Padre, di fidarsi di lui, con quelli che non credono nel Padre, ma credono in altre divinità. “Il Padre vostro celeste infatti”, ecco qui c’è un’affermazione importante di Gesù, che, se accolta, toglie ogni forma di ansia, “sa che ne avete bisogno”. L’azione del Padre precede il momento del bisogno, il momento in cui il discepolo se ne rende conto e lo chiede, l’azione del Padre non è venire incontro ai bisogni del discepolo, ma addirittura precederli, e questo dà piena serenità. Noi non ci dobbiamo preoccupare di nulla, perché non nel momento del bisogno Dio interviene, ma, prima ancora del bisogno, il Signore è già in azione. Ed ecco la conclusione: “Cercate invece anzitutto il regno di Dio”, ecco lavorate per questa società alternativa, a questa società dove, al posto dell’avere, ci sia il condividere, al posto del comandare ci sia il servire, “e la sua giustizia”, la fedeltà a questo programma, “e tutte queste cose”, quindi tutto quello che Gesù ha detto, “vi saranno date” addirittura in di più, vi saranno date ”in aggiunta”. Non c’è da preoccuparsi: quando uno fa della propria vita pane per gli altri, il pane, non solo non gli mancherà mai, ma gli sarà dato in aggiunta.  E poi la conclusione: “non preoccupatevi”, è l’ultima volta che Gesù invita a non preoccuparsi, a non stare in ansia, “dunque del domani”, e qui, purtroppo, la vecchia traduzione invece aveva aggiunto ansia, perché la vecchia traduzione era: “perché il domani avrà già le sue inquietudini”, cioè non preoccupatevi per i guai di domani, perché già ce ne saranno altri, nulla di tutto questo. Dice Gesù: “non preoccupatevi dunque del domani, perché il domani”, la traduzione esatta, “si preoccuperà di se stesso”: come oggi avete sperimentato l’azione paterna di Dio, che si è preso cura anche degli aspetti minimi, insignificanti della vostra esistenza, così sarà anche del  domani. Allora non preoccupatevi, ma orientate la vostra vita per il bene degli altri. E continua Gesù: “A ciascun giorno basta la sua”, qui hanno tradotto “pena»”, ma, in realtà è difficoltà. Le difficoltà di ogni giorno sono garantite, nella sua (loro) soluzione, dalla presenza continua del Padre di Gesù.

il vangelo della domenica commentato da p. Maggi

AMATE I VOSTRI NEMICI

commento al vangelo della settima domenica del tempo ordinario (19 febbraio 2017) di p. Alberto Maggi:

Mt 5,38-48

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Avete inteso che fu detto: “Occhio per occhio e dente per dente”. Ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu pórgigli anche l’altra, e a chi vuole portarti in tribunale e toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. E se uno ti costringerà ad accompagnarlo per un miglio, tu con lui fanne due. Da’ a chi ti chiede, e a chi desidera da te un prestito non voltare le spalle. Avete inteso che fu detto: “Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico”. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste».

Gesù propone una nuova relazione con Dio, che non può essere più contenuta nell’antica alleanza. Per questo, nel vangelo di Matteo, al capitolo 5, dopo aver proclamato le beatitudini, Gesù inizia una serie di prese di distanze, dicendo: “«Avete inteso che fu detto:”, e, anziché dire, come avrebbe dovuto, ai padri, agli antichi, per Gesù è qualcosa di vecchio. E questa è la quarta volta che Gesù ripete l’espressione, dice: “Avete inteso che fu detto: occhio per occhio e dente per dente”. Questa legge, che è conosciuta come la legge del taglione, che indubbiamente fa orrore per questa vendetta, in realtà, al tempo, fu un progresso, perché la vendetta era illimitata ed era spietata, come racconta, nel libro del Genesi, l’episodio di Lamec, che si vantava: “ho ucciso un uomo per una mia scalfitura ed un ragazzo per un livido”. La frase che Gesù ha citato, è presa dal libro del Deuteronomio, alla fine del capitolo 19, dove l’autore dice: “il tuo occhio non avrà compassione: vita per vita, occhio per occhio, dente per dente, mano per mano, piede per piede”. Quindi è una legge dove non esiste la compassione, ma bisogna far pagare al colpevole il danno che ha fatto. Ebbene Gesù prende le distanze da tutto questo: “Ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu porgigli anche l’altra”. Bisogna tener presente che l’unica volta che Gesù ha ricevuto uno schiaffo, si è guardato bene dal porgere l’altra guancia. Allora che cosa significa questa affermazione di Gesù? Non è un invito ad essere tonti, ma buoni fino in fondo: disinnesca la rabbia, disinnesca l’aggressività dell’altro, con la tua bontà, si tratta di disarmare l’altro, (di) questo si tratta, quindi non passare per stupidi. “E a chi ti vuole portare in tribunale e toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello”, è una persona prepotente, ebbene lasciagli anche quello che non poteva prendere, il mantello serviva anche come coperta nella notte, lui s’impaccerà con la tunica, con il mantello, e tu sarai più libero. Quindi Gesù invita ad avere questa piena libertà, tutta basata nel disinnescare l’aggressività degli altri. “Egualmente se uno ti costringerà ad accompagnarlo per un miglio”, Gesù si rifà alle leggi delle forze di occupazione, che imponevano degli esercizi forzati, delle prestazioni forzate alle persone, come sarà per il Cireneo, “tu fanne con lui due”, quindi disarma col tuo amore l’aggressività dell’altro, perché se tu, all’aggressività, rispondi con altra aggressività, questa cresce e
non si sa dove si va a finire. Poi Gesù dà un’indicazione molto, molto chiara per la comunità cristiana: “Da’ a chi ti chiede”. Dare non è perdere, ma è guadagnare, perché si sa che, quando si dà, poi il Padre dona con più abbondanza, “e a chi desidera da te un prestito, non voltare le spalle”, quindi Gesù invita ad avere questa attenzione al bisognoso, a chi ti chiede, senza calcolare. “Avete inteso che fu detto: “Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico” ”, al precetto di amare il prossimo, si aggiunge quello dell’odio del nemico. La possiamo trovare questa espressione nei Salmi, per esempio c’è il salmo 139 che dice: “quanto odio Signore quelli che si odiano, quanto detesto quelli che si oppongono a te, li odio con odio implacabile”, quindi si univa l’amore al prossimo, ma con l’odio ai nemici. Con Gesù, nella nuova relazione che c’è con il Padre, con i fratelli, tutto questo viene a cessare: “ma io vi dico amate i vostri nemici”, è un amore generoso, un amore che si fa dono quello che chiede Gesù, e l’amore si fa preghiera: “pregate per quelli che vi perseguitano”, che sono questi nemici. Perché questo? “affinché siate figli del Padre vostro”. Figlio, nella cultura dell’epoca, non s’intende soltanto colui che è nato da qualcuno, ma colui che gli assomiglia nel comportamento, quindi assomigliate al Padre “che è nei cieli”. Qui Gesù, oltre a dare indicazione ai suoi su come comportarsi, ci svela chi è Dio, dice: “egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti”. Il profeta Amos in realtà non era d’accordo, il profeta Amos presentava un Dio che rifiutava la pioggia agli ingiusti. No, il Dio di Gesù non è Dio che premia i buoni e castiga i malvagi, ma è un Dio-amore, è un Dio che a tutti, indipendentemente dalla loro condotta, mostra il suo amore. Come ha detto Gesù, fa sorgere il sole sui cattivi e sui buoni, non soltanto su chi lo merita, ma su tutti quelli che ne hanno bisogno. Gesù passa dalla teoria della dottrina del merito, a quella del dono: Dio non ama i suoi, non ama le creature per i loro meriti, ma per i loro bisogni. E commenta Gesù: “infatti se amate quelli che vi amano quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani?”, i pubblicani erano le persone ritenute trasgressori di tutti i comandamenti, i più lontani da Dio. “E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani?”, quindi Gesù cita pagani e pubblicani, le categorie che erano più lontane da Dio. Anche loro sono capaci di salutare chi li saluta e di amare chi li ama, che c’è di straordinario nel fare questo? Allora conclude Gesù: “Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste»”. Gesù non chiede di essere perfetti come Dio, il che potrebbe far smarrire la persona, l’immensità di Dio, no. Gesù parla di essere perfetti, perfetti significa completi, pieni come, dice, come il Padre, e qual è la perfezione del padre? È quella che abbiamo visto: quella di un amore che si rivolge a tutti, un amore che non guarda i meriti, chi lo meritano, ma guarda i bisogni, questa è all’interno delle possibilità di ogni credente.

il vangelo della domenica commentato da p. Maggi

VOI SIETE LA LUCE DEL MONDO

commento al vangelo della quinta domenica del tempo ordinario (5 febbraio 2017) di p. Alberto Maggi:

Mt 5,13-16

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente. Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra un monte, né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli».

La nuova relazione, che Gesù era venuto a proporre tra gli uomini e Dio, non poteva più essere contenuta nell’antica alleanza, quella di Mosè, per cui Gesù aveva avuto bisogno di proporne una nuova, e l’aveva formulata, nel vangelo di Matteo, secondo le beatitudini. A conclusione delle beatitudini, ecco le parole severe ed anche speranzose, fiduciose, di Gesù, rivolte ai suoi discepoli: “Voi siete il sale della terra”. Qual è il significato del sale? Va compreso nella cultura dell’epoca: il sale era un elemento molto, molto prezioso, sappiamo che la parola salario viene proprio dal sale, con il quale venivano pagati i soldati; il sale serviva a conservare gli alimenti. Allora, da questo suo significato fisico, materiale, si era trasfigurato in un significato simbolico, perché, essendo il sale quello che conservava, se ne dava un valore figurato, che era quello che rendeva attuale, concreto e perpetuo, per esempio, un patto, un contratto. Allora, quando si stringeva la mano per fare un patto, o quando si scriveva un contratto, si spargeva sopra questo contratto, sopra queste mani, un pizzico di sale, significava: questo ha valore per sempre. Allora Gesù, ai suoi discepoli, dopo aver proclamato le beatitudini, dice: “Voi siete il sale della terra”, cioè, con la vostra fedeltà a questo programma, lo rendete attuale. Però, ecco il monito di Gesù: “ma se il sale perde il sapore”, l’evangelista adopera un verbo che viene tradotto perdere il sapore,  il verbo impazzire, che non si adopera per un elemento quale è il sale, ma soltanto per le persone, e sarà lo stesso poi che Gesù adopererà più avanti, quando parlerà del pazzo, l’uomo pazzo, che va a costruire la casa, ma, anziché costruirla sulla roccia, con un saldo fondamento, la costruisce in riva al mare, sulla sabbia. E l’immagine del pazzo è colui che ascolta le parole del Signore, ma poi non le mette in pratica. Allora Gesù ammonisce i suoi discepoli, dopo aver proclamato le beatitudini: se voi, queste beatitudini, le accogliete, le ascoltate, ma poi non le mettete in pratica, siete come dei pazzi, ecco il sale che impazzisce. Con che cosa lo si renderà salato? Non c’è più possibilità. Ed ecco il monito severo di Gesù: “a null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente”, calpestato dagli uomini. L’umanità attendeva dalla vostra comunità la risposta di Dio, ai bisogni, alle sofferenze dell’umanità, ma se voi, che siete stati destinatari di questo messaggio, se voi, che lo avete colto, poi non lo praticate o, peggio, siete, con il vostro comportamento, una contraddizione al messaggio in cui credete, dice Gesù, meritate il disprezzo delle persone, meritate di essere gettati via. Poi, ecco il lato positivo: “voi siete la luce nel mondo”. Gesù dice che i suoi discepoli, accogliendo le beatitudini, ecco il lato positivo, sono la luce che illumina il mondo, e “non può restare nascosta una città che sta sopra il monte”. Questa città che sta sopra il monte, che era la luce del mondo, nella cultura del tempo era Gerusalemme, la città di Dio, ebbene con Gesù non c’è più una città, un santuario, dove le persone devono andare, ma una comunità che deve portare la
luce, là dove sono le tenebre. E continua Gesù: “né si accende una lampada per metterla sotto il moggio”, cos’è il moggio? Il moggio era un recipiente in uso a quel tempo, che serviva per misurare o raccogliere  i cereali. Allora Gesù dice: questa lampada non si mette sotto il moggio, se si mette sotto il moggio la lampada perde la sua luce e si spegne, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa. Il moggio significa la capacità della comunità di generosità, di dare, il moggio non deve nascondere la luce, ma deve essere l’espressione di questa luce. Quindi Gesù sta indicando che si è luce del mondo come? Attraverso il dono generoso della propria vita, di quello che si è e di quello che si ha, confermando l’invito che aveva fatto, all’inizio del capitolo 5, Matteo, con la proposta di accogliere la prima beatitudine. E continua Gesù: “Così risplenda la vostra luce”, non è più la luce di Gesù, è la luce delle persone. Gesù invita ogni persona, attraverso la pratica della generosità, che viene dalla fedeltà alle beatitudini, ad essere una persona splendida. Quando diciamo che una persona è brava, usiamo questa espressione: è splendido. Cosa significa? che emana luce. Allora Gesù chiede alla comunità che “risplenda questa luce davanti agli uomini perché vedano le vostre opere buone”,  ecco c’è attinenza tra vostra luce e vostre opere: la luce viene dalle opere buone, dalla comunicazione di vita, dal donare vita agli altri, “e rendono gloria”, e qui attenzione, l’evangelista dice “al Padre”, perché poi, nella polemica con i farisei, Gesù dirà di stare attenti a queste persone pie, religiose, che compiono le loro opere per essere ammirati dalla gente. No, dice Gesù: le persone, vedendo le vostre opere buone, rendono gloria al Padre vostro che è nei cieli. È la prima volta che, nel vangelo di Matteo, appare il termine Padre. Padre sarà il nome di Dio all’interno della comunità cristiana, padre nella cultura dell’epoca è colui che comunica vita. Quindi, attraverso la comunicazione di vita agli altri, attraverso il dono di se stesso, di quello che si è e di quello che si ha, si rende manifesta la presenza di Dio, all’interno della comunità e della società.

“Dio, dove sei” o “Adamo, dove sei”? –

Dio, dove sei? Quella domanda antica davanti alle tragedie

di Alberto Maggi


puntuale a ogni tragedia, credenti e non, si chiedono dove fosse Dio nel momento della disgrazia, quando questa piomba inaspettata e repentina seminando lutti e mietendo vittime

“Dio, dove sei?” È una domanda antica, che risale ai primordi dell’umanità e della religione, una domanda che non attende risposta, perché non è volta a conoscere, ma solo a rimproverare Dio per la sua assenza, per il suo silenzio. Come fece Marta con Gesù, che pur sapendo della gravità della malattia di suo fratello Lazzaro, non si era mosso: “Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!” (Gv 11,21).


LEGGI ANCHE – Dio non è onnipotente: la fede e i dubbi davanti al dolore – di Alberto Maggi 

“Se tu fossi stato qui…” invece il Signore non c’era. Dio è sempre lontano e assente nel momento della necessità, e bisogna invocarlo, supplicarlo, implorarlo perché si degni di guardare su questa terra e la salvi dal male: “Mio Dio, grido di giorno e non rispondi; di notte, e non c’è tregua per me” (Sal 22,2).

“Dove sei?” Chiede l’uomo a Dio.  Ma, nella Bibbia, la prima volta che Dio parla all’uomo, è lui che gli chiede: “Dove sei?” (Gen 3,9). Non è l’uomo che deve chiedere a Dio dove è, ma egli che deve interrogarsi dove è, a che cosa è stato chiamato. Il Creatore lo aveva destinato a coltivare e custodire il giardino di Eden (Gen 2,15). Ma gli uomini lo devastano e distruggono, per poi rimproverare a Dio quello che è soltanto opera dell’insensatezza e dell’insaziabile ingordigia umana, radice di ogni ingiustizia e di ogni male.


La fede davanti al terremoto. Il biblista: “Nessun castigo divino. Dio crea, non distrugge” – di Alberto Maggi

Si rimprovera a Dio anche il suo silenzio. Eppure Dio ha parlato e parla, il guaio è che non trova chi lo ascolti. Tutta la Scrittura è attraversata dal rimprovero del Signore a quanti “hanno orecchi per udire e non odono” (Ez 12,2; Ger 5,21; Mc 8,18), ma gli uomini imperterriti, continuano a disapprovare il Signore per il suo silenzio. La Bibbia insegna che per saper ascoltare questo Dio occorre avere coscienza di chi è il Signore, altrimenti lui parla e le persone non se ne accorgono. Chi crede in un Dio potente lo cerca nella potenza, e non riesce a scorgerlo nell’amore, unica espressione di questo Dio.

Nel Primo Libro dei Re, si descrive a questo proposito l’esperienza fondamentale del profeta Elia che, in un momento drammatico della sua vita e del popolo, che ha abbandonato l’alleanza e ucciso i profeti, attende un segno della presenza divina, che crede di percepire nelle manifestazioni di forza, di violenza, quali un vento tempestoso, un terremoto, e nel fuoco. Ma, scrive l’autore sacro, “Il Signore non era nel vento, non era nel terremoto, non era nel fuoco”. Poi, “dopo il fuoco, il sussurro di una brezza leggera…” (1 Re 19, 9-13).

E questo tenue sussurro, sottile, come una brezza leggera, era la presenza del Signore (“Sentì una voce che gli diceva: Che fai qui Elia?”,1 Re 19,13). Similmente nel vangelo di Giovanni quando “venne una voce dal cielo”(Gv 12,28), i presenti pensarono fosse stato un tuono, o un angelo, e comunque ritenevano che fosse solo Gesù il destinatario e non loro (“Questa voce non è venuta per me, ma per voi”, Gv 12,30). Quanti pensano a un Dio potente (Tuono, Es 19,16), o distante (Angelo) non riusciranno mai a scoprire la presenza del Dio Amore che dimora tra gli uomini, la sua Parola fatta carne.

“Dio dove sei?”Dio si manifesta nell’amore e non nella potenza. Quando l’uomo entra in questa dimensione, innalzando la soglia della propria capacità d’amare e la mette in sintonia con l’Amore, che è Dio, si accorge stupefatto della sua presenza, come lo sbalordito Giacobbe che esclama: “Certo il Signore è in questo luogo ed io non lo sapevo!”(Gen 28,16).

L’AUTORE – Alberto Maggi, frate dell’Ordine dei Servi di Maria, ha studiato nelle Pontificie Facoltà Teologiche Marianum e Gregoriana di Roma e all’École Biblique et Archéologique française di Gerusalemme. Fondatore del Centro Studi Biblici «G. Vannucci» a Montefano (Macerata), cura la divulgazione delle sacre scritture interpretandole sempre al servizio della giustizia, mai del potere. Ha pubblicato, tra gli altri: Roba da preti; Nostra Signora degli eretici; Come leggere il Vangelo (e non perdere la fede); Parabole come pietre; La follia di Dio e Versetti pericolosi. E’ in libreria con Garzanti Chi non muore si rivede – Il mio viaggio di fede e allegria tra il dolore e la vita.

il commento di p. Maggi al vangelo della domenica

VENNE A CAFÀRNAO PERCHÉ SI COMPISSE CIÒ CHE ERA STATO DETTO PER MEZZO DEL PROFETA ISAÌA

commento  di p. Alberto Maggi al vangelo della terza domenica del tempo ordinario (22 gennaio 2017):

Mt 4,12-23

Quando Gesù seppe che Giovanni era stato arrestato, si ritirò nella Galilea, lasciò Nàzaret e andò ad abitare a Cafàrnao, sulla riva del mare, nel territorio di Zàbulon e di Nèftali, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaìa: «Terra di Zàbulon e terra di Nèftali, sulla via del mare, oltre il Giordano, Galilea delle genti! Il popolo che abitava nelle tenebre vide una grande luce, per quelli che abitavano in regione e ombra di morte una luce è sorta». Da allora Gesù cominciò a predicare e a dire: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino». Mentre camminava lungo il mare di Galilea, vide due fratelli, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello, che gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. E disse loro: «Venite dietro a me, vi farò pescatori di uomini». Ed essi subito lasciarono le reti e lo seguirono. Andando oltre, vide altri due fratelli, Giacomo, figlio di Zebedèo, e Giovanni suo fratello, che nella barca, insieme a Zebedeo loro padre, riparavano le loro reti, e li chiamò. Ed essi subito lasciarono la barca e il loro padre e lo seguirono. Gesù percorreva tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo.

Dopo l’episodio delle tentazioni del deserto, tentazioni che non sono esaurite in quel periodo, ma che continueranno per tutta l’esistenza di Gesù,  l’evangelista al capitolo quarto, dal versetto 12, presenta l’inizio dell’attività di Gesù. Leggiamo. “Quando Gesù seppe che Giovanni era stato arrestato”, l’evangelista getta una luce sinistra sull’attività di Gesù. Ecco che cosa capita ad invitare a un cambiamento: i potenti non vogliono cambiare, vogliono conservare, ma la stupidità del potere è che, quando mettono a tacere una voce, perché gli è scomoda, poi il Signore ne suscita una ancora più potente. Quindi, messo a tacere Giovanni, ecco che subentra Gesù. “si ritirò”,questo verbo indica sempre una ritirata in relazione a un pericolo, “nella Galilea, lasciò Nàzaret e andò ad abitare a Cafàrnao, sulla riva del mare, nel territorio”, e qui c’è un’incongruenza, “di Zàbulon e di Nèftali”, ma Cafàrnao è nel territorio di Nèftali, come mai l’evangelista scrive che è il territorio di Zàbulon? Perché, secondo lo stile letterario dei rabbini, Matteo, che probabilmente era uno scriba, vuole introdurre una profezia, un brano del profeta Isaìa che gli sta a cuore, infatti dice “perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaìa”. Questa profezia è una promessa di liberazione dalla situazione di oppressione, di dominio da parte degli Assiri: “«Terra di Zàbulon e terra di Nèftali,” ecco il perché allora prima l’aveva detto, “sulla via del mare, oltre il Giordano, Galilea delle genti!”. Mentre la Giudea, la regione che ha Gerusalemme, la città santa, prende il nome da Giuda, uno dei capostipiti delle  tribù d’Israele, questo territorio è talmente disprezzato dal  profeta che non ha nome, lo chiama il distretto dei pagani, distretto in ebraico è ghelil, da cui il termine Galilea. “Galilea delle genti! Il popolo che abitava nelle tenebre vide una grande luce, per quelli che abitavano in regione e ombra di morte una luce è sorta».”, l’evangelista anticipa quella che poi sarà l’attività dei discepoli, che Gesù inviterà ad essere la luce del mondo. “Da allora Gesù cominciò a predicare e a dire: «Convertitevi”, le prime parole di Gesù sono un invito ad un cambiamento, un cambiamento di mentalità che incida poi nel comportamento, “perché il regno dei cieli”, il messaggio di Gesù non è, non riguarda un regno nei cieli, ma  un regno dei cieli, cieli sta per Dio, il regno di Dio, la società alternativa che Gesù è venuto ad inaugurare, “è vicino”. Perché non dice che c’è già, perché è vicino? Perché questo regno diventerà realtà con la proclamazione delle beatitudini, e la prima beatitudine di Gesù è “beati i poveri per lo spirito, perché di essi è il regno dei cieli”. Non è una promessa del futuro, ma una possibilità per il presente. Quando c’è una comunità, anche piccola, che accetta di condividere quello che è, quello che ha, s’inizia il regno dei cieli, cioè Dio governa queste persone, queste comunità. E Dio non governa emanando leggi che gli uomini devono osservare, ma comunicando loro interiormente il suo spirito, la sua stessa capacità d’amare. “Mentre camminava lungo il mare di Galilea, vide due fratelli”, è importante questo dei fratelli, perché l’essere fratelli sarà la caratteristica poi della comunità di Gesù, “Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello”, e questi fratelli hanno nomi di origine greca, quindi significa una famiglia più allargata, più libera mentalmente. Simone, il primo, è conosciuto per il suo soprannome, che indica la caparbietà, la testardaggine, Pietro cioè testa dura. “che gettavano le reti in mare”, e poi qui l’evangelista fa un commento superfluo, “erano infatti pescatori”, e per forza, se gettavano le reti in mare. Perché l’evangelista sottolinea, sembra inutilmente, che erano pescatori? Perché in realtà si richiama al profeta Ezechiele che, nel capitolo 47, ha una profezia in cui indica, nei tempi del messia, una pesca abbondante per i pescatori. “E disse loro: «Venite dietro a me, vi farò pescatori di uomini».”, questo è l’invito che fa Gesù. Gesù non invita quelli che chiama ad essere pastori, lui è l’unico pastore, ma pescatori di uomini, cosa significa pescare uomini? Pescare il pesce si sa, significa tirare fuori il pesce dal suo habitat vitale, l’acqua, per dargli la morte, per il proprio interesse, per il proprio profitto. Pescare gli uomini significa invece salvarli, tirarli fuori dall’acqua che può dargli la morte, e non per il proprio interesse, ma per il loro interesse. È interessante che Gesù, nel chiamare i suoi seguaci, non sceglie dei monaci, dei pii,  degli appartenenti al sacerdozio,  i potenti, i teologi che c’erano a quell’epoca, ma sceglie delle persone normali, al di fuori dell’ambito della religione, perché devono comunicare vita, e quelli che vivono sotto la cappa della religione, vita non ce l’hanno e non la possono comunicare. “Ed essi subito lasciarono le reti e lo seguirono. Andando oltre, vide altri due fratelli, Giacomo, figlio di Zebedèo, e Giovanni suo fratello”, l’evangelista vediamo quante volte sottolinea il fatto di essere fratelli. Questi due fratelli invece hanno un nome rigorosamente ebraico, quindi significa una famiglia di più stretta osservanza della religione e delle leggi d’Israele. “che nella barca, insieme a Zebedeo loro padre”, compare il padre,” riparavano le loro reti, e li chiamò”, quindi è una famiglia già strutturata in maniera gerarchia, e questo si vedrà lungo tutto il vangelo. “Ed essi subito lasciarono la barca e il loro padre e lo seguirono”, hanno lasciato il padre, perché nella comunità di Gesù non ci sono padri, l’unico padre e il Padre dei cieli, ma non hanno lasciato purtroppo la madre, e la madre sarà fonte di guai per questi due fratelli, a causa della sua ambizione, che rischierà di portare la divisione, lo scisma nella comunità di Gesù. “Gesù percorreva tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo  del Regno”, l’evangelista, per l’attività di Gesù, adopera due verbi differenti: nelle sinagoghe Gesù insegna, insegnare significa prendere dalla ricchezza della tradizione d’Israele, dal deposito della bibbia dell’antico testamento il suo insegnamento; ma, per annunziare agli altri, a quelli al di fuori d’Israele, ai pagani, usa il verbo predicare, che indica qualcosa di nuovo. E cosa predica, cosa annunzia Gesù? Il vangelo. È la prima volta che in questo libro appare il termine vangelo, cioè la buona notizia, e qual’è una buona notizia? La buona notizia del regno è che Gesù lo fa guarendo ogni sorta di malattie e infermità del popolo. L’attenzione di Dio è per le infermità, per il popolo, l’effetto del regno è quello di portare la tenerezza di Dio per ogni creatura, specialmente le più bisognose, le più sofferenti.

 

il vangelo della domenica commentato da p. Maggi

BATTESIMO DEL SIGNORE  
APPENA BATTEZZATO, GESÙ VIDE LO SPIRITO DI DIO VENIRE SU DI LUI

il vangelo della domenica del battesimo del Signore (8 gennaio 2017) commentato da p. Maggi:

Mt 3,13-17

In quel tempo, Gesù dalla Galilea venne al Giordano da Giovanni, per farsi battezzare da lui. Giovanni però voleva impedirglielo, dicendo: «Sono io che ho bisogno di essere battezzato da te, e tu vieni da me?». Ma Gesù gli rispose: «Lascia fare per ora, perché conviene che adempiamo ogni giustizia». Allora egli lo lasciò fare.                                    Appena battezzato, Gesù uscì dall’acqua: ed ecco, si aprirono per lui i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio discendere come una colomba e venire sopra di lui. Ed ecco una voce dal cielo che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento».

Nel vangelo di Matteo l’attività di Gesù si apre all’insegna del battesimo. Con il battesimo di Gesù, Gesù diventa la manifestazione visibile del Padre. Le ultime parole di Gesù saranno l’invito ai discepoli di andare a battezzare, per diventare essi stessi manifestazione visibile del Padre. Vediamo quello che ci scrive l’evangelista Matteo, al capitolo 3, versetti 13-17. Allora “Gesù dalla Galilea venne”, e qui l’evangelista adopera lo stesso verbo che ha usato per indicare l’attività di Giovanni Battista all’inizio del capitolo 3. Questo per dire che Gesù porta a compimento e realizza l’attività del Battista. “Venne al Giordano da Giovanni per farsi battezzare da lui”: il fatto che Gesù sia andato a farsi battezzare, ha causato sempre tanti problemi, già nella chiesa primitiva. C’è in un vangelo, chiamato il vangelo degli Ebrei, addirittura Gesù stesso che protesta e dice:”che peccato ho fatto io per andarmi a fare battezzare ?”. Qui la difficoltà invece gli viene proprio da Giovanni il Battista. “Giovanni però voleva impedirglielo, dicendo: « Sono io che ho bisogno di essere battezzato da te, e tu vieni da me ?» ”. Per comprendere la reazione di Giovanni e tutto il brano, occorre comprendere il significato del battesimo, che per noi ormai ha assunto quello di un rito liturgico, di un sacramento. Il verbo battezzare non significa altro che immergere. Era un rituale ben conosciuto, che indicava la morte a quello che si era. Allora Giovanni Battista aveva invitato la popolazione ad andarsi a far battezzare, in segno di conversione, significava immergersi, lasciando morire l’uomo che era stato, per far emergere una persona completamente nuova. Era un rito che veniva adoperato per esempio per dare la libertà agli schiavi: moriva lo schiavo ed emergeva la persona nuova, libera. Quindi il battesimo dà un segno di morte. Allora qual è il significato del battesimo ? Se per il popolo significava morire a un passato ingiusto di peccato che avevano, per Gesù no, per Gesù il battesimo, quest’immersione, significherà l’accettazione nel futuro della morte, alla quale andrà incontro, per essere fedele appunto a questa missione di testimoniare l’amore del Padre. Questo il significato del battesimo di Gesù, tanto è vero che, in altri vangeli, Gesù adopererà proprio l’immagine del battesimo, per indicare la sua morte, dirà: “potete ricevere il battesimo con cui io sono battezzato ?”. Ecco allora l’impedimento da parte di Giovanni Battista. Giovanni Battista che ha predicato un messia vincitore, un messia giudice, un messia che viene a castigare. Non può immaginare, tollerare l’immagine di un messia sconfitto, di un messia che vada incontro alla morte. ”Ma Gesù gli rispose: «Lascia fare per ora, perché conviene che adempiamo ogni giustizia»”. Questo termine giustizia nella Bibbia indica la fedeltà all’alleanza. Nel libro del Deuteronomio si  legge quest’espressione: ”la giustizia consisterà per noi nel mettere in pratica questi comandi, davanti al Signore nostro Dio, come ci ha comandato”. Quindi la giustizia significa essere fedeli all’alleanza, e pertanto, alla volontà di Dio. E qui l’evangelista inserisce una frase dal significato ambiguo: “Allora egli lo lasciò”. I traduttori completano questa espressione di Matteo, come questa traduzione della CEI, “Allora egli lo lasciò fare”, come se acconsentisse, ma l’evangelista non dice questo,  dice : ”Allora egli lo lasciò”. Perché ? Questa espressione ritornerà poi nel capitolo quarto, quando il diavolo tenterà Gesù. Allora l’evangelista, attraverso questa indicazione, vuol dire che, già dal momento in cui Gesù entra in scena, incominciano le difficoltà e incomincia la tentazione. Qual è la tentazione ? Tutti vogliono impedire che Gesù vada incontro alla morte, perché il messia non può morire, il messia non può finire. La prova che Gesù non è stato il messia è appunto che è morto, quindi questa possiamo chiamarla la prima tentazione, una tentazione che, naturalmente, non gli viene dai nemici, ma proprio dalle persone che gli sono più vicine. “Appena battezzato”, quindi appena Gesù s’immerge nell’acqua, “Gesù”, e qui l’evangelista scrive che “uscì immediatamente”. È importante quest’espressione che adopera l’evangelista: l’acqua è il simbolo di morte, ma la morte non può trattenere colui che è pieno di vita. È tipico degli evangelisti che, ogni qualvolta accennano alla morte di Gesù, immediatamente subito danno un’immagine della sua risurrezione. Quindi appena Gesù s’immerge nell’acqua, immediatamente esce. “Ed ecco si aprirono per lui i cieli”, i cieli si credevano chiusi perché Dio ero offeso, arrabbiato con il suo popolo. Dal momento che Gesù con il battesimo accetta di manifestarne visibilmente il Suo amore, la misericordia per tutta l’umanità, i cieli, cioè Dio, si aprono: la comunicazione tra Dio e gli uomini, attraverso Gesù, sarà continua. “Ed egli vide”, è un’esperienza di Gesù, “lo Spirito di Dio”, qui l’evangelista evita di usare l’espressione ”Spirito Santo”. L’azione dello Spirito è di santificare, cioè di separare le persone dal peccato, e Gesù, quando appunto le ultime parole che pronunzierà, dirà ai suoi discepoli di andare a battezzare nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito, s’intende questo Spirito Santo che santifica le persone. Su Gesù no, su Gesù scende lo Spirito: l’articolo determinativo indica la totalità, lo Spirito è la forza, è l’energia di Dio. In Gesù c’è tutto quello che c’è di Dio, la completezza, la pienezza del Suo amore. “Discendere come una colomba”, perché l’immagine della colomba ? L’evangelista si richiama al libro del  Genesi, già Matteo ha presentato Gesù come la nuova creazione, dove lo Spirito aleggia sulle acque, e, nei commenti dei rabbini, questo Spirito che aleggia sulle acque, veniva immaginato come una sorta di colomba. Gesù è il nido dello Spirito di Dio, e il nido dove questa colomba dello Spirito scende e rimane. “Ed ecco una voce dal cielo”, naturalmente voce dal cielo significa un’esperienza divina, è Dio stesso, il cielo indica Dio, “che diceva”, e qui l’evangelista, probabilmente un abile scriba, fonde insieme ben tre testi dell’antico testamento: fonde il Salmo 2, il libro del Genesi, e il profeta Isaia in tre testi importantissimi, “questo è il figlio mio”, è il salmo, che indica la consacrazione del re come messia, quindi Dio in Gesù vede il figlio, figlio non si intende soltanto colui che ha generato, ma colui che gli assomiglia nel comportamento, quindi l’evangelista sta dicendo: chi vede Gesù vede Dio, vedendo e comprendendo chi è Gesù, si capisce chi è Dio, “l’amato”, e qui il riferimento al libro del Genesi, Isacco era il figlio amato di Abramo, “in lui ho posto il mio compiacimento”, nel messia che è Gesù, che ha deciso di manifestare visibilmente la tenerezza, l’amore del Padre per tutta l’umanità, su lui c’è l’approvazione, la benedizione da parte del Signore.

 

il vangelo della domenica commentato da p. Maggi

I PASTORI TROVARONO MARIA E GIUSEPPE E IL BAMBINO

DOPO OTTO GIORNI GLI FU MESSO NOME GESÙ

commento al vangelo della solennità di Maria Santissima Madre di Dio (1 gennaio 2017) di p. Alberto Maggi:

 

Lc 2,16-21

In quel tempo, [i pastori] andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore. I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro. Quando furono compiuti gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall’angelo prima che fosse concepito nel grembo.

Il primo giorno del nuovo anno si apre con un augurio, con una buona notizia. E qual è questa notizia, quella che ci porta l’evangelista Luca ? Che quelli che la religione ritiene e considera i più lontani da Dio, in realtà, per Gesù, sono i più vicini al Signore. Sentiamo quello che ci scrive l’evangelista nel capitolo 2 del suo vangelo Luca, nei versetti 16-21. Per comprendere quello che l’evangelista ci sta dicendo, bisogna fare un passo indietro, quando i pastori, i pastori erano considerate persone impure per la loro attività, erano considerati emarginati, erano esclusi come peccatori dalla religione, perché vivevano in una maniera al di fuori della legge, non potevano certo partecipare alle funzioni del tempio o della sinagoga. Si credeva che quando il messia sarebbe arrivato, li avrebbe castigati, li avrebbe puniti. Ebbene quando l’Angelo del Signore, che è Dio stesso quando entra in contatto con gli uomini, si presenta loro, non li incenerisce nella sua ira, ma li avvolge della sua luce, cioè del suo amore. L’evangelista smentisce la dottrina tradizionale di un Dio che premia i buoni e castiga i malvagi. Quando Dio si incontra con i peccatori, non li rimprovera, non li punisce, non li castiga, ma li circonda del suo amore, questo è il fatto che precede. Allora “andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia”. Il figlio di Dio che è stato loro annunciato, non è nato in una reggia, neanche in un tempio, ma nella loro condizione, che loro conoscono. “E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro”. Che cos’era stato detto loro dall’Angelo del Signore ? L’Angelo del Signore aveva comunicato loro una grande gioia per la nascita del salvatore, quindi non l’arrivo del giustiziere, quello che premiava i buoni e castigava i malvagi, ma del salvatore, e questa buona notizia sarebbe stata per tutto il popolo. È strano che, da parte di quelli che ascoltano, non c’è nessuna reazione di gioia di fronte questa notizia, ma soltanto sconcerto. Scrive Luca: “Tutti quelli che udivano si stupirono”, cioè si sconcertano, c’è qualcosa che non quadra, perché, nella dottrina tradizionale, Dio castiga i peccatori. Come fanno a dire queste persone che sono peccatori, impure, che Dio li ha circondati, li ha  avvolti del suo amore ?  Quindi sono sconvolti dalle cose dette loro dai pastori. Crolla quello che la religione insegnava loro di Dio: è la novità, è lo scandalo della misericordia, che sarà il filo conduttore di tutto il vangelo di Luca. “Maria, da parte sua”, quindi anche Maria si è stupita, si è sconcertata di questa novità, “Maria, da
parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole”, esattamente esaminandole, interpretandole, il verbo adoperato dall’evangelista indica cercare il vero senso di qualcosa, “nel suo cuore”. Maria anche è sconcertata da questa novità, perché non corrisponde a quello che la religione ha sempre insegnato, ma lei non lo rifiuta, incomincia a pensarci, incomincia a rifletterci. E l’evangelista dà l’avvio alla crescita grande di Maria, che poi la porterà fino presso la croce del figlio. Maria è grande non tanto per aver dato alla luce Gesù, per esserne la madre, ma per aver avuto il coraggio di seguirlo e diventarne la discepola. “I pastori se ne tornarono”, per comprendere quello che l’evangelista ora ci dice, che è clamoroso straordinario, sensazionale, bisogna rifarsi nella cultura dell’epoca, dove in un libro, il primo libro di Enoch, si presenta Dio nell’alto dei cieli, separato dagli uomini, attorno a lui ci sono sette angeli, chiamati gli angeli del servizio. Che cosa fanno questi sette angeli privilegiati che sono i più vicini a Dio ? Hanno il privilegio di glorificare e lodare Dio in continuazione. Ebbene l’evangelista ci dice che i pastori “se ne tornarono, glorificando e lodando Dio”. Quelli che la religione e la società considerava i più lontani, i più esclusi da Dio, una volta che hanno sperimentato l’amore di Dio, sono i più vicini a Dio, esattamente come i sette angeli del servizio, “per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro”. Ma questo piano divino incontra però la resistenza degli uomini: la novità portata da Gesù farà fatica ad essere accolta. Allora l’evangelista ci scrive che “quando furono compiuti gli otto giorni prescritti per la circoncisione”, vanno a circoncidere Gesù. Intendono fare figlio di Abramo quello che era stato annunziato come il figlio dell’Altissimo. Quindi c’è ancora l’attaccamento alla legge, alla tradizione e farà fatica lo Spirito ad entrare, a far fiorire, ma senz’altro ce la farà. “gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall’angelo prima che fosse concepito nel grembo”, e poi vedremo come Gesù metterà in crisi questa coppia di genitori, perché loro si aspettano che Gesù segua le orme dei padri, invece Gesù seguirà il Padre.

il commento di p. Maggi al vangelo di natale

IL VERBO SI FECE CARNE E VENNE AD ABITARE IN MEZZO A NOI

commento al vangelo del giorno di natale (25 dicembre 2016) di p. Alberto Maggi:

Gv 1,1-18

In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era, in principio, presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste. In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta. Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce. Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui; eppure il mondo non lo ha riconosciuto. Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto. A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali, non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati. E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità. Giovanni gli dà testimonianza e proclama:  «Era di lui che io dissi: Colui che viene dopo di me è avanti a me, perché era prima di me». Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia. Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo. Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato.


La liturgia di questa domenica ci presenta il prologo al vangelo di Giovanni. Il prologo sono i primi 18 versetti del suo vangelo, nei quali l’evangelista riassume ed anticipa tutto il suo vangelo, ogni singola parola di questo prologo poi sarà sviluppata. Ebbene l’evangelista inizia correggendo la scrittura, e termina smentendo. Infatti inizia il suo vangelo scrivendo: “In principio era il Verbo”, il verbo significa la parola, è una parola creatrice, che realizza il progetto di Dio nella creazione, “era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio”. L’evangelista corregge l’interpretazione biblica nel libro della Genesi, il primo libro con il quale si apre la Bibbia, dove c’è scritto: “In principio Dio creò il cielo e la terra”. Per l’evangelista Dio, prima ancora di creare il cielo e la terra, aveva questo progetto, che ha voluto che si realizzasse. Ma non solo: usando la parola, il termine “Verbo”, cioè parola, l’evangelista contrappone alla tradizione biblica, che diceva che il mondo era stato creato in vista delle dieci parole, cioè il decalogo, no, c’è un’unica parola che si manifesterà in questo vangelo, in un unico comandamento, quello di Gesù: “amatevi gli uni gli altri, come io vi ho amato”. Se l’evangelista inizia correggendo la scrittura, conclude il suo prologo smentendola. Infatti scrive al versetto 18, in maniera perentoria: “Dio, nessuno lo ha mai visto”. Ma come può l’evangelista affermare una cosa del genere ? Eppure nella Bibbia si legge che Mosè, Aronne e altri 70 anziani hanno visto Dio. L’evangelista non è d’accordo: hanno avuto esperienze parziali, e pertanto la legge che esprimono, che esprime Mosè, non può manifestare la pienezza della volontà di Dio. Quindi l’evangelista è lapidario: “Dio, nessuno l’ha mai visto”. “Il figlio unigenito che è Dio ed è nel seno”, nel seno significa nella piena intimità, “del Padre, è lui che lo ha rivelato”. È importante questa affermazione: per l’evangelista Gesù non è come Dio, ma Dio è come Gesù. Tutto quello che noi credevamo di sapere, che c’è stato insegnato su Dio, ora va verificato con quello che vediamo in Gesù in questo vangelo. Tutto quello che corrisponde, coincide, va mantenuto, ma tutto quello che si distanzia o addirittura gli è contraddittorio, va eliminato. Quando, in questo vangelo, nel capitolo 14, uno dei discepoli, Filippo, chiederà a Gesù: “mostraci il Padre e ci basta”, Gesù risponderà: “chi ha visto me ha visto il Padre”. Quindi Gesù non è come Dio, ma Dio è come Gesù. Quindi l’evangelista conclude il suo prologo con un invito a centrare tutta l’attenzione sulla figura di Gesù. Ebbene, andando a ritroso, in questo prologo, l’evangelista afferma: “Perché la legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità”, un’espressione che indica l’amore generoso, l’amore fedele che si fa dono, “vennero per mezzo di Gesù”. Gesù, che è l’unica vera manifestazione di Dio, inaugura una nuova relazione con Dio: mentre Mosè, il servo di Dio, aveva imposto una legge tra dei servi e il loro signore, basata sull’obbedienza della legge, Gesù, che non è il servo di Dio, Lui è il figlio di Dio, propone un’alleanza tra dei figli e il loro padre, non più basata sull’obbedienza della
legge, ma sull’accoglienza e la pratica del suo amore. E, andando sempre a ritroso in questo prologo per comprenderlo, “Dalla sua pienezza”, dalla realizzazione di questa parola in Gesù, “noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia”. Ecco la dinamica della vita del credente, della comunità cristiana: è un amore che alimenta amore, amore comunicato, che si trasforma poi in amore donato. E il versetto più importante, posto proprio al centro di questo prologo, è il versetto 12, dove prima l’evangelista aveva  scritto: “Venne tra i suoi” questo progetto, questa realtà, “e i suoi non l’hanno accolto”, non è una polemica con un mondo dal quale la comunità cristiana si è ormai allontanata, ma è un monito di stare attenti di non commettere gli stessi errori, che, quando Dio si presenta, e si presenta sempre in forme nuove, in nome del Dio del passato non si riconosce il Dio che viene. Ma ecco il versetto più importante posto al centro: “A quanti però lo hanno accolto”, questo progetto di Dio che si manifesta in Gesù, “ha dato il potere di diventare figli di Dio”. Figli di Dio non si nasce, ma lo si diventa, si diventa accogliendo Gesù nella propria esistenza, e imitandolo nel suo amore. Con Gesù, Dio non è più da cercare, ma da accogliere. Con Gesù l’uomo non vive più per Dio, ma vive di Dio, e con Lui e come Lui va verso gli altri. E al versetto 14 l’evangelista afferma, e questo progetto “si è fatto carne”, si è realizzato nella debolezza della umanità, “e venne ad abitare in noi”, non significa soltanto venne ad abitare in mezzo a noi, ma in noi. Con Gesù, Dio chiede ad ogni persona di essere accolto nella sua vita, per fondersi con Lui, dilatare la sua capacità d’amare e renderlo l’unico vero santuario nel quale s’irradia il suo amore e la sua misericordia. Mentre nell’antico santuario erano le persone che dovevano andare, e non tutti avevano l’accesso, nel nuovo santuario è questo santuario che va verso gli ultimi, che va verso gli esclusi. Il fatto che questo progetto di Dio si manifesta nella carne, nella debolezza della carne, indica che non esiste dono di Dio che non passi attraverso l’umanità: più si è umani, e più si manifesta il divino che è in noi. Allora ritornando all’inizio del prologo, abbiamo fatto un po’ un zig-zag perché è molto lungo, ma per comprenderne il significato, ecco che comprendiamo quello che l’evangelista voleva dire: fin dall’inizio c’era questo progetto, questo progetto di Dio, una parola che s’incarna, si manifesta la condizione divina, e, in questo progetto, scrive l’evangelista, “era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre, e le tenebre non l’hanno vinta”. Ecco il grande incoraggiamento che l’evangelista ci dà: bisogna accogliere questo amore di Dio e manifestarlo. Non bisogna combattere le tenebre, non bisogna sprecare energie per combattere, ma la luce si deve espandere. Nella misura che la luce si espande, ecco che le tenebre se ne vanno. Questa  idea che poi girerà in tutto il vangelo, poi verrà formulata da Gesù, pochi istanti prima di essere arrestato, quando Gesù dirà: “Coraggio io ho vinto il mondo”. Coloro che si pongono a fianco della verità della luce, dell’amore, saranno sempre i vincitori sulla tenebra, sull’odio e sulla morte.

il mistero del natale presentato da A. Maggi

il Natale non è una favola mielosa

Alberto Maggi

 

 

“La nascita di Gesù è come impiastricciata in una melassa dolciastra, che rischia di impantanare la verità evangelica in una bella favola che va a toccare le corde dei sentimenti, ma che poco o nulla incide nella vita del credente…”


 

Tanto scarno e asciutto è quel che scrivono i vangeli riguardo al Natale, quanto mielosa è diventata la maniera di presentarlo e di viverlo. La nascita di Gesù è infatti come impiastricciata in una melassa dolciastra, che rischia di impantanare la verità evangelica in una bella favola che va a toccare le corde dei sentimenti, ma che poco o nulla incide nella vita del credente.

Gli evangelisti non hanno avuto alcuna intenzione di descrivere minuziosamente la cronaca del giorno, mese e anno sconosciuti, in cui a Betlemme, è nato un maschietto al quale i genitori hanno posto nome Gesù, l’ebraico Jeshua (“Il Signore salva”).


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Quel che viene presentato nei vangeli non è una cronaca, ma un’interpretazione della nascita di Gesù, alla luce della sua morte e risurrezione, dove i sentimenti vengono fatti tacere per lasciare il posto solo ai significati. Per scoprire quali essi siano occorre procedere a un’efficace operazione di pulizia, per giungere al significato profondo della narrazione evangelica facendola riemergere da quel cumulo di leggende, tradizioni, devozioni, folklore, che l’aveva come seppellita. La luce che emerge dopo l’operazione di restauro è l’annuncio della realizzazione del progetto di Dio sull’umanità: “E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv 1,14), avveratosi storicamente in Gesù di Nazareth e proposto, attraverso di lui, a ogni persona: “A quanti l’hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio” (Gv 1,12).


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Ma chi l’ha accolto? Non i capi religiosi, ma i pastori, i pària di Israele, non i pii farisei, ma i magi, gli impuri pagani. Quelli che erano considerati esclusi dal piano di Dio hanno accolto Gesù; quelli che si ritenevano gli eletti privilegiati hanno rifiutato il disegno del Signore sull’umanità (“ma i suoi non lo hanno accolto”, Gv 1,11).

Ecco allora che quei particolari che gli evangelisti hanno inserito nella loro narrazione, una volta ripuliti da ogni elemento estraneo, acquistano tutta la loro portata, cominciando dai personaggi. Matteo presenta, una ragazza, Maria, che è incinta, viene sospettata di adulterio dal proprio sposo, e per questo rischia di essere lapidata. Il marito, Giuseppe, dilaniato tra l’osservanza della Legge divina, che gli impone di denunciare e uccidere la sposa infedele, e la compassione per la propria moglie, sceglie l’amore. Là dove la ferrea osservanza della Legge, della morale e della tradizione viene incrinata da un sentimento di misericordia, si permette a Dio di farsi strada e manifestarsi nella vita dell’uomo.


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L’annuncio della nascita di Gesù, non suscita gioia, ma provoca il panico nella città santa, Gerusalemme. La venuta del“Dio con noi” (Mt 1,23), spaventa tutta Gerusalemme: da Erode, re illegittimo, ai sacerdoti, dagli abitanti ai teologi. Tutti allarmati, sbigottiti, e presi dalla paura di perdere il potere e i propri consolidati privilegi. E la casta sacerdotale, anziché accorrere per accogliere e rendere omaggio all’atteso Messia, si inquieta per la notizia. I capi religiosi preferiscono restare sottomessi a un re illegittimo per poter mantenere i propri privilegi piuttosto che accogliere il liberatore d’Israele e perdere il dominio sul popolo. A parole auspicavano la venuta del Messia, in realtà la temevano. E la stella, segno celeste che mai brillerà a Gerusalemme, sarà scorta nel tanto disprezzato mondo pagano, i cui rappresentanti, i magi, verranno per rendere omaggio al rifiutato dal suo popolo. La risposta del potere al dono di Dio all’umanità, sarà la strage, compiuta con la complicità delle autorità religiose che hanno fornito al sanguinario Erode ogni informazione su dove trovare il bambino.

Anche nel vangelo di Luca non sono le persone religiose ad accorrere alla nascita del salvatore, ma i pària, i disprezzati pastori d’Israele (“Nessuna condizione di vita è così disprezzata nel mondo come quella dei pastori”, Midrash Sal. 23). E saranno i pastori, non i teologi, a far conoscere al mondo la grande novità che diventerà poi il filo conduttore del vangelo, la “buona notizia”: quando Dio s’incontra con i peccatori, non li castiga ma li avvolge con il suo amore (Lc 1,9), perché questo Signore non è attratto dai meriti delle persone ma dai loro bisogni, ed “è benevolo verso gli ingrati e i malvagi” (Lc 6,35).

Alberto Maggi, frate dell’Ordine dei Servi di Maria, ha studiato nelle Pontificie Facoltà Teologiche Marianum e Gregoriana di Roma e all’École Biblique et Archéologique française di Gerusalemme. Fondatore del Centro Studi Biblici «G. Vannucci» a Montefano (Macerata), cura la divulgazione delle sacre scritture interpretandole sempre al servizio della giustizia, mai del potere. Ha pubblicato, tra gli altri: Roba da preti; Nostra Signora degli eretici; Come leggere il Vangelo (e non perdere la fede); Parabole come pietre; La follia di Dio e Versetti pericolosi. E’ in libreria con Garzanti Chi non muore si rivede – Il mio viaggio di fede e allegria tra il dolore e la vita.

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