il vangelo della domenica commentato da p. Maggi

GESÙ NASCERÀ DA MARIA, SPOSA DI GIUSEPPE, DELLA STIRPE DI DAVIDE

commento al vangelo della quarta domenica di avvento (18 dicembre 2016) di p. Alberto Maggi:

Mt 1,18-24

Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto. Però, mentre stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati». Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: «Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele», che significa “Dio con noi”. Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa.

Il vangelo di Matteo si apre con la genealogia di Gesù. Leggiamo in Matteo: “Genealogia di Gesù Cristo figlio di Davide, figlio di Abramo, Abramo generò Isacco…” e via di seguito, c’è tutta una serie di generazioni. Per comprendere questo, bisogna situarsi nella cultura ebraica, nella lingua ebraica del tempo, dove non esisteva la parola genitori. C’era un padre, che è colui che genera, e la madre, colei che si limita a partorire. Nella nascita di un bambino non è che il papà e la mamma contribuivano allo stesso modo: la madre era considerata una sorta di incubatrice, che soltanto riceveva il seme del marito, e poi, a suo tempo, lo espelleva, e quindi è un uomo che genera un maschio. Ebbene abbiamo tutta la genealogia di Gesù, generazione dopo generazione, di uomini che generano altri uomini, finché arriviamo al versetto 16: “Giacobbe…”, Giacobbe è il nonno di Gesù padre di Giuseppe “Giacobbe generò Giuseppe…” e qui ci si aspetterebbe, per la quarantesima volta, il verbo generare, e Giuseppe generò Gesù. Invece qui si tronca, si tronca questa genealogia: “Giacobbe generò Giuseppe, il marito di Maria, dalla quale fu generato Gesù, chiamato il Cristo”. C’è qualcosa di nuovo, c’è una novità incredibile: a Maria viene attribuito lo stesso verbo “generare” che si attribuiva alla generazione degli uomini. Cosa vuol dire l’evangelista ? Che con Maria, quella tradizione nata alle origini del tempo, e che ha portato avanti tutta la storia d’Israele, si chiude con Giuseppe. Il padre quando generava un figlio, non gli trasmetteva soltanto la vita fisica, biologica, ma tutta la tradizione e la spiritualità del suo popolo, ebbene tutto questo prezioso capitale di storia si ferma a Giuseppe. Con Gesù, con Gesù c’è una nuova creazione. Allora vediamo il brano che la liturgia ci presenta in questa domenica, è Matteo, il capitolo primo, dal versetto 18 al 24: “Così fu generato Gesù Cristo…”: letteralmente questa di Gesù Cristo è la genesi, l’evangelista si  richiama con la parola, con il termine, al primo libro della Bibbia, vuole indicare che in Gesù c’è una nuova creazione, qualcosa di inedito, qualcosa di mai avvenuto. “Così fu generato Gesù Cristo…”, questa è la genesi di Gesù Cristo, “…sua madre Maria…” essendo non promessa sposa, sposata: anche qui bisogna comprendere com’era l’istituzione matrimoniale al tempo di Gesù: il matrimonio avveniva in due tappe: la prima parte che si chiamava sposalizio, e la seconda, un anno dopo, che erano le nozze, quindi il matrimonio divise in due parti. Qui Maria e Giuseppe si trovano nella prima fase, è già sposata, sono già marito e moglie, ma ancora non vivono insieme. “Sua madre Maria essendo…” quindi non “…promessa sposa…”, ma sposata di Giuseppe ”…prima che andassero a vivere insieme…”, quindi prima che passassero nella seconda fase, quella della coabitazione nella casa paterna, “…si trovò incinta per opera dello Spirito Santo”: che cosa ci vuole indicare l’evangelista con questa affermazione ? Anzitutto andiamo ai termini: in ebraico il termine spirito, ruah,  è femminile, in greco pneuma è neutro. Quindi l’evangelista evita assolutamente qualunque riferimento a quelle storie, che nel mondo pagano erano frequenti, di dèi che si accoppiavano con delle fanciulle. Qui non si tratta di un accoppiamento di un maschio con una femmina, per questo l’evangelista adopera un termine neutro, ma lo Spirito Santo cos’è ? È la forza creatrice di Dio. Quello che è nato in Gesù, è la stessa forza che ha dato inizio alla creazione. Nel libro della Genesi, alla quale Matteo si richiama, “In principio Dio creò il cielo e la terra e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque”, ora lo Spirito di Dio ho fatto di nuovo irruzione in questa creatura. “Giuseppe, suo sposo poiché era un uomo giusto…”, giusto non ha il nostro significato morale, giusto significa fedele osservante di tutte le regole e le prescrizioni della legge, “…e non voleva accusarla pubblicamente…”, già nella prima fase del matrimonio, lo sposo e la sposa erano marito e moglie, e l’uomo si premuniva al riguardo, stabilendo che, in caso di adulterio, la donna andava lapidata. Ebbene Giuseppe è in dilemma, e questo dramma nei libri apocrifi, nel protovangelo di Giacomo, viene espresso molto efficacemente. C’è Giuseppe che afferma: ”se nasconderò il suo errore mi troverò a combattere con la legge del Signore”, quindi Giuseppe è di fronte ad un dramma: lui è un fedele osservante della legge, la legge gli comanda di denunciare e far ammazzare la donna adultera infedele, ma lui non se la sente. “…pensò di ripudiarla in segreto…”: il ripudio era molto semplice a quel tempo, era un foglio di carta dove il marito scriveva semplicemente: “tu da oggi non sei più mia moglie”, lo consegnava alla donna e questa andava via. I motivi per il ripudio erano molteplici, e quindi non c’era nessun problema ed è questo quello che Giuseppe sta pensando di farle. “Mentre però stava considerando queste cose, gli apparve in sogno un angelo del Signore…”: è  la prima volta nel vangelo di Matteo dove appare questa espressione “angelo del Signore”. Dio, nella cultura ebraica, era lontano dagli uomini, e, quando doveva intervenire nella vita degli uomini, non si presentava mai con la sua la divinità, personalmente, ma attraverso quella formula che è “l’angelo del Signore”. “L’angelo del Signore” non significa un angelo inviato da Dio, ma è Dio stesso quando entra in contatto, in comunicazione con gli uomini. E perché in sogno ? Il sogno nel libro dei Numeri si legge “se ci sarà un vostro profeta, io Jahvè , il Signore, in visione a lui mi rivelerò, in sogno parlerò con lui”, Dio appunto è lontano dagli uomini, non si manifesta agli uomini direttamente, ma solo attraverso il sogno. Questo “angelo del Signore” è la prima volta che appare, e compare tre volte in questo vangelo, e sempre per la vita. Qui è la prima volta, Dio che comunica la vita, poi apparirà per difendere questa vita dalle trame omicide di Erode, e poi, al momento della resurrezione, per confermare che la vita, quando proviene da Dio, è indistruttibile. “…e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo;…”: ecco c’è l’assicurazione di Dio che Maria non è una donna adultera, non ha tradito Giuseppe, ma in lei si è creato qualcosa di nuovo, è una nuova creazione che in Maria prende forma. “…ella darà alla luce…” letteralmente partorirà, “…un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati».”. Qui l’evangelista mette un nesso tra il nome di Gesù e salvare il popolo dai peccati. Questo, nella nostra lingua italiana, non si può comprendere, ma nell’ebraico sì: Gesù in ebraico è Jeshuà, ed il verbo salvare, al futuro, salverà, si dice joshuà; quindi in ebraico c’è un gioco di parola: lo chiamerai Jeshuà – Gesù, egli infatti joshuà, salverà il suo popolo. In italiano dovremo rendere con l’espressione: egli si chiamerà salvatore, perché salverà il suo popolo nei suoi in peccati. Matteo è l’unico evangelista che, nella cena del Signore, aggiunge le parole che il sangue di Gesù è dato per cancellare, in condono dei peccati, i peccati non sono le colpe, le mancanze degli uomini, il peccato è un passato negativo, è un passato non conforme al desiderio di Dio. “Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore, per mezzo del profeta…”, e si riferisce al capitolo settimo d’Isaia, al versetto 14, dove il profeta si rivolge al re Acaz, annunciando la nascita di un figlio, il futuro re Ezechia. “«Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele»…” e qui è il punto dove l’evangelista ci voleva portare, è il filo conduttore di tutta la sua teologia, di tutto il suo vangelo, la grande novità che porterà Gesù, il Dio che si fa uomo, che significa Dio con noi. Perché filo conduttore ? Perché appare qui all’inizio, tornerà circa a metà del vangelo, e poi alla fine di questo vangelo con le parole di Gesù: “io sono con voi per sempre”. Questa è la novità che Gesù ci porta: un Dio non lontano, ma un Dio con noi. Allora, se Dio è con noi, non è più un Dio da cercare, ma da accogliere, e con Lui e, come Lui, andare verso gli uomini. Mentre prima l’umanità viveva per Dio, era orientata verso Dio, il traguardo era Dio, ora l’umanità con Gesù vive di Dio, e, con Lui e come Lui, porta questa onda d’amore ad ogni creatura. “Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa.”, quindi Giuseppe viene presentato come il giusto nel vero senso, colui che, anche andando al di là della tradizione delle prescrizioni della legge, è in sintonia con la parola di Dio e la osserva, anche quando questa va contro le proprie consuetudini e regole religiose. Ma grazie a questa omissione dell’osservanza della legge, lo Spirito Santo si fa breccia e può formarsi una nuova vita, quella di Gesù.

il vangelo della domenica commentato da p. Maggi

 

SEI TU COLUI CHE DEVE VENIRE O DOBBIAMO ASPETTARE UN ALTRO?  

commento al vangelo della terza domenica di avvento (11 dicembre 2013) di p. Alberto Maggi:

Mt 11,2-11

In quel tempo, Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo dei suoi discepoli mandò a dirgli: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». Gesù rispose loro: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!». Mentre quelli se ne andavano, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che vestono abiti di lusso stanno nei palazzi dei re! Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta. Egli è colui del quale sta scritto: “Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero, davanti a te egli preparerà la tua via”. In verità io vi dico: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui».

L’evangelista Matteo scrive per una comunità di Giudei, e presenta la figura di Gesù sulla falsa riga della vita e delle opere di Mosè. Mosè liberò il suo popolo, facendo scagliare da Dio le dieci piaghe, le famose dieci piaghe d’Egitto, contro chi si opponeva alla liberazione degli Ebrei dalla schiavitù. Ebbene, l’evangelista presenta Gesù che compie non dieci piaghe, dieci azioni di castigo contro i suoi oppositori o i suoi nemici, ma dieci opere con le quali comunica vita, e comunica vita anche ai suoi rivali, ai suoi nemici. Tutto questo sconcerta, perché l’attività di Gesù non è quella attesa, quella che era stata annunciata da Giovanni il Battista – lo ricordiamo il Messia giustiziere che ha la scure in mano, ogni albero che non porta frutto lo taglia e lo getta nel fuoco, questo Messia che sarebbe venuto a dividere il popolo tra puri ed impuri, buoni e cattivi. Ed infatti, ad andare in crisi è proprio Giovanni. Leggiamo il vangelo di Matteo, capitolo 11, versetti 2-11. “…Giovanni, che era in carcere…”: l’evangelista dà per scontata la notizia che sia conosciuto che Giovanni è in carcere, anche se in realtà poi ce lo dirà soltanto al capitolo 14. Perché è in carcere ? Secondo Matteo, è perché Giovanni il Battista aveva accusato Erode di essersi preso come sposa la moglie di suo fratello, ma c’è uno storico del tempo, Giuseppe Flavio, che nelle “Antichità giudaiche”, ci dà una lettura politica dell’incarcerazione e poi dell’assassinio di Giovanni Battista. Scrive Giuseppe Flavio che Erode era preoccupato del successo, della gente che seguiva il Battista e dice: ”Erode perciò decise che sarebbe stato molto meglio colpire in anticipo e liberarsi di lui, prima che la sua attività portasse ad una sollevazione”. Quindi per Giuseppe Flavio c’è un motivo politico. Giovanni è in carcere, diremmo nel supercarcere di una fortezza, costruita da Erode il Grande, nella riva orientale del Mar Morto, Macheronte. “…avendo sentito parlare delle opere del Cristo…”: ecco sono tutte opere con le quali Gesù, il Messia, comunica vita anche ai peccatori, anche ai nemici. “… per mezzo dei suoi discepoli …”: è strano che compaiano i discepoli di Giovanni Battista, si vede che non hanno accolto Gesù come colui da seguire. “… mandò a dirgli: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?»”: la richiesta di Giovanni il Battista ha tutto il sapore di una scomunica, perché questo Gesù non è quello che, il
Messia che Giovanni il Battista aveva annunziato, questo Messia giustiziere, questo Messia che veniva a portare avanti il castigo di Dio. Allora Giovanni Battista, in profonda crisi, gli manda questa scomunica: sei tu quello che doveva venire, o ne dobbiamo aspettare un altro? Gesù non risponde alla polemica con argomenti teologici, biblici, ma con le opere. “Gesù rispose loro: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete “, cioè ciò di cui voi fate esperienza. E qui Gesù elenca sei opere, sei azioni, il numero sei ricorda i giorni della creazione, quindi Gesù, in prolungamento con il Dio della creazione, continua a comunicare vita, e sono tutte azioni con le quali si comunica, si restituisce, o si rallegra la vita delle persone: “… I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati”, i lebbrosi erano considerati non dei malati, ma dei maledetti, castigati, ”… i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo”, cioè la buona notizia. E qual è la buona notizia che i poveri si attendono ? La fine della povertà. Questo elenco Gesù lo prende dalle azioni del Messia, così come erano state annunziate dal profeta Isaia, in due capitoli del suo libro, nel capitolo 35 e nel capitolo 61, ma, in tutte e due i brani, Isaia aveva annunziato anche la vendetta di Dio contro i pagani, contro i peccatori. Gesù la omette: l’azione di Dio, attraverso Gesù, è un’offerta d’amore a tutti, non c’è forma di vendetta o di castigo. Ecco perché Gesù proclama beato, quindi c’è una nuova beatitudine in questo vangelo, “… colui che non trova in me motivo di scandalo !»”. Qual è lo scandalo ? È lo scandalo della misericordia.  È strano questo. Mentre il castigo, il castigo di Dio indubbiamente intimorisce, ma non scandalizza le persone, la misericordia scandalizzava e continua ancora a scandalizzare le persone, specialmente le persone religiose, quelle che pensano che Dio li ama per i loro meriti, per i loro sforzi, non sopportano quest’immagine di un Dio misericordia, Dio misericordia significa che il suo amore non conosce gli ostacoli messi dagli uomini, il suo amore vuole arrivare a tutti. Gesù l’aveva annunziato: suo Padre non è il Dio della religione, in ogni religione Dio premia i buoni e castiga i malvagi. Gesù aveva detto: no, l’azione del Padre è come quella del sole che splende sui cattivi e sui buoni, e ugualmente la pioggia. L’azione del Padre di Gesù è quella di una comunicazione d’amore, indipendentemente dal comportamento e dalla risposta delle persone. Questo è quello che scandalizza: che anche chi non lo merita, anche gli indegni, anche gli impuri, i peccatori, possono essere oggetto dell’amore di Dio, senza una previa penitenza, senza una previa purificazione, questo è lo scandalo della misericordia. Ebbene Gesù proclama beati quelli che non si scandalizzano. “Mentre quelli se ne andavano”, se ne vanno senza alcuna reazione, il che significa da una parte incomprensione, dall’altra disaccordo con quello che Gesù ha detto, ”Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento ?”. Era proverbiale l’attività della canna, era anche in una favola conosciuta di Esòpo. La canna cos’è ? è quella che si piega al vento, è l’ immagine della persona opportunista, quella che è sempre disposta a piegare la schiena, pur di rimanere al suo posto. Il vento soffia da una parte, soffia dall’altra, la canna  si piega sempre, quindi l’immagine dell’opportunista. “Allora, che cosa siete andati a vedere ? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco quelli che vestono abiti di lusso stanno nei palazzi del re !”, nei palazzi dei re ci sono i cortigiani . Chi sono i cortigiani ? Sono quelli ossequienti al potente di turno, sempre pronti a cambiare bandiera, a cambiare casacca, a cambiare credo, pur di rimanere sempre a galla. “Ebbene,” afferma Gesù, ”che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì,” risponde Gesù “io vi dico, anzi, più che un profeta”. Perché di Giovanni Battista Gesù afferma che è più di un profeta ? Perché Giovanni Battista è colui che è stato inviato da Dio a preparare la strada per Gesù. Allora Gesù ci fa comprendere che, per essere inviati da Dio, collaboratori di Dio, non si può essere né opportunisti, né cortigiani, ma bisogna andare sempre dritti per la propria strada. “Egli è colui del quale sta scritto:”, e qui l’evangelista mette insieme due espressioni dell’antico testamento dal libro dell’Esodo e dal profeta Malachia, “Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero, davanti a te egli preparerà la tua via”. L’ evangelista presenta la figura di Giovanni Battista come è stata quella di Mosè, che ha portato il suo popolo verso la Terra Promessa, ma lui non c’è entrato. È stato Gesù che poi porterà questo popolo alla liberazione. Ed infine l’elogio di Gesù: “In verità io vi dico: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli”, il regno dei cieli, lo ricordiamo, in Matteo è la sua comunità, una società alternativa, una comunità dove ci si entra con l’accettazione e l’accoglienza della prima beatitudine, quella della povertà – beati i poveri di spirito perché di essi è il regno dei cieli –  “è più grande di lui»”. Giovanni il Battista non ha potuto entrare in questa comunità appunto perché è stato incarcerato, e non ha potuto soprattutto rinascere di nuovo, rinascere dallo Spirito, dal passare da figlio di donna a figlio di Dio.

il vangelo della domenica cmmentato da p. Maggi

CONVERTITEVI: IL REGNO DEI CIELI È VICINO! 

commento al vangelo della seconda domenica di avvento (4 dicembre 2016) di p. Alberto Maggi Maggi

Mt 3,1-12

In quei giorni, venne Giovanni il Battista e predicava nel deserto della Giudea dicendo: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!». Egli infatti è colui del quale aveva parlato il profeta Isaia quando disse: «Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!». E lui, Giovanni, portava un vestito di peli di cammello e una cintura di pelle attorno ai fianchi; il suo cibo erano cavallette e miele selvatico. Allora Gerusalemme, tutta la Giudea e tutta la zona lungo il Giordano accorrevano a lui e si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati. Vedendo molti farisei e sadducei venire al suo battesimo, disse loro: «Razza di vipere! Chi vi ha fatto credere di poter sfuggire all’ira imminente? Fate dunque un frutto degno della conversione, e non crediate di poter dire dentro di voi: “Abbiamo Abramo per padre!”. Perché io vi dico che da queste pietre Dio può suscitare figli ad Abramo. Già la scure è posta alla radice degli alberi; perciò ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco. Io vi battezzo nell’acqua per la conversione; ma colui che viene dopo di me è più forte di me e io non sono degno di portargli i sandali; egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Tiene in mano la pala e pulirà la sua aia e raccoglierà il suo frumento nel granaio, ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile».

Il capitolo 3 del vangelo di Matteo si apre con la formula, che appare soltanto qui, unica volta in tutto il vangelo: “In quei giorni”. Con questa formula, l’evangelista intende richiamare il capitolo 2 del libro dell’Esodo, dove si legge: ”In quei giorni Mosè, cresciuto in età, si recò dai suoi fratelli e notò i lavori pesanti da cui erano oppressi”. Quindi è quando Mosè comincia a prendere coscienza della situazione del suo popolo, che poi lo porterà a liberarlo. Allora con il richiamo, ripeto unica volta in cui nel vangelo di Matteo c’è questa formula, “in quei giorni”, l’evangelista apre l’azione di Giovanni, che poi verrà portata avanti e completata da quella di Gesù, in chiave di esodo, in chiave di liberazione e vedremo da cosa. “In quei giorni venne Giovanni”, il nome Giovanni significa “il Signore è misericordia”, “il Battista”, è già conosciuto per la sua attività di battezzatore, di cui poi vedremo il significato, “… e predicava nel deserto della Giudea”, il deserto della Giudea è quella zona che da Gerusalemme arriva fino al mar Morto, non è un deserto di sabbia, è un deserto di roccia, montagnoso, “dicendo:”, ed  è all’ imperativo, l’annunzio che fa Giovanni Battista: “Convertitevi”. Questo verbo significa un cambio di mentalità che poi si riflette nel comportamento. Giovanni si rifà a quello che era stato già l’annuncio del profeta Isaia: ”Cessate di fare il male e fate il bene, e i vostri peccati saranno perdonati”. Quindi Giovanni Battista invita ad un cambiamento di mentalità, ad orientare la propria vita per il bene degli altri. ”…perché il regno dei Cieli è vicino”. Per la prima volta appare nel vangelo di Matteo questa formula, che è usata esclusivamente da questo evangelista. “Regno dei cieli” da non confondere con un “regno nei cieli”, che significa regno di Dio. L’evangelista Matteo, che scrive per una comunità di Giudei, è attento alla loro sensibilità, e, tutte le volte che può, evita di usare la parola Dio, che, come sappiamo, gli Ebrei non scrivono e non pronunziano. Allora “regno dei Cieli” non significa un regno nell’aldilà, ma il regno di Dio, Dio che governa i suoi. “Egli infatti è colui del quale aveva parlato il profeta Isaia quando disse”, e qui l’ evangelista cita il profeta Isaia, ma modificandolo, perché nel capitolo 40 del profeta Isaia, al versetto 3 si legge: ”una voce grida: nel deserto preparate la via del Signore”, ed era l’ annuncio della fine della deportazione da Babilonia, con l’editto di Ciro, e l’inizio della liberazione, e quindi “nel deserto preparate la via del Signore”. L’evangelista modifica il brano di Isaia: “voce di uno che grida nel deserto: ”, quindi dal deserto, dalla rottura con la società, arriva questo annunzio: “… preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri”. Poi l’ evangelista passa a descrivere la figura di Giovanni, dando dei chiari riferimenti: “portava un vestito di peli di cammello”, era l’ abito tipico dei profeti, ma con un particolare: ”ed una cintura di pelle attorno ai fianchi”. Gli evangelisti sono sempre parchi di esempi, di annotazioni, quando le mettono è perché hanno un significato chiaramente teologico. La cintura di pelle attorno ai fianchi era il distintivo di quello che è stato considerato il più grande dei profeti, il profeta Elia, che, si credeva, doveva venire per preparare la strada del Messia. Quindi l’evangelista sta identificando nella figura di Giovanni il profeta Elia. “… e il suo cibo erano cavallette e miele selvatico”, quello che presentava il deserto, l’ alimentazione tipica dei beduini. É clamoroso quello che l’ evangelista scrive: ”Allora Gerusalemme, tutta la Giudea e tutta la zona lungo il Giordano accorrevano a lui“. Giovanni ha predicato un cambiamento di vita, e tutta l’attesa del popolo che è riflettuta da questo “Gerusalemme”, “Giordano”, accorre a lui. Hanno capito che gli strumenti che l’ istituzione religiosa offriva loro, non erano adeguati, ed accorrono a lui . “… e si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano”: battezzare era un rito conosciuto, era un’immersione, con la quale si significava la morte al proprio passato, per iniziare una vita nuova. “… nel fiume Giordano”: è importante l’indicazione che fa l’evangelista, e la ripete. Il Giordano era stata la tappa finale dell’esodo per entrare nella terra promessa, adesso è la tappa iniziale per uscire dalla terra promessa, perché la terra della libertà, in mano ai sommi sacerdoti, gli scribi, i farisei, a tutta la casta sacerdotale, all’istituzione religiosa, si era trasformata in una terra di oppressione, dalla quale occorre uscire, e quindi Giovanni annunzia l’esodo che poi porterà a compimento Gesù. “… confessando i loro peccati”: il verbo confessare non deve far pensare a quello che noi intendiamo per confessione. Era un gesto, quello di immergersi nell’acqua, con il quale ci si riconosceva di essere peccatori. All’arrivo della casta sacerdotale al potere, dell’elite religiosa rappresentata da farisei e sadducei, Giovanni Battista non li accoglie bene, li accoglie con parole di fuoco, perché sa che questi vengono a fare un rito. Ma Giovanni dice: no, dovete fare “frutto degno della conversione”, cioè è un cambiamento di vita che si deve vedere nel comportamento, ma poi vedremo avanti nel vangelo che questi mai crederanno all’azione di Giovanni Battista. Per concludere il brano, che è molto ricco, Giovanni dice: “Io vi battezzo nell’acqua per la conversione”, quindi il gesto offerto da Giovanni è un cambiamento di vita, che si fa attraverso questa immersione, ma la forza poi per portare avanti questo cambiamento di vita, lui non la può dare. Dice ci sarà qualcuno che sarà “più forte di me … egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco”. Il battesimo nell’acqua significa essere immersi in un liquido che è esterno all’uomo. Il battesimo nello Spirito, lo Spirito è la vita di Dio, è l’ amore di Dio, significa essere inzuppati, impregnati della stessa vita di Dio. Sarà questo che darà la forza poi di portare avanti questa conversione, questo cambiamento. Solo che Giovanni Battista dice: ”… e fuoco”: lo Spirito Santo per quanti accolgono questo invito alla conversione, e fuoco, secondo la mentalità tradizionale, era il castigo di Dio per quelli che lo rifiutavano. Infatti conclude Giovanni: “Tiene in mano la pala e pulirà la sua aia e raccoglierà il suo frumento nel granaio, ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile”. Quindi Giovanni Battista, erede della tradizione dell’Antico Testamento, presenta un giudizio di Dio, e questo giudizio di Dio poi verrà corretto da Gesù. Quando negli Atti Gesù si riferirà a questo battesimo, dirà: ”Voi sarete battezzati in Spirito Santo”. Da parte di Gesù, che è la presenza di Dio nell’umanità c’è soltanto un annuncio, un’ offerta di pienezza di vita, in lui è assente qualunque forma di castigo.

il commento di p. Maggi al vangelo della domenica

VEGLIATE, PER ESSERE PRONTI AL SUO ARRIVO  

commento al vangelo della prima domenica di avvento (27 novembre 2016) di p. Alberto Maggi:

Mt 24,37-44Maggi

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Come furono i giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo. Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca, e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse tutti: così sarà anche la venuta del Figlio dell’uomo. Allora due uomini saranno nel campo: uno verrà portato via e l’altro lasciato. Due donne macineranno alla mola: una verrà portata via e l’altra lasciata.  Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. Perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo».

avvento

La liturgia della prima domenica di Avvento, ci presenta un brano di non facile lettura e, per comprenderlo, va inserito nel suo contesto, che è il capitolo 24, l’inizio dell’ultimo discorso di Gesù, prima di essere arrestato. Questo capitolo 24 iniziava con Gesù, che è uscito dal tempio e, di fronte ai discepoli che ne ammirano lo splendore, dice: “non rimarrà pietra su pietra che non sarà distrutta”. Perché questo ? C’ era stato l’episodio dell’offerta della vedova, che si dissanguava, per offrire tutto quello che aveva, al tesoro del tempio. Allora per Gesù, un’ istituzione religiosa che, anziché aiutare i deboli, si fa mantenere dai deboli e sfrutta i deboli in nome di Dio, non ha diritto all’esistenza. Per cui Gesù dichiara la fine di tutto questo: ecco non rimarrà pietra su pietra che non sia distrutta.
Ma questo è appena l’inizio di uno sconvolgimento, di un cambiamento che avverrà nella storia e nell’ umanità. E Gesù prosegue affermando, usando il linguaggio profetico, che il sole non darà più il suo splendore. Il sole in quella cultura rappresentava le divinità pagane. Gesù, in questa azione di cambiamento dell’umanità, chiede la collaborazione dei suoi discepoli. L’annunzio del vangelo del vero Dio porterà l’ eclisse delle false divinità e, dice Gesù, gli astri cominceranno a cadere. Chi sono questi astri ? Gli astri erano  immagini dei re, dei potenti, degli imperatori, che, su queste divinità, basavano il loro potere. Quando l’annunzio del vangelo oscura questa divinità, ecco che questi re, questi principi, uno dopo l’altro, cadono. Quindi è l’inizio di un cambiamento dell’umanità e, dice  Gesù, così vedrete in cielo il segno del figlio dell’uomo.
Che cos’è questo figlio dell’uomo ? È il titolo che più appare nei vangeli, insieme a figlio di Dio, ed è sempre in bocca a Gesù. L’espressione viene presa dal libro del profeta Daniele, nel capitolo settimo, dove il profeta, in un sogno, vede sorgere dal mare, il mare Mediterraneo, quattro bestie. Le bestie sono immagini dei
poteri politici, conosciuti per la loro ferocia, uno più brutale dell’altro. La prima bestia  rappresenta l’ impero Babilonese, poi quello dei Medi, dei Persiani. La quarta è talmente orrenda che il profeta non sa neanche come descriverla, e rappresenta Alessandro Magno. Bene, Dio distruggerà questi poteri politici disumani, e darà il suo potere ad un figlio dell’uomo, espressione che significa l’uomo. Cioè l’azione di Dio nell’umanità è di eliminare tutto quello che è disumano, per far trionfare l’ umano. Allora, quando Gesù parla di sé come il figlio dell’uomo, cosa significa ? Gesù è il figlio di Dio in quanto rappresenta, manifesta Dio nella sua  condizione umana, ma è il figlio dell’uomo, in quanto rappresenta l’uomo nella sua condizione divina. E questa condizione divina non è un privilegio esclusivo di Gesù, ma un’offerta a tutti quelli che lo accolgono e che lo vogliono seguire.
Negli annunzi della passione, Gesù dirà che tutto l’odio, l’ astio, la ferocia dell’ istituzione religiosa non saranno contro il Cristo, cioè il Messia, perché il Messia è uno, ed una volta eliminato, l’istituzione può dormire sonni tranquilli. Ma sarà contro il figlio dell’uomo, e questo è pericoloso, perché non è soltanto Gesù, ma tutti coloro che lo seguono. Ricordiamo che l’ ordine di cattura non fu soltanto per Gesù, ma per tutti i suoi discepoli. È pericolosa la dottrina. Quindi Gesù, quando fa gli annunzi della passione, dice che è il figlio dell’uomo che sarà condannato, sarà ammazzato, ma poi risusciterà.
Questa offerta di condizione divina non è un privilegio di Gesù, ma è offerta a tutti quelli che lo seguono. Ma, dice Gesù, bisogna stare attenti perché, e qui ecco il riferimento ai giorni di Noè. Cosa dice Gesù ? “Nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano”, tutte azioni normali. Ma c’è da stare attenti che questa offerta di pienezza di vita non venga distratta da quella che è la routine quotidiana. Il fatto del diluvio non fu la fine del mondo, ma fu l’inizio di un’umanità nuova. E perché questo umanità nuova inizi, Gesù ha bisogno di collaborazione. La linea di Gesù, che è il figlio dell’uomo, cioè la persona pienamente umana, completamente umana, è l’umanizzazione della società. I poteri, tutto quello che domina, sono disumani, allora l’azione di Gesù è umanizzare questa umanità. Ma questo, come per lui, non sarà indolore.
Ecco perché Gesù avverte i suoi discepoli: vigilate, vegliate. È lo stesso invito che darà nel momento dell’agonia del Getsemani ai suoi discepoli, perché è chiaro che i poteri non staranno fermi vedendo erodere il loro sistema, e quindi si scateneranno con ferocia, ci sarà la persecuzione come per Gesù. Ma Gesù lo ha assicurato: Dio tra chi perseguita e chi viene perseguitato si pone sempre al fianco dei perseguitati.
E l’evangelista racchiude in questo insegnamento quello che aveva annunciato con le beatitudini: quelli che scelgono di collaborare con Gesù al regno di Dio, anche se si scatena la persecuzione, ebbene questa sarà una beatitudine, che confermerà che Dio è dalla loro parte.

il commento di p. Maggi al vangelo della domenica

SIGNORE RICORDATI DI ME QUANDO ENTRERAI NEL TUO REGNO 

commento al vangelo della trentaquattresima domenica del tempo ordinario (20 novembre 2016) di p. Alberto Maggi:

Lc 23,35-43

In quel tempo, [dopo che ebbero crocifisso Gesù,] il popolo stava a vedere; i capi invece deridevano Gesù dicendo: «Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto». Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell’aceto e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». Sopra di lui c’era anche una scritta: «Costui è il re dei Giudei».
Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!». L’altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male».
E disse: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». Gli rispose: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso».

Maggi

L’episodio delle tentazioni nel deserto si erano concluse con queste parole: “e il diavolo si allontanò da Lui [Gesù] per ritornare al tempo fissato”; ed ecco il momento fissato: il momento di massima debolezza di Gesù. Gesù è crocefisso è già agonizzante, sulla croce, e nel momento di massima debolezza di nuovo si presentano le tentazioni di forza, le tentazioni di potere.    Leggiamo quello che ci scrive Luca, l’evangelista al cap. 23 nei versetti 35-43; Gesù che ha avuto come unica missione quella di portare vita, di salvare le persone ha pronunciato già le parole rivolte al Padre, una preghiera di perdono: Padre perdonali perché non sanno quello che fanno; e, scrive l’evangelista: il popolo stava a vedere.    Questo popolo che lo ha seguito, queste folle che erano incantate dal suo messaggio ora sono sottomesse alle decisione dei capi, non prendono nessuna iniziativa, stanno a vedere.    I capi invece lo deridevano; ecco senza un minimo di umanità, senza un po’ di compassione. In fondo Gesù, anche se ai loro occhi è un colpevole, è un uomo agonizzante sulla croce, questa tortura terribile, ebbene loro sono spietati, lo deridono dicendo: ha salvato gli altri, e qui c’è un eco di quello che Gesù disse nell’episodio della Sinagoga di Nàzaret quando disse: medico cura te stesso: ha salvato gli altri salvi se stesso se è Lui il Cristo di Dio l’eletto, ecco ritornano le tentazioni. 
Questa espressione: se è Lui il Cristo di Dio, ritornerà tre volte e noi sappiamo che il numero tre nella simbolica numerica ebraica significa quello che è completo, quindi il diavolo ritorna con forza, con le sue tentazioni nel momento di massima debolezza dii Gesù. Quindi i capi lo deridono, non hanno un minimo di compassione e dicono se ha salvato gli altri provi a salvare se stesso, se è Lui il Cristo di Dio, l’eletto. L’eletto che viene abbandonato. Una delle prove che Gesù non è stato il Messia, il Cristo d’Israele, è che il Messia non poteva morire.    Anche i soldati, sono i soldati romani, lo deridevano, letteralmente “lo schernivano”, si prendono gioco di Lui, una burla, gli si accostavano per porgergli dell’aceto. Mentre il vino è l’immagine dell’amore, il suo contrario l’aceto è l’immagine dell’odio. C’è un salmo, il salmo 69 versetto 22 che dice: “quando avevo sete mi hanno dato l’aceto”, e dicevano “se tu sei il re dei giudei, ecco che di nuovo ritorna questa tentazione, salva te stesso”.    Ma Gesù è venuto a salvare chi è perduto, Gesù non è venuto a salvare se stesso, ma a salvare gli altri, e l’evangelista commenta: sopra di Lui c’era anche una scritta: “costui è il Re dei giudei”, letteralmente “Il Re dei giudei è questo”. È una scritta molto derisoria, ed è l’unica scritta conosciuta di Gesù nella sua vita, per prenderlo in giro. Questo è il Re dei giudei quindi è un’espressione che indica il massimo disprezzo, verso questo popolo che i romani sottomettevano; ma ecco dove l’evangelista ci vuol portare; “Uno dei malfattori, la croce era uno strumento di tortura riservato alla feccia della società, ai criminali più feroci, quindi finire sulla croce significava aver combinato veramente qualcosa di tremendo. “Uno dei malfattori appesi (si intende alla croce) lo insultava: “non sei tu il Cristo? Salva te stesso”. Ecco per la terza volta c’è la tentazione “salva te stesso”: è la tentazione del diavolo, usare il potere per se stesso.    Ma Gesù la forza del suo amore non la usa per se ma la usa per gli altri. “salva te steso e noi , l’altro invece lo rimproverava dicendo: “non hai alcun timore di Dio tu che sei condannato alla stessa pena? Noi giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni”.  Quindi questo individuo crocefisso con Gesù è un criminale, è un delinquente. “Egli invece non ha fatto nulla di male”. Ecco, riconosce questo bandito, questo criminale crocefisso con Gesù, riconosce la realtà di Gesù, quella realtà che negli Atti degli Apostoli per parola di Pietro: “Gesù di Nàzaret che passo beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo perché Dio era con lui”.    Quindi questo delinquente riconosce che Gesù è innocente, e si rivolge a Gesù e gli chiede: “Gesù ricordati” questo verbo ricordare fa parte del linguaggio della preghiera ebraica, ricordare significa chiedere a Dio di posare uno sguardo di bontà, intervenire a favore di colui che prega, quindi è una richiesta; “ricordati di me quando entrerai nel tuo Regno” o meglio secondo  una variante di questo versetto; quando verrai nel tuo Regno, cioè quando verrai come Re ricordati di me.    Ebbene la risposta di Gesù spiazza tutti, spiazza ascoltatori, lettori del tempo e spiazza anche noi, perché ripeto: non è come poi la storia cercherà di annacquare questo episodio in “il buon  ladrone”. Questo è un delinquente, un criminale, che come dice lui ha giustamente meritato questa tremenda pena. Ebbene la risposta di Gesù: “ in verità, quindi un’affermazione solenne, io ti dico oggi con me sarai nel paradiso”. Mentre il bandito aveva chiesto ”ricordati” quando entrerai nel tuo Regno quindi non immediatamente, la risposta di Gesù è immediata: oggi stesso; quindi non un domani, non nel tempo, ma oggi stesso, immediatamente, sarai con me nel paradiso. È l’unica volta che nel vangelo di Luca appare il termine paradiso, Gesù quando deve parlare della vita che continua oltre la morte parla di vita eterna, di vita indistruttibile, ma non usa mai questo termine paradiso. Paradiso è un termine persiano che significa semplicemente “giardino”, era quel luogo intermedio dove le anime stavano in attesa della resurrezione.    Perché Gesù parla proprio di paradiso? L’evangelista vuol contrapporre l’azione di Gesù con quella descritta nel libro della Genesi. Nel libro della Genesi Dio caccia dal paradiso l’uomo peccatore; con Gesù il primo ad entrare con Lui in paradiso è proprio l’uomo peccatore. Quello che l’evangelista vuol dire è quello che ha seguito per tutto il filone del suo vangelo, l’amore di Dio non è rivolto alle persone per i loro meriti, ma per i loro bisogni.    Che merito ha questo bandito, per entrare in paradiso? Non ne ha nessuno merito, ma ha bisogno, l’amore di Dio guarda i bisogni delle persone. Non esistono per Gesù, per la forza del suo amore, non esistono casi impossibile che l’amore di Dio o l’amore di Gesù non possa vincere .

il commento di p. Maggi al vangelo della domenica

CON LA VOSTRA PERSEVERANZA SALVERETE LA VOSTRA VITA

commento al vangelo della trentatreesima domenica del tempo ordinario (13 novembre 2016) di p. Alberto Maggi:p. Maggi

Lc 21,5-19

In quel tempo, mentre alcuni parlavano del tempio, che era ornato di belle pietre e di doni votivi, Gesù disse: «Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta».
Gli domandarono: «Maestro, quando dunque accadranno queste cose e quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere?». Rispose: «Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome dicendo: “Sono io”, e: “Il tempo è vicino”. Non andate dietro a loro! Quando sentirete di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché prima devono avvenire queste cose, ma non è subito la fine».
Poi diceva loro: «Si solleverà nazione contro nazione e regno contro regno, e vi saranno in diversi luoghi terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandiosi dal cielo.
Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e governatori, a causa del mio nome. Avrete allora occasione di dare testimonianza. Mettetevi dunque in mente di non preparare prima la vostra difesa; io vi darò parola e sapienza, cosicché tutti i vostri avversari non potranno resistere né controbattere.
Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e uccideranno alcuni di voi; sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto. Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita».

Il vangelo di questa domenica è abbastanza complesso e rischia di essere travisato. Per questo dobbiamo situarlo nel suo contesto storico. Il vangelo è di Luca, cap. 21 versetti 5-19. Per comprenderlo dobbiamo fare un passo indietro, di ben sette secoli, situarci nel 701, quando Sennacherib, il potente re d’Assiria, iniziò la sua marcia verso la Palestina e nel suo percorso aveva già assediato e devastato ben 46 città e aveva posto d’assedio la piccola Gerusalemme. Re Ezechia e tutto il popolo si videro perduti perché tutta Gerusalemme era circondata dal potente esercito degli assiri. Ebbene, quale sorpresa al mattino quando sarebbe dovuto scattare l’attacco, videro che l’accampamento era vuoto, era stato abbandonato.
Per quale motivo? La spiegazione religiosa, ufficiale che viene data: un intervento di Dio. Infatti troviamo nel secondo libro dei Re, al capitolo 19, versetto 23, che questa stessa notte, l’angelo del Signore, l’angelo di Javeh uscì e colpì nel campo assiro 185.000 uomini, quindi lasciò un deserto di cadaveri, e Sennacherib, il re d’Assiria, tolse le tende, partì per far ritorno a Ninive.
Questa la spiegazione religiosa. In realtà negli scritti di Sennacherib si dice che il re Ezechia ha pagato un pesantissimo tributo. Fatto sta che questo avvenimento aveva dato origine alla credenza che, nel momento di massimo pericolo per Gerusalemme, Dio sarebbe intervenuto. C’è un salmo che celebra tutto questo, il salmo 46 al versetto 6 dove dice Dio è in mezzo a essa, non potrà vacillare.
Quindi nel momento di massimo pericolo interviene Dio. Allora leggiamo il vangelo.
Mentre alcuni parlavano del tempio, questi alcuni sono i discepoli, che era ornato di belle pietre e di doni votivi… Il tempio di Gerusalemme era uno splendore.  Gesù disse: “Verranno giorni nei quali, di quello che vedete…” Il verbo significa letteralmente ammirate. Ed è strano questo. Gesù aveva parlato del tempio come di una spelonca di ladri e di bandini. I suoi discepoli, invece, continuano a sentirne il fascino, l’ammirazione. “…Non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta”.
Perché questo? L’episodio precedente era stato quello della vedova che si dissanguava, offriva tutta la sua vita per mantenere in piedi questa istituzione. Era l’istituzione che con i proventi doveva mantenere i deboli della società. Ma l’istituzione religiosa aveva stravolto tutto questo. Erano i deboli che mantenevano quest’istituzione. Allora, per Gesù, un’istituzione religiosa che, anziché aiutare gli ultimi, i deboli, li sfrutta per il proprio mantenimento, non ha ragione di esistere. Ecco perché Gesù dice: non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta. E ancora oggi a Gerusalemme si possono vedere le pietre gettate giù dai romani nell’assedio nel 70.
Gli domandarono: “Maestro, quando dunque accadranno queste cose e quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere?”. I discepoli non sono preoccupati né allarmati, vogliono solo sapere quando. Perché? Come abbiamo detto prima si credeva che nel momento di massimo pericolo per Gerusalemme Dio sarebbe intervenuto. Questo è quello che sperano i discepoli. Loro sperano ancora che il Signore venga a restaurare il defunto regno di Israele. Ma Gesù rispose: “Badate…” Ed è un imperativo “Di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome dicendo: “Io sono”” Io sono è il nome divino. “E: “Il tempo è vicino”. Non andate dietro a loro!
Gesù è categorico. Sempre nella storia ci saranno persone che penseranno di avere questo mandato divino di restaurare, di riformare, Gesù chiede di non seguirli. Storicamente sappiamo che dopo Gesù si presentarono diversi altri presunti messia, l’ultimo dei quali fu Bar Kochba, detto il figlio della stella, che alcuni rabbini avevano riconosciuto addirittura come il messia inviato da Dio, e che causò sotto l’imperatore Adriano, la rivolta contro i romani e, da parte dei romani, la distruzione completa di Gerusalemme. 
“Quando sentirete di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché prima devono avvenire queste cose, ma non è subito la fine”. Gesù dice di non eccitarsi con questa attesa, perché loro pensano che sia il momento per inaugurare il regno di Israele. Gesù dice che non sarà così.
Poi diceva loro… E qui per comprendere queste espressioni bisogna rifarsi al linguaggio dei profeti con i quali i profeti descrivono grandi sconvolgimenti sociali.  “Si solleverà nazione contro nazione e regno contro regno, e vi saranno in diversi luoghi terremoti, carestie e pestilenze…” Sono le immagini che i profeti usano per indicare i grandi cambiamenti sociali.
 “Vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandiosi dal cielo.” Tutto questo è un’immagine per atterrire. Vedremo alla fine di questo episodio come Gesù parlerà di segni di liberazione per i suoi. Ma questo sconvolgimento, cambiamento, purtroppo non sarà indolore per i suoi discepoli. Questo messaggio che scrive Luca è di incoraggiamento alle comunità cristiane che si vedono perseguitate, emarginate.
“Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno…” E qui Gesù presenta i tre valori sacri sui quali si regge la società che sono Dio, patria e famiglia, tutti uniti sotto l’insegna del potere sugli uomini. Ebbene questi tre valori sacri … – per valore sacro si intende un valore per il quale è lecito sacrificare la propria vita e togliere la vita all’altro – si rivolteranno contro i discepoli di Gesù.
“… Consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e governatori, a causa del mio nome. Avrete allora occasione di dare testimonianza. Mettetevi dunque in mente di non preparare prima la vostra difesa; io vi darò parola e sapienza, cosicché tutti i vostri avversari non potranno resistere né controbattere.”
L’evangelista sta anticipando la scena che poi presenterà negli Atti degli Apostoli, del martirio di Stefano, che avrà parole verso le quali i suoi avversari non sapranno resistere. E anche Stefano ha toccato il tempio di Gerusalemme, l’istituto nevralgico di questa istituzione religiosa. Perché tutta questa avversione verso Gesù e i suoi? Perché il messaggio universale – annunziato da Gesù – del regno di Dio, annulla il privilegio di Israele di essere la prima tra le nazioni e il sogno del suo regno. Tutto questo non sarà indolore.
E addirittura, dice Gesù… quindi abbiamo visto Dio, la religione, la patria, i governati, ma “Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e uccideranno alcuni di voi”; qui il riferimento è al libro del Deuteronomio dove si prescrive che è lecito uccidere anche il parente idolatra. Quindi l’adesione a Gesù, agli occhi della società, è una idolatria che merita la morte.
L’adesione a Gesù, col radicale sovvertimento dei valori, è un crimine così grande da riuscire ad annullare persino i legami più stretti. “Sarete odiati da tutti a causa del mio nome”. Quindi la persecuzione non è un imprevisto nella vita del credente, ma è la conferma che si sta seguendo Gesù.
Ed ecco la rassicurazione di Gesù: “Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto. Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita”. Quindi Gesù assicura che da parte di Dio ci sarà la sua protezione e che questo non sia un messaggio che mette paura o dona angoscia, ma anzi la toglie. E troviamo in fondo al capitolo, al versetto 28, quando Gesù dice: “E quando cominceranno ad accadere queste cose alzatevi e levate il capo perché la vostra liberazione è vicina”. Quindi tutto questo che abbiamo detto non è un messaggio che mette paura, ma che la toglie.
Gesù ci assicura che la liberazione è vicina. Certo questa liberazione non sarà indolore, ci sarà da soffrire, ma Gesù sta sempre dalla parte dei perseguitati, mai da quella di chi perseguita, anche se chi perseguita pretende di farlo in nome suo.

il vangelo della domenica commentato da p. Maggi

“DIO NON E’ DEI MORTI, MA DEI VIVENTI”

commento al vangelo della trentaduesima domenica del tempo ordinario ( novembre 201) di p. Alberto Maggi:

maggi20

Lc 20,27-38

In quel tempo, si avvicinarono a Gesù alcuni sadducèi – i quali dicono che non c’è risurrezione – e gli posero questa domanda: «Maestro, Mosè ci ha prescritto: “Se muore il fratello di qualcuno che ha moglie, ma è senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello”. C’erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli. Allora la prese il secondo e poi il terzo e così tutti e sette morirono senza lasciare figli. Da ultimo morì anche la donna. La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie».
Gesù rispose loro: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio. Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: “Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe”. Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui».

I sadducei hanno congegnato bene la trappola in cui far cadere Gesù. Non osano affrontarlo sul piano dottrinale e politico perché sanno che potrebbero avere la peggio. Gesù infatti ha già zittito con le sue risposte i sommi sacerdoti, gli scribi, gli anziani, ed è riuscito a lasciare senza parole anche i pur agguerriti farisei.
Scrive l’evangelista che “Costoro”, i farisei, “meravigliati della sua risposta, tacquero”. D’altro canto Gesù non possono eliminarlo perché Gesù ha un gran seguito tra la gente, ne farebbero un martire. E così i sadducei decidono di attirarlo in un terreno scivoloso da dove, una volta caduto, l’aspirante messia avrebbe avuto difficoltà a rialzarsi, il ridicolo e il discredito.
L’aristocratica casta sacerdotale dei sadducei, il cui nome deriva da sadoc, il sacerdote che consacrò come re Salomone, il figlio dell’amante di Davide e Betsabea, al posto del legittimo re Adonia. Questa

casta sacerdotale dei sadducei deteneva non soltanto il potere politico, ma anche il potere economico, erano molto ricchi.
Loro accettavano come parola di Dio soltanto i primi cinque libri della Bibbia e rifiutavano i libri dei profeti. Per quale motivo? Perché nei profeti è costante la denuncia di Dio contro l’ingiustizia che crea grandi ricchezze, ma anche tanta povertà. Quindi loro lo rifiutavano perché per loro andava bene la situazione così com’era.
Si rivolgono a Gesù con un titolo ossequioso, Maestro, ma in realtà non vanno a prendere da lui, vogliono soltanto screditarlo. E si rifanno a una questione che ha le sue basi nella legge di Mosè, nel libro del Levitico, dove Mosè prescrive: Se muore il fratello di qualcuno che ha moglie, ma è senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello.
Qual è il significato di questa legge? La legge del levirato prevedeva che il cognato di una donna rimasta vedova e senza figli avesse l’obbligo di metterla incinta, perché era importante che il nome del marito continuasse. Era una maniera per diventare eterni, per perpetuare il proprio nome; ogni figlio portava il nome del padre.
Quindi quando una donna rimaneva vedova e, senza aver avuto un figlio maschio, il cognato aveva l’obbligo di metterla incinta e il bambino nato avrebbe portato il nome del defunto. La legge prescrive: In modo da assicurargli la perpetuità, come c’è scritto nel libro del Deuteronomio: Perché il nome di questi non si estingua da Israele.
Secondo la cultura dell’epoca – e questo va compreso per una migliore comprensione del brano – il matrimonio aveva il solo scopo di assicurare una discendenza all’uomo, la donna serviva unicamente per mettere al mondo figli, figli maschi.
Quindi qui non si tratta di uno scrupolo sull’amore, ma su una realtà del figlio maschio. Allora, ispirandosi alla popolare storia di Sara, la sfortunata sposa alla quale morirono ben sette mariti la sera stessa delle nozze, i sadducei spacciano – come se fosse vera – la macabra vicenda di questi sette fratelli tutti morti senza essere riusciti ad avere un figlio da quella che è stata la moglie di tutti e sette.
Della donna ai sadducei non interessa nulla, non desiderano conoscere la sorte della donna, desiderano solo sapere a quale dei defunti, una volta risuscitati, spetterà poi averla per immortalare con un figlio maschio il proprio nome. Quindi non si tratta di un problema affettivo (di chi sarà la moglie?), ma chi da questa donna riuscirà ad avere un figlio maschio.
Quindi i sadducei cercano di ridicolizzare Gesù e di burlarsi di lui. Ebbene nella sua risposta Gesù si distanzia dall’interpretazione popolare della risurrezione, intesa come un ritorno alla vita fisica dei morti, e Gesù risponde che la vita dei risorti non dipende dalla procreazione, dal rapporto tra marito e moglie, ma proviene direttamente dalla potenza di Dio.
E Gesù cita gli angeli? Perché Gesù cita gli angeli? Perché i sadducei non credevano all’esistenza degli angeli. Come gli angeli ricevono la vita non certo dal padre e dalla madre, ma direttamente da Dio, così con la risurrezione la vita rimane eterna perché proviene da Dio. 
Ai sadducei, che si sono fatti forza dell’autorità di Mosè per opporsi a Gesù, Gesù ribatte a sua volta, riconducendosi proprio a Mosè, a quello che ha scritto, mostrando quanto sia miope e limitata la loro lettura della scrittura e si rifà alla risposta che Dio diede a Mosè nel famoso episodio del roveto ardente, quando disse: “Il Signore è il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe”.
Quando si dice che il Signore è il Dio di … non si intende tanto il Dio creduto da … Abramo, Isacco o Giacobbe, ma il Dio che protegge Abramo, Isacco e Giacobbe. E come protegge? Protegge con la sua vita, tenendoli lontani dalla morte.
Quindi essere sotto la protezione di Dio significa avere la sua stessa vita e il Dio fedele non permette che muoiano quelli che lui ha amato. E il perché ce lo dice la frase più importante di tutto questo brano, che getta nuova luce sull’immagine della vita, della morte e delle risurrezione, “Dio non è il Dio dei morti, ma dei viventi, perché vivono tutti per lui”.
Il Dio di Gesù non risuscita i morti, ma comunica ai vivi, ai viventi, la sua stessa vita, una vita di una qualità tale che è capace di superare la morte.

il vangelo della domenica commentato da p. Maggi

IL PUBBLICANO TORNO’ A CASA GIUSTIFICATO, A DIFFERENZA DEL FARISEO 

 

  commento al vangelo della trentesima domenica del tempo ordinario (29 ottobre 2016) di p. Alberto Maggi:Maggi

Lc 18,9-14

In quel tempo, Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri:
«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”.
Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”.
Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».

Gesù, nel suo insegnamento ha presentato Dio come un Padre il cui amore non è attratto dai meriti delle persone, ma dai loro bisogni. E’ quanto esprime l’evangelista Luca nel capitolo 18, versetti 9-14. Leggiamo.
In quel tempo, Gesù disse ancora questa parabola. E la parabola ha un indirizzo ben preciso, per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri. Quindi Gesù rivolge questo messaggio a coloro che si sentono giusti. Giusti significa – da un punto di vista religioso – coloro che si ritengono completamente a posto con Dio in base alla loro pratica religiosa, in base alla loro situazione, e per questo motivo disprezzano gli altri. E’ tipico delle persone religiose. 
Quanto uno si sente tanto a posto con Dio, si permette poi di giudicare, condannare e poi disprezzare gli altri. Ed è a questo tipo di persone, quindi le persone molto pie, molto religiose, che Gesù rivolge questa parabola.
“Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano.” Gesù presenta gli opposti della società religiosa e civile dell’epoca. Il termine fariseo significa separato. Chi erano i farisei? Erano laici che si impegnavano ad osservare nella vita quotidiana tutti i precetti, le leggi e le osservanze prescritte nella legge.
Ne avevano estrapolate addirittura ben 613. Erano attenti a non mangiare nulla di impuro, erano scrupolosi osservanti del riposo del sabato. Erano i santi per eccellenza. Quindi il fariseo è la persona che si ritiene – ed è ritenuta – la più vicina a Dio.
All’opposto il pubblicano. Pubblicano viene da publicum, la cosa pubblica. Erano gli esattori del dazio; erano considerati ladri di professione, al servizio spesso dei dominatori pagani, erano considerati i trasgressori di tutti i comandamenti e avevano come un marchio di impurità per il quale per loro non c’era speranza alcuna di salvezza.
Anche se un domani un pubblicano si fosse convertito, lui non avrebbe più potuto cambiare mestiere e poi per lui non c’era nessuna speranza di salvezza.
Quindi Gesù presenta i due opposti. Il più vicino a Dio, e non il più lontano, ma addirittura l’escluso da Dio.
“Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé…” Letteralmente l‘evangelista scrive “pregava verso se stesso”. La preghiera del fariseo non è rivolta a Dio, ma lui ha fatto di se stesso il proprio Dio, il proprio idolo. La sua è un inutile sbrodolamento delle inutili virtù che Gesù non richiede, che Dio non richiede. Ed ecco la sua preghiera: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini”. Ecco la preghiera di questa persona che si ritiene giusta, che si ritiene un modello di santità, porta subito al giudizio e al disprezzo degli altri uomini. “Ladri, ingiusti, adùlteri, e (qui c’è proprio una punta di disprezzo) neppure come questo pubblicano.”
Cos’è che lo fa sentire tanto a posto con Dio, cos’è che lo fa ritenere tanto santo, tanto giusto? Quello che Dio non richiede. Le cose inutili. Infatti ora vedremo che questo fariseo elenca tutte azioni superflue, inutili e per questo nocive.
“Digiuno due volte alla settimana …” Il digiuno era comandato una volta all’anno, il giorno del perdono, ma le persone pie, come i farisei, digiunavano due volte la settimana, il lunedì e il giovedì, in ricordo della salita di Mosè sul monte Sinai e poi della sua discesa. Erano i giorni di digiuno.
“E pago le decime di tutto quello che possiedo”. La decima era una tassa che si pagava su certe derrate alimentari ma non su tutto. Lui, per scrupolo, offre tutto e paga tutto quanto. Notiamo che non elenca nessun atteggiamento benevolo e favorevole ai bisogni degli altri, tutto rivolto a se stesso e a Dio. C’è un fariseo che dice che come lui nessuno osservava la legge e che quando si è poi pentito – è San Paolo di Tarso – dirà che “Tutte queste prescrizioni hanno una parvenza di sapienza con la loro falsa religiosità, e umiltà e mortificazione del corpo, ma il realtà non hanno alcun valore se non quello di soddisfare l’egoismo, la carne”. San Paolo, che pure aveva sperimentato questo, dice che non servono a niente. Tutte queste devozioni, tutte queste pratiche religiose, non solo sono inutili, ma sono nocive perché non fanno altro che soddisfare il proprio io.
Nella lettera ai Filippesi San Paolo arriverà a dire che quando ha conosciuto il messaggio di Gesù tutte queste devozioni e pratiche che gli sembravano tanto importanti le ha considerate un escremento.
“Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo”. Si sente in colpa, sa che è un escluso da Dio. “Ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”, letteralmente “sii benevolo, mostrami la tua misericordia”. Il pubblicano mostra di avere fede. Lui sa che è in una situazione disperata, per lui non c’è perdono, per lui non c’è salvezza, ma nonostante questo – e qui sembra di sentire l’eco del Salmo 23 dove il salmista dice “anche se vado in una valle oscura tu sei con me” – dice “mostrami la tua misericordia”.
“Tu vedi Signore che vita faccio, non posso cambiare, questa è la mia situazione, tu la conosci. Ebbene, nonostante questo, mostrami il tuo amore e la tua misericordia”.
La conclusione di Gesù è sconcertante. “Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato”. All’inizio l’evangelista ha presentato quelle persone che si ritenevano “giusti” e ora parla di “giustificato” cioè a posto con Dio, in sintonia con Dio. Ma che cosa ha fatto? Non si è pentito. Non ha detto che cambia il suo comportamento, non ha detto nulla di tutto questo, ma ha chiesto al Signore di mostrargli la sua misericordia.
E il Dio di Gesù, il suo amore non lo dirige a chi lo merita, ma a chi ne ha bisogno.
“Perché chiunque si esalta (letteralmente si innalza) sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato”. Quindi Gesù rovescia i paradigmi della società, quello che si riteneva più vicino a Dio per le sue pratiche religiose, per Gesù è il più lontano, perché non fa nulla per gli altri. Quello che conta per Gesù non è quello che si rivolge alla divinità, ma gli atteggiamenti di bene, di benessere che si fanno nei confronti degli altri. E soprattutto, a conclusione, Gesù ricorda che l’amore di Dio non è concesso come un premio per i propri meriti, ma come un regalo per i propri bisogni.

 

 

per p. Maggi i testi di Dario Fo sono profondamente spirituali e di valore teologico

Dario Fo, il ricordo del biblista A. Maggi

“altro che blasfemi. I testi suoi e di Franca Rame erano spirituali”

di Alberto Maggi


Ho una certezza: in futuro, il tanto bistrattato “Mistero Buffo”, sarà testo di spiritualità nelle Facoltà Teologiche. Questa rivisitazione dei vangeli apocrifi e tradizioni popolari su Gesù, più il talento geniale di Dario Fo, ne fanno un testo così intriso di profonda spiritualità e di grande ricchezza umana che fa del premio Nobel, e della moglie Franca Rame, non solo quei grandi attori che tutti conoscono, e le cui opere sono rappresentate in tutto il mondo, ma dei maestri di vita, d’arte e di teologia.

 

“Da giovane volevo farmi suora… La mia è una vocazione materna, samaritana, stronza…”. Così mi disse Franca Rame, aggiungendo, “sto sempre dalla parte delle cause perse, ma è più forte di me”. Fu un privilegio conoscere la Rame, e lei nella sua generosità accettò di presentare il mio libro “Nostra Signora degli Eretici” con il monologo di Maria presso la croce, creando un’atmosfera carica di emozione. Alla fine della sua rappresentazione c’era in sala un incredibile silenzio e tanti occhi lucidi.

Poi la Rame mi volle anche sul palcoscenico, durante un suo spettacolo teatrale a Firenze, per un collegamento televisivo. Avevo scritto infatti un articolo nel quale la difendevo dagli attacchi degli ultrà cattolici, affermando che i suoi testi anziché essere blasfemi erano intrisi di spiritualità. Infatti Franca Rame aveva una profonda spiritualità, che manifestava, insieme a Dario Fo, nella sua incredibile generosità a favore degli ultimi. Quando le chiesi, dopo averla rivista nel suo monologo di Maria presso la croce, come mai avesse cambiato il rantolo del Cristo agonizzante, lei rispose: “È stato assistendo i malati terminali di AIDS, all’ospedale Sacco (di Milano)”. Era il tempo in cui i malati di AIDS mettevano paura, si temeva il contagio del tremendo virus, venivano isolati ed evitati, nella Chiesa qualcuno arrivò a definirli castigati da Dio per i loro peccati, e quando le domandai: “E che fai, in che modo li assisti?”, lei rispose “Niente, tengo la loro mano, tutta la notte”.

E grazie a lei conobbi poi suo marito, l’incredibile Dario Fo. Stava scrivendo “Johan Padan a la descoverta de le americhe”, e mi chiese di portargli tutti i libri della teologia della liberazione che fossero stati pubblicati. Glieli portai nella loro casa estiva a Sala di Cesenatico, e rimasi sorpreso dall’enorme tavolo di lavoro tutto ricoperto di libri sulla fauna e la flora del sud America… Dario si stava documentando in maniera scrupolosa e attenta per fare, magari, poi solo una battuta nella sua opera.

Compresi che non era solo talento, ma anche disciplina, non solo un genio, ma anche rigore. Dario Fo fu gentilissimo e generosissimo. E credo fosse profondamente sincero quando, prendendo in mano il mio libro Nostra Signora degli Eretici, quello che Franca aveva presentato, mi disse: “È il più bel libro che abbia mai letto!”.

Dario Fo e Franca Rame (lei diceva: lui è il monumento, ma io sono il piedistallo!), erano straordinariamente generosi. Non aspettavano che venisse loro richiesto un aiuto, lo precedevano, e con tanto altruismo hanno aiutato, sostenuto, incoraggiato, tutto di tasca propria.

Molti anni fa, nel presentare Dario Fo a un convegno presso la Pro Civitate Cristiana di Assisi, affermai che “il Dio di Fo è talmente umano da essere quasi divino”. Con il suo genio teatrale Fo riusciva a disincrostare secoli di sovrastrutture che avevano finito per oscurare l’umanità del Cristo, l’Uomo-Dio. Certo, Dario Fo lo faceva attraverso la tecnica del graffio, ma anche il graffio, se fatto ad arte, serve per ripulire!

Da Dario Fo ho imparato l’arte di presentare il Vangelo senza necessariamente far addormentare le persone, con le pause, la mimica, la gestualità, le sorprese, per rendere vivo e attuale un testo antico.

Come ringraziamento per il contributo librario alla sua opera teatrale, Dario si mise a disegnare, dicendo “Ora sono ispirato: questo sei tu che liberi la parola…”, e ora conservo questo suo prezioso disegno, dove Fo mi rappresenta come un frate che libera una colomba, quale compito da proseguire, con rinnovato entusiasmo, l’annuncio della buona notizia.

alberto maggi dario fo

 

L’AUTORE – Alberto Maggi, frate dell’Ordine dei Servi di Maria, ha studiato nelle Pontificie Facoltà Teologiche Marianum e Gregoriana di Roma e all’École Biblique et Archéologique française di Gerusalemme. Fondatore del Centro Studi Biblici «G. Vannucci» (www.studibiblici.it) a Montefano (Macerata), cura la divulgazione delle sacre scritture interpretandole sempre al servizio della giustizia, mai del potere. Ha pubblicato, tra gli altri: Roba da preti; Nostra Signora degli eretici; Come leggere il Vangelo (e non perdere la fede); Parabole come pietre; La follia di Dio e Versetti pericolosi. E’ in libreria con Garzanti Chi non muore si rivede – Il mio viaggio di fede e allegria tra il dolore e la vita.

il vangelo della domenica commentato da padre Maggi

DIO FARA’ GIUSTIZIA AI SUOI ELETTI CHE GRIDANO VERSO DI LUI 

commento al vangelo della ventinovesima domenica del tempo ordinario (16 ottobre 2016) di p. Alberto Maggi:

p. Maggi
Lc 18,1-8

In quel tempo, Gesù diceva ai suoi discepoli una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai:
«In una città viveva un giudice, che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno. In quella città c’era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: “Fammi giustizia contro il mio avversario”.
Per un po’ di tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: “Anche se non temo Dio e non ho riguardo per alcuno, dato che questa vedova mi dà tanto fastidio, le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi”».
E il Signore soggiunse: «Ascoltate ciò che dice il giudice disonesto. E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? Io vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?».

Il capitolo 18 del vangelo di Luca si apre con un insegnamento di Gesù che non riguarda la preghiera, ma la fede. Non una preghiera insistente, ma la fede. Cosa significa la fede? Avere fiducia, credere profondamente, che Dio realizza il suo progetto. E qual è il progetto di Dio? Il suo regno. Sulla preghiera Gesù già nel capitolo 12 ed altri aveva ampiamente parlato ai suoi discepoli, aveva presentato Dio come un Padre che si prende cura del bene dei suoi figli, un Padre che non va incontro ai loro bisogni, alle loro necessità, ma addirittura li precede. Un Padre che, come aveva detto Gesù, sa ciò di cui avete bisogno.
Quindi non c’è la necessità di elencargli le nostre richieste, perché il Padre già le sa. E Gesù, concludendo questo insegnamento sulla preghiera, aveva detto “Cercate piuttosto il suo regno e queste cose vi saranno date in aggiunta”.

Il regno è l’oggetto della preghiera. Tanto è vero che Gesù nella preghiera del Padre Nostro lo inserirà con la richiesta “Venga il tuo regno”. Cos’è questo regno? Una società alternativa. Allora questo brano che adesso leggiamo – capitolo 18 i primi otto versetti del vangelo di Luca – non è un insegnamento sull’insistenza della preghiera verso un Dio che è sordo e va supplicato. Questo è il Dio dei pagani, non è il Padre di Gesù.
E’ un insegnamento sulla certezza delle promesse di Dio che vengono realizzate, anche se all’apparenza può sembrare il contrario. Scrive l’evangelista: Diceva loro, quindi Gesù si sta rivolgendo ai discepoli, questi discepoli che hanno dimostrato di non avere un minimo di questa fiducia, una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai. Ecco l’insegnamento non è sulla preghiera, la preghiera è un mezzo, ma l’insegnamento è sulla giustizia.
Infatti il termine giustizia in questo vangelo comparirà per ben quattro volte. E’ la giustizia del regno, questa società alternativa che Gesù è venuto a proporre.
“In una città viveva un giudice, che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno.” Il ritratto che Gesù fa del giudice è quello di una persona potente e superba. E ci richiama subito l’annunzio che aveva fatto Maria in questo vangelo con il suo canto, di quello che è il progetto di Dio sulla creazione, ma progetto che, per realizzarsi, ha bisogno della collaborazione delle persone. Maria aveva detto che Dio ha disperso i superbi, rovesciato i potenti dai troni – e qui abbiamo un potente che è superbo – innalzato gli umili, ricolmato di beni gli affamati, rimandato i ricchi a mani vuote. Questo è il progetto di Dio. Ed è su questa fiducia che Gesù insiste. E’ questa la fede che devono avere i suoi discepoli e per la quale devono attivarsi, collaborare.
In quella città c’era anche una vedova. L’immagine della vedova nella Bibbia rappresenta la persona che, non avendo un uomo che pensa a lei, è alla mercé di tutti, è la persona emarginata, senza protezione, la più bisognosa. E Dio nella Bibbia viene chiamato “il difensore delle vedove”, perché Dio ha a cuore queste creature che sono emarginate. Che andava da lui e gli diceva: “Fammi giustizia contro il mio avversario”.
Ecco per la prima volta appare il termine giustizia, che apparirà per ben quattro volte in questo brano.
Per un po’ di tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: “Anche se non temo Dio… “, ecco riconosce di non temere Dio, “… e non ho riguardo per alcuno.. “, il ritratto che Gesù fa del potente è atroce, “… dato che questa vedova mi dà tanto fastidio, le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi”. Letteralmente “fare un occhio nero” perché fa un danno alla mia reputazione.
E il Signore soggiunse: “Ascoltate ciò che dice il giudice disonesto.” Ed è un invito ai suoi discepoli. Ed ecco la lezione che Gesù dà. “E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte (gridare giorno e notte nei salmi dell’Antico Testamento è immagine del grido degli oppressi) verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? Io vi dico che farà loro giustizia prontamente.” Quindi Gesù garantisce che quel progetto di Dio sull’umanità, il regno, una società alternativa dove ai falsi valori dell’avere, del comandare e del salire, si contrappongano i valori giusti, quelli che creano la fraternità, cioè la condivisione, lo scendere e il servire. Questo è il regno di Dio, la società alternativa. Gesù assicura che questo si realizza. Ma per farlo bisogna che i suoi discepoli collaborino con lui rompendo con questi valori falsi della società. Se non lo fanno questo regno non si può realizzare.
Ecco perché poi Gesù conclude con un’espressione che sembra carica di amarezza, “Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà…”. Il Figlio dell’Uomo, cioè Gesù, viene con la distruzione di Gerusalemme. Quando si distrugge Gerusalemme ecco che si annuncia la venuta del Figlio dell’Uomo. “Troverà la fede sulla terra?” E infatti non la trova. Il vangelo di Luca finisce amaramente con i discepoli che, nonostante tutto l’insegnamento di Gesù, nonostante tutto quello che Gesù ha detto, continuano ancora a frequentare il tempio.
Quel covo di ladri che Gesù aveva denunciato e del quale aveva annunciato la distruzione, per il discepoli ancora rappresenta un valore, cioè non hanno rotto con il passato, con l’istituzione ed il potere. E allora se non rompe con questo il regno di Dio, questa società alternativa, non può emergere.

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